Sommario: 1. Amministrazione di sostegno: bozza Cendon e iniziative legislative. Testo unificato della Commissione giustizia presentato alla Presidenza della Camera dei Deputati il 7 ottobre 1998 (Rel. Maggi). – 2. Funzioni dell'amministratore di sostegno e capacità del beneficiario. – 3. Non obbligatorietà della pronuncia di interdizione o di inabilitazione. – 4. Età avanzata quale possibile presupposto dell'amministrazione di sostegno. – 5. Amministrazione di sostegno, interdizione e inabilitazione: momenti di collegamento. – 6. Competenza. – 7. Capacità del beneficiario. – 8. Forma del provvedimento. – 9. Legittimazione all'istanza. – 10. Studi professionali, istituti di credito, altri enti pubblici o privati e remunerazione dell'ufficio. – 11. Procedimento di nomina. – 12. Segue: ruolo del pubblico ministero. – 13. Atti individuabili dal giudice e donazione. – 14. Competenza del giudice tutelare all'annullamento degli atti realizzati dall'amministratore senza l'autorizzazione giudiziaria. – 15. Legittimazione all'annullamento. – 16. Segue: legittimazione del p.m. – 17. Decorrenza del termine di prescrizione. – 18. Contrasto tra beneficiario e amministratore. – 19. Considerazioni conclusive.
1. Nel corso degli anni ottanta, anche sulla base di esperienze straniere (1) e su sollecitazione della dottrina più sensibile (2), un gruppo di ricerca diretto dal prof. Paolo Cendon dell'Università degli studi di Trieste elaborò una interessantissima proposta di riforma del codice civile in materia di infermi di mente (3).
Uno degli aspetti più qualificanti della bozza era costituito dall'introduzione nel nostro ordinamento di un nuovo istituto, denominato "Amministrazione di sostegno" (art. 11 ss.), finalizzato a proteggere i "disabili" con la nomina di un amministratore e con la limitazione della capacità legale, non però in assoluto ma con esclusivo riguardo agli atti individuati nel singolo provvedimento dall'autorità giudiziaria.
L'innovazione si caratterizzava per una intrinseca elasticità e consentiva di realizzare una forma di difesa su misura, cioè in considerazione dei bisogni specifici del soggetto, soddisfacendo ad un tempo l'esigenza di tutelare i suoi interessi, quella di non escluderlo nei limiti del possibile dalle attività civili e quella di svilupparne le residue energie psicofisiche.
L'impulso dottrinale ha determinato negli anni successivi la presentazione in Parlamento di diverse proposte di legge sull'amministrazione di sostegno, tutte aventi come punto di partenza i risultati della ricerca coordinata dal prof. Cendon. Purtroppo nessuna delle iniziative legislative ha concluso l'iter soprattutto per lo scioglimento anticipato delle Camere, fenomeno che ha caratterizzato le ultime legislature.
Si può richiamare il disegno di legge n. 2571, d'iniziativa governativa, presentato alla Camera dei Deputati il 23 aprile 1993 (c.d. disegno Bompiani: Istituzione dell'amministratore di sostegno a favore di persone impossibilitate a provvedere alla cura dei propri interessi) (4); il disegno di legge n. 448, d'iniziativa del senatore Perlingieri, presentato al Senato della Repubblica il 21 giugno 1994 (Istituzione dell'amministrazione di sostegno) (5); il disegno di legge n. 776, sempre d'iniziativa governativa, presentato al S.R. il 10 agosto 1994 (c.d. disegno Guidi: Ministro per la famiglia e la solidarietà sociale), che sostanzialmente riproduceva il testo Bompiani.
Nella legislatura corrente erano all'attenzione della C.D. la proposta di legge n. 960, primo firmatario Giacco, presentata il 16 maggio 1996 (Norme per la tutela delle persone fisicamente o psichicamente non autosufficienti e per l'istituzione dell'amministratore di sostegno a favore delle persone impossibilitate a provvedere alla cura dei propri interessi), e il disegno n. 4040, di iniziativa governativa, presentato il 24 luglio 1997 (c.d. disegno Turco: Ministro per la solidarietà sociale), che seppur con qualche significativa modifica ricalcava ancora una volta il progetto Bompiani.
