NDR: Sono lieto e onorato di ospitare questa testimonianza diretta degli anni genovesi di Paolo Villaggio a firma del mio antico amico Vittorio Sirianni suo amico personale e compagno di scuola e di vita fin dagli anni del liceo e delle prime avventure nel mondo dello spettacolo prima nella compagnia goliardica Baistrocchi e poi nei teatrini off di Genova.
Anche io voglio portare un piccolo contributo di ricordi legati al “late” Paolo Villaggio per meglio inquadrare una personalità certamente notevole ma altrettanto complessa e venata di dolore profondo al mio occhio di psichiatra.
Il primo ricordo risale a una “SOPSI” di molti anni fa: eravamo all’Hilton e con i redattori di POL.it stavamo riposando nella pausa mattutina prima di riprendere il lavoro di pubblicazione, allora testuale, dei report congressuali quando ci accorgemmo che al bordo della piscina era arrivato Paolo Villaggio. Volendo fargli un’intervista assieme al Prof. Romolo Rossi, presente al Congresso, che era stato suo compagno di scuola decidemmo di provare ad agganciare l’attore. Una rapida consultazione ci fece decidere di mandare in avanscoperta la più bella tra le specializzande che partecipavano al lavoro a chiedergli se accettava. Con Carlo Gozio, storico e insostituibile collaboratore della rivista ci piazzammo sul prato di fronte alla piscina a osservare la scena: la ragazza si avvicinò alla sdraio di Villaggio e comincio a parlare fitto con lui che la ascoltava assentendo e rispondendo, improvvisamente si materializzò alle loro spalle un cameriere che portava un enorme vassoio di cibo all’attore che da quel momento all’istante si disinteressò della ragazza e si avventò sul cibo, invitandola poi ci disse a tornare dopo: fu così che l’intervista doppia saltò.
In un’altra occasione, pochi anni fa, ero, una mattina presto, a fare colazione con un amico giornalista nel dehor di un bar romano, quando all’improvviso si sedette accanto a noi, nel suo famoso caftano Paolo Villaggio, che, il mio amico mi sussurrò, viveva poco distante da lì. Era accompagnato da un inserviente di colore. L’inserviente entrò nel locale a ordinare il cappuccino e Villaggio aprì un pacchetto che teneva sul tavolino e iniziò a mangiare le brioches che conteneva come se fosse il primo pasto dopo un lunghissimo digiuno. Rimasi colpito dall’oralità incontrollabile del gesto che come nell’episodio di tanti anni prima sembrava isolare completamente l’uomo dal contesto in cui si trovava.
Vi sono molti modi di agire il dolore profondo.
Era straordinario, unico, divertente e malinconico.
Mi chiamava (qualche anno fa, quando ancora non aveva traguardato gli ottanta) di mattina, alle sei e mi diceva: “Vittorio, dimmi chi è morto a Genova?”. Una delle sue straordinarie uscite, che sembravano pazze ma avevano una loro forza espressiva.
Come espressivo è sempre stato Paolo, l’amico caro di anni indimenticabili. E ancora sempre alle sei di mattina: “Dimmi, ma Genova mi odia?”. Aveva l’ossessione che la città non lo amasse: non era ovviamente così, anche se una certa fascia di genovesi ha iniziato ad applaudirlo e a riconoscerne la bravura, solo quando si è affermato prima in televisione poi al cinema.
I “suoi” momenti genovesi? La Baistrocchi, compagnia universitaria che fu vitale dagli anni cinquanta agli anni settanta, il Lido, lo stabilimento “bene” della Genova che contava (allora la città era grande davvero, ricca e forse felice) e poi la Riviera e gli amici e le frequentazioni nei salotti (la sua famiglia era una di quelle della buona società genovese).
Il suo mondo lo aveva promosso, subito, come “trascinatore” unico e indispensabile.
Furono gli anni della Baistrocchi a farlo conoscere come attor comico di una forza unica e proprio dalla Compagnia il direttore del Teatro Stabile lo volle come primattore al “Cabaret di Piazza Marsala” che Ivo Chiesa, il direttore appunto, aveva aperto come “costola” dello Stabile.
