Non avrò vissuto invano
Se potrò alleviare il Dolore di una Vita
O lenire una Pena
O aiutare un Pettirosso caduto
A rientrare nel suo nido
Non avrò vissuto invano.
Emily Dickinson
Venezia, solstizio d'inverno 2018
Due chiacchiere tra me e il Prof. A.A Semi.
“Professor Semi come facciamo a sapere se una cura analitica ha funzionato?”
“Le risponderò con quello che mi disse Zapparoli:
“Per vedere, Semi, se ha funzionato l'analisi vada ai congressi e veda un po' come invecchiano gli analisti”. Ecco da lì si capisce se ha funzionato!”
“Zapparoli e' morto nuotando!”
Susan Sontag in “Odio sentirmi una vittima” sostiene che l'unica azione interessante in una vita e' il miracolo o il tentativo fallito di compierlo; il miracolo e' l'unico tema di profondo interesse che resta nell'arte.
E io aggiungo nella cura.
Perche' un umano decide di prendersi cura di un altro umano.
Quali oscure forze spingono verso una storia di dolore.
Da cosa parte questo desiderio?
Niente di oscuro ma qualcosa di più banale: la propria miseria umana .
Niente di eroico si scopre semplicemente che qualcosa non va e ci fa intraprendere la via della cura.
Il desiderio di voler curare rimane come un resto che mette noi analisti in una posizione sempre nuova di messa in discussione del nostro sapere su noi stessi e l'altro.
Questo resto è massa viva ed e' inutile dirlo rappresenta per noi un vero orgasmo.
Li c'è un concentrato di umanità che difficilmente nella vita possiamo ritrovare.
Questo contatto con la dolorosa umanità ci ricorda con tonalità potenti l'unione tra sentimento ed intelletto.
Non desidero tanto sapere il perché del tuo dolore se non per scoprire il come possiamo venirne fuori.
E' importante sapere come si e' usciti vivi da una cura, io e te.
Ma se siamo rimasti vivi qualcosa e' accaduto la ' dentro.
Se ancora i movimenti verso noi stessi e gli altri sono spontanei, se siamo rimasti entusiasti rispetto a tutto ciò che ancora non sappiamo allora il miracolo si ripete.
Rimanere entusiasti di fronte alla nuova storia, a ciò che l'altro provocherà in me. Aperti a rimettere in discussione sempre i nostri paradigmi che alla fine sono la base della vita di tutti.
L'essere umano e' materia spettacolare non delude mai per le numerose combinazioni di uscita dalle più disparate situazioni.
Non sappiamo mai nulla. Teste vuote.
Gli analisti Delusi invece credono ad un sapere rigido si aprono un po' ma sotto sotto sono ancorati sempre a posizioni dogmatiche o di un pensiero a tutti i costi.
Il vero orrore di certi analisti non e' il vuoto ma il pieno.
Il pieno riduce le teste a palle di marmo . Fredde pesanti immobili.
Il vuoto restituisce spazio ai pensieri più vivaci.
Ci rende compagni sentire ancora tutta la gamma del dolore della gioia della sconfitta della perdita nella propria vita e in quella di cui ti occupi.
Rimanere vivi per chi cura significa avere orecchie ancora pure verso se stessi, significa riconoscere le proprie vittorie e i propri insuccessi mantenendo però quella posizione di chi comunque non capisce niente, aperto a tutto.
Orecchio genuino, ingenuo.
Dopo anni di lavoro una cosa però possiamo affermarla con sicurezza: rimaniamo vivi.
Una buona cura alla fine dice: non smettere di cercare di vivere.
Quando la cura restituisce questo noi non possiamo non dirlo. Non possiamo soprattutto se occupiamo quel posto delicato di chi "sa di non sapere" se non che quando funziona restituisce il desiderio.
Tornare a vivere significa sentire appieno tutto: gioia dolore angoscia felicità . Come se la gamma dei suoni e dei colori fosse quella dataci in dotazione dalla nascita.