Le due proposte sono confluite nel testo unificato della Commissione giustizia (relatore Maggi), presentato alla Presidenza il 7 ottobre 1998 (Disposizioni in materia di funzioni del giudice tutelare e dell'amministratore di sostegno).
2. A differenza della bozza Cendon, che in relazione agli atti presi in considerazione dal giudice nell'istituzione dell'amministrazione di sostegno configurava una incapacità o una semincapacità del beneficiario (art. 19), o del disegno Perlingieri che individuava un'amministrazione di sostegno incapacitante (art. 8) ed una non incapacitante (art. 5), il testo Maggi da un lato sancisce la possibilità di nomina di un amministratore di sostegno – con funzioni rappresentative – a soggetti che si trovino nell'impossibilità, anche temporanea, di provvedere ai propri interessi, senza riduzione o attenuazione della loro capacità (artt. 2, comma 1, e 6, comma 1); dall'altro prevede che il giudice possa disporre che alcuni atti debbano essere compiuti dal beneficiario necessariamente con l'assistenza dell'amministratore (art. 9, rubricato "Assistenza necessaria"). Analoga soluzione si rinveniva in tutte le altre iniziative legislative, ad eccezione del disegno Turco che escludeva ogni possibilità di incidenza del nuovo istituto sulla capacità legale, perfino nella forma più lieve della semincapacità.
La scelta appare non del tutto convincente e in contrasto con il fine dichiarato (art. 1, comma 1) di voler limitare ai casi estremi il ricorso agli istituti dell'inabilitazione e dell'interdizione, giacché potrebbe determinare l'esigenza di ricorrere alla misura di protezione più drastica anche là dove risulti utile un'incapacità assoluta soltanto in relazione ad alcune categorie di atti.
Per la verità la strutturazione dell'istituto non sembrerebbe presentare inconvenienti in relazione all'efficacia della tutela per gli atti di particolare importanza del beneficiario, nonostante la inidoneità a provvedere convenientemente ai propri interessi. La possibile istituzione dell'amministrazione con assistenza necessaria (art. 9, comma 1) fa sì che alla realizzazione degli stessi debba necessariamente partecipare, pena l'invalidità, sia il beneficiario sia l'amministratore.
Per converso, la funzione rappresentativa dell'amministratore con riferimento agli atti individuati dal giudice (art. 6, comma 1) consente di superare i limiti che caratterizzano l'inabilitazione, ove il curatore di norma ha soltanto un ruolo di assistenza (cfr. art. 394 c.c.).
Rimane però il problema dell'inoperatività dell'incapacità legale del beneficiario per gli atti in relazione ai quali sia assegnato un ruolo sostituivo all'amministratore, evidentemente con una legittimazione concorrente, a meno che non si prospetti ex art. 2, comma 2, un'incapacità del beneficiario riguardo a tutti gli atti considerati nel provvedimento istitutivo dell'amministrazione di sostegno con o senza assistenza necessaria (6).
3. Perplessità suscita anche la ipotizzata modifica dell'art. 414 c.c. nel senso di rendere non più obbligatoria la dichiarazione di interdizione o di inabilitazione in presenza dei presupposti di legge (art. 1, comma 2) (7).
La proposta si rinveniva già nella bozza Cendon (art. 23) e nel progetto Giacco (art. 8, comma 2).
I dubbi sono sollecitati ancora una volta dalla manifestata intenzione "di limitare ai casi estremi il ricorso agli istituti dell'inabilitazione e dell'interdizione" (art. 1, comma 1). Infatti se a queste misure si deve ricorrere nelle situazioni più gravi è difficile poi giustificare la non obbligatorietà della pronuncia.
D'altro canto, a livello costituzionale le forme di tutela, essendo finalizzate al pieno sviluppo della persona, realizzano un principio di ordine pubblico, sì che non possono non trovare attuazione se ricorrono le condizioni previste dalla legge. E in effetti, de iure condito, dottrina e giurisprudenza già risolvono nel senso dell'obbligatorietà la questione della presunta discrezionalità dell'inabilitazione in contrapposizione alla doverosità dell'interdizione, nonostante le formule adottate dal legislatore sembrino orientate per una diversa soluzione (cfr. artt. 414 e 415 c.c.) (8).