Fu lì che una sera, in piazzetta, venne a vederlo Maurizio Costanzo. Bastò uno sketch per trascinarlo via da Genova e portarlo a Roma al suo “Setteperotto”.
Villaggio che aveva firmato con Chiesa un contratto per cinque anni, lo ruppe (i danni li pagò il carissimo papà Ing. Villaggio) e da quel momento nacque la “stella Villaggio”, prima in TV e coi al cinema con Fantozzi.
Si diceva del Lido: lì Paolo conobbe la sua adorata moglie, Mauretta che non lasciò mai e in Via Bovio, davanti al Lido nacquero i suoi due figli Elisabetta e Pier Francesco.
Gli amici del Lido: quanti e tutti affascinati da lui, capopopolo. Albero Azzali detto “Aquila”, Giorgio Leone, Nando Marletto, Bubi Bozzano, Piero Ricciardi, Emilietto Bruzzone, Lelle Pinatle, Romolo Ricca, Marcello Marciani: li amava e li odiava perché erano loro i veri playboy dell’epoca.
Un caro amico fu Rinaldo Rotta, titolare della più importante galleria d’arte della città.
E poi la Baistrocchi: molti personaggi della rivista furono portati in TV da Paolo.
Il famoso “Fracchia”, nelle riviste universitarie, era un certo “Saponetti”, ciclista che non capiva mai niente e continuava a ripetere: “Mi rifaccia la domanda”. E ancora, il “Professor Krantz”, che in TV furoreggiò, la domenica pomeriggio, con le sue buste giganti. Fu inventato al suo inseparabile amico, Giovanni Borghi, autore dei testi baistrocchini, quando insieme (anche a chi scrive) davanti a una pasticceria di Sampierdarena, videro una straordinario “Krantz” che era allora un dolce di moda. Lì nacque il personaggio.
Paolo fu protagonista in città fino a metà degli anni sessanta, l’ultima sua performance al Teatrino di Piazza Marsala fu nel 1966.
Poi la fuga al braccio di Costanzo e l’inizio del vero grande successo.
Anche io voglio portare un piccolo contributo di ricordi legati al “late” Paolo Villaggio per meglio inquadrare una personalità certamente notevole ma altrettanto complessa e venata di dolore profondo al mio occhio di psichiatra.
Il primo ricordo risale a una “SOPSI” di molti anni fa: eravamo all’Hilton e con i redattori di POL.it stavamo riposando nella pausa mattutina prima di riprendere il lavoro di pubblicazione, allora testuale, dei report congressuali quando ci accorgemmo che al bordo della piscina era arrivato Paolo Villaggio. Volendo fargli un’intervista assieme al Prof. Romolo Rossi, presente al Congresso, che era stato suo compagno di scuola decidemmo di provare ad agganciare l’attore. Una rapida consultazione ci fece decidere di mandare in avanscoperta la più bella tra le specializzande che partecipavano al lavoro a chiedergli se accettava. Con Carlo Gozio, storico e insostituibile collaboratore della rivista ci piazzammo sul prato di fronte alla piscina a osservare la scena: la ragazza si avvicinò alla sdraio di Villaggio e comincio a parlare fitto con lui che la ascoltava assentendo e rispondendo, improvvisamente si materializzò alle loro spalle un cameriere che portava un enorme vassoio di cibo all’attore che da quel momento all’istante si disinteressò della ragazza e si avventò sul cibo, invitandola poi ci disse a tornare dopo: fu così che l’intervista doppia saltò.
