(M. Heidegger)
Sento il tuo disordine
e lo comparo al mio. C’è
somiglianza. C’è lo stesso slabbro
di ferite identiche. C’è tutta la voglia
di un passo largo in una terra
sgombra che non troviamo.
Sento il tuo respiro schiacciato
lo sento somigliante
ti sento piano morire
come me che non controllo
l’accensione del sangue.
Anch’io cerco una libertà che mi
sbandieri, una falcata
perfetta, uno stacco d’uccello
dal suo ramo, quando si butta
improvviso e poi plana.
(MARIANGELA GUALTIERI Senza polvere senza peso, Einaudi, 2006)
Cos'è il prendersi cura se non usare le parole giuste al momento giusto.
Cos'è la poesia se non prestare le parole giuste a ciò che è in fondo un ricordo di qualcosa .
Cos'è l'analisi se non "il prendersi" con le parole giuste.
Prendersi con le parole giuste reciproche, si reciproche.
Ad un certo punto "analista" devi sporcarti di parole anche tu.
Ascolto senza proferire è un ascolto che ti consegna al nulla, ascolto significa scegliere la parola giusta al momento giusto. Lei non ascolta l'altro dottoressa ! Dottore io non ascolto ma lei non sente. Bisogna saper ascoltare e bisogna anche sentire.
Ascolto senza sentire e proferire ti consegna alla "deposizione" ovvero alla caduta libera inesorabile della tua angoscia.
Nella deposizione di Cristo dalla Croce la discesa nelle braccia è simile all'ultimo abbandono del corpo quando sei in prossimità della morte.
Resistere al morire, resistere alla perdita di te, ultima fase di una lunga malattia.
Poi arriva la consapevolezza della morte e li non c'è altra via che abbandonarsi, lanciarsi passivamente verso il basso, se ti opponi è peggio.
Ho visto tre tipi di morte di fronte a me.
La passione vera e propria di Cristo che ha attraversato le pene del corpo, poi l'abbandono e la morte che è diventata parto e nascita.
Questa morte è stata un momento folgorante perché si è chiuso il cerchio della vita con una riflessione sui propri errori, fallimenti, miserie umane.
Quando hai messo a segno c'è rivelazione e spinta coraggiosa per l'ultimo salto.
La seconda morte è legata al l'impossibilità di qualsiasi considerazione sulle propria esistenza, questa è morte con un'angoscia altissima . Come se per tutta la vita si fosse combattuto per non morire mai.
La terza morte è la paura di vivere, la più bastarda. Il salto non porta a morire ma a vivere.
E qui l'incontro con la vita incrocia la perdita . Per vivere bisogna saper perdere pezzi di te, perdere forze, perdere persone, fantasmi non adatti alla tua vita.
Perdere, perdersi.
Perdersi,lanciarsi ,confondersi, mischiarsi con la vita.
Perdita implica un movimento di discesa e di stacco. Non si sa se, però ci sono buone probabilità!
Si ma quante probabilità di amare, di esser amati, di risorgere dalle ceneri?
Gli eretici tra l'altro li bruciavano proprio per non risorgere.
Cristo sarà veramente risorto e sarà finalmente accolto nelle mani del Padre.
Non si capisce questa frase finché non tocchi il fondo, si il benedetto fondo quello da cui tutti dicono che si riparte.
E perché si torna sempre alla casa del Padre?
Forse si torna all'estremo di noi. Ovvero si torna all'espressione incarnata del diverso per eccellenza quale è il paterno proprio come portatore del "non simile" per cui anche più angosciante. Il Padre è Mistero.
Colui che stacca dalla madre colui che ci accompagna all'altro mondo. Colui che ci fa morire che ci consegna al nostro destino. Un Mistero.
Padre dove sei?
Il momento in cui si spira è un viaggio in solitaria, totale.
Lo si capisce perché tutto il corpo è concentrato, ritmato dagli ultimi movimenti che ricordano grande boccate d'aria per poter spiccare il salto o cadere giù.
