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SUMMERHILL COME PROTOTIPO DI UNA DIVERSA RELAZIONE EDUCATIVA

20 Feb 20

A cura di gestoeparola

La nostra idea corrente di scuola si basa su una serie di elementi che sono tra loro strettamente connessi e che si configurano come un modello definito e coerente di convivenza collettiva tra bambini e adulti. Questi elementi sono tra loro strettamente legati così da risultare tutti necessari e non sostituibili, pena il mancato funzionamento e la messa in discussione dell’intero sistema-scuola.
 
L’esperienza di Summerhill School si presenta con una coerenza interna così definita da rappresentare il prototipo di un altro modo di concepire la natura stessa dell’istituzione scolastica ed è in questo senso che acquista un valore paradigmatico nel panorama delle esperienze dei nuovi percorsi educativi. Ed è per la stessa ragione che è ancora considerata “scandalosa” per chi non abbia maturato una coerente messa in discussione delle radici autoritarie ed adultocentriche  proprie di tutti i sistemi scolastici istituzionalizzati.

Come vedremo analizzandone le singole componenti, ognuna di esse mina alla radice il ruolo impositivo dell’adulto nella sua relazione con il bambino; cioè quello che a mio parere rappresenta il centro del problema pedagogico attuale: il punto di non ritorno tra chi crede che ci siano ancora delle ragioni per salvare degli aspetti della relazione di prevalenza dell’adulto nei confronti di chi ancora adulto non è, e chi crede che sia quel tipo di rapporto che vada superato per ricercare un nuovo tipo di relazione che salvaguardi la dignità di entrambi.

Uso il termine dignità, e non libertà intenzionalmente, poiché credo che nell’ambito delle relazioni umane il concetto di libertà intesa come assenza di vincoli nei confronti degli altri sia troppo ambiguo, sia cioè un termine che si adatta sopratutto a descrivere uno stato interno, qualcosa che ha a che fare con l’interiorità dell’individuo piuttosto che con le modalità di relazione con gli altri. Sin dalla nascita l’Altro rappresenta il nostro problema, la nostra relazione con gli altri è il problema, ineludibile (ontologico, si dovrebbe dire), che ci accompagna per tutta la nostra esistenza. Affermare che il nostro fine è la libertà risulta una frase vuota nel momento in cui proviamo ad articolarlo nelle contingenze del vivere: in ogni età della nostra vita questo problema cambia natura perché le nostre esigenze, i nostri bisogni sono in continua evoluzione e la nostra sopravvivenza, individuale e collettiva, dipende strettamente da quali tipi di mediazioni riusciamo ad instaurare con gli altri per sopravvivere.
 
Certamente il valore di Summerhill come prototipo va circoscritto al suo funzionamento interno e non alle sue caratteristiche dal punto di vista della sua riproducibilità socio-politica: questa si scontra con i limiti della sua natura di proposta fruibile solo da gruppi privilegiati che si possono permettere di sostenere economicamente la frequenza dei propri figli in una struttura costosa. Si potrebbe utilizzare un parallelo con la pratica psicoanalitica, anch’essa alla portata solo da chi può permettersi i costi di una analisi individuale; ma come questo limite non impedisce di valutare la portata potenzialmente liberatoria della relazione analitica, così bisogna saper distinguere la qualità dei contenuti relazionali in atto a Summerhill dalle difficoltà di estendere tale contesto a tutta la società. E’ quindi a io parere legittimo considerare questo tipo di pratiche come delle sperimentazioni che meritano la massima attenzione e considerazione proprio in nome dello sviluppo della ricerca e della elaborazione di nuovi paradigmi educativi. Quali sono gli elementi costanti (che possiamo considerare come delle invarianti) di ogni scuola, così come la si intende nella opinione comune?

