Normalmente, chi si tatua trascura il fatto che la tela, il foglio, la lavagna, insomma il supporto sul quale viene tracciata un'opera pittorica non di rado di considerevole pregio estetico, andrà incontro, nel tempo, a modificazioni.
Pensiamo un po' quale sarebbe stato il destino della Gioconda, se il suo supporto fosse stato di materiale vivente.
La carne invecchia, si rilassa, si innalza, si allunga, avvizzisce, si riempie di solchi, avvallamenti e discromie; e, inflessibile, il disegno soprastante si adatta ad ogni più piccola modifica della superficie sulla quale è fin troppo saldamente adagiato.
Perciò chi si tatua trascura il fatto che, al contrario di quello che prometteva Cronin, la bellezza (o almeno quella del disegno) certamente svanirà.
Ora, considerata la vastissima diffusione del tatuaggio anche ben oltre l'età giovanile, mi chiedo: di quale "comune sentire" (o di quale malessere) è sintomo questa moda? Forse del fatto che stiamo perdendo la precognizione del futuro? Stiamo forse vivendo un lungo e infinito momento? E la vita dov'è? Qui e ora, e basta? Ci salveranno le happy hour, gli apericena e i gadget tecnologici dall'angoscia, le crociere ai Caraibi dall'incertezza del domani? Basterà un piercing indeformabile a fermare la curvatura del tempo?
Stiamo forse provando a rinunciare alla consapevolezza della morte che rende la nostra specie unica fra le altre? E se scoprissimo che è proprio grazie a questa consapevolezza che siamo riusciti a evolvere fino a questo punto? In fondo, la zebra può soltanto fuggire dal leone, ma non riesce a creare spazi sicuri e inattaccabili, dove vivere ed evolvere (è per questo che non ha imparato a leggere, e che non può andare all'Università).
E invecchiare come sarà? (Io lo so perché sta già accadendo, ma è inutile che ve lo racconti. A ognuno il suo).
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