4. Nell'art. 2, comma 1, è richiamata tra le cause che possono determinare l'impossibilità di provvedere ai propri interessi (e dunque giustificare l'istituzione dell'amministrazione di sostegno) anche l'età avanzata. Eccettuato il disegno Perlingieri, tale previsione ha caratterizzato tutte le altre proposte di legge, a partire dalla bozza Cendon (art. 12). Ciononostante, non si può non sollevare qualche riserva sulla scelta operata, se non altro in relazione alla possibile incidenza dell'amministrazione di sostegno sulla capacità legale (art. 9).
O la senilità incide sulla salute e quindi si sostanzia in uno stato patologico, oppure se è espressione di un aspetto fisiologico della vita umana sicuramente non può determinare nessuna forma di incapacità, neppure limitata (9).
La previsione inoltre mal si concilia con l'art. 5, comma 2, ove si dispone che all'istanza deve essere allegata una certificazione medica "attestante la natura della malattia o menomazione e gli effetti ostativi o limitativi sulle capacità dell'interessato": non sembra che l'età avanzata possa essere configurata né come malattia né come menomazione a meno che non si accompagni a forme patologiche. Il richiamo all'età avanzata tutt'al più si poteva giustificare nel diverso contesto della proposta Turco che, come ricordato, non prevedeva quale effetto dell'amministrazione di sostegno nessuna forma di incapacità.
5. Lascia riflettere, inoltre, la esclusione della nomina dell'amministratore nel caso di intervenuta pronuncia di inabilitazione o di nomina del curatore provvisorio (art. 2, comma 1; v. anche art. 7, comma 2). Infatti, a differenza dell'amministratore che può avere poteri rappresentativi, il curatore di regola non ha poteri sostitutivi e la sua funzione è di integrazione della volontà dell'incapace o se si vuole di controllo dell'attività eccedente l'ordinaria amministrazione (10).
In realtà sembra quasi che si dia per scontato che l'amministrazione di sostegno necessariamente sia una misura di protezione meno intensa della stessa inabilitazione; là dove essa con il meccanismo dell'assistenza necessaria in combinazione con l'assegnazione di poteri sostituitvi all'amministratore si potrebbe utilmente porre anche a metà strada tra l'interdizione e l'inabilitazione. Da qui la necessità di una più approfondita riflessione sui momenti di collegamento dei tre istituti.
6. Merita approvazione, invece, la determinazione della competenza territoriale del giudice tutelare esclusivamente in base alla residenza della persona (art. 2, comma 1), come già ipotizzato nel disegno Perlingieri (art. 1). Infatti, le altre proposte, tranne la bozza Cendon che faceva riferimento soltanto al domicilio (art. 14), accanto alla residenza richiamavano la dimora (v. ad es., Bompiani, art. 1) con possibile ed inopportuna sovrapposizione di competenza.
7. Qualche riflessione critica sollecita anche il comma 2 dell'art. 2: "Per tutti gli atti che non formano oggetto dell'amministrazione di sostegno, la persona beneficiaria conserva la capacità di agire". In effetti interpretando a contrario tale comma si potrebbe arrivare a delineare un'incapacità legale del beneficiario per tutti gli atti che rientrano nella sfera di incidenza dell'amministrazione di sostegno, in aperto contrasto con lo spirito della proposta e con l'art. 9, comma 1, che sembrerebbe individuare l'unica forma di amministrazione incapacitante, come si argomenta dall'annullabilità degli atti realizzati dal beneficiario senza l'assistenza dell'amministratore.
Il precedente al quale si può ricollegare il comma in esame è l'art. 12, comma 2, della bozza Cendon, ove si asseriva: "Il beneficiario dell'amministrazione di sostegno conserva la capacità nell'esercizio dei propri diritti, salvo per quanto si riferisce agli atti indicati nell'art. 411". Ma qui l'affermazione aveva un significato preciso, quello di ribadire che per gli atti non presi in considerazione nel provvedimento istituitivo dell'amministrazione, sempre incapacitante o semincapacitante (v. artt. 18 e 19), il beneficiario conservava integra la propria capacità.
