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TRENT’ANNI DI PSICOTERAPIA COGNITIVA E COMPORTAMENTALE IN ITALIA

12 Ott 12

Di FRANCESCO BOLLORINO

Introduzione di Paolo Migone

In questo lavoro, Ezio Sanavio, Professore di Psicologia Clinica al Dipartimento di Psicologia Generale dell'Università di Padova, racconta la storia del movimento di psicoterapia cognitivo-comportamentale in Italia. Il paradigma teorico del comportamentismo e i suoi successivi sviluppi nel cognitivismo (nelle sue varie versioni) sono estremamente interessanti, anche perché rappresentano un imprescindibile punto di riferimento per il dibattito teorico sulla teoria della picoterapia e per comprendere meglio le differenze con altri paradigmi (come quello psicodinamico), e quindi la identità dei vari approcci. Un motivo di ulteriore interesse è rappresentato dal fatto che il movimento italiano di terapia cognitivo-comportamentale è considerato da molti come uno dei più innovativi a livello internazionale.

Per avere un panorama più articolato su questo movimento in Italia (e anche per mantenere quella che ormai è diventata una tradizione dell'Area "Psicoterapie" di POL.it, che è quella di ospitare discussioni critiche con posizioni diverse che si confrontano), ho chiesto a Giovanni Liotti di mandare un commento, dal suo punto di vista, allo scritto di Sanavio. Liotti è tra le figure più note del movimento italiano di psicoterapia cognitivo-comportametale, e ha vissuto in prima persona alcuni degli sviluppi di cui parla Sanavio. Il suo commento contiene aspetti critici, prevalentemente riguardo ai motivi della scissione tra le due associazioni italiane di psicoterapia cognitiva, per cui ci è prezioso per avere un quadro della situazione visto da un'altra prospettiva. Ho chiesto infine a Sanavio se voleva ribattere a Liotti, e con piacere ci ha mandato una sua breve replica.

Infine, dopo la pubblicazione in rete di questi documenti, sono comparsi alcuni interventi nelle liste di discussione (e precisamente sulla lista Psich-Ita di POL.it e sulla lista "Psicoterapia" di Psychomedia),da parte di Tullio Carere, Paolo Migone, Gennaro Esposito, Antonio A. Rizzoli, Piero Porcelli, Mario Galzigna, Silvio Lenzi, Tullio Carere, e Giovanni Liotti. Questo dibattito viene pubblicato nell'ultima parte.


  • TRENT'ANNI DI PSICOTERAPIA COGNITIVA
  • E COMPORTAMENTALE IN ITALIA
  • Ezio Sanavio
  • Professore di Psicologia Clinica, Dipartimento di Psicologia Generale, Università di Padova

Introduzione

La terapia del comportamento in Italia si diffonde negli anni 70. Essa costituì un fenomeno d'importazione, qualcosa di estraneo per la cultura e la tradizione italiana e faticò molto per superare le iniziali reazioni di rigetto, per radicarsi nella nostra realtà, sviluppare la propria autonomia. Questo radicamento fu favorito negli anni80 dallo sviluppo delle teorie e delle tecniche cognitive, che risultavano più coerenti con le nostre tradizioni culturali. Nella pratica clinica, non vi fu contrapposizione tra cognitivismo e comportamentismo, ma un innesto graduale dei modelli cognitivi che espandevano le potenzialità terapeutiche delle teorie e tecniche comportamentali. Nell'uso d'oggi é invalsa l'espressione psicoterapia comportamentale e cognitiva sostituendo quella di terapia del comportamento. Essa potrebbe essere descritta come un albero che affonda le sue radici nella reflessologia pavloviana ed erge la chioma nelle epistemologie della complessità e nelle ideologie post-moderne(vediTabella, alla fine dell'articolo).

Sia per comprendere tale sviluppo, sia soprattutto per comprendere in profondità luci ed ombre che oggi presenta in Italia, é opportuno soffermarsi preliminarmente su alcune riflessioni storiche.

Il retroterra culturale

La cultura italiana, nella prima metà del novecento, fu dominata dall'influenza della filosofia classica tedesca e del neo-idealismo, che ebbe nel nostro paese continuatori originali ed eminenti come Benedetto Croce e Giovanni Gentile. Nel dopoguerra la cultura italiana si aprì con entusiasmo al pensiero marxiano ed al materialismo storico. Il dopoguerra vide altre importanti aperture culturali, di più elitaria diffusione, in particolare verso il pensiero esistenzialista e fenomenologico (e questi furono gli approcci abbracciati dalla parte più colta della cultura psichiatrica in Italia, che aveva sempre parlato tedesco o francese, ma raramente inglese). Furono invece poco conosciuti il Circolo di Vienna, il positivismo logico, la filosofia della scienza, la cui diffusione – dovuta a Ludovico Geymonat, che coniugò filosofia della scienza e marxismo – fu sorprendentemente tardiva. Dunque la generazione che negli anni '70 – anni della introduzione della terapia del comportamento – aveva posizioni autorevoli negli ospedali, nelle università, nella vita culturale e sociale in genere, é una generazione cresciuta ed educata, nel bene e nel male, nel culto della cultura umanistica, dell'antichità classica, della filosofia classica tedesca e del suo sistema di valori culturali, sociali, etici ecc.

In Italia Watson e la cosiddetta "rivoluzione comportamentista "erano stati ignorati al loro apparire, fraintesi in seguito (Trombetta, 1995). Lungo oltre metà del secolo il comportamentismo fu considerato come un sistema filosofico di stampo materialista particolarmente ingenuo e grezzo – una posizione che anche in seguito stentò ad essere corretta e che é tuttora condivisa dai più. Sul piano filosofico, la rilettura storico-critica del comportamentismo dovette attendere la fine degli anni 60 e fu opera di Umberto Curi, un filosofo padovano di formazione marxiana (Curi, 1967, 1973). Egli, da una parte, rimprovera al comportamentismo di prima generazione di avere sviluppato "una meta fisica del comportamento, altrettanto dogmatica ed arbitraria della deprecata metafisica coscienzialista" (Curi, 1967, p. 173). Dall'altra parte, egli riconosce un secondo e più valido modo di intendere il comportamentismo come un'applicazione al lessico della psicologia di indicazioni epistemologiche fornite in parte dall'operazionismo di Bridgman, in parte dalla filosofia analitica e dal Circolo di Vienna.