 
1. la scuola è un luogo in cui si entra e si esce ad orari definiti.
2. si viene istruiti da adulti che vengono selezionati i base al bagaglio di saperi che hanno appreso.
3. gli argomenti di studio sono predeterminati e non sono modificabili.
4. i gruppi entro cui gli scolari sono raggruppati sono stabiliti in base all’età.
5. gli studenti vengono sottoposti ad una valutazione del grado di apprendimento secondo criteri oggettivi, cioè fissati a priori secondo gli standard di apprendimento del contesto sociale in cui la scuola si trova; i rapporti tra adulti e ragazzi sono basati sul riconoscimento implicito della superiorità conoscitiva degli adulti e sul loro diritt di trasmettere loro il proprio sapere secondo criteri predeterminati.
6. le regole della convivenza all’interno dell’istituzione sono fissate a priori e non sono di norma oggetto di condivisione né hanno alcuna possibilità di essere messe in discussione se non per aspetti del tutto marginali. La prevalenza dei modelli di comportamento adulti è assoluta e si pone come modello per tutte le relazioni che intercorrono tra adulti e bambini e tra i bambini stessi. Basta pensare al concetto di “condotta” che non ha nemmeno bisogno di essere dettagliata tanto è implicito nella mentalità corrente. E questa trascuratezza è tanto più significativa proprio nella sua stringatezza, in quanto non affronta nemmeno tutti quegli aspetti che sono invece all’ordine del giorno nella pratica delle problematiche di relazione con e tra i bambini;  fa semplicemente appello al senso comune che prescrive per i bambini certe regole formali prive ormai di ogni rilevanza. Appena si voglia approfondire uno qualsiasi degli elementi che vanno sotto il generico termine di “condotta” (che una volta bastava perché non vi era l’urgenza di entrare nello specifico perché appartenente a tutta quella sfera delle relazioni che la scuola non contemplava nemmeno come proprio ambito di interesse, vista l’efficacia indiscussa del principio di autorità) si susciterebbe un tale vespaio di contraddizioni che non si potrebbe nemmeno provare a ad affrontarle. Si sono così introdotte delle nuove definizioni per far fronte alle diversità (in fondo è proprio alle diversità di comportamento che fa riferimento il termine “condotta”) – bisogni speciali, certificazioni varie, problematiche familiari di ogni tipo, provenienze esterne, ecc ecc – senza riuscire a ricomprenderle in una visione che dia loro un senso unitario e quindi una possibilità di affrontarle con criteri coerenti.
 
Se osserviamo gli elementi che sono alla base della esperienza di Summerhill ci accorgiamo che sono proprio questi punti, tutti, nessuno escluso, che vengono sovvertiti alla radice, prefigurando così un modello di convivenza che va considerato di natura profondamente diversa da quella corrente.

Analizziamoli ora uno ad uno, evidenziandone le caratteristiche di fondo.


1.  l’andamento della giornata è un flusso continuo, senza una separazione precisa tra il tempo-lezione e il resto delle attività. Anzi, più propriamente, risulta difficile stabilire una separazione netta tra attività e non-attività: in realtà ogni tipo di impiego del tempo perde i connotati di “attività didattica” o “ludica”, o “creativa”, o “ricreativa” o qualsiasi altro termine si possa utilizzare per definirla secondo nostri parametri. Si tratta in ogni caso di qualcosa che è un “impiegare il tempo” in qualcosa che ha un senso di per sé, cioè non è sottoposto ad alcuna gerarchia occulta di importanza o prevalenza. Quello che li accomuna è una adesione volontaria e consapevole ad esse.
 La permanenza notturna (i ragazzi spesso tornano a casa soltanto quattro volte l’anno per qualche settimana) comporta che anche i tempi che normalmente vengono regolati dai ritmi familiari qui siano autogestiti e quindi soggetti alla responsabilizzazione sulle regole della convivenza tra pari.

