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Una nota su alcuni aspetti di politica economica dell’assistenza ai malati mentali

6 Ott 12

Di Luca-Beltrametti

Esiste oggi un ampio consenso nel ritenere che la quantità di risorse che dovranno essere dedicate al livello aggregato per l'assistenza ai disabili (mentali e non) sia destinata a crescere fortemente nel prossimo futuro. Questa previsione deriva da due ordini di considerazioni: ci si attende una forte crescita della domanda a fronte di una modesta dinamica della produttività nell'offerta di tali servizi.

La domanda di servizi di assistenza crescerà in futuro per il congiunto verificarsi di due tendenze: da un lato la progressiva senilizzazione della società porterà ad una maggiore incidenza dell'infermità mentale; dall'altro lato, la progressiva ulteriore riduzione dell'estensione dei nuclei familiari e la crescente partecipazione femminile alla forza lavoro ridurranno la capacità delle famiglie di offrire al loro interno forme di assistenza "informale" ai disabili .

La circostanza che la diffusione delle infermità mentali cresca con il crescere dell'età sembra ampiamente dimostrato dai dati dell'Istat : l'incidenza di disturbi "disturbi nervosi" di tipo cronico passa dal 9,6 per mille nella fascia di età 6-44 anni al 33,1 per mille nella fascia 45-64 anni, all'87,2 per mille nella fascia degli ultra sessantacinquenni. Gli invalidi per insufficienza mentale con più di 75 anni sono oggi circa 93.000, ovvero circa il 28% del totale.

Dal lato dell'offerta, si ritiene che l'erogazione di servizi di assistenza costituisca un'attività produttiva caratterizzata da una dinamica della produttività molto modesta: in particolare si prevede che essa rimarrà anche nel futuro una "produzione" ad alta intensità di lavoro nella quale l'innovazione tecnologica produrrà guadagni di efficienza piuttosto contenuti .

A fronte di queste probabili tendenze evolutive della domanda e dell'offerta di servizi di assistenza, sembra inevitabile prevedere che una maggiore quantità di risorse pubbliche e private dovranno essere dedicate allo scopo. Le imprese di assicurazione italiane stanno predisponendo le prime polizze di tipo "long term care" che potrebbero consentire alla fascia più benestante e consapevole della popolazione di acquisire una copertura integrativa contro i rischi di non autosufficienza in età anziana. La spesa pubblica per l'assistenza dovrà comunque inevitabilmente crescere per soddisfare bisogni più estesi. A questo proposito, notiamo che la spesa sociale complessiva in rapporto al reddito nazionale è in Italia leggermente inferiore alla media europea (25,4% contro 29%); in particolare, la quota della spesa dedicata in Italia all'assistenza (sanitaria + invalidità) è oggi nettamente inferiore alla media europea (6,8% contro 10,3%). Ciononostante, i ben noti vincoli di finanza pubblica certamente impongono che la crescita della spesa per l'assistenza debba essere piuttosto contenuta e probabilmente in parte finanziata con la riduzione di altre voci di spesa.

In definitiva, pur riconoscendo che è inevitabile che nuove, più ingenti, risorse pubbliche siano dedicate all'assistenza dei non autosufficienti, sembra altrettanto inevitabile porre con forza il problema di "spendere meglio" le risorse disponibili. Come è facilmente immaginabile, non esiste un consenso su cosa significhi esattamente "spendere meglio". A rischio di semplificare posizioni che in realtà sono più articolate, sembra utile individuare a questo proposito i due approcci più rilevanti facendo in particolare riferimento alle peculiarità della tematica dell'assistenza agli infermi mentali.

