Stanotte in SPDC è la guardia di Natale. Adesso sono io il responsabile del reparto. Ma i miei medici, tutti più giovani di me, stanotte li risparmio. Da sempre ci tengo a stare “dentro” io con i pazienti e gli infermieri nelle notti topiche. Mi fa sentire meno in colpa. Il clima per strada, venendo, era febbrile, quello tipico delle grandi vigilie, stemperato dalla quarta ondata pandemica che cresce paurosamente di giorno in giorno. Ma al cenone, stanotte, nessuno rinuncia. Sui social circolano foto augurali, focolari accesi, alberi addobbati, tavole imbandite tutto punto. Mi ricordano le foto che arrivavano a casa mia negli anni Settanta, in quelle buste di carta velina air mail listate a scacchi blu, che io bambino guardavo attonito: dagli zii molisani emigrati in America o in Canada o in Australia. Tutti perfetti e in posa accanto a poderosi e decorati abeti di Natale. In queste foto patinate di stanotte, invece, stranamente, non vedo persone. Vedo solo oggetti. Coordinati, eleganti, fini. “E’ qui la festa”, sembrano dire. Il Natale è materializzato da questa studiata disposizione di oggetti: più essa è perfetta, più il Natale è perfetto. Ogni famiglia ha il suo Natale perfetto, specchio della propria perfezione. Ma i convitati, a questa festa, dove sono? Forse complice la pandemia e la clandestinità degli assembramenti, ma i social stanotte raccontano solo di case perfette, di ambientazioni sruggenti, cinematografiche, con tanto polvere di stelle: senza convitati. Nel repartino psichiatrico completamente disadorno e blindato dove siamo acquartierati da oltre un anno, con un albero di Natale simbolico di carta gommata incollato al muro, i miei convitati di stanotte sono due grossi “topi”, uno lo chiamerò “Pinocchio” e l’altro “Lucignolo”. Che posto ci sarebbe mai, stanotte, per questi due topi in quelle case perfette, dove neppure le persone più carine sono all’altezza della cosmesi natalizia? In quale altra fogna, se non qui con noi, sospesi alle grondaie di un grosso ospedale civile, possono essere chiusi questi due topi la notte di Natale? Me li guardo attonito. Pinocchio e Lucignolo sono quelli che i sociologi definiscono due postmillennial. Uno, Lucignolo, è nato a dicembre del Duemila, farà il compleanno da noi in questi giorni. L’altro, Pinocchio, è nato nel Duemilasei. Non sono Schizofrenici né Maniaco-depressivi. Non so cosa sono e cosa abbiano. Non ne ho la più pallida idea. Sento, con una certa rabbia, che io non faccio lo psichiatra da trentanni per aver a che fare con questi mocciosi. Condotti in PS addirittura da 118 e Carabinieri, dopo prelievo “forzoso” dalle loro dimore, chi sono Pinocchio e Lucignolo? Sono il figli “degeneri” del Ventunesimo secolo, o sono proprio loro le avanguardie post-human con cui non sappiamo dialogare? Io non so rispondere. Uno, il “piccolo”, Pinocchio, ha rotto la milza alla madre, e distrutto la casa; l’altro, il “grande”, Lucignolo, ha dilapidato le sostanze del padre (morto) in droghe pesanti, ha devastato la casa, minacciato di morte madre e sorelle. Entrambi sospettati di essere contigui alla piccola criminalità. Stanno qua, stanotte, con noi, forse nell’ultimo “correzionario” prima del carcere, o di una tomba. Stanno accasciati, Pinocchio e Lucignolo, nei letti lasciati vuoti dai matti. Piagnucolano, sono lamentosi. Per loro non c’è Natale e non c’è futuro, non c’è passato. Non c’è niente. Per loro non c’è niente e la vita non gli interessa. Avevamo dimesso tutti i pazienti psichiatrici presso le famiglie o in strutture. Mai pensavamo, stanotte, di ingabbiare due bambini. E questa sostituzione dei matti con i bambini, in questa notte santa, mi sembra assai simbolica di un tragico avvento. Dopo le indagini strumentali e di laboratorio di rito in PS, alle quali non si sono opposti, compresi i tossicologici (cannabis, cocaina e alcol positivi), ci hanno seguito sopra, in reparto, docili come agnelli. Lasciando decadere ogni ipotesi di TSO, ventilata dagli anaffettivi genitori (con tutto il rispetto), mi sono chiesto dove sono i lupi ? Dove sono i leoni? Dove sono gli squali? Dove sono i cannibali? Dove sono i violenti che hanno mobilitato 118, forze dell’ordine, fiale spianate? Sono teneri, Pinocchio e Lucignolo, entrambi, assai poco credibili come criminali. Hanno fame. Tanta fame. La fame dei bambini. Lucignolo è messo male, quasi scheletrico, chissà da quanto non mangia. Hanno