I medici ti dicono che quei respiri finali son movimenti meccanici staccati dal cervello in cui sembra esserci una vita propria del corpo che deve arrestarsi, svuotarsi di ossigeno.
Gli occhi lacrimano in quella fase, sembrano piangere i corpi prima di lasciare la vita.
Devono svuotarsi di tutto.
Poi il respiro si fa sempre più contratto e ritmato, non più inspirazione ed espirazione. Ma solo inspirazione. Poi l'ultimo respiro eccolo. Sembra un respiro non portato a termine . Tutto si ferma . Il corpo si rilassa la tua angoscia finisce.
No, non piange, la lacrimazione è una reazione a…!
Ma io la lacrima l'ho vissuta come ultima goccia di vita. Ultimo saluto alla terra, alla madre che non più garantirà protezione.
Perdere la madre significa perdere il contenente ed il contenuto. Perdere il tutto ed esser consegnato alla parte di te.
Dottori le parole che vengono dopo devono sapere di condivisione, profumare di esperienza.
Stare accanto è sentire, portare un po' il dolore dell'altro.
Significa riaprire anche le nostre "passioni" i momenti più bui della nostra vita.
Non è facile accompagnare i nostri pazienti in queste aree ci vuole molta forza, molto coraggio.
Sporcarsi di vecchie memorie non è da tutti. Siamo umani anche noi.
Ma l'analista è anche un becchino di anime morte. In fondo si occupa sempre di parti che stan morendo.
Alcune volte salva vite, altre volte deve fare funerali, altre ancora far battesimi.
Abbiamo a che fare con tutti i cicli della vita.
Il corpo come l'anima, il corpo e l'anima indivisi.
Un lavoro duro il nostro. Non ci sono turni ospedalieri ma tutti i giorni siamo contaminati da dolore, traumi indicibili e da rinascite.
Siamo umani ma il nostro lavoro ci obbliga a lavorare con la morte come un medico.
Ma a differenza dei medici noi non possiamo troppo difenderci perché proprio questo arresterebbe l'altro in una condizione di non ritorno.
A differenza di un medico che può scherzare in sala operatoria , ascoltar musica, ridere o deridere il paziente noi ci dobbiamo stare con il paziente. Noi non abbiamo vie di fuga.
A noi non è concessa perché la cura sta lì . Stare lì . C'è chi ci sta 15 minuti, chi 45 ma quel che conta è "starci dentro con".
Siamo umani anche noi, ma gli analisti devono allenarsi a guardare in faccia la propria e altrui morte. Sappiamo in fondo che l'ultimo atto è in solitaria.
Sappiamo della rabbia che accompagna questa presa di coscienza, sappiamo il grido disperato. Sappiamo!
Sappiamo che è dura, molto.
E allora dove è il Padre?
Sta lì dietro di te, che ti incita alla chiusura delle bare. Che sa.
Tutti, alla fine, uomini e donne diventano Padri, ovvero sanno.
Sanno che si può stare accanto, sanno accompagnarti li.
Se lui ce l'ha fatta forse anche io c'è la farò.
Ma alla fine tutti siamo chiamati a farcela se desideriamo crescere.
La deposizione non è altro che la morte del nostro esser figli, la consegna a diventare padri di noi stessi. Una parte di Maria muore con la perdita del figlio Gesù . Muore la nostra parte "protetta". Il figlio muore la madre vive. Per diventare uomini e donne dobbiamo salutare i figli che siamo stati, e che non saremo mai più.
Mai più figli, solo madri o padri. Massima esposizione. Massima angoscia.
Scusate se svengo un attimo sembra dire Maria nel quadro di Van der Waiden. Devo mollare staccare, è troppo. Ma Maria non muore. Il figlio lascia spazio alla madre e al padre.
