Il recente disastro aereo della compagnia Germanwings va ad aggiungersi ad altri similari, tra i più ricordati quello del 1982 in cui un pilota di origine giapponese, sofferente di “disturbi nervosi”, causava 24 vittime, o quello del 1999 in cui un co-pilota della compagnia Egypt Air, che aveva manifestato intenti suicidari, impostava una folle picchiata nelle acque dell’Oceano Atlantico, o ancora il Boeing 737 che, precipitando in Indonesia nel 1997, costò la vita a 104 persone.
Questa ennesima tragedia in volo ha imposto una ridefinizione da parte delle compagnie aeree circa le modalità di gestione di situazioni critiche, quali, ad esempio, la compresenza di vissuti di sofferenza e ideazione suicidaria, attuale o pregressa, poco visibili e/o rimasti inosservati.
Assistiamo, tuttavia, al crescere, da parte dei media e di autorevoli istituzioni, di un improvviso e massivo interesse per il fenomeno del suicidio e della sua prevenzione, sempre a tragedia avvenuta. Questo aspetto sembra ricalcare quanta strada ancora deve essere percorsa affinché il fenomeno divenga oggetto di attenzione ed interesse da parte della salute mentale e dell’opinione pubblica.
Di fronte alla notizia del suicidio del co-pilota Andreas Lubitz, la suicidologia riafferma la necessità di guardare con attenzione alla complessità dell’uomo, del suo vissuto individuale, non sempre rilevabile attraverso una severa e dettagliata selezione del personale.
Operare una spiegazione del perché di una tale scelta appare riduttivo ed errato. Di fronte al suicidio è richiesto lo sforzo di comprendere, nel profondo, come questo fenomeno si imponga nell’esistenza di ognuno come risultato di un intimo dialogo interiore in cui l’individuo finisce per abbracciare il suicidio come unica soluzione al proprio dolore. “Raptus suicida” diviene, da questa prospettiva, un’espressione fuorviante che allontana dalla comprensione del suicidio, creando distanza ed erronee semplificazioni.
Nel caso trattato, l’attualizzarsi del suicidio e con esso il concretizzarsi di quelle che, fino ad allora, erano solo ideazioni e pensieri, è stato reso realistico e possibile dal manifestarsi di condizioni “ottimali” a connettere uno stato dell’umore con la possibilità di agire indisturbato.
Sospendendo ogni possibilità di accusa, giudizio o difesa, e provando ad entrare all’interno di quella visione tunnel propria dell’aspirante suicida, è possibile comprendere come il suicidio rappresenti, per molti, il solo modo per allontanarsi dal dolore insopportabile e quello stato di dissociazione, occorso in solo otto minuti, un’occasione, non consapevole, di sospendere ogni possibilità di riflessione circa l’attuarsi di un’azione che avrebbe stroncato la vita di così tante persone e cambiato, irreversibilmente, quella dei loro familiari.
Solo l’autopsia psicologica, strumento clinico di ricostruzione attraverso informatori attendibili, potrà servire a rivelare lo stato mentale del suicida e fare chiarezza sulle possibilità diagnostiche avanzate quali disturbi dell’umore, burn-out, pensiero magico e grandioso.
Nonostante sia molto raro che un pilota si suicidi a bordo dell’aereo che sta conducendo, ci sono precedenti di questo tipo sia negli Stati Uniti che all’estero. Secondo i dati della Federal Aviation Administration (FAA) – l’agenzia statunitense che regola l’aviazione civile – negli ultimi vent’anni i piloti americani che si sono uccisi in volo sono 24. Ritenendo che la prevenzione del suicidio operi a partire da un oculato intervento di informazione e formazione, si rendono necessarie campagne di informazione per i dipendenti, che facilitino la presa d’atto del problema ed esortino gli individui a chiedere aiuto senza sentire il peso della discriminazione. Gli enti preposti alla tutela dei passeggeri dovrebbero veicolare informazioni di questo tipo.
Saper riconoscere i segnali di allarme o essere stato preparato ad affrontare situazioni a rischio o critiche avrebbero dato all’equipaggio degli strumenti per tentare di fermare il gesto del co-pilota.
Per diverse ragioni, che qui ed in altri post abbiamo discusso, crediamo resti ardua, se non irrealizzabile, la possibilità di costituire un selezionato e ristrettissimo gruppo per il quale si possa essere capaci di escludere con certezza la presenza di un rischio suicidario. Mentre auspicabile e necessaria diviene la necessità di fornire informazioni circa i luoghi di lavoro deputati ad accogliere le richieste di aiuto.
Trovo questo articolo
Trovo questo articolo efficace, comprensbile senza essere semplificativo. In un momento nel quale abbiamo dovuto aprire gli ombrelli per difenderci dalla pioggia di diagnosi abbozzate qua e la sui media. Diagnosi utili al solo scopo di proteggere noi stessi dall’innominabile verità contenuta nel brano: l’impossibilità, anche con anamnesi precise ed approfondite, di poter prevedere azioni simili.