2. gli insegnanti hanno competenze diverse che tuttavia non sono alla base della scelta della loro immissione nella scuola; è necessario che ne condividano lo spirito, che in questo caso significa essere disponibili ad instaurare un rapporto molto particolare con i ragazzi. La vita di un adulto a Summerhill è molto diversa da quella che potrebbe condurre in un’altra scuola: la sfera privata è quasi del tutto annullata per la presenza praticamente a tempo pieno al suo interno, dove il contatto con i ragazzi non lascia quasi spazio ad altro e quindi anche la “normale” vita di relazione tra adulti ne è fortemente limitata (gli insegnanti giovani per questa ragione spesso mantengono la loro permanenza nella scuola solo per pochi anni). Per un adulto il contatto permanente con i bambini ed i ragazzi lo mette in una condizione di grande impegno emotivo che non lascia spazio ad alcun cedimento o distrazione. Accettare di essere guardati dai ragazzi come dei punti di riferimento e non semplicemente come dei dispensatori di saperi, è un compito gravoso che richiede una consapevolezza del proprio ruolo del tutto particolare. Il metodo della cooptazione di figure di adulti con queste caratteristiche è elemento basilare per il mantenimento di una pratica educativa di questo genere ed è sicuramente la grande eredità che il suo fondatore, Alexander Neill ha saputo trasmettere, e difatti la scuola ha saputo proseguire secondo le stesse modalità anche dopo la sua morte (nonostante in molti avessero profetizzato che l’esperienza sarebbe finita con la sua scomparsa).
L’elemento che mi preme sottolineare a questo proposito è che questa capacità di mantenere al centro dell’impegno la dedizione ad un fine che non si può chiamare altrimenti che di natura spirituale (come definire altrimenti l’imperativo che stava alla base della vocazione di Neill di avere a cuore la felicità dei ragazzi?) non veniva da una figura guidata da una missione di tipo religioso, ma era ispirata da principi puramente umanitari, se così possiamo definirli. Neill e la sua scuola sono in qualche modo la prova che non è necessario avere un sostrato di tipo religioso per condurre un impegno così rigoroso in nome del progresso dello spirito, ma che solo la pochezza di una certa cultura laica basata soltanto sulla fede nel progresso della tecnica ha impedito che emergessero figure di educatori coerenti e che questo spazio venisse occupato sopratutto a chi aveva bisogno di essere sostenuto da una giustificazione di tipo extraumano al proprio impegno (solo per ricordare qualche nome tra i più celebrati, personalità come Illich o Freire avevano una formazione religiosa, o Lorenzo Milani).
 
3. A Summerhill i ragazzi possono proporre ed introdurre materie e soggetti di studio a loro piacimento, senza essere obbligati ad accettare solo le materie tradizionali; è sufficiente che l’argomento proposto sia condiviso da qualcun altro; e comunque anche interessi solo individuali vengono assecondati e sostenuti nei limiti delle possibilità materiali, senza che questo significhi una sminuizione della loro importanza. Questo principio della possibilità della autocostruzione del proprio “curriculum” è basilare per la possibilità da parte dei ragazzi di acquisire un atteggiamento responsabile di fronte alle scelte che li riguardano ed è anche il vero antidoto alla subordinazione alle sempre nuove richieste di omologazione dei giovani indotte dal mercato. La elasticità delle materie e la varietà degli interessi coltivati fanno si che al termine del percorso i ragazzi siano in grado di compiere delle decisioni consapevoli e sappiano dare peso alle loro predilezioni senza essere soggetti ai condizionamenti esterni nella scelta dei propri percorsi futuri.
 
4. moltissimi momenti della vita nella scuola sono condivisi da tutti senza che le differenze di età costituiscano un elemento di separazione; la frequenza ai diversi livelli di approfondimento delle materie fa si che i gruppi si formino in base a criteri che non sono eterodiretti (com è nel caso dell’età) ma determinati dal livello di padronanza che nelle singole materie ogni bambino sa valutare autonomamente.
La compartecipazione alle attività di ragazzi di età diverse è inoltre il vero antidoto a tutti quei fenomeni di bullismo a cui si sta assistendo in maniera sempre più diffusa: il rispetto dei più piccoli o di chi abbia diverse forme di comportamento è una caratteristica che avviene spontaneamente in contesti in cui le regole della convivenza siano autoregolamentate dal gruppo perché la loro trasgressione risulta inaccettabile dal gruppo stesso, senza che ci sia bisogno dell’intervento di uno sguardo adulto che funga da controllore.
 
