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Vita malata di una persona perbene

1 Ott 15

A cura di Maurizio Montanari

Si occupano di questioni volgarmente alimentari o aperitive: bevono, fumano, mangiano. Si abbuffano dieci volte più del necessario, bevono dieci volte più del necessario, non sono altro che apparecchi digestivi. Aspettano la pensione, aspettano la laurea, aspettano sempre qualcosa
L.F.Celine

Nei mie precedenti scritti su questa rubrica, ho già accennatto alla questione dello 'sdoganamento 'della perversione.
La porta di uno studio clinico si riempie sovente di oscenità: pensieri perversi, fiumi colmi di odio, pratiche sadomaso, fantasie di infliggere sofferenza fisica. Cose che il perverso vuole mantenere, ma limitandole per poterne godere di più.  
Il periodo attuale, contrassegnato da quella che si definisce il tramonto  della Legge, l’apertura al godimento sfrenato e generalizzato evaporazione’ del Nome del Padre’, porta a vivere come ‘anormali’, e dunque stigmatizzanti, comportamenti riconducibili ad una morigeratezza di costumi che appare fuori moda. 
S. Zizek afferma ' Non ci si sente più in colpa quando ci si abbandona a piaceri illeciti, come prima, ma quando non si è in grado di approfittarne, quando non si arriva a godere'. ‘La vecchia situazione nella quale la società è portatrice di divieti e l'inconscio di pulsioni sregolate, è oggigiorno invertita è la società ad essere edonista e sregolata, mentre è l'inconscio che regola'.
 
L’inconscio, il fiume sotterraneo, il fluire carsico che ci determina può oggi apparire non più il luogo profondo e colmo di pulsioni sregolate, bensì un ricettacolo di morigerato pudore.

 Se il si sintomo si attenua e si solve, poiché l’analizzante non ha problemi a parlare e straparlare di esso, sovente il fantasma è il terzo incomodo nella relazione analitica, il non detto, l’incedere celato e protetto perché contenitore di elementi a volte in netto contrasto con i principi del soggetto. Estrarre il fantasma fondamentale per ‘decantazione’ è l’approdo di un’analisi ben condotta. In molti casi la reticenza a togliere il velo al fantasma, al mostrare quale è la propria condotta fondamentale, è legata al difficile compito di assumersi la responsabilità di ‘confessare’ attitudini e comportamenti che sono in netto contrasto con i principi etici che governano la vita dell’analizzante. Ci si può vergognare del proprio fantasma come dice J.A. Miller in quei casi di ‘donne , in apparenza femministe, che nascondono fantasmi masochisti e uomini che si definiscono umanisti il cui fantasma rivela, invece, un aggressività smodata’. E tanti altri ancora ne potremmo elencare : sacerdoti colmi di invidia, medici rispettabili con profonde innervature razziste e discriminatorie, leader no global con una passione smodata per il profitto. Questi casi che vado ora a descrivere, vanno in direzione opposta. Sono nevrotici nei fantasmi dei quali non vi è ombra di perversione, il cui disvelamento fantasmatico non  è stato oggetto di difficoltà particolari. Retti, giudiziosi, mossi da un fantasma di applicazione della giustizia e di diffusione della rettitudine. Insomma, fantasmi dai costumi morigerati.
Dove insorge allora la sofferenza per costoro?
Nasce dall’incontro con la perversione diffusa, agita, che non incontra alcun aggancio in essi. Anzi, rende per loro difficile adattare la propria condotta di vita all’interno di ambienti perversi.
 
R. arriva al mio studio dopo l'ennesima battaglia. L'ultima di una serie, quella nella quale ha incontrato un limite invalicabile. Non si tratta dell'ennesimo colpo in faccia ricevuto nella manifestazione di piazza, e nemmeno del taglio del suo salario legato alla sua attività sindacale. Il problema è la sua compagna. Da tempo militante e frequentatore di gruppi antagonisti di estrazione extra parlamentare, abbandona tutti dopo una lunga vertenza combattuta per evitare il licenziamento di una decina di operai,conseguente alla decisione della ditta nella quale lavora da anni d delocalizzare la produzione nell'est Europa. Stanco di tutta questa 'provvisorietà' vuole una vita regolare. ' Io vorrei sposare la mia compagna. Voglio un bambino e vorrei non avere sempre tanta gente per casa'.Racconta una vita di bivacco, di condivisione ideologica 'forzata' di ogni cosa.Dalle assemblee, alla promiscuità sessuale fino all'utlilizzo della cannabis come momento aggregante. 'Io dal sindacato sbatterei fuori tutti quelli che fumano, che sbevazzano. L’uso della cannabis a 40 anni è grottesco. Mio dio, se quella gente vedesse la pena che fa!’Reclama una morigeratezza di costumi, un desiderio di coppia chiusa, una famiglia troppo tradizionale per poter essere accolta nell'Altro antagonista. In questo luogo il godimento è assai diffuso, i limiti sono sovente labili, le coppie intercambiabili. L'intimità è vissuta come un impaccio, un elemento distonico.