Evidente dunque come la cultura italiana abbia avuto e conservi tuttora connotazioni estremamente diverse dalla cultura anglosassone: in breve, essa é stata – ed é in prevalenza tuttora – intrinsecamente ostile a tutto quel retroterra filosofico e più generalmente culturale che é stato alle spalle della terapia del comportamento.

Lo scenario psichiatrico e socio-politico

Il 1968 fu un anno cruciale per la nostra storia sociale e politica come in gran parte d'Europa. Inoltre, nel 1968 la contestazione irrompe prepotentemente nella scena psichiatrica. Punto cruciale é la pubblicazione in quello stesso anno da parte di Franco Basaglia de L'istituzione negata: Rapporto da un ospedale psichiatrico. In questo contesto critico anche il tradizionale ruolo terapeutico del medico viene negato: viene denunciatala violenza del sapere e del potere psichiatrico, viene denunciata la falsa neutralità della scienza. Da questa critica non viene risparmiatala psicoterapia, che viene considerata solo una forma più raffinata(o subdola) della medesima violenza.

Per quanto ci concerne, il momento più arduo di questo dibattito é dato da un Convegno tenutosi nel 1976 a Reggio Emilia sul tema "La terapia del comportamento nella pratica psichiatrica". Gli esponenti principali della psichiatria di allora sostennero che le psicoterapie vanno considerate uno strumento di manipolazione e di controllo sociale e che la terapia del comportamento sarebbe solo la più ingenua e scoperta di tutte, quella nella quale "il malato viene messo nella stessa situazione del topo e del piccione nella gabbia di Skinner" (Minguzzi, 1978).

In conclusione, nel mondo della psichiatria e della psicoterapia italiana, la strada della Terapia del Comportamento fu tutta in salita a partire dagli anni 70 ad oggi. Costante é stata la necessità di difendersi dalla critica stereotipica di operatori della manipolazione, del consenso sociale, del lavaggio del cervello. E' stato merito di Gian Franco Goldwurm – uno psichiatra comunista che ha avuto un ruolo di primo piano nella riforma psichiatrica italiana e nella chiusura di tre dei principali ospedali psichiatrici del Nord Italia – coniugare la deistituzionalizzazione con i principi della terapia del comportamento e con le risorse tecniche offerte da essa alla riabilitazione ed al reinserimento degli psicotici cronici (cfr. Goldwurm,1978, 1979).

La psicologia italiana ed il comportamentismo

Nei paesi anglosassoni, lo sviluppo e la diffusione della terapia del comportamento si sono giovati del forte peso che il comportamentismo aveva avuto da mezzo secolo. Nulla del genere in Italia. Lungo tutta la prima metà del novecento, gli studiosi comportamentisti furono conosciuti di riflesso, per lo più attraverso le critiche formulate da loro oppositori (Kohler, Vygotsky, Piaget) o compendi di psicologia francesi o tedeschi. I classici del comportamentismo e della Learning Theory sono stati tradotti solo a partire dagli anni settanta e proprio sull'onda dell'interesse suscitato dalla Behavior Therapy.

Va però fatta menzione di due significative eccezioni, a Siena ed a Palermo, rappresentate rispettivamente da Virgilio Lazzeroni e Gastone Canziani. A Lazzeroni viene riconosciuto il merito di avere per primo esposto e difeso in Italia, nel 1942, la tesi che "l'oggetto della ricerca psicologica è un momento dell'esperienza riducibile al comportarsi degli organismi animali in situazioni date". Per i successivi quarant'anni Lazzeroni continuò ad approfondire lo studio storico e critico delle origini della psicologia moderna e pervenne ad elaborare una propria revisione originale – in termini funzionalisti – della nozione di comportamento; egli riconosce nel comportamento una funzione simile alle altre funzioni dell'organismo: un sistema regolatore dell'organismo che si sovrappone e interagisce con tutti gli altri sistemi di regolazione dell'omeostasi dell'organismo (Lazzeroni, 1985). Egli si occupò non solo di storia e teoria della psicologia, ma anche di psicosomatica e psicopatologia. Fu così dapprima precursore poi fautore e divulgatore della terapia del comportamento in Italia. Per merito suo e dei suoi successori, Saulo Sirigatti e Mario Reda, l'Istituto di Psicologia Generale e Clinicadell'Università di Siena da lui fondato é stato ed é tuttora uno dei poli principali di ricerca e di formazione in terapia comportamentale ed ora in terapia cognitiva.

Una seconda eccezione é costituita, nell'immediato dopoguerra, da Gastone Canziani. Arrivato in Sicilia dalla nativa Trieste – allora città di vasta cultura mitteleuropea – insegnò psicologia all'università di Palermo, dove fondò un laboratorio che svolse ricerche sperimentali di derivazione reflessologica. Grazie a questa presenza, la Sicilia continuò in seguito ad importare significativi studiosi aperti ad una psicologia del comportamento. Invitò Isaias Pessotti, un giovane brasiliano allievo di Keller, ad insegnare le tecniche del condizionamento operante nel proprio laboratorio ed a sperimentarle, assieme al figlio Fabio Canziani, nel trattamento di fobie infantili e disturbi del controllo sfinterico. La Sicilia fu così un altro polo di diffusione della terapia del comportamento: prima per opera di Canziani, poi per opera di due ricercatori di origine milanese, Ettore Caracciolo e di Paolo Moderato.

Nel complesso, però, la riabilitazione del comportamentismo fu parziale e incredibilmente tardiva ed ebbe luogo ben dopo che la psicologia cognitiva si era diffusa e radicata nel mondo della ricerca psicologica italiana e dell'insegnamento universitario. Avviene così che, nel mezzo degli anni 70, la principale rivista di psicologia italiana, il GiornaleI taliano di Psicologia, pubblichi un articolo, che può essere considerato il manifesto programmatico del cognitivismo in Italia (Bagnara et al., 1975). Con lo schematismo che spesso si ritrova in tali documenti programmatici, il cognitivismo é presentato come paradigma scientifico emergente, in antitesi al comportamentismo e in associazione ad una vasta serie di potenzialità innovative e valori progressisti. Il comportamentismo é invece liquidato come (1) fenomeno culturalmente e scientificamente chiuso e superato (2) che lascia un'eredità o insignificante o regressiva (3) estraneo alla cultura ed alla storia della psicologia europea (4) espressione del colonialismo scientifico ed economico nord-americano (5) sovrastruttura ideologica di una società che monetarizza l'uomo e le relazioni umane.

