Perizia su GIANFRANCO STEVANIN

5 Ott 19

Di rossiga@fastwebnet.it

Gianfranco Stevanin (Montagnana2 ottobre 1960) è un criminale e serial killer italiano, ritenuto colpevole dell'omicidio di sei donne nel 1994. Il suo caso ebbe grande risalto su molti media nazionali e sollevò un dibattito sulla questione dell'incapacità di intendere e di volere.

INTRODUZIONE

Il sig. Stevanin si presenta al colloquio con modalità comportamentali scorrevoli, a prima vista adeguate, ben curato nella persona per ciò che la situazione consente. L'attitudine generale è in linea di massima mite, o fors'anche sottomessa, con una sfumatura di condiscendenza assoluta, senza poter nascondere il sospetto ed il timore del resto comprensibilmente portati dalla situazione fiscale. Già al primo impatto si coglie nettamente l'ambivalenza, insita nel comportamento generale, con una insufficiente mescolanza tra esigenza di piena collaborazione ed una corazzata e diffidente resistenza. Ne consegue una certa incongruità generale che si coglie nella postura, nei movimenti rigidi e talora non ben integrati col tono di voce ed i contenuti che esprime. La mimica è in qualche modo poco mobile, talora figée, come se indossasse una maschera teatrale per la occasione specifica del colloquio. Egli comunica dunque la sensazione di un continuo arrière pensée, come se esistessero due modalità di vissuto, una di superficie che si utilizza per il rapporto attuale ed una sottostante, ma immediatamente in contatto con la prima con la quale interferisce. Non presenta turbe di coscienza di nessun tipo. Si coglie però, al di là dell'adeguatezza formale, una attitudine, che è una sfumatura ma non per questo meno evidente, che potremmo definire distaccata e trasognata. Il suo isolamento narcisistico è evidente dal modo come entra in contatto, con una impostazione mimica e prosodica, che mima una attenzione continua ma esterna, come parlasse di un altro o seguisse un canovaccio, come lontana, come persona non veramente interessata al rapporto e alle sue risonanze interiori. Davvero si può riferire a lui la metafora di Kretschmer delle ville romane, inespressive e tranquille dietro le persiane chiuse, che a lui, tedesco del secolo scorso, facevano pensare ad orge sfrenate all'interno.

E' probabile che la vita mentale del Sig. Stevanin si esprima poco attraverso il rapporto e il comportamento relazionale, ma più attraverso l'affollarsi di contenuti autoriferentisi, che gli danno quell'allure generale spesso riportato da chi lo osservava dall'esterno, di ragazzo riservato, timido ed educato. Ci si trova di fronte ad un individuo che pare avvezzo ad un isolamento emotivo di antica data, e che ha come modalità relazionale solo elementi formali, presi da schemi esterni ed in qualche modo imitati, o comunque senza vissuto di prorpietà emotiva. Anche la vivacità del lessico, dell'espressione, della prosodia, ne risente, per cui si ha l'impressione di una persona piuttosto monotona, piatta e priva di vivacità, creando ciò uno spiccato contrasto con la sua storia, ed i suoi trascorsi, certo non privi di turbolenze.

 

 

ESAME PSICHICO

Lucido, orientato nel tempo e nello spazio e nelle persone, il campo di coscienza è sufficientemente esteso e comprensivo, senza restringimenti, e la coscienza permette slittamenti e spostamenti temporali adeguati e competenti. La coscienza dell'Io sembra nella norma, non si hanno alterazioni del sentimento di proprietà dei propri atti di conoscenza; non depersonalizzazione auto-allo o somatopsichica. Non vi sono fenomeni di Vorbeireden, non fenomeni di dreamy states. I compiti mnesici e operativi sono eseguiti senza operazioni a côté, o al di là del punto. La memoria sembra, nei termini elementari, in ordine. Gli eventi immediati, recenti e presenti sono ricercati con caparbietà e precisione. I contenuti mnesici sono sistemati in schemi temporali esatti, non v'è rattrappimento della susseguenza temporale e storica degli eventi, non vi sono paramnesie, non confabulazione, non aspetti dismnesici o di deformazione di nessun tipo. Gli eventi che coincidono e riguardano gli omicidi sono invece presentati come sconosciuti, estranei, con qualche recupero più recente, ma immersi in una specifica inconsapevolezza, come attività totalmente estranea e non posseduta dalla coscienza dell'Io, con un atteggiamento di perplessità globale che pare costruito allo scopo di questo passaggio specifico del colloquio.

Dunque se la situazione generale per ciò che riguarda la funzione mnesica è ottimale, occorre rilevare la presenza di amnesie lacunari specifiche. In realtà aree di scotomi mnesici investono gli eventi concatenati ed i lassi di tempo che si riferiscono alle sue azioni criminose. Queste sono specificamente cancellate, in una atmosfera tra il trasognato e il perplesso, con una attitudine di chi si chiede cosa mai siano queste cose e con una aria di Ratlosigkeit, di perdita di contenuti attraverso la confusione: l'attributo perplesso è quello che meglio si adatta a questa situazione. Clinicamente questo fenomeno è fortemente vicino alla simulazione, ma non è detto che di vero "malingering" si tratti: è possibile, perché i due stati mentali si sovrappongono, che accanto a questo vi sia una condizione di doppia coscienza o coscienza dell'Io collaterale, un fenomeno cioè di tipo ganseriforme, anche se propriamente non si rilevano, come abbiamo visto, i segni specifici del Ganser.

Sembra che le sequenze dei cerimoniali sadici siano investite da una onda di rimozione, che deriva da una mescolanza di angoscia e di sentimenti, più che di colpa, di imbarazzo profondo per gli eventi, e che rendono sconveniente il ricordo, e di un forte guadagno secondario che lo induce ad utilizzare queste attitudini conversive. In ogni caso, questa conversione è un fenomeno che riguarda la revisione degli eventi, la modalità, diremmo così, stilistica del racconto: è nel racconto a posteriori che si applicano queste scissioni mnesiche, e non riguardano l'evento mnesico prodotto da un particolare stato di coscienza al momento del fatto. E', in altre parole, una sorta di stratagemma narrativo che, in modo oscillante tra il cosciente e il non cosciente, egli ha adottato.

Si comprende, da quel che abbiamo detto, che l'attenzione è in ordine: le risposte sono adeguate, parla opportunamente se interrogato, ma prende iniziative autonome nel racconto, con una buona tensione attiva verso la situazione e le argomentazioni: non v'è, insomma, segno di ipoprosessia.

Manca ogni segno focale. Non afasie né ricettive né di trasmissione né espressive, non disartrie. I compiti di sistemazione spaziale nel foglio sono normalmente eseguiti, non aprassie costruttive, né aprassia in generale, la scrittura sia spontanea che de façon servile è normale, non agnosia né agnosia simultanea, prove di costruttività normali, non closing-in, non fingeragnosia, non acalculia, normale l'incolonnamento nelle operazioni aritmetiche, non alterazione destra-sinistra, non somatoagnosie.