Romy non vuole più tornare a casa. Romy abitava in un sobborgo di una cittadina del sud molto degradata, zeppa di violenza e con una famiglia dedita al furto e alla ricettazione. Ha dovuto lottare non poco per distaccarsi dal quel luogo, da un uomo sposato non per amore ma per obbligo. Romy ha patito sin dall’adolescenza il suo essere pudica e rispettosa della legge. Ebbe
la sua iniziazione allo spaccio a 12 anni, quando la madre le mise in mano un pacco di stupefacenti da consegnare al compratore. La sua obbedienza ai genitori era cieca, assoluta. Divenne ben presto un vero soldato della malavita, capace di ‘piazzare’ oggetti rubati e, col ricavato, acquistare droga da rivendere. Nel suo tempo libero, Romy andava a teatro e curava un orto. Bouganville, ciclamini, petunie. Una piccola zona lontana dal terreno perverso e fuorilegge nel quale ella doveva vivere. La vendetta, operata dal un clan avversario, passa per la distruzione dei beni della sua famiglia, compreso il suo orto che viene dato alle fiamme, e sul quale vengono incendiati pneumatici ed automobili. E’ in quel preciso momento che Romy si ammala, cade preda di uno sconforto che la fa apparire ‘pazza’ a chi la interroga. Stati di angoscia sono il corollario ad un anoressia restrittiva che la porta a minare la propria salute. A fronte di una fedina penale sporca e compromessa, lei si prende ogni responsabilità per le
malefatte, ponendosi come soldato obbediente ai dettami della famiglia, deresponsabilizzandosi, ma dicendosi disposta a pagare la pena per la sua attività deviante. Ma l’angoscia non passava, il suo dimagrimento iniziò a destare preoccupazione, sino a che decise di lasciarsi andare alla deriva con lo sciopero della fame nella sua carcerazione. Lo stupore e l’incredulità degli agenti furono alimentati dal fatto che lei non protestava per aver sconti di pena, o perché si riteneva vittima di soprusi giudiziari. Mai mise in dubbio la necessità di scontare l’intera pena inflittagli. Era l’orto il suo grande dolore, il suo infinito rimpianto. Le mancavano quell’orto e quelle piante che le avevano permesso di dire, senza parole, quel che poi verbalizzerà in seduta.
‘Le piante sono pure, obbediscono solo alle leggi di natura. L’orto era vietato ai quei porci dei miei e alla loro combriccola.’ Quando tutto sarebbe finito, avrebbe potuto dedicarsi ‘ esclusivamente alla cura delle sua piante, pulite ed amate’. ‘ Io odio la droga, lo smercio. Mi fa schifo la gente che grida e non si guadagna il pane lavorando, sono felice che siano tutti in galera adesso’. Da questo incipit Romy inizia a scrivere il libro della sua vita. Ella doveva obbedire al clan, pena il disconoscimento e , in seguito, la morte sociale. Non avendo la forza di andarsene, scelse di scindere una parte di sè dedicandola alla stregua di un automa al mondo della non – legge, della promiscuità e delle grida, preservando la propria nel suo orto. Orto che fu, a tutti gli effetti, il vero campo di espressione del soggetto.
‘ Io non potevo dire quello che provavo Io non sono mai uscita da quel piccolo paese, ero convinta che tutto il mondo fosse fatto di scambi di coppie, droga e violenza. Ho patito per anni la vergogna di essere monogama, amante dello sport. Mi dicevano che ero pazza avrei voluto cercare un lavoro come botanica. Ho passato tutto quel periodo a vergognami di me stessa’. Ora vorrei solo un compagno, leggere, coltivare le piante e non avere mai più
contatti con i miei.’

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