Percorso: Home 9 Rubriche 9 Un flash dell’anima

Un flash dell’anima

1 Feb 14

A cura di Giuliano Castigliego

"Si dice che attraverso gli occhi si veda l'anima, che negli occhi si legga l' amore, che attraverso gli occhi si possa scrutare nel profondo di un altro essere umano a scoprire cosa c'è veramente dentro di lui"
(Patricia Highsmith, Il talento di Mister Ripley citato dal Card. Ravasi in Breviario #Gli occhi, 12 gennaio 2014).
La vista e in particolare la vista degli/negli occhi ha certo straordinaria immediatezza e nel nostro inconscio collettivo aspira fin da prima di Platone ad un rapporto con la verità che non riconosciamo agli altri sensi. "Guardami negli occhi" ingiungiamo ad una persona quando la scrutiamo per capire se quello che ci sta dicendo è la verità. 
Il senso della vista ha avuto il sopravvento sugli altri nella nostra civiltà, divenuta ora più che mai civiltà dell'immagine. Non è certo un caso che  – come riporta De Biase citando lo scambio tra Alcorn e Zuckerman – "il miglior pezzo di audio possibile…non riesce a raggiungere mai neppure lontanamente i numeri di un video con i gatti carini " 
Se tuttavia fosse unicamente così, e dunque la nostra (veritiera) comprensione reciproca fosse affidata alla sola vista, non dovremmo più gettar lo sguardo non solo sui già tanto deprecati social media ma anche su svariati altri mezzi di comunicazione e addirittura alla terapia del profondo per eccellenza. la psicanalisi, che lo sguardo elude.
 
Ci possiamo anzi paradossalmente chiedere se sia affatto possibile comprendersi senza vedersi, a distanza, da un account all'altro tramite lacerti di frasi, cui diamo il bizzarro nome di Tweet, che con l'ermetismo hanno in comune la brevità ma raramente la poesia. 
 
stefania stravato (@FannyStravato)
15.01.14 14:51
Abbiamo dimenticato il linguaggio più antico.
Quello dei gesti, dei simboli.
Scriviamo parole. Che in un attimo sono solo invisibili ceneri.
 
Possiamo abbracciarci via Twitter? 
 
Carola Mariani (@carola_mariani)
16.01.14 11:34
In twitter contano le parole, che scegliamo con cura. 
Nella vita è più semplice: ci affidiamo
ad un abbraccio.
 
Credo sia capitato a ognuno di noi di avvertire di fronte ad un Tweet emozioni altrettanto se non più forti di quelle di un abbraccio offline. 
I fremiti di gioia, rabbia, ilarità, dolore o addirittura passione che talvolta ci scuotono davanti a poche decine di caratteri altrui sono in adeguata e sintona relazione con i sentimenti di coloro che ce li hanno inviati? Sono isolati ma veritieri frammenti di una (più) nuova modalità di rapporto (più) indipendente dallo sguardo e dal contatto fisico? o sono invece atti di  auto-erotismo semantico? disarticolate proiezioni dei nostri desideri e delle nostre angosce, fantasmi digitali? 
 
Lucia Mondella (@TwLuciaM)
16.01.14 07:39
Si può dire molto con gli occhi e col corpo, senza parole. Reagiamo con ogni parte di noi, la differenza è nei pensieri. #twsposi/18
 
Torniamo per un momento al 1970 anno in cui lo psicanalista ungherese emigrato in Inghilterra Balint descriveva la tecnica psicoterapeutica da lui da poco introdotta, detta proprio per la sua breve durata dei 10
minuti (in inglese sono addirittura 6, "Six Minutes for the Patient" – e poi dicono che l'analisi, e gli analisti, sono interminabili). Scrive Balint:" Nella nuova tecnica il ruolo del medico è quello di sintonizzarsi (tune in), di seguire il paziente, di consentire che il paziente si serva del terapeuta, addirittura che lo usi." Tale modalità di sintonia (tuning in) tra paziente e terapeuta è un concetto di straordinaria originalità per la scena psicanalitica di quei tempi (1970) e precede di gran lunga quello di attunement (sintonizzazione affettiva) di Stern (1985) divenuto poi criterio portante nella concezione attuale del rapporto terapeutico. 
"Un altro modo di descrivere la stessa esperienza di due menti che si sintonizzano reciprocamente – prosegue Balint –  è dire che sperimentano un "flash" (una fulminante illuminazione)". Enid Balint, terza moglie di Balint, lei stessa analista, illustra il flash come "un'improvvisa illuminante comprensione", " un contatto intenso, intimo tra medico e paziente" un "fulmine di comprensione (che) può contenere qualcosa di sostanziale…" (Flash è tra l'altro parola usata anche dai tossicodipendenti per indicare il momento subitaneo dell'ebbrezza). Riferendosi al primo caso di flash, Enid Balint scrive ancora:" era come se una luce si fosse accesa, una tenda fosse stata alzata. In ogni caso era successo qualcosa. Non era stato il medico a fare qualcosa ma qualcosa era accaduto."
 