quasi voglia di fermarsi. O di essere fermati da qualcuno. Si lasciano privare dei loro supersmartphone senza fiatare, dei lacci alle scarpe e delle cinte dei pantaloni. Si accingono a trascorrere, in questo silos grigliato, dei giorni vuoti, mentre il mondo fuori festeggia, con rancio ospedaliero, tra finestroni trapassati da luce melanconica. Rispetto alle loro vite da nottambuli avventori di movida, da noi stanotte stanno almeno al caldo. Cibo, sigarette, una doccia, due chiacchiere con noi. Ho due infermieri e un OS con me in turno. Siamo quattro uomini massicci e dai modi sbrigativi. Stanotte nessuna donna in squadra. Noi siamo quelli che risolvono le crisi quando ogni altro modo è fallito. Siamo quelli che non possono rinviare a nessuno. Da noi l’incendio, qualunque incendio, semplicemente si spegne, come una brace ardente in un secchio d’acqua. E basta. Ma stanotte, di fronte a questi due bambolotti, noi siamo disarmati. Stanotte noi siamo padri e madri. Siamo stupiti. Ci fanno pena. Sono addirittura loro, ad un certo punto, dopo che hanno familiarizzato, che ci chiedono di stare con noi, di tenerli, di non lasciarli andare, di accudirli. Sembrano cuccioli sbrancati. Hanno paura. Questo so leggere nei loro occhi di funamboli dello sprezzo del pericolo: hanno paura, hanno una fottuta paura della vita e di vivere. Sono loro che ci chiedono farmaci, per dormire, per non essere angosciati, per non sentire l’astinenza, per smorzare la rabbia, per placare il dolore. Ci chiedono farmaci per calmare un’agitazione che noi, ormai, non vediamo più. La notte si trascorre a parlare con loro, dividendo in parti uguali la pizza di scarole, le castagne, le noci e un panettone. Gli occhi si fanno lucidi quando parlano dei compagni perduti per strada, come se fossero reduci da una guerra; quando raccontano dei genitori disconfermanti, conflittuali, violenti tra di loro e con loro. Lucignolo ha perso il padre, che era un medico, dopo burrascosa separazione dalla madre. L’altro non ci parla col padre, e la madre è una gendarme stressata che dopo che lo ha coccolato lo insulta con tutti gli epiteti. Stanotte temo che questi due bambolotti in un reparto di psichiatria strong non ci stiano per caso. Stiamo ricoverando da mesi, tra un’ondata e l’altra di COVID, nell’indifferenza generale, un infornata di ragazzini che hanno curricula che si somigliano tutti : “DSA”, “dirompenti”, “oppositivo-provocatori”, “scarso controllo degli impulsi”, “disregolazione emotiva”, “ADHD” “poliabusatori”, “spettro autistico”. Tutti, stranamente, di “buona famiglia”, nessuno che venisse dai suburbi di cui la landa sterminata di queste ASL è piena. Saranno state, le loro, le stesse famiglie che espongono le palle di ceramica decorate a mano e immerse sapientemente negli aghifogli? Saranno state, le loro, le famiglie che vivono il Natale come rito dell’ingozzamento e dei regali, come già scriveva la Yourcenar in un articolo del 1976? Saranno stati mai bambini felici anche questi due qua? Avranno avuto anche loro i loro cenoni nelle case perfette, coi festoni giusti, le luci giuste? I regali di Natale? Come si sono trasformati in repellenti topi? Come sono finiti in questa trappola per topi insieme a noi la notte di Natale? Ripenso, stanotte, a tutti gli incontri con Corrado Pontanti, alla sua voce rotta e commossa che ci preannunciava l’apocalisse: il cedimento di tutte le strutture tradizionali di elaborazione e contenimento, l’ingolfamento nominale diagnostico, il montare della domanda, e, in extremis, la psichiatrizzazione di questa adolescenza perduta. Ecco. Io adesso faccio parte di questo segmento finale psichiatrizzante: dopo il ricovero in SPDC, io metterò il timbro sul pacco di cartacce che li accompagna. Mi sento il Pifferaio di Hamelin. Nella fiaba dei fratelli Grimm, il suono magico del suo piffero doveva solo tirare via le pantegane dal borgo, i grossi topi che portavano la peste. Ma il borgomastro alla fine del lavoro non lo pagò. E l’incantatore di topi si portò via i bambini. Sparirono con lui in una crepa della montagna. In tedesco il titolo della fiaba è Der Rattenfänger von Hameln, cioè l’accalappiatore di topi di Hamelin. Quanti di questi bambini-topi stanotte stanno nei trecento repartini che abbiamo imbucati nei meandri degli ospedali civili italiani? Che stiamo facendo? Quanti adolescenti stanno entrando nei circuiti psichiatrici perché non abbiamo