8. In generale si può condividere la scelta – finalizzata a snellire il procedimento – di assegnare la nomina dell'amministratore di sostegno al giudice tutelare, che deve provvedere con decreto (art. 3, comma 1).
Qualche dubbio può essere sollevato, sia sulla competenza del giudice sia sulla forma del provvedimento, là dove l'amministrazione determini anche la semincapacità (art. 9) (11).
Infatti, se è vero che "Contro i decreti del giudice tutelare si può proporre reclamo con ricorso al tribunale, che pronuncia in camera di consiglio" (art. 739, comma 1, c.p.c.), è altrettanto vero che "Salvo che la legge disponga altrimenti, non è ammesso reclamo contro i decreti (…) del tribunale pronunciati in sede di reclamo" (comma 3). Non a caso il disegno Perlingieri (art. 8, comma 1), riguardo all'amministrazione di sostegno incapacitante, con esplicito rinvio all'art. 712 ss. c.p.c., attribuiva la competenza al tribunale con l'intento di riconoscere al soggetto sottoposto al procedimento le stesse garanzie previste per l'interdicendo e l'inabilitando, anche al fine di scongiurare eventuali dubbi di legittimità costituzionale (12).
9. In tema di legittimazione all'istanza, va sottolineato che ai sensi dell'art. 3, comma 2, la richiesta di nomina può essere presentata, oltre che dai soggetti specificamente individuati nel comma 1, "da chiunque venga a conoscenza dello stato di impossibilità" di una persona di provvedere alla cura dei propri interessi o di amministrare il proprio patrimonio.
La disposizione, contenuta già nella iniziativa legislativa Giacco (art. 10, comma 2), recupera, seppur in forma indiretta, la legittimazione all'istanza del "convivente che dai registri dello stato civile risulti avere la stessa residenza della persona cui il procedimento si riferisce" contemplata nella bozza Cendon (art. 15, comma 3) e nel disegno Perlingieri (art. 2, comma 2), ma non nelle altre proposte.
10. Sempre dalla proposta Giacco (art. 11, comma 1) il testo unificato riprende la possibilità di nominare amministratore di sostegno "uno studio professionale, un istituto di credito o altro ente pubblico o privato, scelto tra quelli più idonei alla funzione" (art. 4, comma 1). Già l'art. 354 c.c. consente in alcune ipotesi di deferire la tutela ad un ente di assistenza (comma 1), ma lascia comunque al giudice tutelare la possibilità di nominare un tutore quando la natura o l'entità dei beni o altre circostanze lo richiedano (comma 2).
Nel disegno, dunque, si propone un ribaltamento della logica codicistica, giacché proprio in considerazione della funzione dell'amministrazione verosimilmente la scelta potrà ricadere su uno studio professionale o su un istituto di credito allorché il beneficiario abbia necessità del sostegno esclusivamente riguardo alla gestione del patrimonio.
Connessa con la problematica in esame appare la sancita remunerazione dell'ufficio di amministratore in proporzione all'entità degli interessi da curare: il giudice tutelare può disporre la gratuità dell'ufficio soltanto "In caso di modesta entità degli interessi e dell'impegno per l'attività di gestione" (art. 11, comma 3). Anche questa soluzione caratterizzava il disegno Giacco (art. 16, comma 3), a fronte della gratuità dell'ufficio prospettata nelle altre proposte, tranne che nella bozza Cendon (art. 20), che rendeva applicabile l'art. 379 (gratuità della tutela) salva diversa indicazione del giudice.
Non deve meravigliare la scelta di remunerare un ufficio di diritto civile, con oneri a carico del patrimonio del beneficiario, in ipotesi di gestione di interessi particolarmente complessi. Certamente si pone un problema di coordinamento con la gratuità della tutela, soprattutto in considerazione della decisione della Corte cost., 24 novembre 1988, n. 1073 (13), secondo la quale l'equa indennità che ai sensi dell'art. 379, comma 2, c.c. può essere assegnata al tutore, in ragione dell'entità del patrimonio e delle difficoltà dell'amministrazione, non ha natura retributiva, ma serve a compensare gli oneri e le spese non facilmente documentabili.
