Si sono concluse le assise del congresso della Eurofederazione di Psicoanalisi, appuntamento biennale che si tiene a Bruxelles. Il tema di quest’anno era ‘Volere un figlio’
Un tema attuale, interrogato utilizzando gli strumenti della psicoanalisi, grazie alla quale possiamo leggere un 'nuovo' in maniera diversa, non omologante e senza pregiudizi o torsioni confessionali. Famiglie 'non tradizionali' alle prese con la maternità e la paternità, la ricerca di un figlio attraverso l'uso della tecnica che permette di generarlo facendo a meno dell'altro.
Un tempo da studiare, approfondire, e sul quale riflettere senza timori.
Questo tema mi ha dato il destro per indagare quel mondo che gira attorno alla cosiddetta pratica dell’utero in ‘affitto’, scoprendo storie di donne che accettano viaggi onoresi e a volte rischiosi, e di altre che , per denaro, alimentano questo complesso universo della procreazione prestando il loro corpo.
In Italia la legge sulla fecondazione medicalmente assistita esclude dai beneficiari le coppie omosessuali per le quali è altresì’ vietato il matrimonio ma non la possibilità di legarsi con un’unione civile. La Corte Costituzionale si è premurata di ribadire che il nucleo familiare debba proporre un modello nel quale siano presenti un padre e una madre. E’ su questo terreno, nel quale forte è la contaminazione tra legge dello Stato ed influssi del cattolicesimo, che si innesta la storia di L. e M. Esse militano in due mondi politici contrapposti: la prima attiva nel campo progressista e laico, la seconda trova il suo posto nel variegato mondo della destra estrema innervato da forti connotazioni religiose. Entrambe omosessuali, conducono una vita di coppia da diversi anni, nascondendola ai rispettivi ambienti e all’opinione pubblica. Mentre nell’agone politico si danno battaglia su temi quali la fecondazione eterologa e le coppie omo genitoriali, nella loro vita privata decidono di avere un figlio trasgredendo di fatto la legge. L, laica e femminista, è in assoluto la più motivata alla maternità, ma è di comune accordo che entrambe scelgono di ricorrere alla fecondazione eterologa in un paese extraeuropeo. L si trasferì all’estero poco prima che la pandemia da Covid investisse l’Europa. A causa delle restrizioni negli spostamenti decise di effettuare l’inseminazione e portare la gravidanza sino alla fine, parto compreso, nel paese ospitante. Il percorso si rivelò in realtà assai problematico e l’inseminazione non andò a buon fine. Fallito il tentativo decise, senza nulla dire alla compagna, di rivolgersi ad una clinica che offre, dietro elevatissimo compenso, la pratica dell’’utero in affitto’. Profittando di zone del mondo ove la legge prevalente è quella del denaro, e dove la componente confessionale è pressoché assente, riuscì a procurarsi un ‘pacchetto’ comprendente la donna deputata alla gestazione, l’ovulo, il seme da donatore previo finto matrimonio in loco. Non fu difficile per lei simulare una gestazione grazie alla distanza, colmata soltanto da videochiamate e contatti telefonici. Ad inizio del 2021 fece ritorno in Italia. Il suo racconto non resse a tante incongruenze e, messa di fronte ad una serie di contraddizioni, fu costretta ad ammettere la verità dei fatti. M andò incontro ad un profondo turbamento personale e, come L mi riferisce, la sua ‘ gioia nel rivedere me ed il bambino fu ben presto offuscata dal senso di colpa dettato dal peso del peccato’. M ritenne intollerabile l’utilizzo di un’altra donna per soddisfare il loro desiderio di maternità e, adducendo il fatto che questo violava i suoi codici morali, interruppe il rapporto. E’ in questo momento che io ricevo L: sola, profondamente abbattuta, preda dei morsi della depressione tamponati con un uso smodato di psicofarmaci. Il suo desiderio furente è quello di vendicarsi.
