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Sulla causalità come modo di parlare

18 Apr 23

A cura di antonello.sciacchi16

Cause toujours. (Devise de la pensée «causaliste»).
J. Lacan, Fonction et champ de la parole et du langage en psychanalyse.

 

Qui tento di sviluppare il tema di come nella teoria di Lacan operi la singolare omonimia della lingua francese di causer, nel senso di “causare”, e causer, nel senso di “parlare”. È in gioco la transizione dalla causa reale (aristotelica) alla causa linguistica (significante), la prima estrinseca al soggetto parlante, la seconda intrinseca. Nel pensiero della causa rientra anche il pensiero di Lacan, che è di stampo medico, resistente alla scienza galileiana. Il mio compito è riabilitare la scientificità del pensiero di parola, svincolandolo dalla filosofia aristotelica della causa. Compito reso difficile dal principio di ragion sufficiente, per cui chi conosce le cose trova sempre la ragione ontologica che spiega i fatti. Si chiama determinismo; è la chiave di volta del sistema di pensiero freudiano, vero “delirio interpretativo onnipotente”. Il tema ha in italiano una profonda valenza filosofica, per la prossimità etimologica della causa alla cosa, parallela alla francese tra cause e chose.

 
Pars destruens

La differenza rilevante tra i due significanti omonimi francesi attraversa il binomio Freud/Lacan. Lacan usa il termine astratto causalité, mentre Freud non usa l’equivalente Kausalität. Freud non raggiunge il livello di astrazione filosofica di Lacan, la cui cronologia è interessante da compilare.

Il termine causalité non ricorre nella tesi di medicina di Lacan sul parallelismo tra paranoia e personalità (1932), che in un certo senso segna il suo parziale distacco dal discorso medico. Il testo in cui Lacan tratta a fondo la funzione della causa è Propos sur la causalité psychique(1946); è un Lacan filosoficamente maturo, uscito dai seminari di Kojève su Hegel (1939). La filosofia lacaniana pone la verità come causa del filosofare. È una causa hegeliana. Tale assunto inibirà la transizione di Lacan al discorso scientifico, largamente indifferente alla causa della verità. Moi, la vérité je parle è il motto della filosofia di Lacan, che parla per 24 anni di fila nel suo Seminario. La verità di Freud è la causa (cause) che fa parlare (causer) Lacan. È anche il principio eziologico della metapsicologia freudiana, dove alle spalle di ogni effetto psichico ci sta sempre una verità: la causa pulsionale. È tale verità il canale di stampo medicale attraverso cui i due medici, Lacan e Freud, comunicano. È una verità debole in Lacan, consapevole che la connessione tra causa ed effetto non è mai semplice. Entre la cause et ce qu’elle affecte, il y a toujours la clocherie (“Tra causa ed effetto c’è sempre zoppia”, Seminario XI del 22 gennaio 1964).

È interessante la versione linguistica della pulsione, la causa freudiana per eccellenza, proposta da Lacan in Subversion du sujet et dialectique du désir dans l’inconscient freudien(1960). Lacan vi riconosce la situazione del soggetto di fronte al significante della domanda ripetitivamente insistente. La ripetizione di Lacan non è ontologica, come in Nietzsche e Freud, ma esclusivamente linguistica. Nella sua pseudo-algebra logocentrica Lacan scrive la formula della pulsione così: <> D. La pulsione è la richiesta soggettiva – la “domanda” – vera linea di transizione del soggetto tra bisogno del corpo proprio e desiderio dell’altro. La pulsione cessa di essere l’ente alle spalle del soggetto e diventa ciò che lo fronteggia dentro al proprio stesso discorso.

Il tempo passa, la verve filosofica si attenua e Lacan arriva a dire che la verità non si può dire tutta ma solo a metà, mi-dire, senza mai citare il teorema di Gödel di incompletezza dell’aritmetica di 40 anni prima. Il suo discorso sulla verità va di pari passo con il discorso sulla donna. La donna non esiste; è non tutta. Sembra un avvicinamento alla scientificità, ma Lacan resta a distanza dalla scienza galileiana. I suoi allievi arriveranno a dire che la scienza fuorclude il soggetto, come nella paranoia, cosa gradita ai filosofi continentali. Rendono il cogito di Cartesio non avvenuto. Effetto del prevalere della nozione di causa? È un’ipotesi plausibile. Aristotele rimane il pensatore di riferimento del lacanismo, la sua causa il modello di sviluppo per il lacaniano. Lo conferma il titolo dato alla scuola fondata dopo la dissoluzione dell’École freudienne: École de la cause freudienne. Si sa, i francesi amano designare le loro imprese culturali con l’altisonante École. Si sentono maestri di tutto il mondo.