11. Riguardo al procedimento di nomina l'art. 5, comma 3, riproponendo il testo della proposta Turco (art. 4, comma 3), stabilisce che il giudice tutelare "deve sentire direttamente la persona cui il procedimento si riferisce", in luogo dell'espressione meno impegnativa "può sentire" adottata negli altri disegni (v. ad es. Bompiani: art. 4, comma 3; Giacco, art. 12, comma 3). Una riflessione sul punto potrebbe risultare opportuna se si pensa alle dispute interpretative alle quali ha dato luogo il testo, sebbene più categorico, dell'art. 419, comma 1, c.c. in tema di interdizione e di inabilitazione, dispute interpretative che hanno visto impegnata anche la Corte costituzionale con una decisione di manifesta infondatezza (14). Forse la soluzione adeguata in argomento è quella contenuta nella bozza Cendon (art. 17, comma 1), nella quale si optava per l'espressione "Il giudice, ove possibile, deve sentire direttamente la persona cui il procedimento si riferisce".
12. La questione più delicata in materia di procedimento è però sicuramente il ruolo che assume il pubblico ministero.
Nell'art. 5, comma 8, si afferma che "Il pubblico ministero può intervenire nel procedimento di nomina dell'amministratore di sostegno". Sembrerebbe configurarsi un intervento facoltativo e non obbligatorio perfino in ipotesi di amministrazione di sostegno con assistenza necessaria, con non poche difficoltà di coordinamento con le disposizioni che regolamentano gli interventi del p.m. nel processo. In particolare con l'art. 70, comma 1, n. 1, c.p.c., ove è sancito che il p.m. deve intervenire, a pena di nullità rilevabile d'ufficio, "nelle cause che egli stesso potrebbe proporre": l'art. 3, comma 1, richiama l'art. 417 c.c. sì che l'amministrazione di sostegno sicuramente può essere attivata dal p.m.
Quand'anche si volesse distinguere tra "cause" e procedimento davanti al giudice tutelare che può portare all'amministrazione di sostegno, comunque emergerebbe un dubbio di legittimità costituzionale (per contrasto con l'art. 3 cost.), in relazione alla disparità di trattamento tra la posizione dell'inabilitando (cfr. artt. 71 e 713 c.p.c.) e quella del sottoposto a procedimento di nomina ai sensi dell'art. 9.
La disposizione del testo unificato non trova precedenti negli altri disegni. La bozza Cendon non contemplava proprio l'intervento nel procedimento del p.m., ma alla soluzione nel senso dell'obbligatorietà si perveniva in via interpretativa per il combinato disposto dell'art. 15, comma 3, della proposta di riforma e dell'art. 70, comma 1, nn. 1 e 3, c.p.c. Il testo Bompiani, nel distinguere l'amministrazione di sostegno con o senza assistenza necessaria, prevedeva per la prima l'intervento obbligatorio (art. 6, comma 2). Così anche il disegno Guidi (art. 6, comma 2). La proposta Giacco esplicitamente sanciva l'obbligatorietà dell'intervento (art. 12, comma 8). Tra i disegni presentati in Parlamento soltanto il testo Turco non contemplava l'intervento del p.m.: ma, a parte l'osservazione che non ammetteva nemmeno l'amministrazione di sostegno con assistenza necessaria, qui si poteva riproporre la soluzione interpretativa ipotizzata per la bozza Cendon.
In conclusione, proprio la esplicita previsione della facoltatività dell'intervento, anche in considerazione del carattere speciale della disposizione, suscita non poche perplessità, giacché potrebbe innescare un meccanismo di superamento del combinato disposto dell'art. 3, comma 1, del testo unificato e dell'art. 70, comma 1, nn. 1 e 3, c.p.c., anche in relazione all'amministrazione semincapacitante, con i manifestati dubbi di legittimità costituzionale.
13. Sul piano della tecnica legislativa, qualche riserva può trovare giustificazione anche con riferimento all'art. 6, comma 1. Infatti, dagli atti individuabili dal giudice, nel decreto di nomina dell'amministratore, non rimane esclusa la donazione (15) con possibili difficoltà interpretative di ordine sistematico, giacché questa nel vigente ordinamento non è consentita, se non in specifici casi, né ai genitori esercenti la potestà né al tutore (art. 777 c.c.), né allo stesso minore emancipato autorizzato all'esercizio di un'impresa commerciale (art. 774 c.c.). D'altro canto il beneficiario non incapace ex art. 9, se opportuno, può provvedere di persona agli atti di donazione.
