“La parola tradimento è una parola che quando viene pronunciata non può più essere ritirata, essa esplode come un tuono nella scena delle relazioni umane” (Bennati 2015) cambia in modo indelebile l’assetto delle cose e niente può più restare come prima (Recalcati 2014) ed è per questo che i segni premonitori del tradimento spesso vengono schermati e si tende a non vederli in quanto modificano quell’equilibrio, ancorchè ormai precario, dello status quo a cui ci si aggrappa e in cui si desidera disperatamente permanere.
Si realizza quindi come una forma di collusione fra traditori e traditi nel senso che da questi ultimi il tradimento è tollerabile, anzi per così dire accettato purché non sia palese, perché questo consente loro di restare fermi, di mantenere il proprio abitudinario assetto ed evitare di affrontare l’incognita di un doloroso e destabilizzante cambiamento con il senso di spaesamento e di perdita di pezzi del sé che ne può derivare.
Il tradimento connotato da questa ambiguità di fondo è tema fondamentale di quasi tutti i romanzi di John Le Carrè, dove i protagonisti, personaggi di un mondo di spie, sono tutti antieroi immersi in una realtà permeata dal dubbio, dal disorientamento e dalla delusione derivati dai tradimenti che hanno incontrato nella loro vita e dove la fluidità del confine più sottile di un capello fra bene e male, lealtà e inganno è massima e il passaggio da una parte all’altra è possibile e in certi momenti perfino vagheggiato come soluzione di fuga dallo smarrimento e dalla solitudine.
Così Leamas la spia che venne dal freddo, o l’onorevole scolaro Jerry Westerby, o Barley lo squattrinato editore de “La casa Russia”, tutti personaggi sempre in bilico fra un mondo e l’altro e mai per calcolo o sete di potere, ma piuttosto per spleen, disincanto, amore.
Questa situazione è messa in scena nel romanzo di John Le Carrè “La talpa”, romanzo tutto incentrato sul tradimento: della patria, dei valori, dell’amicizia, dell’amore e di se stessi, perché i personaggi del libro sono spie, traditori per antonomasia e praticano per professione anzi, direi, per vocazione il tradimento come seconda natura e sono talmente abituati ad esso che a un certo punto possono perdere la visione di se stessi e non sapere neppure più chi sono e da che parte stanno e chi tradisce chi.
La talpa è un agente del Circus come viene familiarmente chiamato il centro del controspionaggio britannico che, in piena guerra fredda, fa il doppio gioco al soldo di Karla il capo del centro spie di Mosca.
Nel romanzo, dopo che George Smiley, “spia grassoccia” in pensione, uomo colto, gentile, riflessivo, malinconico, provato dai tradimenti della moglie, con spesse lenti impolverate che pulisce come compiendo un rituale con un lembo della cravatta, dotato altresì di vista assai lungimirante, ha smascherato la talpa Bill Haydon, tutti si rendono più o meno conto con angoscia e smarrimento di avere sempre saputo in una parte segreta di se stessi che la talpa era lui, Haydon, il più amato e ammirato agente del Circus. Haydon l’originale, l’ironico, il trasgressivo, quello che quindi li avrebbe delusi più di chiunque altro e proprio per questo non avevano mai voluto discernere chiaramente. Tutti avevano nascosto a se stessi gli abbastanza percepibili indizi che lui aveva seminato con singolare imprudenza per un agente accorto come lui, “perché, mi viene da pensare, un traditore che recita una parte segreta in un mondo segreto è come un condannato al carcere di massima sicurezza perpetuo e anela a una sola cosa: uscire finalmente allo scoperto ed essere riconosciuto, pena il non essere mai esistito” (Bennati 2015).
Bill Haydon dopo la cattura e in procinto di partire per Mosca per uno scambio di agenti, disattendendo alla regola britannica di comportamento del “never explain never complain”, opera un tentativo di delirante e grandiosa autogiustificazione e teorizza, anzi spaccia e millanta di aver tradito all’inseguimento di quell’ideale di bontà e bellezza che non ravvisa più in un’Inghilterra che non porta da tempo la bandiera di guida fra i popoli, quel fardello dell’uomo bianco a cui molti inglesi soprattutto delle classi alte, sembravano, e soprattutto volevano, credere.