Il linguaggio, come si coglie durante il colloquio, appare corretto, del tutto scorrevole e talora ridondante, con frequente presa di iniziativa, ricapitolazioni e richiami, addirittura richiami all'ordine dell'interlocutore se ha l'impressione che questi lasci l'argomento inconcluso.

Il lessico è buono, ma artificioso e non corrispondente al suo livello culturale, spesso l'uso di una terminologia pseudo-tecnicistica gli conferisce un'aria enfatica e costruita ad hoc (per es. "ho una intensa attività onirica"). I legami associativi a tutti i livelli, grammaticale, sintattico e logico, sono in ordine. Accettabile dunque la fluenza del discorso, non vi sono aspetti di deviazione, di deragliamento o di iperinclusività, non si hanno espressioni paralogiche o neologistiche, non stereotipie o palilalie. Insomma sul piano strettamente formale il linguaggio sembra in ordine, ma a dire il vero qualche segno di intoppo, di scucitura dell'apparato logico e comunicativo, una certa singolare prosodia (impressione di modalità declamante), danno alla comunicazione una sfumatura stridente, un po' innaturale, come di una persona che viva in un mondo suo, distaccato, in modo eccessivamente autonomo. Talora, come si è già notato, si notano complesse e ricercate modalità lessicali, tecnicismi, calambours o frasi costruite ed elaborate, sembra al fine di divertire o impressionare l'interlocutore. Non si notano componenti anomale.

La percezione è come di norma: non esistono oggi, e non risulta siano mai esistiti, fenomeni dispercettivi né quantitativamente né qualitativamente, non fatti illusori, non percezioni senza oggetto, quindi non allucinazioni, né pseudoallucinazioni, non percezioni corporee anomale del contenuto di pensiero: non istanze allusive, né particolare sospettosità o sensitività di allure paranoide.

Non risultano percezioni deliranti, fenomeni di diffusione o furto del pensiero, iperallusività, ripetizione sonora del pensiero, commento degli atti, colloquio di voci, allucinazioni imperative, esperienze di influenzamento. In sintesi non vi sono fenomeni appartenenti alla sindrome di azione esterna o all'automatismo mentale.

L'affettività ha una apparenza abbastanza inadeguata e recitante e sembra svolgersi in una atmosfera poco genuina che pare seguire un copione prefissato. Insomma gli eventi, emotivamente immani, dei suoi trascorsi, sembrano scuoterlo poco: il coinvolgimento è limitato, i vissuti di rimorso sono formali, l'argomento è distanziato e raffreddato. Tuttavia non c'è dubbio che il livello ansioso deve essere notevole, e deve essere sempre stato così: si tratta, sembra, di un'ansia vissuta come esperienza interiore astenizzante e bloccante, e sembra che ogni richiesta di aumento di prestazioni interpersonale e sociale produca la risposta di insufficienza, determinando una componente di inerzia e di rinuncia che limita criticamente ogni tipo di rendimento sociale. Non si rileva depressione, che tuttavia potrebbe essere sommersa dalla recita disinvolta e grandiosa, che fa compiere al sig. Stevanin clamorosi understatements, come quello di enfatizzare il suo ottimo rapporto con tutti, e di scotomizzare l'aggressione subita da un altro ricoverato, che ha lasciato una evidente ferita al collo poco prima.

Non vi sono fobie strutturate, non claustro ne agorafobie, non sentimenti di panico. Invece esiste un quadro di stato da allarme generale, che investe la cenestesi, la sfiducia nel proprio corpo, il senso di precarietà generale e di bisogno di conferma e rassicurazione. Su questa sorta di inerzia genericamente psicofobica si basa la grande dipendenza del paziente, che produceva probabilmente una serie di esigenze di conferma attraverso il controllo delle persone, essenzialmente delle partners.

L'ideazione, nei suoi aspetti formali, non presenta processi rilevanti di accelerazioni o di rallentamento. Si può invece notare una certa vischiosità, nel modo prolisso, circostanziato e tornante di procedere della narrazione. Non manca in questo un certo grado di ripetitività ossessiva che, anche se non raggiunge il livello propriamente ossessivo-compulsivo, vi si avvicina nella rimuginazione e nella insicurezza associata ad una sorta di continuo bisogno di conferma, evidente dall'attenzione estrema posta ai movimenti mimici dell'interlocutore e alla ipercompiacenza, con estrema prontezza ad aderire agli statements dell'intervistatore. Non vi sono convincimenti di pensiero erroneo o distorsioni della coscienza della realtà o perdite del reality test, che possano far pensare a strutture deliranti, come abbiamo già accennato in precedenza.

A prima vista, l'attitudine ingenua del tentativo di controllo farebbe pensare ad un pensiero povero, concreto, con qualche elemento di ottusità: in realtà questa impressione e questi rilievi iniziali contrastano con la possibilità di cogliere elementi sottili di distacco, come un modo distante e impersonale di riferire non solo gli eventi obbiettivamente atroci della sua vita, come non gli appartenessero, ma in generale tutta la sua vita. Non possiamo escludere una componente istrionica, di tecnica di teatro, di manipolazione della Selbsbewusstein, di impostazioni pseudologiche, nell'intento, sul filo del rasoio tra la simulazione e la coscienza ganseriforme, di presentare una angolatura di sé integro, privo di colpe a lui conosciute, ma è assai più attendibile che la condizione sia da riferirsi ad una impostazione narcisistica, in cui prevale la realtà interna, con le sue esigenze di costruire una immagine a se stante, svincolato da regole sociali e norme relazionali, con reali difficoltà di comunicazione non solo emotiva ma anche linguistica: in questo senso è comprensibile che la comunicazione, nella sua globalità, divenga povera, limitata, priva di vivacità e dell'accompagnamento emozionale, anche se le domande specifiche e mirate svelano una specifica competenza alla risposta, solo presente se stimolata, difficilmente autonoma, a testimoniare la dimensione più narcisistica che istrionica della modalità di relazione. Tutto questo è certamente alimentato da uno stile di vita fusionale e imbozzolata, immerso in un rapporto con la madre coinvolgente e autosufficiente, impenetrabile all'esterno, aiutato dall'isolamento sociale che nel mondo della campagna può essere obbiettivamente più spiccato e accettato.