14. Del tutto singolare appare poi la soluzione, già individuata nel progetto Giacco (art 13, comma 2), di attribuire alla competenza del giudice tutelare l'annullamento degli atti di straordinaria amministrazione compiuti dall'amministratore senza la specifica autorizzazione del giudice stesso (art. 6, comma 2).
Una prima osservazione che può essere avanzata sul punto è che analoga competenza non è richiamata per l'annullabilità degli atti realizzati dal beneficiario senza la prescritta assistenza dell'amministratore (art. 9, comma 1), là dove gli interessi tutelati dovrebbero essere i medesimi.
Una seconda riflessione deve essere riservata alla mancata previsione della forma del provvedimento da adottare, con la conseguenza che dovrebbe trovare applicazione non il comma 1 dell'art. 131 c.p.c., che demanda alla previsione di legge i casi nei quali il giudice pronuncia sentenza, ordinanza o decreto, ma il comma 2 ove si afferma che, "In mancanza di tali prescrizioni, i provvedimenti sono dati in qualsiasi forma idonea al raggiungimento del loro scopo".
Nel caso di specie idonea forma potrebbe essere individuata nella sentenza, se non altro per l'esigenza del contraddittorio sulla domanda (art. 101 c.p.c.) e del giudicato in senso formale (art. 324 c.p.c.). Peraltro – sicuramente con riferimento all'art. 9, comma 1, ma molto probabilmente anche riguardo all'annullamento disciplinato nell'art. 6, comma 2 – dovrà trovare applicazione l'art. 1445 c.c. ove, seppure a contrario, si sancisce che l'annullamento che dipende da incapacità legale pregiudica anche i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede (16).
Appare, tuttavia, quantomeno problematico configurare nel vigente sistema normativo un provvedimento del giudice tutelare assunto nella forma della sentenza e in ogni caso si tratterebbe di una novità assoluta.
Se invece si dovesse ipotizzare un annullamento per decreto, sulla base dell'art. 739 c.p.c. che richiama i decreti del giudice tutelare, di là da ogni altra osservazione, si riproporrebbero le questioni già messe in evidenza per questa forma di provvedimento in materia di reclamo.
15. Problematica appare anche la legittimazione all'annullamento individuata sempre nell'art. 6, comma 2: a differenza di quanto sancito nell'art. 9, comma 1, non risulta essere legittimato all'azione l'amministratore di sostegno, con non poche difficoltà di coordinamento qualora ex art. 6, comma 1, questi dovesse essere legittimato dal giudice tutelare anche a realizzare atti di natura processuale nell'interesse del beneficiario.
E' innegabile poi che si pone una questione di disparità di trattamento con la legittimazione all'annullamento del tutore ex art. 377 c.c. e dei genitori ex art. 322 c.c., i quali in situazioni analoghe possono agire in una sorta di autotutela.
Non bisogna dimenticare inoltre che l'amministratore potrebbe essere persona diversa da quella che ha realizzato l'atto senza la necessaria autorizzazione.
Opportunamente, perciò, la bozza Cendon (art. 18, comma 3) e il disegno Perlingieri (art. 5, comma 4), in linea con le soluzioni già adottate nel codice civile ed in contrasto con tutte le altre proposte, prevedevano la legittimazione all'azione dell'amministratore.
16. L'aspetto di maggiore novità è costituito dalla legittimazione all'annullamento del pubblico ministero, prevista nell'art. 6, comma 2, e nell'art. 9, comma 1. La soluzione proposta, individuata per la prima volta nel testo Bompiani (artt. 5, comma 2, e 6, comma 1) e accolta nei disegni Guidi (artt. 5, comma 2, e 6, comma 1), Giacco (artt. 13, comma 2, e 14, comma 1) e Turco (art. 5, comma 2), appare ancora più singolare se si considera che l'art. 5, comma 8, dovrebbe rendere facoltativo l'intervento del p.m. perfino nell'amministrazione di sostegno semincapacitante (art. 9, comma 1).