Per meglio comprendere questo "accadere" torniamo ancora più indietro al 1917 quando Edith Stein scrive la sua tesi di dottorato con Husserl sul "problema" dell'empatia. La Stein descrive l’empatia come un processo a tre tempi, o meglio tre gradi. Ometto la terminologia originale (emersione del vissuto, esplicitazione riempiente, oggettivazione comprensiva del vissuto esplicitato) – anche i filosofi sono uomini, e donne 😉 – e mi permetto qualche aggiornamento lessicale. 
Quando ho di fronte a me un interlocutore/trice allegro, triste, simpatico che sia, ma anche una sua immagine, magari un suo #selfie – cui Chiara Giaccardi dedica uno splendido  articolo  – un suo scritto, un  suo Tweet, il suo "vissuto emerge improvvisamente dinanzi a me, io l‘ho dinanzi come oggetto”: è questo il primo stadio. Quando poi decido (o meno) di immergermi emozionalmente in tale vissuto e di lasciarvi fluttuare i miei propri vissuti – secondo uno spettro di sfumature affettive che possono  andare dall'amore all'odio passando per l'indifferenza ("tastiera dei sentimenti" di Rothschild) – mi trovo al secondo stadio. In cui, come dice la Stein, " il vissuto non è più oggetto nel vero senso della parola, dal momento che mi ha attratto dentro di sé…" In quell'istante " l' esperienza vissuta…" dell'altro si mescola ma non si confonde con la "mia esperienza vissuta…" dando luogo ad un'esperienza vissuta ancora diversa." A questo punto – 3 stadio – opero un nuovo distanziamento dal vissuto tramite l'interpretazione e la comprensione razionale dello stesso. 
 
Di fronte al Tweet di
 
Elisa Lucchesi (@IsaInghirami)
08.01.14 23:00
Mi piace ricordarci così, quando la vita era una schiusa di sogni iridescenti. #OcchiBlu 
iocsanmarcello.gov.it/blog/occhiblu-… pic.twitter.com/koDQY20EJe
 
vengo preso da una dolce tristezza che mi induce a leggere il testo #OcchiBlu al quale mi abbandono. In quella ingenua e profonda amicizia tra un bambino che porrà successivamente fine ai suoi "trent'anni, ad un tempo vissuti e bruciati" e una bambina divenuta donna che lo ricorda con l'ingenuo sguardo di allora e la triste e profonda consapevolezza dell'oggi rivivo immagini, atmosfere, colori e sapori di una parte della mia infanzia/adolescenza e le fantasie di tante altre che non ho vissuto, mescolandole a quelle del racconto. Mi sembra poi  di riuscire a dare un nome e una (personalissima e discutibilissima) interpretazione a queste mie sconnesse ma arricchite emozioni e di riuscire così – spero- a elaborarle, integrarle e a trovare una "adeguata" distanza dopo essermici tuffato dentro. 
 
E qui si potrebbe tornare all'oggi aprendosi al piano neurobiologico con in primo piano la funzione "empatizzante" dell'ossitocina e a quello neurofisiologico con i neuroni specchio  principale substrato neurobiologico dell'empatia, sul quale il Prof. Gallese potrebbe illuminarci. 
 
Rimango invece sul secondo decisivo movimento dell'empatia steiniana –  quello per intenderci del corpo a corpo emozionale tra me e l'altro – che presenta caratteristiche sia passive ("essere attratto dallo stato d'animo altrui") che attive (“mettersi nella situazione dell’altro"). Il processo empatico, è dunque atto ed accadimento insieme nel quale io decido (consapevolmente) di lasciar accadere (involontariamente) qualcosa in me, come con il sonno, un concerto, la danza. In tutte queste situazioni mi metto volontariamente nella condizione che qualcosa di indipendente dalla mia volontà (sonno, musica, danza etc.) possa accadere in me. Senza la predisposizione consapevole non invito a ballare il/la mio/a partner, senza accadimento inconsapevole ballo (più o meno bene) come un automa.  
 
Mi piace allora intendere il flash come un' improvvisa "fortunata" sintonia (tuning in) tra due menti – e due cuori – che si sono  empaticamente  predisposte/i a lasciar accadere qualcosa di non ancora consapevole in loro. 
Non solo tra paziente e terapeuta. 
Ma anche in un incontro casuale in strada, in quello da lungo atteso con un caro amico/a, nel rapporto con il personaggio di un romanzo. O tra due personaggi. 
In fondo quello tra l'Innominato @TwInnominato e Lucia @TwLuciaM non è forse un fortunato flash, a lungo preparato nelle menti e cuori di entrambi e che conduce a far accadere qualcosa di decisivo, di cui tuttavia entrambi non avevano (piena) consapevolezza fino a poco prima del loro incontro? 
 