In un’altra occasione, pochi anni fa, ero, una mattina presto, a fare colazione con un amico giornalista nel dehor di un bar romano, quando all’improvviso si sedette accanto a noi, nel suo famoso caftano Paolo Villaggio, che, il mio amico mi sussurrò, viveva poco distante da lì. Era accompagnato da un inserviente di colore. L’inserviente entrò nel locale a ordinare il cappuccino e Villaggio aprì un pacchetto che teneva sul tavolino e iniziò a mangiare le brioches che conteneva come se fosse il primo pasto dopo un lunghissimo digiuno. Rimasi colpito dall’oralità incontrollabile del gesto che come nell’episodio di tanti anni prima sembrava isolare completamente l’uomo dal contesto in cui si trovava.
Vi sono molti modi di agire il dolore profondo.
Era straordinario, unico, divertente e malinconico.
Mi chiamava (qualche anno fa, quando ancora non aveva traguardato gli ottanta) di mattina, alle sei e mi diceva: “Vittorio, dimmi chi è morto a Genova?”. Una delle sue straordinarie uscite, che sembravano pazze ma avevano una loro forza espressiva.
Come espressivo è sempre stato Paolo, l’amico caro di anni indimenticabili. E ancora sempre alle sei di mattina: “Dimmi, ma Genova mi odia?”. Aveva l’ossessione che la città non lo amasse: non era ovviamente così, anche se una certa fascia di genovesi ha iniziato ad applaudirlo e a riconoscerne la bravura, solo quando si è affermato prima in televisione poi al cinema.
I “suoi” momenti genovesi? La Baistrocchi, compagnia universitaria che fu vitale dagli anni cinquanta agli anni settanta, il Lido, lo stabilimento “bene” della Genova che contava (allora la città era grande davvero, ricca e forse felice) e poi la Riviera e gli amici e le frequentazioni nei salotti (la sua famiglia era una di quelle della buona società genovese).
Il suo mondo lo aveva promosso, subito, come “trascinatore” unico e indispensabile.
Furono gli anni della Baistrocchi a farlo conoscere come attor comico di una forza unica e proprio dalla Compagnia il direttore del Teatro Stabile lo volle come primattore al “Cabaret di Piazza Marsala” che Ivo Chiesa, il direttore appunto, aveva aperto come “costola” dello Stabile.
Fu lì che una sera, in piazzetta, venne a vederlo Maurizio Costanzo. Bastò uno sketch per trascinarlo via da Genova e portarlo a Roma al suo “Setteperotto”.
Villaggio che aveva firmato con Chiesa un contratto per cinque anni, lo ruppe (i danni li pagò il carissimo papà Ing. Villaggio) e da quel momento nacque la “stella Villaggio”, prima in TV e coi al cinema con Fantozzi.
Si diceva del Lido: lì Paolo conobbe la sua adorata moglie, Mauretta che non lasciò mai e in Via Bovio, davanti al Lido nacquero i suoi due figli Elisabetta e Pier Francesco.
Gli amici del Lido: quanti e tutti affascinati da lui, capopopolo. Albero Azzali detto “Aquila”, Giorgio Leone, Nando Marletto, Bubi Bozzano, Piero Ricciardi, Emilietto Bruzzone, Lelle Pinatle, Romolo Ricca, Marcello Marciani: li amava e li odiava perché erano loro i veri playboy dell’epoca.
Un caro amico fu Rinaldo Rotta, titolare della più importante galleria d’arte della città.
E poi la Baistrocchi: molti personaggi della rivista furono portati in TV da Paolo.
Il famoso “Fracchia”, nelle riviste universitarie, era un certo “Saponetti”, ciclista che non capiva mai niente e continuava a ripetere: “Mi rifaccia la domanda”. E ancora, il “Professor Krantz”, che in TV furoreggiò, la domenica pomeriggio, con le sue buste giganti. Fu inventato al suo inseparabile amico, Giovanni Borghi, autore dei testi baistrocchini, quando insieme (anche a chi scrive) davanti a una pasticceria di Sampierdarena, videro una straordinario “Krantz” che era allora un dolce di moda. Lì nacque il personaggio.
Paolo fu protagonista in città fino a metà degli anni sessanta, l’ultima sua performance al Teatrino di Piazza Marsala fu nel 1966.
Poi la fuga al braccio di Costanzo e l’inizio del vero grande successo.
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