C’è una frase che Connie Sacks, vecchia e acutissima smascheratrice di spie ormai in disarmo del Circus mandata in prepensionamento per togliersela dai piedi, dice a Smiley che rende bene il senso dello spaesamento di una classe nata ed educata per condurre quel “Grande Gioco” che non è più nelle sue mani: “Poveri tesori miei, abituati all’Impero, abituati a dominare il mondo. Tutto scomparso. Tutto portato via. Tu sei l’ultimo George, tu e Bill siete gli ultimi” (Le Carrè 1974).
Smiley a questa frase sorride tra il beffardo e il disilluso, certo lui non si sentiva un campione di quel tipo di Inghilterra, Haydon invece probabilmente si, o perlomeno avrebbe voluto esserlo, ma, come pensa con occhi ormai privi di filtro idealizzante Smiley osservando i brutti quadri dipinti da Haydon appesi alle pareti della sua casa tutti emananti un senso di incertezza e limitatezza, non c’era riuscito. Karla stesso, evidentemente, non lo aveva ritenuto all’altezza non avendogli mai proposto di prendere lui il posto di capo del Circus dimostrando con ciò di giudicarlo più adatto a un ruolo da subalterno che di comando.
Haydon con un fiume di farneticanti parole in pieno delirio di grandezza, si giustifica addossando allo spirito dei tempi la colpa del suo fallimento. La Gran Bretagna non contava più niente in un mondo involgarito, asservito al denaro, privo di onore, bellezza ed eleganza. Ai suoi occhi l’America che ormai la faceva da padrone e il mondo occidentale a lei sottomesso facevano orrore, meglio l’Unione Sovietica e il suo credo egualitario… ma soprattutto, Haydon non voleva rinunciare al ruolo di deus ex machina, di protagonista segreto che tirava i fili, tesseva trame e gabbava tutti per ridursi a diventare un cavaliere disarcionato al seguito dei rozzi cugini americani, cercava a tutti i costi di realizzare una forma di autoaffermazione, estremo tentativo di sopravvivenza di un’immagine di sé alta, di fatto, uno sgangherato ideale apollineo, e per farlo, teorizza, doveva rompere il precario equilibrio datogli dallo status quo, voltare le spalle a un mondo ai suoi occhi senza più alcuna giustificazione estetica che gli faceva storcere l’aristocratico naso, un mondo che non poteva più accettare e che in definitiva, ed ecco qui il delirante spunto narcisistico-luciferino (Lopez 2010), non lo meritava più.
Haydon cerca di convincere e convincersi di aver tradito seguendo un ideale, ma ha tradito per non perdere l’idea onnipotente, misera e impotente ideuzza quando tratta fuori dalla fantasia e calata nella realtà, e volta la schiena alla madre patria in classico transfert negativo secondo (Lopez 1983). L’ideale della sua patria non gli offre più quella copertura narcisistica di cui ha bisogno, perché ha un io debole, perché non sa bene chi è e quindi è pronto a lasciarla con capziosi ragionamenti autogiustificanti per un’altra patria, e quale patria! Quella contro cui ha combattuto fino ad allora durante la guerra fredda delle spie, che gli appare però più forte, gloriosa, smagliante, più consona a lui come astutamente gli ha fatto credere Karla vellicando il suo narcisismo con l’illusione di poter essere ancora il burattinaio occulto di un gioco dove è lui a tirare i fili.
Haydon il traditore tradisce per non frantumare in mille pezzi il suo assetto narcisistico, i traditi si lasciano tradire senza batter ciglio né più né meno che per il medesimo motivo con finalità diverse: i compari di Haydon per arrivismo e sete di potere, gli altri, gli “ignari” i leali alla patria, per salvarsi e poter sopravvivere, perché ammettere il tradimento dell’amico idealizzato li farebbe sentire ancora più poveri e più soli di quanto, come spie che vivono nell’ombra senza identità riconosciuta, non si sentano già.