Forse il flash potrebbe essere un concetto utile anche per meglio comprendere i complessi meccanismi della persuasione e della  "viralità" dei messaggi online, cui ha dedicato aristotelica attenzione Maria Konnikova Konnikova come ben illustrato da Luca De Biase e Vincenzo Marino
 
Ma sopratutto il flash ci aiuta a  comprendere meglio quello che ci può succedere con i Tweet, forme di comunicazione per loro natura quanto mai stringate ed essenziali. Quando  i 140 caratteri hanno la fortuna di divenire convincenti condensati dei nostri vissuti, distillati viventi delle nostre esperienze cognitive ed emozionali e noi ci disponiamo nell'incontro online con l'altro a lasciar accadere qualcosa dentro di noi, possiamo sperimentare la stessa, "fulminante illuminazione" di cui parlava Balint.  
Un lampo, un brivido di improvvisa quanto fugace sintonia con l'altro/a può illuminare la sua e la nostra anima rivelandone per un attimo nuovi contorni e colori. 
Ma per aver la possibilità (non la garanzia) di passare dal grigiore quotidiano ai colori di un incontro devo prima tuffarmici,  lasciarmi andare, così come per accedere alla fantasia dei sogni devo prima abbandonarmi al sonno. 
 
Come scriveva qualcuno/a , benignamente riportato in forma anonima da Anna Bene
 
@ondivaga: "Mi ritiro tra le braccia di Orfeo" 
( letta su Twitter )
 #refusando
 
Che sia stato il Tweet di Uridice? 

Testi citati 

Balint E., Norell J. S., Six Minutes for the patient, Tavistock Publications, London and New York 1973 2)
Blutrasparente @erykaluna http://beta.trytweetbook.com/book/101631
Caruana F., http://www.umanamenteonline.it/wp-content/uploads/2012/01/Abstract-Ph.-D-Caruana.pdf  
Castigliego G., in Psicoanalisi senza teoria freudiana, a cura di Imbasciati A., Borla, 2013 
De Biase L., http://blog.debiase.com/2014/01/zuckerman-laudio-non-e-virale-e-meno-male/   http://blog.debiase.com/2014/01/come-emoziona-letica-in-un-discorso-logico-aristotle-viral-edition/
Gallese V., Migone P. and Eagle M.E., La simulazione incarnata: i neuroni specchio, le basi neurofisiologiche dell’intersoggettività e alcune implicazioni per la psicoanalisi. Psicoterapia e Scienze Umane, 2006, XL: 543-580.
Konnikova M., http://www.newyorker.com/online/blogs/elements/2014/01/the-six-things-that-make-stories-go-viral-will-amaze-and-maybe-infuriate-you.html  
Marino V., http://www.festivaldelgiornalismo.com/post/32098/
Stein. E., Il problema dell‘empatia, tit. orig. „Zum Problem der Einfühlung,“ 1917, tr. it. a cura di E. Constantini e di E. Schulze Constantini, Ed. Studium, Roma 1985
Stewart H., Michael Balint, Franco Angeli, Milano, 2000

La foto "feelings" è tratta da Cristina_F @LaCris297


Loading

Autore

2 Commenti

  1. manlio.converti

    Sarò anche cinico… ma
    Sarò anche cinico… ma sinceramente ogni volta che ho avuto un picco di endorfine per intuizioni legate a qualunque canale fosse pure solo empatico, sinceramente mi sono da sempre reso conto che il godimento era maggiore quando la mia intuizione divergeva e superava il contesto arrivando in un altrove molto più fertile per qualunque compito o relazione stessi svolgendo in quel momento.
    Sarà anche l’unico modo con cui i cosidetti NERD provano affetto… ma sinceramente la “condivisione romantica” la trovo una deviazione delirante dell’idea di UNIVERSO ETEROPATRIARCALE in cui quello che penso io è condiviso mentre ogni ide diversa non ha alcun valore.

    Al rovescio l’intuizione ed il piacere che se ne prova è sempre un ANDAR OLTRE la forma di comunicazione usata alla quale l’altro partecipa nel suo andar oltre, in una direzione evidentemente diversa dalla mia, essendo vasto il mare…

    Rispondi
    • castigliego

      Mi sembra che il suo/tuo
      Mi sembra che il suo/tuo intervento sia la miglior dimostrazione di quanto entrambi i poli (sintonizzazione affettiva con l’altro e “andar oltre” per conto proprio) siano necessari per la dinamica psichica.

      Rispondi

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Caffè & Psichiatria

Ogni mattina alle 8 e 30, in collaborazione con la Società Italiana di Psichiatria in diretta sul Canale Tematico YouTube di Psychiatry on line Italia