Per reazione a tali tesi, un gruppo di giovani ricercatori dell'Università di Padova pubblicò una articolata risposta (Cornoldi et al.,1976); essa contribuì in maniera determinante ad una comprensione critica della psicologia del comportamento: in particolare veniva ribaditala vitalità delle applicazioni della psicologia del comportamento nella clinica e nellaBehavior Therapy. Questo gruppo rappresenta quel polo padovano, che ebbe un ruolo chiave nella diffusione della terapia del comportamento in Italia.

L'approfondimento storico della psicologia del comportamento fu condotto solo negli anni '80, da Paolo Meazzini, uno psicologo veneziano di formazione gestaltista (Meazzini, 1980, 1983). Egli ribadisce che il comportamentismo, lungo tutta la sua lunga storia, non ha rappresentato uncorpus teorico unitario né una "scuola", ma piuttosto un "sistema culturale aperto" e che l'eredità del comportamentismo é metodologica: essa consiste nel rigore dei metodi, nell'attenzione ad evitare la reificazione di costrutti ipotetici, nel primato della ricerca sperimentale, nella tensione verso l'obiettività metodologica sempre strenuamente rivendicata al di là delle differenti teorie formulate via via dai vari studiosi (Meazzini, 1985). E' proprio in questa accezione medologica e di "sistema aperto" che si parlò di terapia del comportamento in Italia.

Radici nella reflessologia pavloviana

Le prime presentazioni in ambiente scientifico della Terapia del Comportamento ebbero luogo sotto l'egida della neurologia e della dottrina pavloviana dei riflessi condizionati. Nel 1965 si tiene a Salice Terme il XV Congresso della Società Italiana di Neurologia: vi é un intero symposiumsui riflessi condizionati. Ospite d'onore è il sovietico Sokolov; a noi interessa la relazione di E. Arian (uno psichiatra torinese che morirà nello stesso anno anche per le sevizie subite nei lager nazisti) che svolge una ampia esposizione delle prospettive terapeutiche derivate dalla teoria pavloviana dell'attività nervosa superiore e, per dovere di completezza, svolge un lungo excursus a illustrazione della terapia del comportamento. Arian cita soprattutto Dunlap, Eysenck, Lazarus, Mary Cover Jones, Wolpe:

Le premesse teoriche donde partono questi autori non sono perfettamente omogenee, sono in tutti i casi assai fragili, e talvolta sotto non pochi aspetti appaiono come una distorsione o caricatura della dottrina di Pavlov (Arian, 1965, p. 232-233)

Nel 1968 si tiene a Milano il congresso del Collegium Internationale Activitatis Nervosae Superioris (CIANS). Il CIANS é un'associazione internazionale, costituita nel 1960 in Cecoslovacchia grazie soprattutto all'intraprendenza di Gantt, che nel 1955 aveva dato vita alla Pavlovian Society of Northern America. Gli scopi vanno al di là della tradizione pavloviana e sono così indicati: promuovere lo studio interdisciplinare di problemi di rilievo delle neuroscienze, della psicologia e delle scienze biomediche che abbiano un impatto sul comportamento e sulla salute: si noti l'ampia sovrapposizione con gli scopi che ben più tardi saranno propugnati dalla Medicina Comportamentale e dalla Psicologia della Salute. Presidente del congresso milanese é W.H. Gantt, organizzatori locali G.F. Goldwurm e L. Cazzullo, fra gli intervenuti occidentali vi sono Gelder, Rachman e Wolpe. In questa come in varie altre occasioni gli studiosi italiani hanno saputo svolgere questo ruolo di cerniera: mettere in contatto studiosi dell'Est e dell'Ovest in un mondo diviso dalla guerra fredda che non incoraggiava gli scambi scientifici.

Ancora a Milano, nel 1970, si tiene il Congresso di psichiatria e neurologia di lingua francese; la sezione sulla terapia é dedicata alle "terapie di condizionamento nelle nevrosi" ed affidata al francese Rognant ed all'italiano Goldwurm (1970): entrambi utilizzano riferimenti che provengono in parte dalla reflessologia sovietica, in parte dal comportamentismo. Un'ulteriore testimonianza della tradizione pavloviana é l'attività in questi anni a Roma dell'Istituto di studi psicologici e psichiatrici di Villa S. Rita intento a realizzare una sintesi tra reflessologia e psicodinamica. Ne é espressione un volumetto dall'accattivante titolo "I riflessi condizionati nella vita quotidiana" (Cerquetelli & Durante, 1970).

Due società di Terapia del Comportamento

Sempre agli inizi degli anni 70, inizia ad interessarsi di Terapia del Comportamento un gruppo di studenti e giovani psichiatri della Clinica Psichiatrica dell'Università di Roma, che grazie all'incoraggiamento del direttore, Prof. Giancarlo Reda, hanno occasione di formarsi in Inghilterra al seguito soprattutto di Victor Meyer e Isaac Marks. Il loro interesse é rivolto alla psicoterapia delle nevrosi ed alla professione privata. Altri, come Paolo Pancheri, Gabriele Chiari, Roberto Mosticoni e MarioReda, apprendono e diffondono il bio-fedback. Altri, come Francesco Mancini, si rifanno alla teoria dei costrutti personali di Kelly e richiamano l'attenzione sui princìpi costruttivistici in psicologia e psicoterapia. Stimolo ulteriore al gruppo romano viene da un allievo di Ellis, Cesare De Silvestri, che introduce la Rational Emotive Therapy (RET) a Roma e, successivamente, in Italia. Si costituisce così a Roma, nel 1971, una delle prime società di Terapia del Comportamento costituite in Europa, la Società Italiana di Terapia del Comportamento (SITC), benché in quegli anni avesse un rilievo solo cittadino. Primo presidente é Vittorio Guidano; altri promotori oltre ai summenzionati furono Stefania Borgo, Gianni Liotti, Lucio Sibilia. Negli anni successivi questo gruppo iniziò un'attività auto-formativa e formativa invitando a Roma figure eminenti per brevi stages. Con gli anni '80 la SITC svilupperà una dimensione nazionale ed organizzerà regolarmente propri congressi.