Ho citato Aristotele pour cause. Nell’ultimo degli ÉcritsLa science et la vérité (1965), Lacan sistemò l’eredità aristotelica assegnando quattro professionisti alle quattro cause dello Stagirita: la causa finale o escatologica al prete, la causa efficiente al mago, la causa formale all’uomo di scienza e la causa materiale come significante allo psicanalista. Sono effetti di un “imperativo bisogno causale” (gebieterisches Kausalbedürfnis) che nel III saggio dell’Uomo Mosè e la religione monoteista (1938) Freud riconobbe come proprio sintomo. Lacan lo ereditò da Freud? È probabile. Certo è che il discorso della causa ebbe sulla psicanalisi l’effetto di soffocare il pensiero scientifico, respingendo l’impresa di Galilei e di Cartesio nelle secche del pensiero antico, magari in nome dell’umanesimo. Quanto detto dovrebbe bastare per lasciar perdere certo lacanismo, raddoppiamento filosofico della metapsicologia freudiana. Ed è quello che, come allievo di Freud e di Lacan, tento di fare dal 1991 in poi, rimanendo tuttavia fedele al nucleo innovativo del loro pensiero. Il mio motto è “con Freud senza freudismi, con Lacan senza lacanismi”, cioè senza dottrine di scuola. Posizione votata alla solitudine.

C’è un’ulteriore considerazione sulla fascinazione intellettuale della nozione di causa. Si parla tanto dell’origine del discorso scientifico: con chi? Con Copernico? Con Galilei? Con Cartesio? Domande che ignorano un’altra origine, contemporanea e antagonista rispetto a quella del discorso scientifico: la nascita della letteratura romanzesca. I primi romanzi moderni sono macigni enciclopedici: Gargantua e Pantagruel, Don Chisciotte della Mancia, Orlando Furioso. Si fatica a leggerli per intero. Cosa significano? Inaugurano un’era. Significano rilanciare la narrazione umana, anticamente confinata all’epica o alla grande storiografia, rispetto alla descrizione quantitativa dei fenomeni naturali. Insomma, la frattura della modernità, che molti filosofi non riconoscono, passa tra narrare le cause esistenziali della vita, agenti nel tempo storico dell’uomo, e matematizzare i fenomeni fisici oggettivi, calati in un tempo dove l’uomo è solo l’osservatore apparentemente non coinvolto.

La divaricazione tra i due discorsi, tra letteratura e scienza, è cresciuta nel tempo; la prima ha sopravanzato di gran lunga la seconda. Oggi, se entri in una grande libreria come la Feltrinelli, sei accolto da una marea di new entry romanzesche, mentre i testi di divulgazione scientifica sono confinati in uno scaffale seminascosto. È la rivincita del principio di ragion sufficiente sulla ragione scientifica. I romanzi si basano sul principio eziologico, che regola la vita dei personaggi, poco importa se reali o inventati, mentre i testi scientifici ripropongono il tempo oggettivo e astratto della matematica, apparentemente senza soggetto. Non può esserci divario più netto e in pieno sviluppo, con un vincitore unico e imbarazzante dell’inevitabile duello.

Chi in particolare soffre di tale dicotomia, ormai frattura discorsiva, è la psicanalisi. Nata nelle intenzioni di Freud come scienza del sapere che non si sa, cioè come teoria e pratica dell’inconscio, la psicanalisi è stata da subito segregata con il favore di Freud nel settore terapeutico della medicina, cioè ridotta a tecnica pesantemente eziologica, già ippocratica: c’è la causa morbosa, c’è il morbo; non c’è la causa morbosa, non c’è il morbo. Di scienza moderna nella psicanalisi freudiana resta poco. Freud ne risulta diviso; da una parte è preso dall’impresa scientifica, che inaugura la “giovane scienza” del sapere che non si sa di sapere, ma dall’altra è bloccato nella “vecchia scienza” delle cause: le pulsioni che producono effetti psichici, cioè soddisfazioni sessuali. La scienza antica è storica, storicamente codificata da Erodoto e Tucidide; alla lunga batte la pretesa della scienza moderna di alleggerire il condizionamento eziologico. Alla psicanalisi non rimane altro che farsi psicoterapia, tecnica conservatrice del potere, conforme ai modelli dominanti. Freud l’avverte sin dall’inizio, lamentando che i suoi casi si scrivano come novelle, i “romanzi familiari”. Ma non c’è più scampo. Nel setting freudiano il dado narrativo è tratto.
 
Pars construens

Tornando al punto di partenza, il mio problema è salvaguardare la psicanalisi dalla tendenza del discorso delle cause a diventare dominante, favorito dall’industria culturale, che sfrutta la causa come fattore di produzione. Occorre salvare la psicanalisi dal conformismo eziologico, che mette in vendita la psicanalisi come psicoterapia. Salvare un discorso significa anche delimitare i confini in cui vale.
Ci ha provato Jacques Lacan con il matema dei quattro discorsi ­– “matema” va inteso come costrutto formale trasmissibile senza ambiguità (oggi si direbbe in modo più appropriato algoritmo, termine già usato da Lacan per indicare il rapporto tra significante e significato secondo De Saussure). I quattro discorsi secondo Lacan sono: il principale (o del padrone), l’isterico, l’universitario e lo psicanalitico. Sono costruiti ciclicamente ruotando quattro significanti: l’ontologico S1, l’epistemico S2, il soggetto diviso $ e l’oggetto a, la causa del desiderio, in quattro posti ai vertici di un quadrato, così denominati:
 

agente Altro
verità prodotto

 
Il discorso principale (o iniziale) si configura così:

S1 —> S2
I   I
$ <—  a

 
 
 

Le frecce orizzontali rappresentano la concatenazione dei significanti, cioè il freudiano spostamento metonimico (Verschiebung), che prolunga la catena significante; le frecce verticali rappresentano la freudiana condensazione metaforica (Verdichtung), che nella catena dei significanti sostituisce un significante all’altro e fa passare da una catena all’altra. Devo al saggio sulle afasie di Roman Jakobson (1963) la concezione di metonimia e metafora nel processo primario inconscio come combinazione e selezione di significanti.

Le formule dei quattro discorsi si costruiscono a partire dal discorso principale, o del maître,ruotando ciclicamente i termini verso destra; sono rispettivamente il discorso dell’isteria, dell’analista e dell’università. In particolare, nel discorso principale l’agente è il significante ontologico S1 e il prodotto è l’oggetto a, causa del desiderio; nel discorso dell’isteria l’agente è il soggetto e il prodotto è il significante epistemico S2; nel discorso dell’analista l’agente è l’oggetto causa del desiderio e il prodotto è il significante principale S1, o protorimosso (urverdrängt) in senso freudiano; nel discorso dell’università l’agente è il significante sapere S2 e il prodotto è il soggetto $.

L’algoritmo lacaniano, qui presentato in forma semplificata, mette in rilievo che il sapere psicanalitico è prodotto dal soggetto dell’isteria ed è accolto dall’ascolto di Freud; l’isteria è il luogo soggettivo che consente di interpretare la nozione di causa come produzione di sapere. L’algoritmo lacaniano dice qualcosa in più dal punto di vista epistemologico: il desiderio soggettivo di sapere, squisitamente isterico, si basa sulla rimozione dell’oggetto causa del desiderio nel luogo della verità, là dove il discorso principale, segnatamente filosofico, pone il soggetto. Tanto che si può ragionevolmente parlare di “scienza come isteria”. E tanto basta a non sopravvalutare il principio di causa ed effetto. L’eziologia è valida solo nel ristretto ambito del desiderio isterico, in quanto espresso nella e dalla parola, e non va estesa oltre. Così delimitata si giustifica l’equivalenza “imperativa” istituita dalla lingua francese tra parlare e causare. È come se da tempo il francese conoscesse l’equivalenza scientifica tra parola e causa, riproposta dall’isteria fuori dal provincialismo francese.

Un’ultima parola sull’algoritmo lacaniano dei quattro discorsi. L’algoritmo ha una struttura algebrica: quella del gruppo ciclico di quattro elementi che si combinano in 16 modi o operazioni. La ciclicità è un modello che simula la ripetizione. Con quali risultati? Non essendo matematico Lacan scotomizzò il punto che, invece, è interessante, perché riguarda le interazioni tra discorsi e risponde a interrogativi non banali. Per esempio, come interagisce il discorso dell’università con il discorso dell’isteria o con il discorso dell’analista? Come Freud Lacan non ebbe familiarità con in concetto scientifico di interazione, forse troppo meccanicistico per la sua filosofia.

Poiché i quattro discorsi individuati da Lacan formano un gruppo algebrico con l’operazione di concatenazione, si può calcolare la sua tabellina di moltiplicazione, cioè l’insieme delle interazioni. Eccola:
 

~ P A U
P P I A U
I I A U P
A A U P I
U U P I A
 

 
Le conclusioni da trarre da quest’algebra sono discutibili; hanno solo una parvenza di ragionevolezza: combinato con sé stesso, il discorso dell’isteria produrrebbe il discorso dell’analista, come isteria alla seconda potenza; combinare l’isteria con l’analisi produrrebbe il discorso dell’università, come una sorta di versione isterica pubblica dell’analisi.
Anche a occhio si vede che la tabellina dei 4 discorsi è isomorfa a quella del gruppo ciclico di 4 elementi sommati modulo 4, come i resti della divisione per 4 dei numeri interi:
 

+ 0 2 3
0 0 1 2 3
1 1 2 3 0
2 2 3 0 1
3 3 0 1 2
 

 
Questa è anche la tabella di moltiplicazione del gruppo delle trasformazioni del quadrato in sé stesso, a meno di isomorfismi. C’è da chiedersi come andrebbe considerando un altro gruppo, diverso da questo, per esempio il gruppo delle trasformazioni del rettangolo in sé stesso, cioè il gruppo non ciclico di Klein, formato da 4 elementi coincidenti con il proprio inverso e tali che il prodotto di due elementi diversi dà il terzo. Lo lascio come problema aperto a successive ricerche sulla struttura dei discorsi, intesi come legame collettivo, un punto qui non toccato.

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