Sigmund Freud, “Vergänglichkeit”, 1915.
In Sigmund Freud gesammelte Werke, vol. X, p. 357.
Noi non abbiamo mai davanti a noi
il puro spazio dove i fiori
sbocciano senza fine.
R.M. Rilke, VIII elegia, v. 14-16.
Era d’estate, poco tempo fa; passeggiavo per una campagna in fiore con un amico silenzioso e un giovane poeta già famoso, che ammirava la bellezza della natura circostante ma non ne provava piacere. Era turbato dal pensiero che tanta bellezza fosse destinata a perire, che d’inverno sarebbe sparita, come del resto ogni bellezza umana e tutto ciò che di bello e nobile gli uomini hanno creato e potrebbero creare. Ciò che avrebbe amato e ammirato gli sembrava svalorizzato dalla caducità predestinata.
Sappiamo che dal naufragio nel nulla del bello e del perfetto possono derivare due moti psichici diversi. Uno porta al doloroso tedio mondano del giovane poeta, l’altro alla rivolta contro il reale affermato. No! è impossibile che tutte le magnificenze della natura e dell’arte, della nostra sensibilità e del mondo esterno, debbano proprio svanire nel nulla. Crederlo sarebbe troppo insensato ed empio. Devono poter in qualche modo durare, sottratte a ogni influenza distruttiva.
Solo che la pretesa d’eternità è troppo chiaramente il portato della nostra vita di desiderio per vantare diritti a qualche valore di realtà. Anche il doloroso può essere vero. Io non sapevo decidermi né a contestare la caducità universale né a strappare un’eccezione per ciò che è bello e perfetto. Contestai però al poeta pessimista che la caducità del bello implicasse svalutazione.
Al contrario, ne aumenta il valore! Il valore della caducità è la rarità nel tempo. La limitata possibilità di godimento ne aumenta il pregio. È incomprensibile, dissi, che il pensiero della caducità del bello debba turbarne la nostra gioia. Quanto alla bellezza della natura, dopo la distruzione dell’inverno, ritorna nell’anno nuovo; il ritorno si può definire eterno rispetto alla durata della nostra vita. Vivendo vediamo svanire per sempre la bellezza del corpo e del volto umano, ma la breve durata aggiunge altro fascino. La sua fioritura non ci appare meno splendida se un fiore fiorisce una sola notte. E così pure non riuscivo a capire perché la restrizione temporale dovesse svalutare la bellezza dell’opera d’arte o la perfezione della prestazione intellettuale. Tempo verrà in cui quadri e statue oggi ammirate andranno in pezzi, o verrà dopo di noi un genere umano che non comprenderà più le opere dei nostri poeti e dei nostri pensatori, o verrà un’epoca geologica in cui ogni forma di vita sulla terra scomparirà; il valore di tutta questa bellezza e perfezione è determinato solo dall’attuale significato per la nostra sensibilità vitale; non ha bisogno di sopravviverle; perciò non dipende dalla durata temporale assoluta.
Le ritenevo considerazioni incontestabili, ma mi accorsi di non aver fatto presa né sul poeta né sull'amico. Dato l’insuccesso, conclusi che un forte fattore affettivo fosse intervenuto a turbare il loro giudizio e più tardi credetti di averlo trovato. Doveva essere stata la ribellione psichica al lutto a svalutare ai loro occhi il godimento del bello. L’idea che la bellezza davanti a loro fosse effimera faceva presentire a due anime sensibili il lutto per la sua fine; poiché l'animo umano rifugge istintivamente da tutto ciò che è doloroso, sentivano intralciato dal pensiero della sua caducità il godere del bello.
Al profano il lutto per la perdita di qualcosa che abbiamo amato o ammirato sembra così naturale da spiegarlo in modo ovvio. Per lo psicologo invece il lutto è un grande enigma, uno di quei fenomeni inspiegabili, connessi ad altre oscurità. Noi immaginiamo di possedere una certa quantità di facoltà d’amare, che chiamiamo libido. Agli inizi dello sviluppo la libido si rivolge al nostro stesso Io; in seguito, ma in realtà molto presto, si distoglie dall'Io e si indirizza agli oggetti, che in tal modo accogliamo in certa misura nel nostro lo. Se gli oggetti vanno per noi distrutti o perduti, la nostra facoltà d’amare (la libido) torna libera. Può prendere altri oggetti come sostituti o tornare provvisoriamente all’Io. Ma non comprendiamo perché il distacco della libido dai suoi oggetti debba essere un processo così doloroso. Per ora non siamo in grado di formulare alcuna ipotesi. Vediamo solo che la libido si aggrappa ai propri oggetti e non vuole rinunciare a quelli perduti, neppure quando il loro sostituto è lì, già pronto. È dunque questo il lutto.
La mia conversazione con il poeta ebbe luogo l’estate prima della guerra. L’anno dopo scoppiò la guerra che saccheggiò il mondo delle sue bellezze. E non distrusse soltanto la bellezza dei luoghi in cui passò e le opere d’arte che incontrò strada facendo; infranse anche il nostro orgoglio per le conquiste della nostra civiltà, il nostro rispetto per moltissimi pensatori e artisti, le nostre speranze nel definitivo superamento delle differenze tra popoli e razze. Insozzò la sublime imparzialità della nostra scienza, mise semplicemente a nudo la nostra vita pulsionale, scatenò gli spiriti malvagi che albergano in noi e che credevamo di aver debellato per sempre grazie all'educazione impartita nel corso dei secoli dalle nostre personalità più elette. Rimpicciolì la nostra patria e riallontanò il resto della terra. Ci spogliò di tante cose che avevamo amate e ci mostrò quanto siano effimere molte altre cose da noi considerate durevoli.
Non stupisce che la nostra libido, così impoverita di oggetti, abbia occupato con intensità maggiore quanto è rimasto, e d’improvviso siano diventati più forti l’amor di patria, la tenera sollecitudine per il nostro prossimo e la fierezza per ciò che ci accomuna. Ma gli altri beni, ora perduti, hanno perso davvero per noi il loro valore, perché si sono dimostrati così precari e incapaci di resistere? A molti di noi sembra così, ma anche qui, ritengo, a torto.
Chi la pensa così e sembra preparato alla rinuncia definitiva, perché ciò che è prezioso si è dimostrato insostenibile, si trova, credo, ancora nel lutto per ciò che ha perso. Sappiamo che il lutto, pur doloroso, si estingue da sé; rinunciando a tutto il perduto, si autoconsuma. Allora, finché siamo ancora giovani e vitali, la nostra libido sarà di nuovo libera di sostituire gli oggetti perduti con i nuovi, altrettanto o, se possibile, ancora più preziosi. Resta da sperare che non vada diversamente con le perdite di questa guerra. Solo a lutto superato, scopriremo se la nostra alta considerazione dei beni della civiltà non abbia sofferto per l'esperienza della loro fragilità. Ricostruiremo tutto ciò che la guerra ha distrutto su fondamenta forse più salde e durature di prima.
(Traduzione di Antonello Sciacchitano)
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