Il polo milanese ha invece come interessi teorici e clinici prevalenti quelli delle psicosi, della Terapia del Comportamento all'interno delle istituzioni e finalizzata alla riabilitazione ed al reinserimento degli psicotici.- figura di riferimento é G.F. Goldwurm. Inoltre il polo milanese é reso vivace da molte iniziative che provengono dall'Istituto di Psicologia della facoltà Medica dell'Università di Milano. Vengono tradotti i primi libri sulla Terapia del Comportamentoe, nel 1972, Victor Meyer tiene un vero e proprio corso di Terapia del Comportamento alla Scuola di specializzazione in psicologia, per invito del direttore Marcello Cesa-Bianchi. Accanto a lui, figura di riferimento é Ettore Caracciolo, che promuove, nel 1972, un congresso internazionale sul tema "Recenti sviluppi nella psicologia dell'apprendimento", dove interverranno, tra gli altri, Eysenck e Meyer. Attorno all'istituto di Milano si raccoglie un gruppo di giovani psicologi che sviluppano tematiche teoriche dell'analisi dei processi di apprendimento e dei processi cognitivi e le loro applicazioni nell'educazione, nell'handicap e nella clinica. Tra loro ricordiamo Roberto Anchisi, Bruno Bara, Silvia Perini, Giorgio Rezzonico, Francesco Rovetto e Paolo Moderato, che nel 1996 sarà eletto presidente dell'European Association for Behavioural & CognitiveTherapies (EABCT).

Già si é detto del polo padovano e della sua presenza nel mondo della psicologia. Esso dà vita alla rivista Formazione e Cambiamento (Learning & Change) che possiamo considerare un'antesignana delle successive riviste di terapia del comportamento. Nel1975 si tiene a Treviso per iniziativa di Paolo Meazzini una settimana di studio su "Analisi e modificazione del comportamento": é il primo vero e proprio corso di formazione in Terapia del Comportamento organizzato in Italia e – quel che più é notevole – il corpo docente é tutto italiano. Altre iniziative simili seguiranno e da fine degli anni '70 si avrà in Italia una prima generazione di terapeuti comportamentali di formazione, per così dire, "autoctona".

Nel 1977 a Verona viene fondata una seconda società di terapia del comportamento, denominata Associazione Italiana di Analisi e Modificazione del Comportamento (AIAMC). Essa é il risultato del collegamento tra i principali poli attivi nel Nord Italia. Primo presidente é Roberto Anchisi; gli succederanno Paolo Meazzini, Gian Franco Goldwurm, Paolo Moderato, Ezio Sanavio, Anna Meneghelli. A partire dal nucleo lombardo-veneto, negli anni l'AIAMC acquista una diffusione nazionale ed internazionale. Nel 1978 tiene il suo debutto internazionale, al Lido di Venezia, organizzando il suo congresso internazionale; tra i partecipanti stranieri Birbaumer, Brengelmann, Eysenck, O'Leary, Rachman, Richelle, Staats, Thompson. L'anno successivo inizia le pubblicazioni il Giornale Italiano di Analisi e Modificazione del Comportamento, rivista ufficiale dell'AIAMC.

Si può dunque dire che a fine degli anni '70 la presenza in Italia della Terapia del Comportamento é pienamente definita, benché estremamente gracile. Perché due società di terapia del comportamento? I protagonisti che vollero allora tale dualismo dettero spiegazioni stranamente generiche, tanto da accreditare la convinzione che i problemi di leadership fossero l'unico vero ostacolo ad un'unificazione di due società che hanno perseguito e perseguono finalità statutarie assolutamente identiche.

Handicap e apprendimento

Come si é visto, i temi della malattia mentale e dei diritti di tutti i portatori di devianze ed handicap erano stati dibattuti in Italia con una incredibile partecipazione di massa. La polemica al sistema istituzionale dalla sfera manicomiale si trasferisce agli istituti per minori, alla scuola ed alle classi speciali. Avviene così che il tema dell'apprendimento e dell'handicap sia centrale lungo tutti gli anni '70 ed '80: vengono smantellatele "classe speciali" e ridimensionati gli istituti per handicappati, viene svolto uno sforzo immane, non sempre coronato da successo, per garantire loro una possibilità formativa all'interno delle classi normali (Caracciolo & Rovetto, 1988; Moderato, 1989).

Nel settore della psicologia dell'educazione ed in particolare dell'handicap, va fatta menzione di due riviste che si muovono principalmente nell'ottica cognitiva e comportamentale: la prima é Psicologia e Scuola (diretta Paolo Meazzini e pubblicata da Giunti), la seconda Difficoltà di apprendimento, diretta da Fabio Folgheraiter e Dario Ianes, che hanno costituito a Trento il Centro studi sull'handicap M.H. Erickson. L'indirizzo elettronico é "www.delta.it/edizioni_erickson".

Medicina comportamentale

Nel 1977 si costituisce la Società Italiana di Biofeedback (SIB) per opera di Paolo Pancheri. Egli ed i suoi allievi operarono molto attivamente per la diffusione del biofeedback. Il biofeedback ebbe il merito di avvicinare una parte del mondo medico ad un approccio psicologico al malato somatico. Presto il biofeedback perse molto interesse e venne ridimensionato il suo ambito di utilizzo, tuttavia, attraverso di esso si fece strada il modello psicobiologico della malattia e si aprì la strada alla medicina comportamentale.

Nel 1983 si tiene a Padova un Congresso sul tema "Scienze biomediche e scienze del comportamento: verso una nuova interpretazione della salute", durante il quale viene presentata la traduzione italiana del primo testo di medicina comportamentale che appare in Italia (Melamed & Siegel,Behavioral Medicine. Practical Applications in Health Care). Nel 1986 la SIB ampliò il suo scopo ed allargò la propria denominazione in Società Italiana di Biofeedback e Medicina Comportamentale. Nel 1987 inizia a Milano, presso l'Ospedale Niguarda, un corso sull'approccio comportamentale in medicina psicosomatica e viene attivato nello stesso ospedale un Centro di Medicina Comportamentale; direttore é G.F. Goldwurm.

Nel 1988 si tiene a Treviso il Congresso AIAMC sul tema "Salute e stile di vita". Negli anni novanta si é fatta strada la Psicologia della Salute e si creato un facile terreno di incontro con tale prospettiva ed una sinergia di forze (Di Giorgi, Michielin, Riedi, Targa, Turola & Zambon, 1992; Sibilia, 1995).

