La vita
Giorgio Sacerdoti nacque a Padova il 3 gennaio 1925 da una famiglia di tradizione ebraica e si trasferì a Venezia negli anni ’50. Ebbe un’infanzia agiata, da adolescente fu grande appassionato di equitazione, che praticava nel parco di famiglia a Padova, e di voga all’inglese, che svolgeva presso la Società Canottiera patavina co-fondata dal nonno. Negli anni bui del regime fascista gli fu negato l’accesso alle istituzioni pubbliche, scolastiche e sportive. Riuscito a sfuggire alla persecuzione fascista e a quella tedesca, dopo la liberazione riprese gli studi universitari, laureandosi nel 1949 in Medicina e Chirurgia all’Università di Padova con il massimo dei voti. Nel 1952 si specializzò in Neurologia presso lo stesso ateneo, dove nel 1953 conseguì anche una seconda specializzazione in Medicina Legale e delle Assicurazioni.
Dal 1950 Giorgio Sacerdoti fu in servizio presso l’Ospedale Psichiatrico Provinciale di Venezia, dapprima quale medico di sezione incaricato, quindi, dal 1952 -a seguito di pubblico concorso- quale medico di sezione effettivo e, dal 1960, in qualità Primario. Dal 1964 fu incaricato della vice-direzione e dal 1969 divenne Direttore dei Servizi Psichiatrici del Centro Storico di Venezia e sostituto del Direttore dei Servizi Psichiatrici della Terraferma veneziana. Alla fine degli anni sessanta fondò l’Ospedale di Giorno di ‘Palazzo Boldù’ per giovani psicotici. A partire dalla fine degli anni cinquanta dedicò parte dei suoi interessi alla trasmissione del sapere in ambito psichiatrico, psicoterapeutico e medico legale. Tra i molti corsi tenuti presso l’Università di Padova, si ricordano le lezioni di Psichiatria (libera docenza ottenuta nel ’59), Psichiatria Infantile (a. a. ’60-’61), Psichiatria Forense (a. a. ’62-’63), Antropologia Criminale (libera docenza ottenuta nel ’64) e Delinquenza Minorile (a. a. ’63-’69).
Nei primi anni ’60 iniziò la sua analisi personale con Cesare Musatti, diventando ordinario e poi didatta della Società Psicoanalitica Italiana. Fu profondo conoscitore di Freud e di molti altri Autori che soleva leggere in tedesco ed in inglese prima ancora che in italiano. Consapevole che l’opera di traduzione contiene sempre anche un certo grado di tradimento, nei suoi scritti citava spesso i testi in lingua originale. Per diversi anni fu l’unico analista didatta del Veneto e attorno alla sua persona iniziarono le prime attività del Centro Veneto di Psicoanalisi. Il 13 dicembre 1980 Giorgio Sacerdoti, assieme ad Anteo Saraval, Antonio Alberto Semi, Savo Spacal e Carla Rufina Zennaro, fondò il Centro Veneto di Psicoanalisi.
Di quei primi incontri, svolti nel salotto della casa di Sacerdoti e poi degli altri colleghi del neonato centro, si ricordano la grande ospitalità e la cura affinché tra i partecipanti si potesse instaurare un clima autenticamente accogliente, una sorta di alone affettivo che rendeva quegli incontri non solo occasioni di proficuo scambio di idee ma anche momenti estremamente piacevoli.
Il contributo alla psicoanalisi
Giorgio Sacerdoti è stato uno psicoanalista della “generazione di mezzo” degli analisti italiani. Fu nel contempo rappresentativo quanto appartato. Il suo pensiero psicoanalitico, profondamente radicato nella teoria classica freudiana, sapeva cogliere quanto di utile fosse contenuto nelle differenti teorizzazioni. Dalla lettura dei numerosi scritti, l’impressione generale che se ne ricava è quella del piacere per una ricerca precisa e originale. Il rigore terminologico che sempre lo contraddistingue appare uno dei pilastri sui quali poggiano i rapidi quanto illuminanti cambiamenti di prospettiva. È interessante seguire i fili che Sacerdoti tesse, perché questi conducono il lettore all’osservazione della complessità e mutevolezza dei fenomeni psichici, istituzionali e sociali, partendo da una base fornita da chiare definizioni teoriche, attraverso momenti di necessaria rottura.
Sacerdoti fu un esperto scopritore e costruttore di ponti. Un ponte potrebbe essere definito come una struttura pensata(1) e/o realizzata per superare un ostacolo che impedisce la continuità di una via di comunicazione. Si potrebbe aggiungere che un ponte esiste quando sono presenti alcuni elementi fondamentali come una via di comunicazione, cioè un desiderio di proseguire una certa strada perché effettivamente necessaria o utile, e un ostacolo che si frappone ad essa segnalando nel contempo la presenza di aree separate che possono essere collegate. Quindi una via, un desiderio, un ostacolo e delle differenze che per quanto uno lo voglia saranno sempre presenti, almeno finché il ponte sarà lì a testimoniarlo. Ed il pensiero di Sacerdoti è sempre volto a collegare e distinguere, proprio come fa un costruttore di ponti. Questa polarità è rintracciabile in tutta la sua opera, come una necessaria oscillazione tra poli – ad esempio realtà psichica/realtà materiale, conscio/inconscio, pulsione/relazione, pensiero clinico/pensiero teorico – a garanzia della complessità della realtà umana.
Il modo di procedere di Sacerdoti mette continuamente in evidenza come la scienza, e quindi anche la psicoanalisi, sia una impresa umana e come tale non potrà mai spiegare la totalità dell’esperienza’. Tuttavia, questo dato di fatto coesiste con l’esigenza di considerare la totalità, a patto che si tenga a mente che è un’impresa impossibile e che esistono dei limiti del pensiero, che molto preoccupavano il professore. Dogmatismo, scorciatoie mentali, irrigidimenti teorici ma anche specifici meccanismi difensivi quali la negazione e il diniego, finalizzati a impedire di considerare il tutto o a salvaguardare il senso di unità dell’Io. Per Sacerdoti la realtà umana è sempre più complicata di quel che riusciamo a pensare.
La sua originalità di pensiero gli permise di collegare, senza mai confondere, psicoanalisi classica e psichiatria. Nel lavoro di tutti i giorni, riuscì ad introdurre elementi umani e scientifici in modo tale da non negare né le dinamiche istituzionali, né quelle intrapsichiche. Un articolo del ’71, dal titolo “Fantasmi, miti e difese nell’assistenza psichiatrica”, illustra molto bene il collegamento tra la sponda psicoanalitica e quella psichiatrica. In questo lavoro, l’autore dimostra come lo strutturarsi dell’assistenza psichiatrica sia determinato dai tipi e dalle vicissitudini dei meccanismi di difesa nei confronti della malattia psichiatrica: “(…) un’importanza preminente possano avere le difese nel senso psicoanalitico del termine (…) in particolare, prendendo in considerazione il meccanismo difensivo di negazione, si può intravedere la possibilità di un’applicazione concreta del metodo psicoanalitico all’istituzione psichiatrica; evitando da un lato la tendenza a generalizzare quanto emerge dall’esperienza clinica individuale ai fenomeni collettivi (‘etnocentrismo professionale degli psicoanalisti’) e dall’altro la tendenza a negare la specificità del fatto psicopatologico (‘negazione istituzionalizzata’ degli ‘antipsichiatri’)” (Sacerdoti, 2008, 54).