Il sig. Stevanin è un unico figlio, sempre vissuto in una situazione apparentemente nella norma, in un nucleo familiare composto di tre persone, una famiglia benestante e regolare di agricoltori possidenti. Tuttavia, bisogna premettere che il mondo in cui viveva, ed ha sempre vissuto, è un mondo che in sé contiene i germi dell'isolamento. Una grande casa di campagna, fisicamente lontana da altre abitazioni, circondata da appezzamenti ampi di territorio, una casa grande e dignitosa, ma abbandonata ad un certo degrado, che indica l'incuria e la distanza di tutto il nucleo familiare da interessi relazionali, con un modello dell'Io individuale e una identificazione di ruolo familiare incurante e trascurato: il degrado abitativo corrisponde alla modalità incongrua dei vissuti dell'intero nucleo familiare. Tutto ciò non risulta dalla sua narrazione, che invece ruota attorno ad uno sforzo descrittivo di presentare l'ambito casalingo e familiare come dignitosamente borghese, attraverso una descrizione stereotipa e precostituita, che restituisce una indagine costruita e non propriamente da lui vissuta: è un quadro di ciò ch'egli si spetta sia la norma accettabile. Va ricordato che proprio il distacco, l'isolamento e l'autosufficienza distante, hanno conferito al sig. Stevanin, come del resto accade di solito in questi casi, l'allure di buon ragazzo, mite, educato e comme il faut, allure che si estendeva a tutto il nucleo familiare, a causa della impenetrabilità e dalla intangibilità del sistema, che non era scalfito da problemi relazionali esterni né negativi, né, a dire il vero, positivi.

In questo, il particolare mondo campagnolo, agricolo, con le sue alte possibilità di isolamento obbiettivo e di autosufficienza, ha senza dubbio favorito tutto questo: un "country crime", definirebbe questi delitti uno sceneggiatore di professione di telefilm americano. Una casa, dicevamo, grande, isolata, non vecchia ma spoglia, fredda, che può ben rappresentare la casa degli orrori.

Qui viveva dunque una famiglia considerata dagli altri "buona gente", e normale, anche se un poco singolare. In realtà si tratta, per usare una espressione ormai classica, di una famiglia schismatic, secondo il termine di Bateson. Il padre buon lavoratore, poco partecipe, poco coinvolto dai problemi, che tutto ignorava e veleggiava lontano, mentre il nucleo era rappresentato dalla diade inscindibile madre-figlio, con la madre che era, e rimane tuttora anche durante la vita carceraria del figlio, totalmente coinvolgente, tendente ad inglobare in sé e a possedere ogni problematica del figlio, tendente a risolvere per linee esterne ogni bisogno e incongruenza, a negare ogni esigenza mentale del figlio, e ad operare per agire concretamente inserendo il figlio in un mondo diadico, totalmente autosufficiente: il figlio ha fame, gli si dà da mangiare, il figlio necessita di vestiti, gli si procurano, il figlio sporca, si pulisce (senza tener conto che lo sporco somiglia al sangue), la casa puzza, si aprono le finestre (senza tener conto di che odore si tratta), mentre non fa nessun caso a cosa pensa, come vive dentro, che progetti ha il figlio. Un rapporto interamente simbiotico, fusionale, in cui esiste una mente per due, secondo il modello arcaico dell'allattamento al seno o, ancora di più arcaicamente, del contenimento intrauterino, di un figlio adulto e mai partorito.

I dati anamnestici, che si ritrovano in un apposito paragrafo, ci mostrano come tutto ciò è stato accentuato dal turbinio che dopo i 16 anni è stato causato dal rilevante trauma che ha portato con sé un lungo e doloroso iter di ricoveri, di interventi, che hanno invaso l'epoca tardo-adolescenziale, e che hanno creato o raffermato, assieme agli esiti psicorganici, come la caduta della spinta relazionale, l'epilessia con le perturbazioni sociali che comporta, aiutato dalla terapia antipilettica, una personalità chiusa, narcisistica, distaccata, dominata dal withdrawal. I dati della carriera scolastica confermano questa situazione. In realtà, nulla di propriamente anomalo e psicopatologico si è mai rilevato nell'anamnesi, dato che questa personalità è un disturbo che a malapena e incompletamente si può situare in Asse II del DSM IV, ed il suo comportamento non ha mai presentato, all'esterno e per quanto si potesse rilevare da parte dei circostanti, anomalie. Ed è peraltro impossibile affermare se il trauma abbia rappresentato un cut off point tra il prima e il dopo della personalità, perché non esiste propriamente un "prima" della personalità, appunto prima dei 16 anni, quando ancora la personalità non è sviluppata. Nulla dunque, di esteriormente psicopatologico, e si può ben capire perché: perché in questa situazione di withdrawal, di chiusura, di isolamento narcisistico, ed in questa grande autosufficienza collegata molto probabilmente alla collusione materna, tutta l'attività psichica si è venuta concentrando in un mondo interno autonomo costituito da pulsioni e fantasie erotiche che erano l'unico elemento portante della sua vita: per questo ci sono deboli cenni di una vita sessuale integrata, con componenti affettive scarsamente valide, relazioni evanescenti ed improbabili e non si trovano i tentativi, le frustrazioni e i successi, gli approcci, intensamente vissuti, che nell'adolescenza e nella vita adulta caratterizzano, tra difficoltà e soddisfazioni, la vita affettivo-sessuale.

E' evidente che da sempre, da timidi inizi nella seconda infanzia, via via consolidandosi col passare del tempo, e anche in seguito alla diminuzione delle capacità operative relazionali in senso globale determinate dalla condizione di isolamento, tutta la vita sessuale, ma possiamo dire tutta la vita mentale del sig. Stevanin è ruotata intorno a queste rappresentazioni mentali anomale, prima attraverso attività scoptofile di foto o pubblicazioni del genere e poi, col passare del tempo, intorno a progettazioni di rituali sadici, dapprima più timide e identificative, poi sempre più consistenti e precise: queste, aiutate dalle difficoltà relazionali e dalla incapacità metaforica, simbolica e sublimatoria, incapacità che rendeva impossibile un rapporto con una partner che concordasse una relazione "conveniente" e condivisa, hanno portato all'esito tragico che ben conosciamo.

Il fatto è che accanto alla sessualità, inizialmente masturbatoria, e connessa come di norma con fantasie scoptofile, ne esisteva un'altra che si veniva sviluppando, caratterizzata da un desiderio di imporsi, di sottomettere ed umiliare col completo possesso la partner, atteggiamento che aumentava a dismisura l'eccitamento sessuale. Il problema consisteva nel fatto che l'incapacità di far funzionare la fantasia, l'oggetto interno mentale, la rappresentazione e la narrativa interna, gli ha decurtato la possibilità di vie mentali per realizzare fantasticamente queste istanze; non funzionando il preconscio con le sue capacità di mentalizzare, di usare immagini e metafore, di narrarsi una storia interiore, si rendeva possibile solo l'acting, o l'espressione comportamentale per mettere in funzione e concretizzare le spinte pulsionali che per lui prendevano esistenza solo quando si realizzavano in fatti e comportamenti.