L'analisi non promette ottundimento ma affinamento percettivo. Motivo per cui quando termina il timore spesso espresso da tutti rimane il come farò senza questo livello di scambio umano che si produce in questa stanza.
L'apprendimento dei nostri pensieri coniugati ai nostri affetti è quel linguaggio più vicino ad un modo di guardarci, sentirci di intenderci.
Intendersi è forse tra i regali più belli della comunicazione umana.
Che dolore quando non ci si capisce!
Amare e' anche questo, intendersi su quel che ci diciamo senza sporcarci delle rispettive paure.
Non possiamo esimerci noi analisti dal capire quando un'analisi e'andata a buon termine , dal verificarlo, dal criticarlo.
Spesso i pazienti temono che il benessere dopo anni di lavoro posso non durare, in qualche modo si domandano il come sia stato possibile. Non sanno come ha funzionato, cosa ha funzionato.
Questo e' un aspetto detestabile della Psicoanalisi che non vuole dire il come funziona.
Prima di essere analisti siamo stati pazienti e ritorniamo ad esserlo nel corso della nostra vita, siamo umani . Noi stessi ci domandiamo come ha funzionato o come ha fallito.
Il metodo non e' l'ortodossia, ma il riconoscimento di uno spazio entro il quale noi ci muoviamo e che riconosciamo come vero e possibile, uno spazio non chiuso in cui circoli un pensiero veramente creativo, un pensiero miracoloso che sempre stupisca.
Quando la la cura e' stata metodo aperto a quel che sei tu con fondamenta con ampi spazi di messa in discussione di alcuni nostri credo radicali ci troviamo di fronte a quella psicoanalisi che io definisco vera.
La psicoanalisi e' sovversiva ,sempre ed e' nel suo essere divenire materia in movimento.
La vera psicoanalisi parla alle orecchie di quelli che han perso udito verso se stessi.
Non avrò vissuto invano, non avrò subito invano se tutto ciò porterà un essere umano di nuovo a vivere, sentire.
Questa la base di qualsiasi cura di qualsiasi gesto che possa testimoniare che le mani si danno e non sempre per ricevere ma semplicemente per l'ebrezza di vedere gli stessi occhi increduli diventare occhi che credono di potercela fare. Sano egoismo terapeutico.
Quel giorno e' come incontrare il proprio amato.
Il miracolo della cura e' il miracolo dell'incontro.
L'atto della cura e' amore sospeso, e' coito tra teste che si fecondano vicendevolmente .
L'analista come il paziente deve accettare lo spossessamento dalle sue conoscenze, dalla sua analisi e e da quella degli altri.
Deve saper disorientarsi, godere di quella condizione di perdita costante di punti cardinali per poter trovare insieme l'unica via possibile.
Allora le teste si stringono, si accarezzano, si schiudono.
L'ostacolo al capirsi e alla cura consiste nel non poter giocare ad un certo livello di purezza le proprie pulsioni.
Un analista che non trova eccitante l'ingovernabilita' delle pulsioni sia esse aggressive che sessuali che di tenerezza trasforma la cura in una inibizione un Punto morto per il paziente.
Quanti analisti hanno ucciso i loro pazienti?
In un rapporto d'amore si può giocare con le pulsioni ad un alto livello solo e solo se i due non hanno paura di far coincidere sapere ed essere ovvero possono scambiare il loro sentire sia aggressivo che sessuale che affettivo senza che questo possa esser temuto perché entrambe accettano e riconoscono potenza ed unicità della relazione in essere.
Questa unicita' ci ricorda legami perduti o mai incontratii, legami subiti mai scelti.
I sopravvissuti odiano sentirsi vittime sono dotati di un movimento ostinato e inaspettato.
Il vero danno e' la perdita di movimento.
Ma ci si può arrendere!
Si, ci si può arrendere.
Una posizione nobile solo se, sia una posizione riconosciuta come propria e non come assoluta.
Nobile quando risparmia chi ama dal proprio dolore.
Chi vuole rinunciare ha tutto il mio alto rispetto.
La vera resa e' dei forti.