Latini dies

Una tappa importante nel processo di emancipazione ed autonomia da modelli di importazione straniera é stato l'avvio di un ciclo di convegni internazionali di area latina. Nel 1989 si tiene a Roma, per iniziativa di G.F. Goldwurm, il primo incontro delle organizzazioni di terapia cognitiva e comportamentale dei paesi di lingua latina; tra i partecipanti Ramon Bayes, Leonidas Castro-Comacho, Jean Cottraux, Ovide Fontaine, J. Miguel Tobal, Emilio Ribes. E' il primo di una serie di congressi internazionali, che si ripeteranno negli anni successivi con il nome "Latini dies" e con nutrita presenza italiana: nel 1991 a Sitges in Spagna; nel 1993 a Tolosa, Francia; nel 1995 a Guadalajara, Messico; nel 1997 a Cascais, Portogallo. La segreteria permanente dell'organizzazione "Latini dies" é in Italia, presso la segreteria AIAMC, via Settembrini 2, 20124 Milano.

L'area latina ha inoltre espressione attraverso la creazione, nel 1992,di una rivista scientifica comune, Acta comportamentalia. Rivista Latina di Analisi del Comportamento: è pubblicata dalla Casa Editrice dell'Università di Guadalajara (Mexico) ed ospita articoli in lingua castigliana, francese, italiana e portoghese; animatore ne é Emilio Ribes Inesta.

Dal comportamentismo al cognitivismo

Se rottura o "salto di paradigma" possono cogliersi tra comportamentismo e cognitivismo, non esiste invece soluzione di continuità sul piano della terapia. Principi e tecniche cognitive sono andate via via ad aggiungersi, ad integrare o talvolta a sostituire principi e tecniche comportamentali nella pratica clinica delle prime generazioni di terapeuti italiani. In terapia, dal comportamentismo al cognitivismo si giunse per semplice inerzia, sulla scia della crescita e degli sviluppi anche in Italia delle terapie cognitive. Gli studiosi che ebbero più intensi scambi con l'Italia ed influenzarono lo sviluppo delle terapie cognitive sono stati A.T. Beck, A. Freeman, P.C. Kendall e M. Mahoney.

Per prima la SITC, nel 1981, modificò nome e sigla in Società Italiana di Terapia Comportamentale e Cognitiva (SITCC) a riconoscimento degli sviluppi in senso cognitivista. Nel 1992 anche l'AIAMC opera una modifica: il nome esteso diventa Associazione Italiana di Analisi e Modificazione del Comportamento e di Terapia Cognitiva e Comportamentale, mentre la sigla rimane la stessa.

Naturalmente non mancarono né mancano tuttora dibattiti di tono polemico, affermazioni dogmatiche e estremiste, ma, nel complesso, principi e tecniche cognitive sono state considerate quali sviluppi obbligati delle nuove acquisizioni sperimentali e cliniche che, nel corso degli anni, si verificavano all'interno di una stessa comunità e di un comune programma di ricerca (Sanavio, 1991).

Attachment and Bowlby theory

Un grande interesse ha assunto, soprattutto in seno al gruppo romano, la teoria dell'attaccamento di Bowlby. Guidano e Liotti dedicano nel 1983 a John Bowlby il loro principale volume, Cognitive Processes and Emotional Disorders (New York: Guilford). Liotti ha pure dato vita ad una Italian Association forthe Research on the Psychopathology of the Attachment. In rapporto ai pattern di attaccamento che il bambino sviluppa nella relazione con la madre, si costruiscono schemi che rivestono ruoli fondamentali perla patogenesi della psicopatologia (Liotti, 1991; Intreccialagli, 1996). Particolare interesse ciò sembra avere nei disturbi della personalità (Lorenzini & Sassaroli, 1995) e nei disturbi dissociativi (Liotti, 1992). La relazione terapeutica é concettualizzata a partire dalla nozione bowlbiana di "base sicura" e diventa un fondamentale strumento di cambiamento. Come già era avvenuto nella storia della psicoanalisi, scema il ruolo della tecnica e diventa primario il ruolo della relazione terapeutica.

Construttivismo e post-modernismo

Nella prospettiva costruttivista l'essere umano é considerato un attivo costruttore di modelli rappresentativi di sé e della realtà esterna. Questa tesi viene portata alle sue conseguenze estreme mettendo in  crisi la nozione stessa di una realtà esterna: la realtà, o meglio le realtà, sono sostanzialmente costruzioni sociali (Chiari& Nuzzo, 1996).

La psicoterapia diventa sostanzialmente un'analisi del sistema conoscitivo del paziente alla ricerca delle aree disfunzionali o di eccessiva incoerenza interna. In tale ottica, la psicoterapia analizza – i nostri costruttivisti ricercano intenzionalmente un lessico psicoanalitico per meglio marcare le distanze rispetto al lessico cognitivo e comportamentale! – le modalità con le quali il paziente organizza la propria conoscenza di sé, degli altri e delle proprie esperienze, modalità che sono sia di carattere conoscitivo sia di carattere emozionale.

Il terapeuta tende ad attivare un processo di auto-ristrutturazione; pertanto egli opera non a sostegno dell'omeostasi, ma come un elemento perturbatore del sistema, come catalizzatore di crisi e riorganizzazioni dell'organizzazione conoscitiva del paziente (Guidano, 1987, 1991; Bara,1996). Come già era avvenuto nella storia della psicoanalisi, la psicoterapia tende ad allungarsi ed a porsi obiettivi di difficile verifica al di fuori del setting terapeutico.

Le riviste di psicoterapia comportamentale e cognitiva

La prima rivista di Terapia del Comportamento apparve nel 1979. E' ilGiornale Italiano di Analisi e Modificazione del Comportamento, rivista ufficiale dell'AIAMC, e Paolo Meazzini ne era il direttore. Il giornale cesserà le pubblicazioni dopo alcuni anni per rinascere, nel 1984, con diverse caratteristiche ed un nuovo titolo: TC – Terapia del Comportamento; direttori sono G.F. Goldwurm e P. Meazzini. Nel corso degli anni ha ospitato contributi non solo di studiosi italiani, ma anche di molti stranieri, a volte originali, a volte traduzioni, per esempio Bandura, Bellack, Dobson, Eysenck, Falloon, Francks, Glass, Goldstein, Kanfer, Leff, Lewinsohn, Marlatt, Ost, Patterson, Rachman, Sarason, Sobell, Spielberger, Wilson, Windheuser, Wolpe.