Tutto questo trova conferma, sul piano profondo, proprio dalla relazione fusionale e simbiotica con la madre: in questo caso l'ambivalenza era senza dubbio importantissima. La stretta fusionale materna da un lato facilitava dall'inizio ogni cosa, e rendeva possibile l'impossibile, ma nello stesso tempo costituiva un abbraccio mortale e soffocante che produceva la reazione arcaica di furore distruttivo, connesso col piacere, piacere scaturente dalla vendetta e dal dolore della vittima in quel momento quanto mai vicina a lui; il che è tipica aporia della condizione perversa. Risposta all'abbraccio soffocante che trova una straordinaria analogia rappresentativa tramite il piacere orgastico ottenuto, per identificazione proiettiva, dal soffocamento della partner.

Non è facile ottenere una narrazione e una comunicazione di vissuti articolati e approfonditi, dato che tutta la presentazione del sig. Stevanin ha una qualità distaccata, fredda, lontana da sé, quasi che ogni cosa fosse presentata come qualcosa di espresso come egli ritiene che l'interlocutore si aspetti che sia. Ne consegue che il livello narrativo che si coglie è sempre esterno, recitante, con una allure declamatoria e non genuina, sino ad apparire naif.

 

 

INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO

L'inquadramento diagnostico del caso presenta qualche difficoltà, non tanto in sé, ma in quanto comporta la valutazione dell'interferenza degli esiti del trauma encefalico in anamnesi. E' intanto evidente che non ci troviamo di fronte ad un quadro psicotico evidente e conclamato. L'integrità sostanziale del linguaggio, la coerenza e il susseguirsi corretto delle concentrazioni associative, l'attitudine generale globalmente adeguata, i contenuti di pensiero privi di dimensione di convincimento palesemente erroneo, o di allontanamento della coscienza di realtà (reality test), l'assenza di elementi dispercettivi, di automatismo mentale, di fenomeni di azione esterna, di tendenza all'autoriferimento, di sensitività e proiettività paranoide, la presenza di una motilità sciolta, e non bloccata, senza fenomeni di stereotipia, di palicinesia, di alterazioni posturali, e priva di scoordinata concitazione, depongono per una assenza di fenomeni psicotici della serie schizofrenica, dalla schizofrenia, alle forme schizoaffettive o schizofreniformi, dai disturbi paranoidi a quelli più genericamente deliranti.

L'umore sembra adeguato alla situazione, né si rilevano nella storia clinica momenti di tipo depressivo franco, né, tanto meno, di polarità opposta. Non c'è insonnia, né specifiche variazioni mattino sera, nè rallentamento psicomotorio, né idee di colpa o di autoaccusa. Situazioni di nevrosi strutturata specifica non sono osservabili: non idee fobiche, né manifestazioni comportamentali o ideatorie di tipo anancastico; non risultano turbe delle cenestesi.

Sul piano psicorganico non vi sono rilievi da fare. La presenza di coscienza, coscienza dell'Io, orientamento e memoria ineccepibili, l'assenza di segni focali, la mancanza di difficoltà lessicali, di linguaggio concreto, di cenni di incoerenza, il buon livello comunicativo e della conversazione, la mancanza di segni atimormici e disprosessici, non permettono di porre una diagnosi di disturbo psicorganico di alcun tipo.

Altra cosa però, se si passa dai quadri clinici conclamati alle sfumature. Si può notare in questa area, della valutazione di nuances comportamentali e relazionali, un certo grado di rilassamento e di scucitura dei nessi logici ed emotivi più sottili, una certa perplessità espressiva ed alcuni stridori nella connessione e nell'adeguatezza delle tonalità affettive, un certo grado di scissione tra contenuti e modalità espressive, da riferirsi ad una struttura in parte istrionica e in parte narcisistica della personalità.

Dato il modo in cui gli eventi criminosi sono presentati, sarebbe possibile pensare ad un disturbo dissociativo, del tipo personalità multipla o sdoppiamento di coscienza. Ma intanto questa sindrome è più di pertinenza della narrativa che della clinica, dato che difficilmente in clinica può essere comprovata: e d'altra parte essa comporta una vera disappropriazione di una parte della coscienza. Questo quadro, per poter essere avallato sul piano clinico, necessiterebbe una scissione della coscienza, con perdita del sentimento di proprietà di una parte del campo di coscienza, con quindi un preciso scotoma mnesico della parte disappropriata, e un "non sa la mano destra quel che fa la mano sinistra" non come metafora ma come realtà: il Dr. Jekyll deve avere amnesia psicogena di Mr. Hyde, senza la qual cosa siamo di fronte a comportamenti contrastanti, ma sempre con coscienza unitaria. Occorre anche ricordare che i fenomeni di dissociazione di coscienza di questo tipo sono accettabili clinicamente per eventi di scarsa durata e complessità organizzativa, e non per un susseguirsi di eventi coordinati, anche se maldestramente, così articolati. Ritorneremo più avanti su questo punto.

L'inquadramento nosologico fondamentale è qui la parafilia. L'intensa spinta pulsionale a ricercare il piacere attraverso la triade sottomissione sessuale, umiliazione, forzatura della partner e sua dedizione obbligata e incondizionata, che produce aumento rilevante dell'eccitamento sessuale, è caratteristico della parafilia sadica. E' possibile qui che la parafilia abbia i caratteri particolari della parafilia compensativa reattiva, che flotta sulla superficie dell'Io in momenti di particolare frustrazione e inquietudine (insoddisfazioni generali, bisogno di compensazione).

Di solito queste situazioni vengono attribuite dalla teoria psicoanalitica all'antico vissuto di aggressività ambivalente e di istanze di risarcimento per i sentimenti di abbandono materno: in teoria si potrebbe applicare questo principio nel nostro caso, ma data l'insufficienza di dati che potrebbero scaturire solo da una profonda relazione analitica, qui non praticabile per ovvi motivi, non procederò oltre in questa direzione. E' però sufficiente l'esame clinico, che presenta un indiscutibile rilievo della parafilia sadica, e che mette in chiaro l'esistenza, in questo caso, del rituale parafilico quasi compulsivamente eseguito: è proprio infatti delle parafilie l'esecuzione di un accurato rituale, funzionale all'eccitamento sessuale ed al piacere. In questo caso esiste una ripetizione di rituali parafilici, ripresentatisi intermittentemente, che si sono svolti con una "schedule": precisa e probabilmente assai simile in ogni caso, con rituali di sottomissione ed imposizioni, iter consistenti in pratiche fotografiche, esecuzioni di pratiche sessuali sul filo del rischio di vita delle partner che egli definisce "sesso estremo" con termine preso a prestito da una certa letteratura, che non sempre si ferma al momento giusto ma travalica nella tragedia: nella parafilia sadica, si sa dove si comincia ma non si sa dove si finisce. Come se egli seguisse un manuale di istruzioni interno o possibilmente anche esterno. Il rituale, seppur approssimativo, sadico, che comporta grande eccitazione e piacere, non può che rimanere sul piano di questo grossolano e pericoloso acting, al livello solo comportamentale, in presenza di incapacità di mentalizzare, e di costruire immagini interne (mentali) integrative e costitutive nel mondo fantastico, che in qualche modo normalizzano la parafilia e rendono meno pericoloso il comportamento trasformando l'atto in interamente o parzialmente simbolico. Non mancava nel complesso rituale che abbiamo descritto una dimensione narcisistica, che comportava un accenno ad una organizzazione per strutturare una sorta di trama occultante e depistante, che faceva parte e integrava come ultimo atto la ritualità, con sue dimensioni anch'esse rituali, di occultamento e di furtività (sostituzione di targhe, ecc.). Lo strazio e l'occultamento del cadavere è parte integrante del rituale parafilico.