L'approccio liberista individua nella attivazione di meccanismi di mercato lo strumento principe per garantire un'allocazione efficiente delle risorse: nel caso dell'assistenza questo obiettivo si realizza attribuendo all'assistito un potere di scelta tra i servizi resi da erogatori diversi. Per esempio, si suggerisce di utilizzare a questo scopo "vouchers" (buoni servizio ) che costituiscono una modalità per trasferire all'assistito un potere di acquisto che può essere utilizzato solo per procurarsi predeterminati beni o servizi presso una pluralità di erogatori che godano di requisiti minimi di qualità e professionalità . Il presupposto logico di questa impostazione è che attribuendo al cittadino un potere di scelta, questo possa soddisfare meglio di qualunque pianificatore pubblico (per benevolente che esso sia) i propri bisogni. Mediante lo strumento del "voucher" l'avente diritto alla prestazione viene inoltre sottratto al dualismo esistente tra usufruire dei servizi pubblici gratuiti oppure rinunciarvi in toto optando per servizi privati a pagamento: la soluzione del buono servizio (al pari del trasferimento in denaro) permette all'ente assistenziale di riconoscere il diritto a prestazioni di livello standard e consente al tempo stesso a chi ne abbia la possibilità di aggiungere risorse proprie per avere prestazioni di quantità e qualità superiore senza rinunciare alla parte pubblica di assistenza. Rispetto alla prestazione diretta di servizi da parte dell'ente pubblico la soluzione del "voucher" presenta – secondo i suoi sostenitori – anche il vantaggio della trasparenza dei costi: pur non sopportando direttamente alcuna spesa, l'assistito può essere messo in condizione di avere consapevolezza del costo per la collettività della prestazione ricevuta. Ciò può consentire forme di controllo sociale sui costi che disincentivino abusi .

Il meccanismo del voucher presuppone che a fronte di una domanda di servizi, si attivi (per intervento di una pluralità di produttori) un'offerta adeguata nella qualità e nella qualità. E' possibile che questo presupposto, si riveli falso alla prova dei fatti in alcuni contesti sociali e geografici.

Con riferimento alla tematica dell'assistenza ai disabili mentali vi è tuttavia un'altra e ben più fondamentale obiezione: come si è detto, l'impostazione "liberista" è in grado di produrre i risultati sperati solo a condizione che il soggetto beneficiario delle prestazioni di assistenza sia in grado effettuare scelte razionali. Più in generale, tutti i risultati di tipo neoclassico di ottimalità degli esiti prodotti dal libero dispiegarsi delle forze di mercato dipendono (tra l'altro) in modo cruciale dall'ipotesi che i soggetti economici godano di piena razionalità intesa come capacità di effettuare scelte che massimizzano l'utilità del soggetto data la struttura delle sue preferenze. E' del tutto evidente che i disabili mentali possono essere privi di tali prerogative e che quindi la via "liberista" non è in grado di produrre in questo caso gli esiti sperati.

Una via alternativa per "spendere meglio" le risorse disponibili per l'assistenza consiste nell'introduzione di forme di selettività nell'accesso ai benefici. Ci si riferisce in particolare a criteri che condizionino alla prova dei mezzi ("means testing") l'erogazione da parte delle strutture pubbliche di determinate prestazioni. In tal modo si ritiene di poter concentrare sui casi più gravi e/o in condizioni di disagio economico le risorse disponibili. Tuttavia, anche in questo caso sembra che l'infermità mentale presenti una sua specificità che la rende non suscettibile di applicazione dei criteri proposti: la selettività nell'accesso alle prestazioni presuppone una classificabilità per gravità della patologia e per necessità della prestazione assistenziale. E' evidente a questo proposito che ciò è assai difficile nel caso della malattia mentale; in particolare sembra difficile introdurre criteri quali l'incapacità a svolgere ben definite mansioni che spesso costituisce (si veda la legge tedesca sulla non autosufficienza) il criterio guida nel determinare l'entità delle prestazioni da erogare.

In conclusione, sembra che la tematica specifica dell'assistenza ai disabili mentali abbia specificità tali da renderla difficilmente collocabile nell'ambito del più ampio dibattito sulla riforma delle politiche assistenziali e dello stato sociale più in generale. Ciò ci induce a grande cautela nel suggerire risposte ai drammatici problemi posti dalla probabile crescita nel prossimo futuro del numero delle persone da assistere. Certamente utili a questo proposito saranno comunque forme di intervento pubblico che tentino di integrarsi in modo flessibile con l'assistenza che i disabili possono ricevere all'interno dei nuclei familiari di origine. Sembra anche importante che sia lasciata ai disabili stessi (quando in grado di scegliere) o ai loro tutori un qualche potere di scelta che consenta loro di accedere al tipo di servizio giudicato più necessario.

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