Nel 1992 é sorta la rivista Complessità & Cambiamento (Complexity & Change) che pubblica preferibilmente articoli di carattere teorico, nell'ottica della complessità, di pertinenza psicoterapeutica; ne sono responsabili due psichiatri dell'Università di Catania, Tullio Scrimali e Liria Grimaldi. L'indirizzo elettronico é: http://web.tin.it/cambiamento.

Nel 1995 ha iniziato le pubblicazioni Psicoterapia cognitiva e comportamentale – Italian Journal of Behavioural and Cognitive Psychotherapy. La rivista pubblica articoli originali sull'argomento e su temi connessi: l'assessment clinico, la medicina comportamentale, la riabilitazione, la metodologia e la ricerca di base connessa alla psicoterapia. Tra le linee programmatiche é pure l'operare per avvicinare la comunità scientifica e professionale italiana alla più vasta comunità internazionale; difatti il giornale ospita sempre più spesso significativi contributi internazionali.

La formazione

Nel 1989 la legge italiana ha subordinato l'esercizio della psicoterapia ad una specifica formazione della durata di quattro anni cui possono accedere solo medici e psicologi. Questa formazione può essere conseguita o presso le scuole di specializzazione universitaria, in particolare quelle in Psicologia Clinica ed in Psichiatria, oppure presso istituti privati, che vengono riconosciuti dallo stato, attraverso apposite procedure, allo scopo di salvaguardare la pluralità di indirizzi teorici in tema di psicoterapia.

Ciò ha comportato un ripensamento approfondito dei modelli di formazione anche in psicoterapia cognitiva e comportamentale. Esistono attualmente istituti di formazione e corsi riconosciuti nelle principali città: Firenze, Milano, Padova, Roma, Torino. Il piano didattico prevede sette componenti tra loro integrate.

1- Insegnamenti di carattere generale, nel corso dei quali sono sviluppati temi di epistemologia, metodologia, psicologia generale, psicologia dello sviluppo, psicopatologia, psicodiagnostica, psichiatria, psicofarmacologia, deontologia, psicologia della salute.

2- Insegnamenti di carattere teorico, durante i quali sono approfonditi i fondamenti teorici dell'approccio cognitivo e comportamentale, l'assessment ed i modelli dei principali disturbi.

3- Insegnamenti di carattere pratico-clinico, nei quali sono sviluppatele teorie e le tecniche della psicoterapia cognitiva e comportamentale.

4- Attività in gruppo finalizzate alla formazione personale e tecnica dell'allievo.

5- La supervisione individuale, che ha luogo con un supervisore di libera scelta del trainee: essa prevede tanto aspetti di crescita e formazione personale quanto di eventuale terapia personale.

6- La supervisione delle psicoterapie attuate dal trainee nel corso del secondo biennio.

7- Un tirocinio in strutture pubbliche in cui l'allievo possa confrontare il proprio modello di formazione con differenti tipi di utenza ed acquisire esperienza di diagnostica clinica e di intervento in situazioni di emergenza.

Il livello di preparazione teorica e clinica raggiunta dall'allievo viene valutato al termine di ciascun anno durante un esame; al termine del quadriennio l'allievo discute una tesi ed una serie di 8 casi clinici trattati con supervisione.

Supervisione clinica e formazione personale

La supervisione é considerata un fondamentale aiuto sia al processo di crescita personale sia al processo di apprendimento professionale dell'allievo e può essere distinta in due componenti: una rivolta alla formazione personale del trainee ed una rivolta alla gestione del trattamento dei pazienti a lui affidati.

Lo scopo della supervisione clinica é acquisire la capacità di impostare e condurre autonomamente una terapia cognitiva e comportamentale con una gamma eterogenea di casi e con problematiche di varia complessità. Ciò é stato a lungo oggetto di dibattito all'interno dell'AIAMC ed alla fine si é operata con chiarezza una scelta a favore della ampiezza e diversificazione delle esperienze e contro l'iperspecialismo e la settorializzazione. La supervisione si focalizza sulla costruzione e sulla continua verifica della strategia del trattamento dei casi in carico all'allievo, in rapporto alle variabili proprie al paziente ed alle variabili del contesto nel quale si colloca. La supervisione é dunque momento di sintesi dell'utilizzo delle varie tecniche di assessment e di trattamento. Massimo interesse riveste l'analisi delle registrazioni video delle interviste iniziali, delle sedute dedicate al contratto terapeutico, delle sedute conclusive e di follow-up dei casi seguiti dall'allievo. Per un maggiore allargamento delle esperienze questa parte é generalmente svolta in gruppo e la dimensione di tali gruppi e 3-4 allievi.

L'altra parte della supervisione, quella a carattere personale, si focalizza sulla storia e sulle caratteristiche personali del trainee e sui problemi relazionali presenti nell'interazione terapeutica. Vengono indagatele caratteristiche dell'allievo che vengono ad interagire e talora ad interferire con il trattamento a diversi livelli: aspettative, struttura cognitiva, attivazione emotiva, coinvolgimento personale, comportamento verbale enon-verbale in seduta. Per un migliore rispetto della privacy dell'allievo, questa parte della supervisione é condotta individualmente. Il supervisore può suggerire al trainee l'opportunità di un ciclo più o meno breve di terapia formale.

Questo modello formativo é stato a lungo dibattuto a fine degli anni 80 ed adottato da una delle due associazioni italiane, l'AIAMC. Successivamente anche l'altra associazione, SITCC, ha riconosciuto l'opportunità di una formazione personale del trainee e l'ha recentemente adottata a titolo sperimentale: prevede una durata minima di 30 ore e, per affinità con il modello psicoanalitico, essa é denominata "analisi didattica", mentre il supervisore é chiamato "didatta" (Rezzonico & Ruberti, 1996) .

Diffusione

In Italia il modello di riferimento più comune in psicoterapia é stato e continua ad essere quello psicoanalitico o più genericamente psicodinamico. Oltre la metà della psicoterapia in Italia è di impostazione psicodinamica; tra gli altri approcci, probabilmente il più diffuso é quello sistemico-relazionale, che in Italia ha avuto un grande caposcuola in Mara Selvini Palazzoli.

La terapia comportamentale e cognitiva é dunque una presenza minoritaria ma non marginale. Un indice per valutare la diffusione in Italia della Terapia del Comportamento può essere offerto dalla consistenza numerica dei soci delle due principali associazioni esistenti (AIAMC e SITCC): circa 1560. Ciò corrisponderebbe a meno del 10% dei psicoterapeuti riconosciuti legalmente in Italia. A questi 1560 dobbiamo poi aggiungere un certo numero di psichiatri e psicologi interessati all'approccio cognitivo e comportamentale, i quali operano prevalentemente in ambiti diversi dalla psicoterapia: ricerca, handicap, scuola, lavoro, ecc.