Il quadro nosologico delle Parafilie si riferisce in modo adeguato al nostro caso, visto che è composto da fantasie, impulsi sessuali e comportamenti ricorrenti, intensamente eccitati ed eccitanti sessualmente, che nel caso del sadismo riguardano appunto la sofferenza e/o l'umiliazione della partner: va tenuto presente che, come è quasi la regola, fantasie e stimoli parafilici sono nel caso del sig. Stevanin indispensabili per l'eccitazione sessuale, sono in altre parole elementi di base indispensabili per la sessualità, e sono quindi sempre impliciti nell'attività sessuale.

La preferenza della fantasia parafilica in questo caso è di essere portata alle conseguenze estreme, per rendere la partner, quali che fossero le condizioni di partenza, non consenziente, e per realizzare comportamenti sessuali effettivamente lesivi per la partner stessa: questo è in gran parte legato al fenomeno di cui più sopra si è parlato, e cioè della incapacità o rilevante inefficienza della elaborazione fantastica, della "fiction" interiore, della costruzione di rappresentazioni simboliche e metaforiche, in susseguenze normative che costruiscano, anche previo accordo con la partner, situazioni soddisfacenti e non lesive o non troppo lesive.

E' prevedibile che il parafilico con capacità di costruzione fantastica e di mentalizzazione strutturi situazioni che rendano meno specifico, più mascherato, a diversi livelli di sublimazione, lo stimolo sessuale anomalo. Ricordiamo che il concetto di sublimazione nasce come metafora dalla chimica, ove indica passaggio di stato saltando lo stadio intermedio: in questo caso la realizzazione della pulsione erotica saltando l'erotizzazione propriamente, a volte produce comportamenti ad alto valore sociale. Per esempio il sadico può fare il soccorritore e guidare una autoambulanza, o può fare la professione chirurgica. In molti casi, queste persone possono guardare, leggere, collezionare romanzi, o foto, o films, o, nella ipotesi più regolare, procurarsi un partner consenziente con cui risolvere simbolicamente, attraverso simulacri (legature, finte fustigazioni, schiavitù simbolica), le spinte sessuali. Ovviamente, i soggetti privi di partner consenziente ricorrono alle prestazioni di prostitute, che però sono difficilmente consenzienti a pratiche anche simboliche, per l'ovvio motivo che per un accordo di questo tipo occorre una profonda conoscenza e una notevole fiducia tra i partners. In casi abbastanza rari si ha la realizzazione di questi vissuti e spinte sadici su vittime non consenzienti. Ciò avviene specificamente quando si realizzano due condizioni che si sono essenzialmente poste in convergenza nel nostro caso. Esse sono da un lato l'intensità della spinta istintuale sadica, massima in questo caso, e dall'altro la grave incapacità di sublimare, di costruire elementi fantastici, di creare simbolismi, a cui abbiamo fatto cenno più volte, dato l'importanza che ha questo elemento.

Nel caso dunque del sig. Stevanin la focalizzazione parafilica implica azioni reali, non simulate, in cui il soggetto ricava eccitazione sessuale dalla sofferenza prevalentemente fisica, ma anche psicologica (soprattutto la sottomissione e la umiliazione) della vittima, col controllo completo della vittima, terrorizzata soprattutto dall'anticipazione dell'attacco sadico. Nel suo caso, è la sofferenza della vittima ad essere sessualmente eccitante in modo specifico, attraverso atti indicanti il dominio (soffocare, ingabbiare, ecc.). Nel nostro caso, come è la regola, la gravità e la lesività dell'atto sadico aumenta col tempo e con la ripetitività. A questa situazione, già del tutto ben delineabile nosologicamente, in cui spinta pulsionale e impossibilità di gestirla fantasticamente agiscono in modo così intenso sul comportamento, si aggiunge un altro elemento di grande importanza. Il sig. Stevanin appare un individuo totalmente isolato, con difficoltà trancianti di stabilire relazioni valide, intanto sul piano affettivo o della solidarietà o delle intese socio-affettive, o di vicinanza di interessi, con poche possibilità di scambio di pensiero e di emozioni con gli altri: egli non è capace di comunicare, di parlare con qualcuno, di esprimere le proprie idee e vissuti, in modo da riceverne conferme o sconferme, e di operare confronti. Chiuso, come estraniato, vivendo in una casa isolata, in un ambientazione non povera, non limitata in se, ma in una estraniante decadenza, tra mura, infissi e mondi insomma, fatiscenti e strani, come arcaici e inaccessibili. I luoghi dove si consumano i suoi tragici rapporti sessuali esprimono una freddezza ed uno squallore totale, il contrario propriamente di ogni istanza amorosa o affettuosa. Tocchiamo qui il senso vero, psicopatologico e psicoanalitico, del termine di perversione, al di fuori dei risvolti linguistici correnti ed etici, nel senso propriamente della pulsione erotica, e cioè intesa verso il piacere, che cambia di segno sottomano, al momento della realizzazione, da positivo a negativo, dell'ottenimento del piacere dalle situazioni che creano dolore e disgusto.

In questa dimensione, il comportamento generale configura il vero withdrawal e cioè il personaggio totalmente isolato e chiuso che si risveglia e fuoriesce dal bozzolo solo nel momento in cui si muove a tendere verso il raggiungimento dei suoi protocolli e delle sue ritualità di piacere stravolto. Un comportamento che mira al soddisfacimento di istanze pulsionali interiori senza tener conto delle esigenze della realtà esterna, un mondo psichico con nessun contatto col mondo reale: la definizione sarebbe in ciò simile all'autismo bleuleriano, non fosse per la profonda differenza legata alla presenza, in quest'ultimo, di grandi alterazioni cognitive e di un mondo psicotico delirante e dispercettivo che qui manca.