Bibliografia
Bennati P. (2015) Tradimento ed Emancipazione. gli argonauti 146 Carocci Editore
Le Carrè J. (1974) La Talpa Rizzoli Milano 1975
Le Carrè J. (1963) La spia che venne dal freddo Longanesi Milano 1964
Le Carrè J. (1977) L’onorevole scolaro Rizzoli Milano 1078
Le Carrè J. (1989) La casa Russia Mondadori Milano 1989
Lopez D. (1983) La psicoanalisi della persona. Boringhieri Torino
Lopez D. (2010) La potenza dell’illusione: l’amore. Costabissara Angelo Colla Editore
Recalcati M. (2014) Elogio del perdono nella vita amorosa. Raffaello Cortina Editore Milano 2014
di Paola Bennati
paolabennati@gmail.com
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Si realizza quindi come una forma di collusione fra traditori e traditi nel senso che da questi ultimi il tradimento è tollerabile, anzi per così dire accettato purché non sia palese, perché questo consente loro di restare fermi, di mantenere il proprio abitudinario assetto ed evitare di affrontare l’incognita di un doloroso e destabilizzante cambiamento con il senso di spaesamento e di perdita di pezzi del sé che ne può derivare.
Il tradimento connotato da questa ambiguità di fondo è tema fondamentale di quasi tutti i romanzi di John Le Carrè, dove i protagonisti, personaggi di un mondo di spie, sono tutti antieroi immersi in una realtà permeata dal dubbio, dal disorientamento e dalla delusione derivati dai tradimenti che hanno incontrato nella loro vita e dove la fluidità del confine più sottile di un capello fra bene e male, lealtà e inganno è massima e il passaggio da una parte all’altra è possibile e in certi momenti perfino vagheggiato come soluzione di fuga dallo smarrimento e dalla solitudine.
Così Leamas la spia che venne dal freddo, o l’onorevole scolaro Jerry Westerby, o Barley lo squattrinato editore de “La casa Russia”, tutti personaggi sempre in bilico fra un mondo e l’altro e mai per calcolo o sete di potere, ma piuttosto per spleen, disincanto, amore.
Questa situazione è messa in scena nel romanzo di John Le Carrè “La talpa”, romanzo tutto incentrato sul tradimento: della patria, dei valori, dell’amicizia, dell’amore e di se stessi, perché i personaggi del libro sono spie, traditori per antonomasia e praticano per professione anzi, direi, per vocazione il tradimento come seconda natura e sono talmente abituati ad esso che a un certo punto possono perdere la visione di se stessi e non sapere neppure più chi sono e da che parte stanno e chi tradisce chi.
La talpa è un agente del Circus come viene familiarmente chiamato il centro del controspionaggio britannico che, in piena guerra fredda, fa il doppio gioco al soldo di Karla il capo del centro spie di Mosca.
Nel romanzo, dopo che George Smiley, “spia grassoccia” in pensione, uomo colto, gentile, riflessivo, malinconico, provato dai tradimenti della moglie, con spesse lenti impolverate che pulisce come compiendo un rituale con un lembo della cravatta, dotato altresì di vista assai lungimirante, ha smascherato la talpa Bill Haydon, tutti si rendono più o meno conto con angoscia e smarrimento di avere sempre saputo in una parte segreta di se stessi che la talpa era lui, Haydon, il più amato e ammirato agente del Circus. Haydon l’originale, l’ironico, il trasgressivo, quello che quindi li avrebbe delusi più di chiunque altro e proprio per questo non avevano mai voluto discernere chiaramente. Tutti avevano nascosto a se stessi gli abbastanza percepibili indizi che lui aveva seminato con singolare imprudenza per un agente accorto come lui, “perché, mi viene da pensare, un traditore che recita una parte segreta in un mondo segreto è come un condannato al carcere di massima sicurezza perpetuo e anela a una sola cosa: uscire finalmente allo scoperto ed essere riconosciuto, pena il non essere mai esistito” (Bennati 2015).
Bill Haydon dopo la cattura e in procinto di partire per Mosca per uno scambio di agenti, disattendendo alla regola britannica di comportamento del “never explain never complain”, opera un tentativo di delirante e grandiosa autogiustificazione e teorizza, anzi spaccia e millanta di aver tradito all’inseguimento di quell’ideale di bontà e bellezza che non ravvisa più in un’Inghilterra che non porta da tempo la bandiera di guida fra i popoli, quel fardello dell’uomo bianco a cui molti inglesi soprattutto delle classi alte, sembravano, e soprattutto volevano, credere.
C’è una frase che Connie Sacks, vecchia e acutissima smascheratrice di spie ormai in disarmo del Circus mandata in prepensionamento per togliersela dai piedi, dice a Smiley che rende bene il senso dello spaesamento di una classe nata ed educata per condurre quel “Grande Gioco” che non è più nelle sue mani: “Poveri tesori miei, abituati all’Impero, abituati a dominare il mondo. Tutto scomparso. Tutto portato via. Tu sei l’ultimo George, tu e Bill siete gli ultimi” (Le Carrè 1974).