Considerazioni conclusive

In conclusione, nella introduzione della psicoterapia cognitiva e comportamentale in Italia fu determinante la tradizione pavloviana e la sua rete di collegamenti scientifici internazionali. Per quanto strano possa sembrare, negli anni'60 la Terapia del Comportamento arrivò in Italia via Mosca e via Praga. Negli anni '70, essa ci arrivò via Londra: fondamentale l'insegnamento teorico di H.J. Eysenck e quello clinico di V. Meyer, ma ancor più importante la possibilità per molti psicologi e psichiatri di imparare a Londra la pratica della Terapia del Comportamento nel corso di soggiorni di studio.

Nel particolare scenario socioculturale degli anni '70, fu motivo di ostracismo piuttosto che un aiuto fu il richiamo alla psicologia del comportamento. Servì a farci deridere come relitti del passato dai ricercatori delle università, in massima parte affascinati dalle scienze cognitive, ed a farci confondere col mondo psichiatrico più retrivo, quello che aveva in uso elettroshock e metodi manipolativi o violenti.

Negli anni '80 e '90 é andato crescendo il gruppo di ricercatori e di clinici che operano nei diversi ambiti della psicoterapia comportamentale e cognitiva, tanto che essa può essere considerata – dal punto di vista quantitativo – la terza presenza nello scenario della psicoterapia italiana (dopo quella psicodinamica e quella relazionale-sistemica). Il gruppo italiano ha saputo presto emergere dalla sudditanza culturale verso il mondo anglosassone. Ha saputo poi operare produttivamente sul piano internazionale, sia come cerniera verso i paesi dell'Est, sia come punto di condensazione della vasta area dei paesi di lingua latina sviluppando una propria autonomia. Oggi la psicoterapia cognitiva e comportamentale é un albero robusto con molte ramificazioni. Merito degli studiosi italiani é di avere saputo articolare una pluralità di modelli della teoria psicoterapeutica e, inoltre, di avere sviluppato molteplici ambiti di interesse, non solo quelli tradizionalmente ed immediatamente remunerativi .

Accanto alle luci, naturalmente sono le ombre ed i problemi aperti. In sostanza, il problema italiano é quello di una possibile "fuga in avanti" nella verbosità della teoria – sirena latina tantopiù fascinosa quanto meno agganciata a requisiti di controllabilità! Lo specifico retaggio della nostra tradizione ha infatti comportato e continua a comportare alcune luci ed ombre che vorrei indicare.

1. Una forte attenzione per i problemi epistemologici ed i fondamenti teorici. Ciò costituisce certamente un fortissimo pregio, specie se confrontato al pragmatismo spicciolo di molta letteratura scientifica di tante riviste internazionali. L'ombra é però d'aver prodotto un'inflazione di "dotti" riferimenti (per esempio alla teoria generale dei sistemi, all'epistemologia della complessità, al pensiero post-moderno) a fronte di progressi conoscitivi limitati. In metafora, "inventar l'acqua calda" e cercar di venderla grazie ad una riformulazione epistemologica o teorica di moda.

2. Un atteggiamento di sufficienza verso il momento della "scienza normale", nel lessico kuhniano, ed un'ingenua idolatria per il momento della "scienza straordinaria". Avviene così che, pur con tanta attenzione epistemologica e sofisticazione teorica, lamentiamo gli stessi gap di trent'anni fa nelle strutture di ricerca in psicoterapia cognitiva e comportamentale.

3. Un insolito disinteresse per i problemi empirici (ad esempio efficacia terapeutica, implementazione tecnica, documentazione dei risultati): a fronte dell'ingombro di centinaia di trattati, manuali, saggi e volumi di taglio teorico, i contributi di ricerca vera e propria, in psicoterapia comportamentale e cognitiva, che abbiamo saputo produrre in Italia in trent'anni si possono raccogliere senza problemi in una cartella neppure tanto gonfia.

4. Una diffusa fascinazione per i sincretismi teorici – come ad esempio l'assimilazione della teoria dell'attaccamento e l'ottica post-moderna- dove si perpetua, ahimè, la lunga consuetudine degli intellettuali italiani con i virtuosismi argomentativi delle sintesi dialettiche – siano esse quelle della dialettica hegeliana o del materialismo dialettico o dello storicismo crociano.

5. Una propensione verso quelle tesi costruttiviste e costruzioniste, che meglio si collocano nella tradizione della filosofia classica tedesca (idealismo in particolare) e/o meno richiamano la tradizione materialista, empirista e sperimentalista del pensiero moderno – ad esempio la meta-teoria motoria della mente (Weimer, 1977).

6. Un certo grado di camaleontismo e mimetismo con il paradigma dominante, quello dinamico – ad esempio la mutuazione di molteplici aspetti del lessico e della prassi psicoanalitica.

Riassunto

L'introduzione in Italia della terapia del comportamento avviene alla fine degli anni '60 sotto l'egida della neurologia e della reflessologia pavloviana. Nella psicologia e nella psicoterapia del tempo, essa fu percepita come un corpo estraneo e suscitò reazioni di rigetto, che nei primi tempi furono piuttosto intense. Negli anni '80 andò includendo progressivamente principi e tecniche cognitive, tanto che l'espressione ora in uso é quella di psicoterapia cognitiva e comportamentale. Attualmente é una presenza minoritaria ma non marginale nella psicoterapia italiana. Ha due società scientifiche nazionali che organizzano periodicamente convegni scientifici, una propria rivista scientifica, Psicoterapia cognitiva e comportamentale, reti di collegamenti con gli altri paesi europei e con i paesi di lingua latina. Oggi potrebbe essere descritta come un albero che affonda le sue radici nella reflessologia pavloviana ed erge la chioma nelle epistemologie della complessità e nelle ideologie post-moderne. Accanto agli aspetti positivi, non mancano difficoltà e problemi, in particolare la carenza di strutture di ricerca e la "fuga in avanti" nell'astrattezza teorica.