Due sono le ipotesi che si possono fare a spiegare questa realtà di una Karakterpanzerung, di una corazza caratteriale così impenetrabile: intanto, che la grande, impellente e quotidiana presenza della pulsione parafilica, riempia, in una sorta di bourrage psichico, la mente, riempiendo ogni spazio e ponendo tutto in secondo piano rispetto ai suoi programmi e alle sequenze di progetti sadici, rendendo impossibili relazioni, progetti diversi, e addirittura desideri e istanze che si discostino da quella centrale; ed in secondo luogo, che esista una struttura di personalità oscillante tra il narcisistico e l'istrionico, essendo il narcisismo evidente da una certa grandiosità del progetto sadico, che mira ad una realizzazione di ogni aspetto delle sue spinte, con dispregio della realtà, della vita degli altri, dei sentimenti altrui e della società e del mondo con le sue regole sociali ed etiche, e dell'esigenza di adeguarsi, almeno un minimo a queste regole; e l'aspetto istrionico collegato ad una sorta di belle indifference, ma privo di elementi amplificati, nella sua tecnica di teatro e nella sua recita continua per presentare il volto di una persona anonima e senza nessuno spicco, con anzi la generica presenza di buon ragazzo, totalmente recitato per la limitazione dei contatti e delle relazioni sociali.

I due aspetti ovviamente arretrano, se vogliamo scendere alle dimensioni più profonde, alla sua vita antica, che sembra svolgersi come storia di un bambino molto strettamente tenuto, ma poco compreso, considerato e poco voluto. Siamo di fronte ad una struttura familiare inconsistente in cui non esiste un centro di gravità: la madre, isolata, distante, con in mente elementi di accudimento esterno, con una rilevante chiusura e ottusità rispetto alle esigenze emozionali. Il padre, buon lavoratore e senza linee generali di impostazione verso il figlio. Il vissuto del bambino può essere considerato del tutto simile a quello di un orfano grandioso, abituato al possesso di tutto ciò che lo circonda e che lascia al degrado. Possiamo ben pensare che questo abbia prodotto due tipi di risposta, da un lato un profondo risentimento per l'abbandono antico implicito nella situazione, con un grande bisogno di risarcimento narcisistico per la grande frustrazione subita,revanche che si esprime nella direzione presa dalla pulsione libidico-emotiva di controllo e dominio totale sulla figura femminile, origine di ogni abbandono: il controllo sadico perinde ac cadaver ha la funzione di realizzare il piacere a lui negato nelle esigenze infantili, con la fantasia che a questa revanche edipica si associ la garanzia di non poter essere abbandonato per il totale controllo dell'oggetto amato-odiato, in una ambivalenza narcisistica onnipotente. Infatti, è necessario porre in rilievo l'altro aspetto fondamentale di questa infanzia abbandonata nell'abbondanza, per usare questo ossimoro: questo ha determinato la caduta e la dissoluzione del superIo edipico maturo, determinando un senso di onnipotenza narcisistica, di poter fare ogni cosa quasi impunemente, e lasciando solo residui di un superIo arcaico, spietato, abbandonatore e che licita ogni sofferenza inflitta agli altri per il proprio piacere, spietato e feroce.

La costruzione, a posteriori, di una serie di amnesie psicogene, come quelle che il sig. Stevanin presenta attualmente, può essere del tutto ovvia, non necessariamente nell'ambito della simulazione, ma anche in quello appunto narcisistico onnipotente, del meccanismo di negazione contro ciò che non può spiegare in modo accettabile e che in qualche modo scalfirebbe l'integrità della sua persona, e sottolineerebbe la palmare evidenza del fallimento del suo progetto. In questo senso le amnesie psicogene non sono funzionali e integrate col quadro clinico che ha condotto ai comportamenti sadico-distruttivi, ma sono elementi attuali, a posteriori, dell'hic et nunc, comparsi ora per far fronte alla gravità dello scacco.

Questi atteggiamenti distruttivi possono essere considerati, nel profondo, alla luce della tragedia Orestea, con la distruzione goduta della donna per vendetta del tradimento profondo e allo stesso punto, col matricidio simbolico, con la negazione della espulsione materna.

Premesso che la personalità del serial killer non esiste sul piano nosologico, ma è una invenzione letteraria e cinematografica, non v'è dubbio che la diagnosi centrale è qui quella di Parafilia, nella specificazione del Sadismo Sessuale. La prima domanda che ci si pone è se con questo inquadramento nosologico ci si trovi di fronte ad un comportamento non evitabile, che comporta caduta della valutazione cognitiva della realtà, della possibilità di valutare le opportunità sociali, le regole, e di comporle con le proprie esigenze pulsionali. Non v'è dubbio che questi comportamenti siano intrinseci ad un certo tipo di funzionamento mentale, ed è quindi molto comprensibile e ci induce ad una valutazione della realtà parafilica come una tragica esigenza difficile da combattere, soprattutto se si tenga conto del retroterra dinamico che ha indotto, attraverso un iter di sviluppo doloroso, a queste istanze così interamente anomale. Vero è che la scarsa capacità di simbolizzazione, la nulla capacità di sublimazione, la povera possibilità di operazioni fantastiche, non ha permesso al sig. Stevanin vie d'uscita diverse per la realizzazione compromissoria ed accettabile del suo sadismo.

Tuttavia, il controllo degli impulsi è nelle parafilie possibile, in generale ed in questo caso, l'esecuzione del rituale parafilico non è uno scoppio improvviso, comporta una messa in opera precisa ed una complessa organizzazione: la coscienza dell'Io è sempre attiva, ed una serie di eventi sfavorevoli o la presenza di altri inibirebbe questa sequenza comportamentale. E' il superIo che è indebolito, ed è l'istanza sovracosciente di controllo che va esercitata che viene meno, istanza che può essere sempre richiamata. Il caso di Gilles de Retz è l'estremo di questo comportamento, forzoso ma pur sempre dedicato al piacere con la messa in secondo piano di elementi importantissimi per la vita sociale.

Anche la struttura narcisistica della personalità, espressa da un certo livello di grandiosità incoerente, è presente, come spesso accade in queste forme parafiliche. Una certa stolidità di fondo, una ottusità isolata, una carenza di iniziativa, una certa perplessità, ed una certa inesattezza nel valutare la realtà, venne riferita più che altro al withdrawal, al ritiro simil-autistico. Tutto ciò non incide nella capacità di critica e di giudizio in generale. L'amnesia psicogena e un fatto di secondo livello sia temporalmente che gerarchicamente, nel funzionamento psichico, e non è quindi da tenere in considerazione.

La scissione della coscienza dell'Io va riferita alla categoria nosologica dei Disturbi Dissociativi che, con modalità acute o di lenta insorgenza, vengono attribuite alla sconnessione, appunto allo Spaltung, di funzioni che procedono di solito ampiamente integrate, come coscienza, memoria, identità o percezione dell'ambiente. In questa categoria, tra le voci nosologiche possibili, si situa la vecchia Kurtschlussreaktion, o reazione a corto circuito della psicopatologia classica, che veniva una volta con qualche ragione usata per spiegare tipi di comportamento a coscienza scissa, con perdita della memoria dei fatti, comportamenti in cui la coscienza doveva considerarsi più precisamente crepuscolare, con restringimento cioè, usando la solita metafora ottica comune in questi casi, del campo di coscienza e permanenza di un fuoco anomalo, che non poteva tener più conto di considerazioni etiche e sociali.