Servizi in grado di intercettare la domanda di queste famiglie? Composto negli anni dell’emigrazione fra Praga e Parigi, L’Accalappiatopi è anche l’ultimo poema di Marina Cvetaeva, ispirato proprio alla leggenda del Pifferaio magico. Ammaliati dal suono del flauto – seduzione femminile della Musica – i topi sognano una rivoluzione mondiale in una terra favolosa. Seguono il Pifferaio incantati da miraggi d’Oriente. Incalzante il ritmo del flauto e dell’intero poema, musica demònica che conduce alla morte non-morte nel regno della libertà. L’originale interpretazione della fiaba vuole che i topi siano salvati dall’imborghesimento e i bambini di Hameln sottratti per sempre all’orrore della ripetizione. Il loro esodo verso una terra promessa, Paradiso della Poesia, Eden e Sesamo, avviene in un tripudio di azzurro, mitico colore dell’Anima romantica. In un certo senso in questi bambini-topi che ho intrappolato stanotte, circola l’ultima vena dionisiaca, quella effigiata sulle pareti della Casa dei Misteri a Pompei, dove un bambino è circondato da satiri e menadi, e, in un angolo, sta disteso Dioniso, il dio della follia e dell’ebbrezza, del caos informe e primigenio, della musica e delle droghe, dell’orgia e dell’intensità della vita fino allo sfinimento, Ecco, mentre il dibattito social sulla Salute Mentale infuria, nessuno, come sempre, sa esattamente cosa accade una notte ed un giorno qualsiasi. Salvo urlare da benpensanti buonisti e politicallicorrettisti quando viene fuori il caso eclatante. Quando mi stendo sulla branda è quasi l’alba. Per fortuna che l’alba arriva sempre. Di là i bimbi dormono, lavati, nutriti e tranquillizzati. Conto di aprire presto la trappola, e di rimandare Pinocchio a casa, in libertà, e Lucignolo in una comunità. Mi vengono in mente, come un cantilena, i versi di una poesia sillabata in coro alle elementari : “il bimbo dorme, e sogna i rami d’oro, gli alberi d’oro e le foreste d’oro, mentre il cipresso, nella notte nera, piegasi al vento, piange alla bufera”. Le voci di quei bambini del limbo, che noi eravamo, mi trasportano nel sonno. Stanotte sono grato a questi due bimbi-topi, che mi hanno fatto rivedere, nei loro occhi, la purezza, la tenerezza, la vitalità e l’innocenza.
Caro Gilberto, questa tua
Caro Gilberto, questa tua esperienza, nella notte di Natale, mi ricorda un canto natalizio trentino “se vuoi incontrare Gesù, vai nella povera casa del tuo vicino, dove c’è un bambino….” E’ in un disco vinile che mia mamma mi ha regato tanti, tanti anni fa e che io ascolto e riascolto, quasi ossessivamente, nel tempo che faccio il mio presepe. L’ho sempre fatto, anno dietro anno, con i figli, con i nipoti; se non ci sono, da solo. Muschio, tanto muschio, il profumo dei miei boschi. I nipoti vengono da Torino, da Ascoli. Negli ultimi anni arrivano dopo il 25, anche il 29. “Nonno aspettaci per fare il presepe, lo facciamo assieme. Cosa importa se il Bambinello lo facciamo nascere dopo Natale! Hanno l’età dei tuoi due “topi-topolini”. In una delle canzoni che amano con me, il coro della SAT canta “cipressi neri lungo il cimitero”. Un presepe così: muschio e cipressi. Mi ha commosso che i cipressi fossero con te quella notte. Tu mi permetti di essere con te in quel reparto, là dove emerge la radicalità di una tragedia. Non aggiungo quindi riflessioni alle tue. Non c’è casa nei nostri Servizi dell’età Evolutiva per quei topolini: diagnosi e diagnosi, scale sofisticate, psicoterapia zero. Ma questa datità non fa scandalo. Famiglie e topolini diagnosticati ed espulsi. Nell’ultimo Manifesto sulla Salute Mentale (convegno nella tua città) non c’è traccia di questa tragedia, non c’è scandalo, non c’è denuncia. E allora la tua poesia nella notte di Natale rimane l’unica e la più disperata denuncia, della nostra ritirata dai territori dell’infanzia e dell’adolescenza. E alla fine, per tanta mia esperienza, per tanti dialoghi con colleghi, i farmaci rimangono come unica risposta, come sconfitta per molti, come convinzione “scientifica” per molti altri. I fratelli Grimm e Collodi tu hai chiama in scena: ascoltiamoli
nel canovaccio che tu hai intrecciato, con la speranza che possa diventare tessuto ruvido e grezzo per proteggerli dal freddo, laddove oggi si ingannano con il falso flauto dell’accudimento estremo, il mantra che regola tutto come la voce di dio “il miglior bene per il minore”. Buon Natale fatto, amico mio.