Lacan se ben ricordo disse una volta: “Cliniquer c’est se coucher.” Il lavoro analitico e psicoterapeutico implica il coricarsi accanto ai nostri pazienti ed essere capaci di cum patior, di soffrire con — loro. Da un lato questa e’ un’idea molto importante: l’idea di accompagnare l’Altro, di ascoltarLo nella sua sofferenza. Esiste un elemento sacro in questa dinamica (ergo l’uso della maiuscola.)
Da un altro lato quest’idea del soffrire con puo’ rivelarsi a mio avviso problematica se l’accanto non si trasforma in un atto d’amore. Questo atto d’amore — ca va sans dire ma diciamolo ugualmente onde non ci sia possibilita’ di fraintendere — non e’ un atto d’amore erotico, bensi’ un atto d’amore spirituale. E’ un essere insieme all’Altro, non solo testimoni ma eventualmente partecipi della Sua sofferenza.
Dobbiamo quindi porci la domanda seguente: “Come e’ possibile trasformare l’accanto in con?” Innanzitutto dobbiamo liberarci dalla post-freudiana idea della neutralita’ dell’analista (Roazen,1995). Freud non e’ mai stato neutrale. Il concetto di neutralita’ e’, mi pare, una perversione cristiana della relazione analitica e psicoterapeutica. Certo, a volte possiamo solo – dobbiamo solo – portare la croce del paziente col paziente – soffrire con l’Altro sino alla morte dell’Altro e alla Sua Resurrezione. Ma spesso, invece, dobbiamo essere capaci di agire in modo di liberare l’Altro dalla croce che si e’ imposto. Dobbiamo gesuisticamente insegnare all’Altro ad usarla come una spada che puo’ essere usata onde ebraicamente varcare il Mar Rosso, un po’ come Fontana squarciava la tela, un po’ come Soutine dipingeva le sue sanguinolenti carcasse di bue. Dobbiamo insomma prenderci carico del desiderio del paziente di essere amato e gestire in modo costruttivo la nostra paura di amarlo.
In questa grande mela ove vivo, il lavoro analitico e’ estremamente rispettato. Contrariamente all’Italia, dove, mi si dice, le persone hanno ancora paura di dire che sono in analisi, qui a New York il lavoro terapeutico va molto di moda, un po’ come lo yoga. A questo proposito, a me vengono un attimino i sorci verdi quando osservo la gente andarsene in giro con il tappetino per lo yoga sulle spalle, e la bottiglia d’acqua attacata ad esso. Se questa gente incontrasse Milarepa, lui di certo darebbe loro una bella bastonata. E spesso e’ questo che mi vien voglia di fare quando si presentano in seduta persone chef anno solo finta di voler lavorare. Mi vien voglia di dargli una bella bastonata.
Ricordo a questo proposito un momento chiave della mia vita. Avevo diciotto anni ed ero profondamente depresso e suicida. I miei mi ricoverarono alla clinica Bellevue, in Svizzera Tedesca – una clinica molto bella, un po’ come quella descritta da Thomas Mann nella sua Montagna Incantata. Wolfgang Binswanger, figlio del famoso Ludwig Binswanger, era allora direttore della clinica. Un giorno io e lui c’incontrammo nel bel mezzo del parco della clinica. Era il marzo del 1975 e il parco era tutto coperto di neve. Io mi sentivo profondamente depresso e, quando ci trovammo faccia a faccia, lui mi gaurdo’ negli occhi e mi chiese: “Adolfo, wie geht es?” Adolfo come va? Io gli risposi soltanto dandogli uno sguardo da vittima, da cane bastonato, e lui estese improvvisamente il braccio destro e mi diede un gran pugno nella pancia. Io caddi letteralmente sulle ginocchia e lui mi guardo’ dall’alto e disse: “Aufwachen, Adolfo. Aufstehen.” Svegliati Adolfo. Alzati.
Insomma, per quanto New York abbia la fama di essere una citta’ vivissima e affascinante, la gente qui e’ tanto addormentata quanto dappertutto nel mondo. Venite dunque a visitarla e godetevela ben bene, ma non fatevi illusioni, e’ una citta marcia quanto il resto del mondo.
Adolfo Sentore ha pubblicato racconti e poesie su "Nuovi Argomenti", "Resine" e "Linus". Lavora come psicoanalista e psicoterapeuta a New York, dove vive dal 1981. Ha ricevuto una MacDowell Fellowship e ha recentemente pubblicato una novella in formato ebook, "Maldivivere". La sua email e' adolfo.sentore@gmail.com.
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