Il quadro deve considerarsi legato ad una eccessiva recezione dello stimolo, da parte della personalità, ed a un convulso tentativo di allontanare lo stimolo inaccettabile saltando e shuntando l'elaborazione interna: insomma un corto circuito psichico. E' evidente che questo non si applica nel nostro caso, intanto perché un quadro di questo genere non è compatibile con comportamenti ripetitivi, elaborati, prolungati e complessi, e poi perché ha la caratteristica di comparire sotto notevole e improvviso stress, e non come espressione di articolati programmi. A rigore il corto circuito non rientrerebbe neppure nel Disturbo Dissociativo, in quanto le impostazioni moderne escludono questa diagnosi ogni volta che si presenta in condizioni di stress, rendendolo diagnosi incompatibile in presenza di Disturbo Acuto da Stress o di Disturbo Postraumatico da Stress.

Delle forme che fanno parte del quadro dissociativo, Amnesia Dissociativa, Fuga Dissociativa e Disturbo di Depersonalizzazione, l'unico praticabile nel nostro caso sarebbe dunque il Disturbo Dissociativo dell'Identità, caratterizzato dalla presenza di due o più distinte identità o stati di personalità che in modo ricorrente assumono il controllo del comportamento del soggetto, accompagnato da una incapacità di ricordare importanti notizie personali che è troppo estesa per essere spiegata con una normale tendenza a dimenticare.

Il Disturbo Dissociativo dell'identità riflette il fallimento nella integrazione dei vari aspetti dell'identità, della memoria e della coscienza. Ognuno degli stati di personalità può essere vissuto come se avesse storia personale, immagine di sé e identità distinte, compreso un nome separato. Di solito vi è una identità primaria che porta il nome ufficiale del soggetto, e che risulta passiva, dipendente, tendente ai sentimenti di colpevolezza e alla depressione. Le identità alternative frequentemente hanno nomi diversi e caratteristiche che contrastano con l'identità primaria (per es. sono ostili, "dirigenziali", e auto-distruttive). Identità particolari possono emergere in circostanze specifiche e possono differire nell'età e nel genere riferiti, nel vocabolario, nelle conoscenze generali o negli affetti predominanti. Il vissuto è che le identità alternative assumono il controllo in sequenza, una a scapito dell'altra, e possono negare la conoscenza reciproca, criticarsi l'una l'altra, o apparire in aperto conflitto. Talvolta, una o più identità più potenti regolano e assegnano il tempo alle altre. Le identità aggressive o ostili possono talora interrompere le attività delle altre o metterle in situazioni disagevoli.

I soggetti con questo disturbo presentano frequentemente lacune mnesiche a proposito della loro storia personale, sia remota, che recente. L'amnesia è frequentemente asimmetrica. Le identità più passive tendono ad avere ricordi più poveri, mentre quelle più ostili, "dirigenziali", o "protettive" hanno ricordi più completi. Una identità che non ha funzioni di controllo può tuttavia avere accesso alla coscienza attraverso la produzione di allucinazioni uditive o visive (per es. una voce che dà istruzioni). La dimostrazione dell'amnesia può essere raggiunta attraverso le indicazioni di altre persone che sono state testimoni di comportamenti che il soggetto rinnega, oppure attraverso le "scoperte" dell'individuo stesso (per es. il fatto di trovare in casa capi di abbigliamento che il soggetto non ricorda di avere comprato). Può esserci non solamente perdita di memoria per periodi di tempo ricorrenti, ma anche una perdita globale di memoria biografica per qualche esteso periodo della fanciullezza. Le transizioni da una identità all'altra sono spesso scatenate da fattori psico-sociali stressanti.

Come si diceva, è probabile che l'aumento di diagnosi di questo tipo sia dovuta ad una eccessiva influenza dell'attenzione posta a questi casi, soprattutto negli Stati Uniti, dalla narrativa fiction e dal cinema, tanto che è probabile che la sindrome sia stata altamente sovra-diagnosticata in soggetti suggestionabili.

Nel nostro caso tuttavia, la eccessiva ripetitività, la grande precisione e strutturazione del comportamento, la funzionalità delle sequenze psicomotorie, l'integrazione di tutte le attività in una personalità ben unitaria, fanno escludere un quadro di questo genere. Rimane a suo sostegno solo l'amnesia specifica dei comportamenti, che è però a posteriori e dissimulatoria, o, se proprio la si vuole inserire in disturbi funzionali della memoria e della coscienza dell'Io, meglio riferibile a manifestazioni di conversione del tipo Ganseriano, anche se, come detto, non v'è qui cenno a turbe del tipo Vorbeireden, o di valutazione della realtàpast the point, o di aspetti pseudo demenziali nel senso di Wernicke.

Ci si può domandare se un quadro psicorganico può rappresentare la base di un disturbo dissociativo di questo genere: indubbiamente si pone il problema dei sintomi dissociativi dovuti a epilessia parziale complessa, per quanto i due disturbi possano concomitare. Gli episodi epilettici sono di solito brevi (da 30 secondi a 5 minuti), e non comportano le strutture di identità complesse e persistenti e i comportamenti che si ritrovano tipicamente nel Disturbo Dissociativo dell'Identità.

Rimane il problema se un quadro di tipo frontale, o di perdita di sostanza cerebrale, possano portare a condizioni di questo genere: di questo si parlerà in un apposito paragrafo, ma occorre ricordare che in genere questi quadri portano ad un atteggiamento atimormico o per contrario eccitato e con comportamento spesso sì trasgressivo, ma caotico, inconcludente, del tutto sconnesso con la realtà esterna, apogrammatico, non teso a finalità elaborate e complesse, con componenti a tipo black out mnesici sparsi.

Non v'è dubbio dunque sull'esistenza della parafilia sadica, con tratti narcisistici, in sé non in grado di scemare la capacità di intendere e di volere.

Il problema dunque è solo uno: data l'esistenza di una lesione neurologica, definita con precisione, è questa lesione tale da portare nella parafilia una componente di incapacità di controllare la pulsione parafilica, e di renderla totalmente travolgente, tale da aver annullato la possibilità di tenerla a freno e di considerare i fattori circostanti sociali e personali? In altre parole, ha ridotto la coscienza dell'Io, o ha determinato un restringimento di coscienza, tale che la spinta parafilica è rimasta il solo contenuto mentale esistente?

In definitiva ci si domanda se la lesione organica possa agire sull'elemento parafilico fino ad alterare la possibilità di valutare la situazione e darsi uno stop.

