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TRE ANNI DI PENSIERI SPARSI: intervallo ludico

20 Ott 18

A cura di Paolo F. Peloso

Mi è capitato di leggere qualche tempo fa un breve ma simpatico e senz’altro originale – forse un po’ ossessivo e un tantino narcisistico, potrebbe osservare uno psichiatra – saggio di Michele Serra dal titolo La sinistra e altre parole strane. Postilla a 25 anni di amache (Feltrinelli, 2017), nel quale l’autore tira un bilancio della sua rubrica di successo, che leggo sempre molto volentieri e trovo spesso un concentrato di coraggioso e intelligente buon senso, raro da trovarsi nel panorama del giornalismo italiano e del suo stesso giornale. Per farlo, usa anche sofisticati metodi statistici, e il risultato che ne è uscito ha subito evocato in me la curiosità di guardare con lo stesso sguardo a ritroso la ben più modesta rubrica che, a partire dal primo articolo di carattere programmatico pubblicato l’8 ottobre 2015, da tre anni sto curando su Pol. it: Pensieri sparsi. Tra psichiatria, impegno civile e suggestioni culturali.
Niente più di un gioco, beninteso; però mi ha incuriosito e mi fa piacere mettere a disposizione di chi ha un po’ di tempo da perdere in qualcosa di forse non particolarmente utile, ma certo insolito, il risultato. E poi via, dopo tre anni passati a prendersi forse persino troppo sul serio, un intervallo ci vuole prima di riprendere ad occuparci di tragedie (e per come vanno l’Italia e il mondo, non mancherà l’occasione). Ma per una volta no; abbandoniamoci al gioco.
Che è interessante perché né Serra, credo, né io stesso senz’altro, quando abbiamo scritto la maggior parte degli articoli avevamo in mente che un giorno ci sarebbe venuto il ghiribizzo di analizzarli con una modalità tanto strampalata. E anche quando, nel caso degli ultimissimi articoli, lo avevo in mente, non mi pare che questo mi abbia condizionato.
Ho potuto così rendermi conto, a mia volta, che in tre anni la rubrica ha raccolto 80 articoli – cui ne aggiungerò per affinità altri 13 pubblicati nello stesso periodo su Pol. it ma fuori rubrica (tutte recensioni librarie) – per un totale di 93, distribuiti in un crescendo di 28 il primo anno, 30 il secondo, 35 il terzo. Una media dunque di 1 ogni 12 giorni, anche se la cadenza non è stata regolare come avrei voluto inizialmente. Per scrivere questi articoli mi è stato necessario operare la scelta di 245.000 parole (e chissà in quanti casi questa scelta sarebbe stata perfettibile), per le quali sono occorsi 1.589.882 caratteri, spazi inclusi.
Pol. it si è dotato di un contatore delle visualizzazioni – visualizzare significa aprire un testo, non necessariamente leggerlo – dall’inizio di ottobre 2017, il che corrisponde all’inizio del terzo anno della rubrica. Possiamo pertanto dire che quest’anno tutti i 93 articoli insieme sono stati visualizzati circa 100.000 volte, con una media di 1.075 ciascuno. Tuttavia queste visualizzazioni corrispondono alla totalità per i 35 articoli dell’ultimo anno (45.830 visualizzazioni, quasi la metà, con una media di 1.309 per articolo, gli ultimi pubblicati essendo ovviamente svantaggiati dalla breve esistenza on-line), mentre per i 58 degli anni precedenti quelle registrate corrispondono solo all’ultima parte delle visualizzazioni (54.170 con una media di 934 per articolo). Per questi ultimi, comunque, essere stati visualizzati mediamente quasi un migliaio di volte ciascuno, e in alcuni casi ben di più, nell’ultimo anno significa che lo stile di proposizione dei testi di Pol. it consente che anche articoli “vecchi” continuino a essere aperti e forse letti. Certo siamo per tutti i 93 articoli ben lontani dai numeri a cinque cifre raggiunti da altri autori che scrivono sulla rivista (Ferretti o Di Petta ad esempio), ai quali guardo con ammirazione e anche un po’ di invidia; ma corrispondono singolarmente a quanto mi aveva pronosticato come massimo raggiungibile per il mio stile e i miei contenuti Francesco Bollorino qualche tempo fa – quando ancora, dopo aver accettato con fatica l’idea della pubblicazione immateriale, rimanevo sprezzantemente riluttante all’uso dei social e lui si sforzava di convincermi a cedere – con davvero ammirevole esattezza.
Poco più della metà dei 93 articoli ha superato le 1.000 visualizzazioni, con un record di 4.720 per quello dedicato ai cinquant’anni dalla morte di Guevara, poi due articoli sopra le 3.000 (la presentazione della mostra di Roma sullo sterminio nazista dei malati di mente e la recensione del volume “L’ascolto gentile” di Eugenio Borgna, il primo dei due appartenente ai “vecchi”); e ancora tre sopra 2.000 (il primo dei due sui cinquant’anni de “L’istituzione negata”, quello sui centocinquant’anni di “Delitto e castigo” e il secondo dei due dedicati al cinquecentenario de “L’Orlando furioso”). Tra psichiatria, impegno civile e suggestioni culturali, insomma: almeno in questo gruppo di testa l’equilibrio cui mi ero impegnato mi pare rispettato in modo impeccabile.
