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Venere in pelliccia: Polanski e l’identità maschile

24 Nov 13

A cura di A_SIBILLA@libero.it

Venere in pelliccia di Roman Polanski è un film che si presta a molte letture. Descrive il rapporto tra il teatro e la vita, tra un autore e i suoi personaggi. La sceneggiatura è tratta dall’opera omonima di Von Sacher –Masoch, scrittore dal cui nome è derivato il termine masochismo. In breve la descrizione del romanzo : Severin  un nobile si innamora di Wanda e le chiede amore  secondo la propria natura di uomo "soprasensuale", paragonandosi ai martiri che raggiungono l'estasi durante il loro estremo sacrificio. Inizialmente riluttante, Wanda accetta in seguito d’impersonificare l'ideale di donna crudele, imponendo un contratto a Severin che le permetta qualsiasi sopraffazione. Le umiliazioni si  concludono con la cura della frusta, crudele ma radicale, e alla fine Severin si ritiene guarito.  Nella vita reale le cose sono andate diversamente per Sacher-Masoch . Il romanzo è ampiamente autobiografico e l’autore oltre ad avere un debole per le pellicce, ha avuto una vita travagliata e dolorosa ed è morto in manicomio.  Nel film Thomas,  regista e autore teatrale accetta maldisposto di fare un provino a un’attrice, anche lei di nome Vanda, apparentemente sguaiata e insistente. È reduce da una giornata di provini con giovani attrici  “carine o con il birignao”. Si  coinvolge progressivamente nella relazione con Vanda,  con continui spostamenti tra testo teatrale e vita reale e finisce anche lui per invocare il potere della donna con la  naturale conclusione della cura della frusta. Il finale è aperto, in bilico tra realtà e finzione teatrale. La Vanda del film arriva in scena fornita di fruste, stivali e pelliccia e fa saltare progressivamente le coperture razionali del regista e mette a nudo il problema del dominio nella seduzione tra i sessi. 
Sembra donna volgare. Ma in realtà anche grazie all’eccezionale recitazione della Seigner, assume un ruolo di superiorità a tutti i livelli, anche culturale: è lei che legge in maniera più intelligente il testo teatrale e il romanzo da cui deriva. E che dire di Thomas (un grande Mathieu Almaric)?  Sono restato impressionato nel vedere l’ingresso in scena di quest’attore che è l’immagine di Polanski giovane e in particolare è il clone del regista/attore in un grandissimo film, l’inquilino del terzo piano.  

Un aspetto molto interessante della storia è nel ribaltamento non solo metaforico dei ruoli di genere nel gioco di seduzione tra antagonismo e complicità tra i due protagonisti. Nell’ultima parte del film Thomas si veste e si trucca con abiti femminili, mentre una Vanda sempre più ieratica diventa la padrona. È evidente un collegamento con l’inquilino del terzo piano, che a mio parere è uno dei più bei film del regista, che ogni psichiatra dovrebbe vedere con attenzione perché descrive in maniera straordinaria un esordio schizofrenico. Ricordo che in questo film il protagonista un giovane polacco Trelkovski, interpretato dallo stesso Polanski, assumeva per gradi successivi, l’identità della precedente inquilina della sua abitazione, suicida, e si vestiva e si truccava con abiti femminili. In ambedue i travestimenti, la figura maschile/ femminile è eccessiva e caricaturale e rimanda a uno dei temi prediletti da Polanski, l’identità.
Ho letto l’intervento di Recalcati, Sovrane e Puttane, sul potere femminile descritto dalla Buttarelli come “primato assoluto della relazione” o in altra dizione “adeguata considerazione della relazione”. Mi sembra una descrizione intellettualmente corretta, ma sotto il termine relazione si può far passare di tutto e ho visto la questione dal punto di vista maschile nella figura di Thomas/Polanski che perde le sue certezze intellettuali esistenziali e di fronte a Venere e diventa una specie di maschera caricaturale. Mentre nell’inquilino del terzo piano questa trasformazione avveniva nel campo della patologia, in Venere in pelliccia la dialettica tra i due protagonisti non ha niente di patologico, usa un registro leggero e il finale è aperto, senza i toni del tragico, anzi sembra una commedia sofisticata.
È un grande film e un interessante pezzo di teatro. Vanda è un personaggio  straordinario, che evita i toni della buona educazione, chiama potere il potere e per lei la frusta è una frusta.  Volevo cambiare argomento della mia rubrica, ma mi ritrovo a parlare d’identità sessuale e di come i punti di riferimento in questo periodo storico siano decisamente fragili. 


 
Venus in furs è anche il titolo di una famosa canzone dei Velvet underground il complesso che ha reso famoso Lou Reed.  Mi  permetto di concludere con il ricordo a pochi giorni della morte di questo grande artista.
“I hate psychiatrics” è una sua frase famosa. È stato sottoposto durante l’adolescenza dal suo (dei suoi genitori …) psichiatra curante a elettroshock, perché si dichiarava omosessuale.
Questo avveniva negli anni ’60 in una famiglia ebrea medio borghese, mentre imperava la psicoanalisi, che trascurava l’omosessualità.  Il rock lo ha salvato e gli ha permesso di esprimere come voleva la sua sessualità e di regalarci alcuni tra i più belli album della musica, sempre permeati dalla dimensione artistica del tragico.

 
 
 
 
 

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