Smiley a questa frase sorride tra il beffardo e il disilluso, certo lui non si sentiva un campione di quel tipo di Inghilterra, Haydon invece probabilmente si, o perlomeno avrebbe voluto esserlo, ma, come pensa con occhi ormai privi di filtro idealizzante Smiley osservando i brutti quadri dipinti da Haydon appesi alle pareti della sua casa tutti emananti un senso di incertezza e limitatezza, non c’era riuscito. Karla stesso, evidentemente, non lo aveva ritenuto all’altezza non avendogli mai proposto di prendere lui il posto di capo del Circus dimostrando con ciò di giudicarlo più adatto a un ruolo da subalterno che di comando.
Haydon con un fiume di farneticanti parole in pieno delirio di grandezza, si giustifica addossando allo spirito dei tempi la colpa del suo fallimento. La Gran Bretagna non contava più niente in un mondo involgarito, asservito al denaro, privo di onore, bellezza ed eleganza. Ai suoi occhi l’America che ormai la faceva da padrone e il mondo occidentale a lei sottomesso facevano orrore, meglio l’Unione Sovietica e il suo credo egualitario… ma soprattutto, Haydon non voleva rinunciare al ruolo di deus ex machina, di protagonista segreto che tirava i fili, tesseva trame e gabbava tutti per ridursi a diventare un cavaliere disarcionato al seguito dei rozzi cugini americani, cercava a tutti i costi di realizzare una forma di autoaffermazione, estremo tentativo di sopravvivenza di un’immagine di sé alta, di fatto, uno sgangherato ideale apollineo, e per farlo, teorizza, doveva rompere il precario equilibrio datogli dallo status quo, voltare le spalle a un mondo ai suoi occhi senza più alcuna giustificazione estetica che gli faceva storcere l’aristocratico naso, un mondo che non poteva più accettare e che in definitiva, ed ecco qui il delirante spunto narcisistico-luciferino (Lopez 2010), non lo meritava più.
Haydon cerca di convincere e convincersi di aver tradito seguendo un ideale, ma ha tradito per non perdere l’idea onnipotente, misera e impotente ideuzza quando tratta fuori dalla fantasia e calata nella realtà, e volta la schiena alla madre patria in classico transfert negativo secondo (Lopez 1983). L’ideale della sua patria non gli offre più quella copertura narcisistica di cui ha bisogno, perché ha un io debole, perché non sa bene chi è e quindi è pronto a lasciarla con capziosi ragionamenti autogiustificanti per un’altra patria, e quale patria! Quella contro cui ha combattuto fino ad allora durante la guerra fredda delle spie, che gli appare però più forte, gloriosa, smagliante, più consona a lui come astutamente gli ha fatto credere Karla vellicando il suo narcisismo con l’illusione di poter essere ancora il burattinaio occulto di un gioco dove è lui a tirare i fili.
Haydon il traditore tradisce per non frantumare in mille pezzi il suo assetto narcisistico, i traditi si lasciano tradire senza batter ciglio né più né meno che per il medesimo motivo con finalità diverse: i compari di Haydon per arrivismo e sete di potere, gli altri, gli “ignari” i leali alla patria, per salvarsi e poter sopravvivere, perché ammettere il tradimento dell’amico idealizzato li farebbe sentire ancora più poveri e più soli di quanto, come spie che vivono nell’ombra senza identità riconosciuta, non si sentano già.
Bibliografia
Bennati P. (2015) Tradimento ed Emancipazione. gli argonauti 146 Carocci Editore
Le Carrè J. (1974) La Talpa Rizzoli Milano 1975
Le Carrè J. (1963) La spia che venne dal freddo Longanesi Milano 1964
Le Carrè J. (1977) L’onorevole scolaro Rizzoli Milano 1078
Le Carrè J. (1989) La casa Russia Mondadori Milano 1989
Lopez D. (1983) La psicoanalisi della persona. Boringhieri Torino
Lopez D. (2010) La potenza dell’illusione: l’amore. Costabissara Angelo Colla Editore
Recalcati M. (2014) Elogio del perdono nella vita amorosa. Raffaello Cortina Editore Milano 2014
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