Sempre sulle orme di Serra mi sono divertito a vedere quali sono le parole che ho usato con maggiore frequenza, eliminando articoli, congiunzioni e altro simile (qualcuno, certo, potrà obiettare che ci si potrebbe anche divertire in modo più intelligente e gratificante, tant’è). Certo io non dispongo come Serra dei potenti mezzi che il gruppo Repubblica-L’espresso può mettergli a disposizione (almeno finché non lo colpiranno gli anatemi di questi giorni del ministro Di Maio), ma mi sono arrangiato col cercaparole di word, e non è stato un lavoro troppo lungo né faticoso.
Ho quindi indagato 144 lemmi, in alcuni casi composti anche da più parole (sinonimi, o collegate strettamente per senso, o sostantivo e relativi aggettivi p. es.).
La parola più ricorrente nel caso di Serra era appunto “sinistra”, da cui il titolo del saggio, e ciò non sorprende in un commentatore politico-satirico appunto di sinistra; nel mio è “psichiatra, -ia” (1.252), e anche ciò non mi sorprende perché passo da ventisette anni 38 ore la settimana a fare appunto questo. Quanto a “sinistra” invece nel mio caso è piuttosto indietro e ricorre 42 volte, sempre meglio comunque di “destra” che ricorre 16 (“fascismo, -sta” però ricorre 152 volte, a fronte di 69 di “resistenza, partigiano”).
Il primo lemma classificato stacca decisamente il quartetto seguente formato da: “Italia, -no” (532), senz’altro più ricorrente di “Europa, – eo” (173) e di “Liguria, -e” (51); poi “medico, -ina” (526); “cura” (492) e “lavoro” (480). Tre delle cinque parole più frequenti negli articoli, dunque, rimandano direttamente al mio ambito professionale, quello di un medico psichiatra che cura; le altre due sono l’Italia, che è evidentemente – nonostante la zoppicante integrazione europea e lo smanioso regionalismo sanitario – l’orizzonte più frequente e significativo dei miei ragionamenti; e il lavoro, che è soprattutto in questo caso il lavoro del soggetto inteso come elemento centrale della vita della persona e soprattutto della cura in psichiatria. Segue “manicomio” (389) che se considerato unitariamente a “ospedale psichiatrico” (103)  raggiunge il quintetto di testa, testimoniando credo così come la persistenza di questa radice sia ancora molto viva e significativa, almeno per me, nella psichiatria di oggi e non debba essere mai dimenticata nei nostri ragionamenti. Completano le dieci parole più ricorrenti “istituzione, -ale” (370), “corpo” (360), “storia, -co” (348), “soggetto” (336). Ci sono però  quattro lemmi (razza, -ismo, -sta: 178; “migrante, straniero”: 133; “colonia, -ale, -alismo”: 68; xenofobo, -ia: 16) che se li considerassimo insieme in quanto rimandano a temi limitrofi ricorrerebbero 395 volte, ed entrerebbero nella top ten. Analogo ragionamento potrebbe valere per cinque lemmi dell’ambito giudiziario-penitenziario, che se considerati insieme raggiungerebbero quota 465.
Per i nomi propri occorre attendere il tredicesimo posto, il primo è quello di Franco Basaglia (276) e credo che sia un posto decisamente meritato; segue a distanza Dostoëvskij (104), che se però ricevesse in dote anche i riferimenti ad alcuni personaggi dei suoi romanzi si avvicinerebbe e sfiorerebbe quota 200, e anche in questo caso mi pare che la frequenza testimoni di uno speciale interesse da parte mia per questo autore, e perciò non sorprende. Segue, di nuovo a distanza, Antonio Slavich (62), primo collaboratore di Basaglia a Gorizia e mio maestro a Genova, e poi un personaggio letterario come Orlando (59) e un gruppo misto di personaggi reali e letterari come “Che” Guevara, Frantz Fanon, Miguel de Cervantes, Don Chiciotte, Enrico Morselli, Raskolnikov, Eugenio Borgna (primo dei viventi), Michel Foucault, tutti onorati da un numero di riferimenti tra 50 e 40, e poi via via molti altri.
Quanto alle città, infine, la prima è Genova (268) che si piazza al quattordicesimo posto, e anche ciò non sorprende, seguita da Roma (158),  Gorizia (126), Milano (95), Torino (60), Trieste (52).
Tutto sommato, perciò, il dato più sorprendente mi pare quello quantitativo, l’idea di aver scelto e usato così tante parole per scrivere la mia e lanciarla nel web; sul piano qualitativo, invece, mi pare di poter dire che sembrerebbe che le cose siano andate come, dato il sottotitolo della rubrica, ci si poteva aspettare. Questioni, luoghi, personaggi più ricorrenti nei miei pensieri scritti sono gli stessi dei quali, consapevolmente, so di occuparmi; il che significa che tra ciò che penso e che faccio e quello che ho scritto c’è probabilmente un buon livello di coerenza. Fa piacere constatarlo ex post, ed è comunque una constatazione non scontata. 
 
Nel video la canzone “Parole”, scritta da Francesco Guccini e interpretata da Giampiero Alloisio, tratta dall’Album “Dovevo fare del cinema” (1981).
 

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