Se hai un figlio non puoi sottrarti a ciò, se hai un figlio il tuo compito è insegnargli a morire bene e in pace ovvero vivere.
Una paziente si ripresenta dopo lunga interruzione per malattia di sua madre e mi dice: ora possiamo riprendere, perché io non voglio morire come mia madre, io voglio insegnare ai miei figli che si può morire bene, concludere con la vita in pace.
La poesia nel chi sa prendersi cura sta nel tenerti e nel pensarti e nel fartelo sentire in tempo.
Questo "in tempo" è senso del ritmo dell'altro. "In tempo" significa salvarti la vita.
Un minuto più in là saresti morto.
In tempo è anche il momento della presa del corpo morto di Gesù , di Maria che sviene dal dolore. Tutti a raccogliere i vivi, mentre il morto è accolto nelle braccia del padre.
I vivi si raccolgono i morti si accolgono e si tengono.
Dare degna sepoltura attender che passi.
In tempo dottori in tempo!
Sentire il momento giusto per tenerti con la parola.
Maestri in tempo sono i poeti che questo ritmo gli viene dal l'inconscio, creatura meravigliosa che si dispiega come battito d'ali.
Le poesie sono la massima espressione dell'inconscio che è linguaggio.
I poeti sono profondi conoscitori dell'inconscio, perché han parole per dire: la in fondo loro ci vanno e ci restano.
Ma la cosa meravigliosa è che i poeti risorgono.
I poeti fan risorgere qualcosa danno nuova vita alle parole.
Le parole son risorte e vive più che mai anche quando descrivono gli stati più bui dell'essere umano .
La poesia è resurrezione della parola morta.
La ricerca umana è resurrezione vera ricerca che presuppone l'avventura in territori sconosciuti.
La rigidità di molti analisti nasconde nuclei irrisolti ma questo non è il vero problema, è la totale mancanza di desiderio di esplorazione dell'inesplorato.
Si, eccolo la quarta caratteristica di un buon analista il desiderio bruciante ardente allettante di terreni inesplorati.
Dottori non ci si può chiudere in tecniche e teorie la vita umana è più vasta e più divertente rida Dottore rida impari a ridere, a prendermi per mano nei momenti difficili, a staccarla nei momenti importanti e a ridarla senza paura di alcunché perché quello che circola nella stanza d'analisi è semplicemente amore grande vasto immenso certo spaventa ma ci restituisce anche la grandezza del lavoro di cura.
Un grande amore proviene da un grande dolore, questo è ciò che spaventa. La paura di risentire alcuni orrori che non tutti hanno visto. Alcuni sono in grado tollerare e portare la vastità della ferita altri soccombono nella sterilità di un narcisismo intellettualistico fatto di parole vuote.
In cerca dottori in cerca di parole piene, profonde e quando non le conoscete cercatele insieme al vostro paziente, cercatele là in fondo, cercatele ridendo, piangendo , commuovendovi. Scendete veramente e se il vostro paziente non può sentire "inventate, dottori", create nuove parole nuovi atti perché alla fine ciò che importa è poterlo tirare fuori da là sotto il vostro paziente.
Dobbiamo essere coraggiosi e non nasconderci dietro nulla l'orrore si vince con lo splendore, il buio con la luce.
Cristo e la Madre
Mentre sull'aspro legno il Sommo amante
fra le paterne man lo spirto spira,
non di lui men trafitta, o men spirante
la genitrice sua mirata il mira.
L'un dagli occhi, che dolci ella gli gira,
più che da duri chiodi a palme e piante,
langue piagato il cor, l'altro sospira,
quant'egli sangue, lagrime stillante.
Da questi lumi e quei tragge veloce
quinci pallido amor, quindi vermiglio
sguardi che 'n lor silenzio han lingua e voce.
Quand'ecco esangue il volto, oscuro il ciglio
cade a piè della croce, e 'n su la croce,
tramortita la madre e morto il Figlio.
Giovanni B. Marino(1569-1625)
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