In questa ottica lascia perplessi la legittimazione de qua (17) anche perché il p.m. è deputato alla difesa di interessi di carattere generale, là dove nella nostra tradizione legislativa l'azione di annullamento per un vizio del procedimento o per incapacità legale (quale espressione di una misura di protezione) opera proprio in funzione della salvaguardia di interessi particolari. In effetti l'art. 70, comma 3, c.p.c., oltre che negli altri casi stabiliti dalla legge, individua il possibile intervento del p.m. "in ogni altra causa in cui ravvisa un pubblico interesse".
La legislazione vigente già conosce una legittimazione del p.m. all'annullamento. Il riferimento è all'art. 848 c.c. (v. anche art. 2098, comma 2, c.c.), disposizione – forse mai applicata – che configura come annullabili proprio su istanza del p.m. gli atti che non rispettino la minima unità colturale nelle ipotesi previste dalla legge. Ma qui è evidente che nelle intenzioni del legislatore non si vuole tutelare un interesse di natura particolare bensì di carattere generale, come dimostra la legittimazione esclusiva del p.m. all'azione, non concorrente con nessuna delle parti coinvolte.
Invece negli artt. 6, comma 2, e 9, comma 1, si individua proprio una legittimazione del p. m. concorrente con quella del beneficiario, dei suoi eredi o aventi causa, con non poche difficoltà di coordinamento: si pensi non tanto alla problematica della convalida del contratto annullabile, riconosciuta nella lettera della legge non a tutti i legittimati all'annullamento ma soltanto al "contraente al quale spetta l'azione" (art. 1444, comma 1, c.c.), ma soprattutto alla disparità di trattamento, che ancora una volta viene in evidenza, anche se sotto altro profilo, tra annullabilità dell'atto posto in essere, senza la necessaria autorizzazione, dal tutore (art. 377 c.c.) o dai genitori esercenti la potestà (art. 322 c.c.) e annullabilità dell'atto realizzato dall'amministratore di sostegno; si può pensare anche alla diversità di funzione che verrà ad assumere il p.m. nel processo di annullamento ex art. 9, comma 1, rispetto a quello di annullamento per interdizione o inabilitazione (v. art. 427 c.c.).
Qualche difficoltà potrebbe venire in evidenza anche nel caso di differente valutazione tra il p.m. ed il giudice tutelare, se non si dovesse ipotizzare, come appare plausibile, un potere discrezionale di questi nell'annullamento: per bloccare l'iniziativa del p.m., al giudice tutelare non rimarrebbe che adottare un provvedimento che in qualche modo porti alla convalida.
Per non menzionare poi le eventuali questioni di responsabilità per aver determinato l'annullamento di un atto vantaggioso per il beneficiario, risolte in qualche modo riguardo all'amministratore con il rinvio all'art. 382 c.c. (art. 11, comma 1) (18), ma che più in generale coinvolgono proprio il dibattito dottrinale sulla esistenza o no di un potere discrezionale del giudice nel decidere sull'annullamento per incapacità legale o per mancanza della necessaria autorizzazione (19).
17. Riproponendo la soluzione già prospettata nella bozza Cendon (artt. 18, comma 3, e 19, comma 2) ed accolta in tutti gli altri disegni, ad eccezione del testo Perlingieri (v. artt. 5, comma 4, e 8, comma 8), si fa decorrere il termine di prescrizione dell'azione di annullamento (cinque anni) "dal giorno in cui l'atto è stato compiuto": art. 6, comma 3.
La legittimazione del p.m., la conservazione della capacità d'agire del beneficiario, in combinazione con l'obbligo, sancito nell'art. 11, comma 4, dell'amministratore di tenere informato il beneficiario circa gli atti compiuti nel corso della gestione, ridimensionano molte delle preoccupazioni manifestate sull'inizio della decorrenza del termine di prescrizione (20). Né qui sembra che si prospetti una disparità di trattamento rispetto alla decorrenza del termine di prescrizione in ipotesi di interdizione e di inabilitazione (art. 1442, comma 2, c.c.), proprio perché il beneficiario conserva integra la capacità.