In realtà la sindrome frontale, che è stata invocata in questo caso, non sembra propriamente presente. E' caratterizzata talora da forte disinibizione (lo dimostrano l'attività masturbatoria nei pazienti lobotomizzati), associata a ottusità e grossolana incapacità di pianificazione e progettazione, da atimormia e apatia, o da euforia stolida (moria, calembours, Witzelsacht), ma sempre immersa in una incapacità di valutazione più globale e decadenziale. In questo caso la sequenza programmatoria, le capacità cognitive, la tensione emotiva sono sempre state presenti ed estremamente attive.

Né sembra possibile parlare di sindrome limbica o ippocampale, che in ogni caso determina comportamenti disinibiti ma scoordinati e a valanga.

Non appare possibile attribuire ad una lesione psicorganica, che qui sarebbe asintomatica, lo scatenamento incontrollabile di una parafilia sadica svolta invece con complessi e strutturati rituali, con sequenze organizzate e ordinate, e con attitudini ripetitive.

In sintesi non vi è dubbio che esiste una Parafilia, e precisamente un Sadismo Sessuale, associata a personalità dai tratti narcisistici, del tutto indipendente dalla lesione cerebrale postraumatica. Esiste una lesione cerebrale ma non vi è nessun motivo clinico di affermare che esista e sia esistita una condizione psicorganica tale da alterare il controllo delle pulsioni o la coscienza dell'Io, rendendo impossibile il contenimento delle istanze parafiliche.

Nessun esame strumentale può dimostrarlo, e una ingenuità rappresenta il tentativo di "dimostrare con tests", o con enunciazioni teoriche neuroscientifiche sul funzionamento di controllo del sistema nervoso centrale che non hanno riscontro né in quadri clinici riconosciuti né nel caso clinico specifico del sig. Stevanin. Il concetto diagnostico di discontrollo da sindrome frontale deriva qui con modalità self-assertive a partire dai fatti di cui questo processo discute: non tiene conto che il sadismo sessuale, da solo, senza interventi di turbe psicorganiche, può condurre agli stessi fatti, in maniera coordinata e strutturata, mentre i comportamenti psicorganici sono imprecisi, scoordinati e caotici. Occorre guardarsi dall'applicare un modello scientifico atto a spiegare comportamenti semplici per render ragione di comportamenti complessi ad alto livello di organizzazione.

Affermare che le connessioni dell'area mesiale e fronto basale (che la risonanza magnetica danno come danneggiate) da un lato con la neocorteccia e dall'altro con l'amigdala o con l'ippocampo ne fanno un'interfaccia fra le aree cerebrali principalmente dedicate alla vita di relazione e quelle deputate alla sfera emotivo istintiva, sicchè una loro lesione può compromettere quei meccanismi inibitori che normalmente scattano alla visione del dolore altrui, è un pregevole modello teorico di mappatura cerebrale e un esempio classico di semplicismo e riduzionismo meccanicistico, che ha poco riscontro nella realtà clinica, tanto meno nella realtà clinica di un comportamento così complesso e così integrato, e rimane come modello teorico, anzi come experience distant theory, teoria generale, su cui basare una incapacità di intendere e volere sarebbe quanto meno imprudente. Tanto più che questo preciso meccanismo si metterebbe in funzione nello Stevanin solo quando i meccanismi rituali e cerimoniali del sadismo si attivano, e non in altre condizioni di vita. Non per esempio quando mette in moto la complessa e accurata ricerca e programmazione dell'elaborata serie di comportamenti, ma solo nel momento in cui uccide la vittima, che invece non è che un momento ovvio e conseguente di tutto l'iter.

La realtà di questa contraddizione ha condotto qualche precedente perito ad una curiosa separazione tra delitti con incapacità e susseguenti delitti con capacità, che si alternano l'un l'altro con una singolare bipolarità della capacità di intendere e di volere. Ogni volta, il sig. Stevanin inizierebbe imputabile e finirebbe non imputabile. Ne deriva una immagine di una persona costruita come un vestito di Arlecchino, fatto di diversi pezzi, con un giudizio critico diverso in situazioni fondamentalmente con lo stesso denominatore comune. Ciò sulla base di una forzosa neurologia clinica che non ha riscontro nel paziente né sufficiente riscontro nella clinica, e che dà per scontato cose nella clinica non esistenti.

Nella realtà, il sig. Stevanin è una persona tragicamente, sinistramente unitaria. Egli porta, con una pianificazione precisa, attraverso rituali e cerimoniali ripetitivi, la sua istanza, la pressione delle sue pulsioni, insiste nella sua Parafilia sadica, verso la realizzazione del piacere, attraverso la sofferenza dell'oggetto amato, per portarlo oltre, sempre con produzione di piacere, alla distruzione manipolatoria dell'oggetto ormai reso totalmente inerte.

Non possiamo che comprendere, il che significa renderci conto del perché e riconoscere in questa ricerca sinistra di realizzare le pulsioni una tragedia, che abbiamo definita Orestea, e che risale alle sofferenze del suo iter di sviluppo. Comprendiamo che il suo operare è legato strettamente al suo funzionamento mentale. Ma dobbiamo dire che in nessun momento gli è mancata, per motivi psichiatrici o neurologici, la possibilità di percepire e valutare le regole sociali, le esigenze degli altri, e quindi la sua indubbia psicopatologia non gli ha mai impedito di scegliere tra un comportamento o l'altro, o di trattenersi del realizzare una pulsione anomala.

Se non si può escludere che la lesione organica abbia provocato un abbassamento del rendimento emotivo e relazionale globale con la realtà esterna, è però improbabile che abbia provocato il withdrawal e la prevalenza di un tipo di relazione, improntato più che a difficoltà operative mentali, a chiusura e a modo di rapportarsi introverso o simil-autistico, con la prevalenza del binomio impulsi e rappresentazioni mentali da un lato, e acting comportamentale dall'altro. Tanto meno si possono individuare, all'interno di queste situazioni, momenti di scatenamento di una condizione mentale caratterizzata da perdita di controllo dell'Io, fuori di una precisa progettazione che comprendeva in realtà anche l'atto omicida, e perdita del sentimento di proprietà dei propri atti di conoscenza, isolata e specifica nel senso di legata a particolari momenti di elicitazione libidica o di stati libidico-emotivi particolari.

Tutto ciò che è accaduto è costituito non da singoli fatti isolati e autonomi, ma da un vero e proprio stile di vita, il che è caratteristica della struttura sadica, anche di forme più lievi di questa, che in realtà imposta e organizza tutta la vita in funzione della progettazione, della pianificazione e dell'organizzazione della realizzazione e della messa in scena delle esigenze sessuali anomale, come se tutta la vita fosse diretta a realizzare sceneggiature scritte nella mente, ed a porle in atto. Il sig. Stevanin, in realtà, da anni non pensava che a questo, a come mettere nella realtà i suoi desideri.

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