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XV Congresso Nazionale della Società Italiana di Psicopatologia (SOPSI)

6 Feb 13

Di FRANCESCO BOLLORINO

PSICHIATRIA 2011: Vulnerabilità, esordi, intervento precoce

Presentazione di Mario Maj

Quando una persona con un disturbo mentale arriva all’osservazione di uno psichiatra, una parte considerevole dell’evoluzione della sua patologia si è spesso già compiuta. La nostra osservazione e la maggioranza delle descrizioni tradizionali dei disturbi mentali partono da un punto già abbastanza o molto avanzato, e la ricostruzione retrospettiva di ciò che è accaduto prima è difficile e soggetta a molteplici fattori di confondimento, sia per chi racconta che per chi ascolta portando con sé le sue convinzioni e i suoi schemi culturali.
Lo psichiatra deve sapere, però, che esistono oggi diversi studi prospettici, condotti su coorti di soggetti per vari motivi a rischio seguiti per diversi anni, che stanno un po’ alla volta componendo un puzzle descrivibile con linguaggi differenti: da quello degli endofenotipi biologici e comportamentali a quello degli stili di attaccamento, da quello del trauma e della resilience a quello dei precursorie dei prodromi delle varie forme di psicopatologia.
Il clinico deve conoscere tutto questo, per diversi motivi. In primo luogo, egli non può permettersi oggi di condividere con la gente comune l’oscillazione tra l’idea che i disturbi mentali siano qualcosa di sostanzialmente inspiegabile che piove sull’individuo all’improvviso e l’idea che essi siano invece nient’altro che la comprensibile reazione agli eventi avversi dell’esistenza. Certo noi non siamo in grado di vedere oggi il puzzle completo e neppure in via di completamento, ma dobbiamo almeno sapere quali sono i tasselli di questo puzzle e seguire i tentativi in corso di collocarli al loro posto. In secondo luogo, lo psichiatra non può limitarsi oggi a ratificare come patologico il disturbo mentale conclamato, ma ha il dovere di acquisire l’esperienza e l’acume clinico necessari per cogliere la psicopatologia in nuce o in fieri nel mare magnum della sofferenza esistenziale e della devianza sociale. In terzo luogo, lo psichiatra non può prescindere dalla prospettiva storica in quella caratterizzazione clinica del singolo caso che segue sempre la pura e semplice diagnosi, e che è decisiva per la scelta dell’intervento terapeutico.
Infine, l’evidenza della ricerca deve oggi guidare più esplicitamente l’organizzazione dei servizi e più in generale la tutela della salute mentale. La prevenzione primaria universale del “disagio psichico” attraverso l’attivismo socio-politico rappresenta uno sforzo generoso, ma con scarso fondamento scientifico. La prevenzione selettiva, cioè mirata a sottogruppi di popolazione e ad individui a rischio, è forse meno attraente sul piano ideologico e certo più impegnativa, perché richiede formazione e competenza e non soltanto entusiasmo e buon senso, ma ha un supporto scientifico che, per quanto parziale, è assai più convincente. Il riconoscimento e l’intervento precoce nei disturbi mentali non può prescindere dallo sviluppo di una rete di servizi per la salute mentale nell’età evolutiva, oggi assente nel nostro paese. Quelli della psichiatria e della neuropsichiatria infantile non possono essere due mondi separati che comunicano solo occasionalmente tra loro. L’intervento dei servizi di salute mentale nella scuola, nei luoghi di lavoro, nelle carceri non può dipendere soltanto dall’iniziativa di singoli gruppi o operatori, ma deve essere sistematico e seguire protocolli validati.
Di tutto questo si parlerà nel Congresso SOPSI 2011, con il contributo dei principali esperti internazionali e dei ricercatori e clinici italiani che hanno dati ed esperienze da condividere, e con la partecipazione, noi speriamo, di tutti gli psichiatri italiani che credono nel loro lavoro e lo considerano non soltanto una missione ma anche una professione.

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