Rimando al link del contributo di Gilberto : http://www.psychiatryonline.it/node/9670
Nato come risposta privata alle potenti e dense parole di Gilberto, questo mio ritorno, lui mi ha domandato di "renderlo pubblico per la sua significatività".
Una richiesta precisa, dettata, forse, dal bisogno di depositare in un altrove, di dis-locare quell'angoscia selvaggia, a tratti senza un pentagramma per poter cogliere l'ampiezza del suo suono.
Un amalgama che si riversa al di fuori, che si lascia debordare e che si assottiglia, disperdendosi in altri sguardi, altre emozioni, altre presenze.
Allo stesso tempo, testimonianza forte, cruda e materica, di una sofferenza caotica, destinata a rimanere indecifrata.
Ci racconta del limite del dolore dell'altro che, sempre, si conosce fin dove a noi viene concesso, da chi ne porta il proprio peso.
Quel dolore che talvolta rimane lì, nella piega più profonda della sua stessa insondabilità.
Così, termina Gilberto, "io tengo insieme, come un mucchietto di fiori di campo, le vite che tu e quelli come te avete lasciato, legate allo spago della memoria".
E, proprio attraverso questa memoria, allora si può procedere in avanti, incontro ad una nuova "Maria", non ancora conosciuta.
Perché, alla fine, ciò che resta a noi, viandanti di mondi, è solo l'insopprimibile, prima di tutto umana, spinta a salvare, tutto ciò che può essere salvato.
"Caro Gilberto, mio affezionatissimo Maestro, ho letto la sua "lettera ad una suicida", mi ha toccato molto, mi è sembrato davvero di sentire quello squarcio lacerante fra un prima (fatto di una quotidianità impegnativa, magari irrefrenabile, stancante e consueta) e un dopo, in quell'attimo in cui tutto si arresta d'improvviso, un urto tremendo, un dolore che lacera acuto e che inizia a logorare piano, dall'interno, a scavare, che resta di sottofondo e che, talvolta, sembra forse, davvero, destinato a diventare un malinconico compagno di viaggio.
Vorrei dirle, vorrei dirti ciò che tu già ben sai, ovvero che quell'apparentemente misero mucchietto di fiori di campo che tieni insieme tu è una delle cose più preziose, è uno spazio fatto di materia e di emozione che fonda e ri-fonda, testimonia la dedizione assoluta ai tuoi pazienti e al loro, pur sempre e comunque misterioso e, inevitabilmente, parzialmente imperscrutabile mondo.
Le tue (le nostre) spesso sono anime perdute, alla deriva di esistenze scarne, impoverite, aride, che in te trovano, prima di tutto, ristoro, un affrancamento dalla solitudine, quella mano calda tesa, un abbraccio generoso quando elemosinano un po' di tepore.
In realtà, poco importa per quanto perdura quella stretta, può essere solo qualche attimo, due bordi che si toccano e delimitandosi a vicenda magari solo il tempo di qualche incontro, ciò che conta è che questo è accaduto.
Esserci stato, dentro quel momento, è ciò che conta, è quel toccarsi, sentirsi, contenersi, c'è stato, è stato concreto e trasparente, "Maria" sarà sempre lì, in questo vostro donarsi, impastato nella tua memoria come un ricordo commuovente e amaro.
Al pari del dolore che senti, questo vale, questo è un valore: tu ci sei stato per lei, tu hai avuto il privilegio di tenere in mano quel fiore prima di assistere, inerme, al suo appassire, una dipartita in alcuni casi (e tu che tanti ne hai persi, lo sai bene) inesorabile.
Tu a "Maria" hai dato ciò di cui in quel transito, in quell'attraversamento aveva bisogno, con tutto il tatto, il calore, in una parola: la cura, possibili; prima che, senza un addio, si congedasse, sulla riva della sua vita.
Soffri ciò che senti di poter soffrire per questa perdita, ma ricordati sempre quello che fai, quanto sempre fiero di te dovresti essere per aver accompagnato "Maria" in questo tratto del viaggio, sii sempre fiero di te perché tu "Maria" la porterai con te, la terrai dentro, per tentare di salvare la prossima "Maria" che incontrerai, che saprai accogliere e della quale avrai la stessa premurosa cura.
Ti abbraccio forte, con sincero affetto,
Daphne"
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