Eroi del fallimento.
Ma chi ha visto l'orrore ha conosciuto il morire ed e' questo che tiene in vita, avere toccato l'inferno.
Supporlo e' una cosa ma trovarsi faccia a faccia con la morte ti ricorda qualcosa.
Ti ricorda che non puoi e non vuoi andartene da qui senza aver vissuto non solo la paura ma la possibilità dell'altra faccia della luna.
Piccoli robot stanno girando proprio su quella parte che non vediamo, stanno tentando di buttare semi su suolo lunare.
I ricercatori vanno sperando in un terreno fertile.
Ciò che sopravvive resta irrimediabilmente più vivo e spontaneo.
Attecchisce spontaneamente.
Sponte di volontà.
Libera volontà dell'atto.
L'atto spontaneo e' pensato libero.
Atto che cura e' spontaneo pensato libero spossessato.
Atto analitico
Atto d'amore
Atto vivo.
SONO UN ALBERO CHE CAMMINA, CORRE, VOLA…
Sono un albero che cammina, corre, vola… Un albero
che senza nemmeno sapere come, dato che
nel vero amore tutto è inspiegabile,
dal meridione si è ritrovato nel nord, circondato
da alberi differenti. Solo dopo, la furia
della guerra l’ha strappato con le radici. Non verrà
mai a sapere se in sogno o nella realtà, che è
ancora più angosciosa dei più tormentosi
incubi. Sono un albero che cammina, corre,
vola… Un albero che non ha cessato di lasciarsi
incantare dal bel paesaggio carsico e nello
stesso tempo di scandalizzarsi per ciò che
accadeva nel suo paese natío.
Con la gente, gli alberi, i fiori, i cani, i gatti…
Con gli animali domestici e selvatici…
Nelle città, villaggi e boschi… Un albero
che sudava, coperto di baci solari,
che pativa il freddo e tremava sotto le violente
raffiche della bora. Nella cui chioma, divenuta grigia
in una sola notte, si radunavano molti uccelli
per vedere e udire un solitario uccello esotico,
rinchiuso in gabbia, dalla voce e dai colori
finora sconosciuti a loro. Un uccello canoro
che cantava sommesso giorno e notte un mesto
canto. In una lingua diversa, ma comprensibile
a tutti. Sono un albero che cammina, corre, vola…
Un albero che cammina sulle mani e si contempla
nello specchio del cielo. Che corre nudo
tra i prati, tra due realtà e due sogni.
Che una volta vola sopra Sarajevo e la seconda
sopra Tomaj. Che tranne l’amore assurdo,
non ha né patria né paese natío. Che anche
quando germoglia e fiorisce, non smette di
appassire e di morire.
Josip Osti by Casa Poesia Baronissi
Difficile fare un commento ad
Difficile fare un commento ad uno scritto dove il parlare della cura è’ parola d’amore che trasuda.
Nella stanza della cura si crea una magica osmosi dove attraverso una membrana semipermeabile passano nei due sensi le molecole del solvente.Le molecole del soluto, di dimensioni maggiori non riescono ad attraversare la membrana.
Una buona cura è’ un solvente dove le parole del paziente e quelle del l’analista possono mescolarsi, incontrarsi e capirsi.
Accettare di essere sempre in discussione e in una creazione che è’ condivisa.
Gli analisti che si difendono dall’alto delle teorie( ma hanno terminato la loro analisi e soprattutto l’hanno vissuta?);sono attaccati al loro sapere che sa di dogma.Mi appare alla mente un’immagine come di giocatori di scacchi che insegnano al loro paziente a non farsi fare scacco matto. È’ importante imparare a vincere, a stare attenti ai movimenti dell’altro.
Ma ddv’e’ il desiderio di vivere in tutto questo?
Dov’e’ l’accettazione della vita che può’ essere crudele e incantevole con la sua ambiguità’.
La fine di una analisi la raffiguro nei primi versi di una poesia di Vivienne Vermes
“Non ha bisogno di abiti
il suo corpo indossa se stesso.”