Il primo movimento importante del suo percorso si ha quando le dico fermamente: ‘ Lei è qua per cercare una vendetta? Rifletta se è questo il luogo adatto’. Colpita, sospende le sedute. Mi richiama un mese e mezzo dopo per riprendere. ‘Non voglio questo, io voglio proteggere mio figlio’. Dunque quella prima irruenza senza domanda, che faceva presagire una deriva paranoica e de-soggettivante, defluisce per lasciare spazio a questioni più profonde che affiorano ben presto, inaugurando di fatto la sua rettifica soggettiva. In seduta si dimostra ben consapevole che servirsi di una donna in affitto avrebbe costituito un limite invalicabile per la legge alla quale M è devota, cioè quella di Dio. ‘ Da lei ho ottenuto il massimo di concessione che un cattolico può fare ’ dice, ammettendo di fatto di aver messo in conto, e forse procurato, l’abbandono. La sua tenace volontà di gravidanza ad ogni costo si rivela progressivamente un monolite poggiato su un terreno stratificato ove il desiderio di un figlio si mescola con un insoluto con l’Altro materno. La sua famiglia era di stampo progressista e laico. La sua omosessualità, dichiarata in tempo di preadolescenza, venne accettata non senza una nota materna di rammarico. ‘ ‘Si però’, ‘ si ma’, è con queste frasi che mia madre mi faceva intendere che ero incompleta’. In nome di un appartenenza politica che aveva nella lotta alla discriminazione un plinto fondamentale la madre, a differenza del padre che non barcollò mai, accettò malvolentieri la situazione non senza accusare un senso di incompletezza personale causato dal ‘difetto’ della figlia che lasciava maliziosamente trasparire con frasi quali :‘ Eh! niente maglioncini per il nipote..’. La sua è una rettifica dolorosa e il prendere atto delle cicatrici lasciate dalla madre la fa chiudere in un abbozzo di resistenza :‘ ma io ho una diagnosi di depressione, è da questo che devo guarire!’. Le dico che la diagnosi non può essere un dogma e la invito a proseguire nel rivedere il suo passato. Prevedibilmente accetta, si sveste del significante ‘depressione’ e, non senza patimento, ammette che il pregiudizio materno di non avere ‘ tutte le carte in regola’ l’ha afflitta da sempre, rendendo la percezione di un ‘baco’ originario un dato imprescindibile nella sua storia. Tuttavia il modo col quale ha organizzato la sua vita e il posto ricavato per il figlio non consente di collocarlo semplicemente al rango di mero ‘completamento’ di questo ‘difetto’. Altri elementi suggeriscono di prendere in considerazione la presenza di un desiderio materno. E’ infatti forte in lei una volontà di trasmissione di quei valori nei quali crede: la libertà di scelta in campo affettivo, la laicità come garanzia per il figlio di costruirsi un’identità soggettiva, il che marca una netta discontinuità dalle mura materne ove questi significanti erano esposti ipocritamente. Quale spazio da al figlio? Cercare un utero in affitto equivale per lei ad una scelta consapevole, e sopportabile, di essere abbondata da M, rivelando la volontà di dare e circoscrivere uno spazio per il bambino il quale, se fosse nato con l’inseminazione, sarebbe vissuto nell’ombra seguendo un destino di negazione e sotterfugio dovendo sottostare ai voleri di M, irremovibile nel tenere sia lui sia la loro storia d’amore segrete per ‘ non dare scandalo’. La sua azione ha dunque operato nella direzione di dare alla luce, in tutti i sensi, un bambino. Se quest’ultimo costituisca un elemento per placare il ravage con la madre o sia il frutto di un desiderio di un figlio, sarà il proseguo del suo percorso a chiarificarlo. Ciò che invece appare chiaro è che la posticcia etichetta psichiatrica sfuma nel tempo svelando un movimento molteplice di separazione. Dietro la separazione dalla donna amata, motivo dell’inziale richiesta di aiuto, è possibile scorgere una scelta più radicale : Il distacco dall’Altro materno è forse il gancio più antico e tenace dal quale ella cerca di prendere le distanze. Questa vicenda racconta, alla fine, di un conflitto tra legge e desiderio. Due donne appartenenti a patirti politici diversi, con sistemi valoriali avversi, diverse le lex alle quali hanno scelto di sottomettersi, decidono di infrangere quelle regole che in politica servono lealmente. Per una delle due l’ordine di appartenenza, la fede cattolica, si dimostra più forte del desiderio di essere madre e del voler fare coppia. Per L , che milita in un campo progressista, un Altro altrettanto rigido e vincolante nel quale la pratica dell’utero in affitto è ritenuta indegna e svilente per la donna, la ricerca di un figlio prevale e sopravanza l’appartenenza politica e il suo credo ‘femminista’, votato alla tutela della donna che è stato per anni la guida del suo agire. L , a differenza di M, trova dentro di sé la forza di disarticolare il dispositivo della subordinazione perversa alla volontà dell’Altro ribadendo sino in fondo la sua irriducibile soggettività, esprimendo una volontà di essere madre non appaltabile ad alcun sistema di valori predominate.
*La pubblicazione di questo caso è resa possibile grazie alla liberatoria concessa, in omaggio al desidero di testimoniare di un mondo ancora poco conosciuto in Italia.
Al contempo i dati anagrafici, geografici, occupazionali esposti sono stati modificati in modo da rendere irriconoscibili i protagonisti.
Un’ottima riflessione che
Un’ottima riflessione che però perde un elemento essenziale.
La specificità LGBTI è ignorata completamente.
Il mancato ComingOut è infatti un elemento fondamentale nel conflitto di coppia e nella scelta valoriale.
L’adesione all’identità omofoba di M. è l’effetto non analizzabile direttamente di un ambiente familiare omo.transfobico, che fa violenza sulla relazione di coppia.
Questa violenza del nascondersi è anche nel non rendersi disponibile ad essere la madre biologica nella coppia.
La libertà di essere madre e lesbica viene negata ed L. è solo un sex-toy disumanizzato.
Liberarsi del legame tossico ed affermare il desiderio e il diritto di maternità è avvenuto attraverso la stessa arma violenta di M.
Il Nascondersi!
L. quindi è diventata come M. per affermare il suo diritto, invece di lottare per l’emancipazione di M. o almeno chiedere a lei di essere madre.
Molte coppie LGBTI in Italia soffrono della violenza del/la partner che non fa ComingOut.
Il ComingOut è il meccanismo dell’emancipazione LGBTI ed è lo strumento che spezza il Minority Stress causato dai traumi infantili ossia dalla cultura familiare e sociale omo.transfobica.
In fondo basterebbe che in Ginecologia Ostetricia Pediatria e Medicina di Base si cominciasse a dire che si nasce M F ed LGBTI e che va bene così, per interrompere alla base il Minority Stress e facilitare il ComingOut.
Il sostegno attuale al ComingOut di M. avrà, secondo gli studi americani un buon risultato ma la salvaguardia delle future generazioni LGBTI è un obiettivo sanitario di prevenzione possibile.
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