5. l’assenza dell’adozione di criteri i di valutazione oggettivi, che prescindano cioè dai percorsi individuali, che è la caratteristica di fondo di tutto il percorso scolastico (ad eccezione della preparazione in vista degli esami esterni finali che inizia negli ultimi anni di permanenza), è forse l’elemento che più confligge con tutto l’apparato concettuale entro cui si dibatte il nostro modo di affrontare i problemi della scuola. Seguendo tutti i tentativi a cui si sta assistendo anche da parte dei più volenterosi di rendere gestibile in forme sensate le pratiche scolastiche e formative, si ha l’impressione che non si abbia mai il coraggio di negare un qualche fondamento alla ricerca di un qualche tipo di criterio valutativo di tipo oggettivo (i mille parametri che si cerca di definire per salvare una qualche “umanità” nella valutazione sembrano, da questo punto di vista, come delle arrampicate sugli specchi: negare alla civiltà degli adulti diritto di interferire con le predilezioni dei bambini è il grande tabù in cui siamo immersi. Quando anche si abbia il coraggio di affermare l’importanza di riconoscere ai singoli ragazzi la possibilità di esercitare una qualche forma di autonomia che tenga conto delle differenze individuali, si sente comunque il bisogno di giustificarlo con grandi ricerche sociologiche sulle differenze culturali, economiche, sociali sulle famiglie e i contesti di provenienza dei bambini, sui diversi livelli di “maturazione”, sui “test di ingresso”, ecc ecc., senza mai avere il coraggio di affermare il diritto de bambini ad essere liberi da ogni tipo di omologazione.
 Quanto ad attribuire agli adulti compiti di tipo solo regolativo e consultivo che non siano cioè di tipo impositivo, il massimo che ci si concede è quello di riconoscere che gli adulti devono saper gratificare i ragazzi per le conquiste individuali raggiunte (come se riconoscere che il feedback come un principio fondamentale nel rapporto adulto-bambino sia già una grande innovazione pedagogica che va ancora giustificata, e non una basilare forma di considerazione che ogni adulto responsabile dovrebbe sentire come un obbligo morale nei confronti di un bambino con cui ha a che fare).
Quello che qui si vuole affermare è che il riconoscimento della singolarità e della dignità degli individui deve essere riconosciuta anche agli esseri umani che stanno crescendo e non può essere appannaggio soltanto degli adulti.
 
6. il principio dell autoregolamentazione della sfera della vita di relazione comporta Il riconoscimento del diritto dei bambini alla scoperta delle proprie potenzialità anche per quanto riguarda le esperienze emotivamente rilevanti che li coinvolgono. Chiunque abbia un minimo di sensibilità nella osservazione delle esperienze dei bambini e dei ragazzi sa quanto l’aspetto della vita di relazione costituisca il centro del loro interesse e della loro attenzione, quanto sia proprio su questo piano che si gioca il loro grado di benessere e la fonte delle loro maggiori sofferenze. E’ quindi necessario, se si ha davvero a cuore salvaguardare per quanto è possibile la loro serenità interiore, fare in modo che i nostri schemi di comportamento non siano loro imposti in maniera acritica ed invasiva. Il ruolo degli adulti in questo contesto deve essere assolutamente sorvegliato così da evitare che la loro presenza ed i loro contatti con i più giovani sia la semplice applicazione di regole assimilate inconsapevolmente. La selezione degli insegnanti, come già accennato, si basa sulla verifica della loro capacità di aderire allo spirito della comunità, che consiste proprio in questa sensibilità a non imporre meccanicamente la propria visione del mondo, i propri criteri di giustizia e di tolleranza; in una parola la loro capacità di partecipare a regole che vengono sperimentate, valutate e condivise da una comunità di piccoli uomini, ciascuno portatore della propria singolarità.
 
In questo contesto la vita di relazione è il centro dell’esperienza: tutti i dispositivi che vengono messi in atto sono concepiti proprio per aiutare la crescita di un senso di appartenenza alla comunità e di regolazione della propria libertà individuale che sia rispettosa di quella degli altri.
Ciò implica naturalmente una rinuncia a parte della libertà che avrebbero se fossero a contatto solo con altri adulti e quindi una concezione molto radicale del ruolo dell’educatore. E questo impone una riflessione su cosa questo significhi e sulle scelte implicite in questo tipo di prospettiva: la “vocazione educativa” che qui viene prefigurata è certamente qualcosa che configge con una visione che circoscrive il “mestiere” di educatore o insegnate o come altro lo si voglia chiamare, all’espletamento di determinate “mansioni” regolate da norme (del tipo “prove di esame” o simili): ha piuttosto a che fare con le scelte ognuno è chiamato a compiere sul senso del proprio impegno nei confronti degli altri; esula quindi dall’orizzonte problematico istituzionale entro cui vengono normalmente affrontati i problemi della scuola e della formazione e riguarda piuttosto l’ambito più propriamente ideale, o filosofico se vogliamo, del senso che volgiamo dare al nostro essere al mondo. Ed è su questo piano che l’esperienza di Summerhill ci richiami ad affrontare il problema della educazione oggi.

Materiale video, può essere reperibile qui: https://www.youtube.com/channel/UCfVkD4F2gZlyO4qFznRX9_w

Intervista a Zoe Redhill, attuale direttrice di Summerhill, figlia del suo fondatore Alexander Neill:

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