Tali argomentazioni, tuttavia, non possono essere estese alla fattispecie presa in considerazione nell'art. 9, comma 1. Qui, ipotizzandosi una annullabilità (per incapacità legale) dell'atto realizzato dal beneficiario senza l'assistenza dell'amministratore, si ripropone la questione della disparità di trattamento rispetto all'annullabilità per inabilitazione, soprattutto se si accoglie la tesi che l'amministrazione di sostegno con assistenza necessaria è misura di protezione che si potrebbe porre a metà strada tra l'inabilitazione e l'interdizione.
Probabilmente proprio la decorrenza della prescrizione "dal momento in cui l'atto è stato compiuto" (art. 9, comma 2) ha indotto per un verso ad estendere la legittimazione all'annullamento al p.m.; per altro verso a consentire all'amministratore di proporre l'istanza autonomamente, senza la partecipazione del beneficiario, discostandosi in tal guisa dalla disciplina applicabile, secondo l'interpretazione corrente (21), in materia di inabilitazione (art. 394, comma 2, c.c.).
Ciononostante, le soluzioni proposte non neutralizzano l'inconveniente della decorrenza del termine di prescrizione con riferimento all'atto, realizzato dal beneficiario senza la necessaria assistenza, non soltanto tenuto nascosto a tutti ma magari eseguito con la conseguente inoperatività dell'art. 1442, comma 4, c.c.
18. In caso di contrasto tra la volontà del beneficiario e quella dell'amministratore si prevede la possibilità di ricorrere al giudice tutelare affinché siano adottati gli opportuni provvedimenti (art. 11, comma 5).
La disposizione sicuramente troverà applicazione nel caso di amministrazione con assistenza necessaria e dunque sotto questo aspetto ricalca l'art. 395 c.c., relativo all'ipotesi in cui il curatore dell'inabilitato o dell'emancipato rifiuta il suo consenso.
Tuttavia, posto che nell'amministrazione senza assistenza necessaria, per gli atti individuati dal giudice tutelare, l'amministratore acquista una legittimazione concorrente con quella del beneficiario (che conserva integra la propria capacità), evidentemente anche in questo caso si può ipotizzare un contrasto con la possibilità di ricorrere al giudice. D'altro canto in uno dei disegni di legge alla base del testo unificato si rinveniva una analoga disposizione (art. 8, comma 4, proposta Turco) pur non prevedendosi l'amministrazione con assistenza necessaria.
Non soltanto. Si dispone che "Il giudice tutelare, se ritiene fondata la richiesta di cui al comma 5, indica quali sono gli atti da compiere" (art. 11, comma 6).
Nell'ipotesi considerata non è facile individuare le eventuali soluzioni: poiché il beneficiario conserva la capacità d'agire, il giudice non può evitare la realizzazione di un atto valido se non sollecitando il p.m. ai sensi dell'art. 7, comma 1, a iniziare un procedimento d'interdizione o d'inabilitazione oppure istituendo exart. 9, comma 1, un'amministrazione di sostegno con assistenza necessaria. Non sembra infatti che si possa in qualche modo determinare un'incapacità per il singolo atto, anche perché normativamente non ne è sancita l'annullabilità. Riguardo invece all'amministratore, oltre al ricorso nei casi più gravi all'art. 384 c.c., come esplicitamente affermato (art. 11, comma 6), non sembra che si possa ipotizzare altro se non una limitazione della legittimazione già conferita, che costituisce il presupposto del contrasto, oppure una indicazione vincolante per la realizzazione dell'atto, pena la rimozione e la sostituzione.
19. Come è agevole costatare, non sono poche le argomentazioni che giustificano più di qualche perplessità sul testo all'attenzione del Parlamento.
Di là da valutazioni di opportunità, talune delle questioni messe in evidenza potranno suscitare qualche dubbio di legittimità costituzionale; molte però potranno sicuramente essere risolte in via interpretativa.
Perciò l'augurio è che la proposta legislativa vada in porto in tempi brevi, anche perché troppi anni sono passati da quella coraggiosa pietra nello stagno lanciata dal gruppo di ricerca coordinato dal prof. Cendon e tanta è la distanza che, in materia di misure di protezione di soggetti incapaci di provvedere ai propri interessi, divide la normativa vigente in Italia dalle legislazioni europee più avanzate.
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