Puo' sembrare strano, e anche discutibile, che io proponga per questo numero della rubrica, la lettura di un libro non proprio psichiatrico.
Si tratta de "La vita sessuale di Catherine M. " ("La vie sexuelle de Catherine M.", Mondadori, # 28.000).
Ampiamente recensito, criticato, osannato o deprecato, certo questo libro (che non so se chiamare romanzo, o saggio, o autobiografia, perche' ne contiene tutti gli ingredienti, senza farne prevalere nessuno in particolare) ha fatto parlare di se'. Come tutti i libri che fanno molto parlare di se', li acquisto e li leggo con sospetto, in base all'idea — che mi porto dietro — che un bel libro e' essenzialmente silenzioso, lo si scoprira' nel tempo e lo si capira' attraverso revisioni successive; certo, non e' mai un best-seller.
Tuttavia, ho trovato grande interesse nella lettura della vie sexuelle di Catherine, nota fotografa e critica d'arte francese che, ad un certo punto della sua vita, ormai donna matura, realizzata, analizzata (cosi' sembra da alcuni arguti riferimenti nel testo), decide di raccontarsi, affidando al fil rouge della memoria, della ricostruzione interna ed esterna, la sua spericolata vita sessuale.
Lo propongo in questa rubrica sia perche' e' un libro, a mio parere, eminentemente femminile (solo una donna poteva scriverlo); sia perche' questa donna parla di sesso attraverso una narrativa interna — lucida e dissacrante — che raramente una donna ha. Il sesso diviene qui, diciamo cosi', oggettivato. Esso e' oggetto di osservazione e descrizione non meno di altri fenomeni della vita o dello psichismo, cui siamo, come psichiatri, abituati.
Catherine e' una critica d'arte, s'intende di spazio e immagini. E' cosi' che la sua osservazione della propria vita sessuale — dall'adolescenza all'eta' adulta — e' una vera osservazione, attenta a cogliere aspetti estetici ma soprattutto spaziali (un capitolo dedicato allo spazio, cornice sempre diversa dell'incontro amoroso), a cui di solito diamo poca importanza;
Lo spazio qui non e' solo una cornice, ma e' (mi si passi il termine) il setting in cui la scena sessuale si svolge, ambientazione che spesso di gran lunga e' piu' importante dell'atto in se'. Troviamo snocciolati cosi' scenari e angoli parigini, strade e anfratti bui, retroscala e locali dove Catherine consuma una sessualita' apparentemente — secondo una certa ottica paicoanalitica — masochistica e perversa, affidata al piacere anomino di altri, a volti senza nome e senza identita', cui l'autrice si offre con volluta' o con indifferenza.
Non e' qui importante la ricerca delle cause — capire il perche' — ma l'osservazione dell'esperienza descritta. Il punto forte del libro sta, a mio parere, nella sobrieta' con cui puo' condurre la lettrice all'identificazione: chi non ha mai provato, almeno una volta, quelle fantasie, quella solitudine, quella passivita', quell'insensatezza dell'incontro amoroso, chi non ha inseguito fantasie masochistiche, o di abbandono all'altro, chi non ha desiderato di essere anonimo, non visto e non riconosciuto, sottratto finalmente alla contingenza?
Il testo presenta anche alcuni excursus nella vita infantile, alcuni squarci di miseria familiare, su cui tuttavia la Millet non indugia; lascia intuire come una ragazzina possa buttarsi nel sesso ‘come si buttava da bambina nel tunnel delle streghe', per sottrarsi alle difficolta' delle nuove relazioni col mondo, per attirare consensi e solidarizzare con gli uomini, gli unici alleati.
La vita esterna, con le sue infinite avventure e prodezze, e la vita interna, accennata e mai troppo indagata, accompagnano l'intera lettura, sottraendola cosi' alla banalizzazione e all'eccesso di concretezza.
Il tutto e' fotografato (non dimentichiamo, come ho detto, il mestiere dell'Autrice) dallo sguardo attento della sua stessa protagonista, che punta la lente d'ingrandimento sul sesso umano, terreno di bestialita' e di dolcezza, d'indifferenza e di estasi, come nessuna altra attivita' dell'uomo.
Aggiungo che il libro puo' apparire ripetitivo, e perfino monotono, come lo e' tutto il materiale cosiddetto pornografico. Credo che questo effetto, che pure esiste, sia legato alla effettiva ripetitivita' della sessualita', che utilizza scenari sempre uguali e sempre ripetuti, ed e e' sentita vitale solo da chi la vive.
Ho personalmente apprezzato, in ogni caso, l'asciuttezza dello stile, il chiamare le cose col proprio nome e guardarle in faccia (anche quando hanno una brutta faccia), la tenerezza scevra da romanticismo, il tentativo di oggettivazione e di analisi, infine, che questa donna non letterata, non psicoanalista, fa della propria vita amorosa. Non cerca di capirla, la descrive.
"….. una visione del mio corpo come un tutto privo di gerarchie, sia nella sfera morale che in quella del piacere, in cui ogni parte poteva, nei limiti del possibile, sostituirsi ad un'altra" (corsivo mio)
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