 

  • TABELLA:
  • Principali tappe dello sviluppo della psicoterapia comportamentale e cognitiva in Italia

1965: Durante il XV Congresso della Società Italiana di Neurologia, E. Arian dedica un ampio excursus alla terapia del comportamento: é la prima volta che se ne parla in un congresso scientifico italiano

1968: Si tiene a Milano il congresso del Collegium Internationale Activitatis Nervosae Superioris (CIANS). Presidente é W.H. Gantt, organizzatori locali G.F. Goldwurm e L. Cazzullo. Fra gli intervenuti sono Gelder, Rachman e Wolpe, i quali espongono ricerche sulla Systematic Desensitization.

1970: A Milano, nel corso del Congresso di psichiatria e neurologia di lingua francese, la sezione sulla terapia é dedicata a "Le terapie di decondizionamento delle nevrosi": Goldwurm e Rognant delineano le terapie pavloviane e comportamentali.

1970: E' pubblicato il volume di G. Cerquetelli e A. Durante I riflessi condizionati nella vita quotidiana . Illustra l'importanza del condizionamento nella formazione delle abitudini e della personalità, nella genesi delle nevrosi, dei disturbi sessuali, ecc.

1970: E' pubblicato il volume di Isaias Pessotti Introduzione allo studio del condizionamento operante, che raccoglie le lezioni tenute nel 1966 alla Scuola di specializzazione dell'Università di Milano; Pessotti é uno psicologo brasiliano allievo di Keller; per vari anni risiede in Italia diffondendo la conoscenza delle tecniche sperimentali di condizionamento operante.

1971: A Roma si costituisce la Società Italiana di Terapia del Comportamento (SITC); primo presidente é Vittorio Guidano.

1971: E' pubblicata la traduzione italiana del volume di H.J. Eysenck e S. Rachman (1965) The causes and cures of neurosis; nella traduzione italiana il titolo é Terapia del comportamento nevrotico. Un'alternativa alla psicoanalisi (Milano: Angeli). E' la prima opera di terapia del comportamento disponibile in italiano; con gli anni seguiranno numerose traduzioni ed opere originali italiane.

1972: Victor Meyer tiene un ciclo di lezioni sulla terapia del comportamento alla Scuola di specializzazione in psicologia dell'Università di Milano, per invito del direttore M. Cesa-Bianchi.

1972: Si tiene a Frascati (Roma) per iniziativa di Ettore Caracciolo un convegno internazionale su "Recenti sviluppi nella psicologia dell'apprendimento"; tra i partecipanti Asratyan, Eysenck, Inhelder, Keller, Kimble, Le Ny, Oleron, Pessotti, Postman, Richelle; Meyer tiene la relazione sulla terapia del comportamento

1975: Si tiene a Treviso per iniziativa di Paolo Meazzini una settimana di studio su "Analisi e modificazione del comportamento": é il primo vero e proprio corso di formazione in TC organizzato in Italia ed il corpo docente é tutto italiano. Altre iniziative simili seguiranno e presto si avrà in Italia una prima generazione di terapeuti comportamentali

1976: Si tiene a Roma un seminario teorico-pratico di Meyer; verrà pubblicato nel volume a cura di S. Borgo e L. Sibilia, Analisi e modificazione del comportamento, Roma: Bulzoni. E' la prima iniziativa formativa del gruppo romano (SITC).

1976: Compare la prima traduzione in italiano di scritti di J.B. Watson; si tratta dell'antologia curata da Paolo Meazzini Watson. Antologia degli scritti, Bologna: Il Mulino

1977: A Viareggio, all'interno del XVII Congresso della Società Italiana di Psicologia (SIPs), un simposio é dedicato all'approccio comportamentista; presidente é Virgilio Lazzeroni, organizzatore Ezio Sanavio.

1977: A Verona viene fondata una seconda società di terapia del comportamento, che viene denominata Associazione Italiana di Analisi e Modificazione del Comportamento (AIAMC). Primo presidente é Roberto Anchisi; gli succederanno Paolo Meazzini, Gian Franco Goldwurm, Paolo Moderato, Ezio Sanavio, Anna Meneghelli. Negli anni seguenti l'AIAMC diverrà membro del Collegium Internationale Activitatis Nervosae Superioris, dell'European Association for Behavioural & Cognitive Therapies e dell'Italian Chapter of the Association of Behavior Analysis(ABA)

1977: si costituisce la Società Italiana di Biofeedback (SIB) per opera di Paolo Pancheri

1978: A Taormina si tiene il convegno "La psicologia dell'apprendimento e la modificazione del comportamento nel trattamento educativo di bambini svantaggiati"

1978: Si tiene al Lido di Venezia, dal 4 al 6 giugno, il congresso internazionale "L'apprendimento: teoria, sperimentazione, applicazioni in ambito clinico, scolastico, comunitario": é il debutto internazionale dell'AIAMC. Tra i partecipanti stranieri Birbaumer, Brengelmann, Eysenck, O'Leary, Rachman, Richelle, Staats, Thompson

1979: Inizia le pubblicazioni il Giornale Italiano di Analisi e Modificazione del Comportamento. E' la rivista ufficiale dell'AIAMC e Paolo Meazzini é il direttore. Il giornale cesserà le pubblicazioni nel 1982 per rinascere con nuovo titolo di TC- Terapia del Comportamento

1980: A Roma si tiene il I Congresso nazionale AIAMC; ospiti d'onore sono Hans Eysenck e Brenda Milner

1980: A Riva del Garda si tiene si tiene una settimana italo-tedesca di terapia del comportamento, per iniziativa dell'AIAMC e del Max Planck Institut fur Psychiatrie. Organizzatori sono Beatrice Bauer e I.C. Brengelmann. L'iniziativa verrà ripetuta per alcuni degli anni successivi.

1980: Si tiene a Padova il Convegno Internazionale "Apprendimento e modificazione del comportamento in età infantile", nei giorni 12-13 ottobre, con la partecipazione, tra gli altri studiosi, di Martin A. Kozloff e James Hogg.

1980: Inizia le pubblicazioni, per l'editore Giunti, la rivista Psicologia e Scuola: direttore e Paolo Meazzini.

1981: La SITC modifica nome e sigla in Società Italiana di Terapia Comportamentale e Cognitiva (SITCC) a riconoscimento degli sviluppi in senso cognitivista. Gli studiosi che hanno più intensi scambi con l'Italia ed influenza nello sviluppo delle terapie cognitive sono A.T. Beck e M. Mahoney

1981: Si tiene a Torino il II Congresso Nazionale AIAMC; ospite d'onore é Joseph Wolpe

1982: Si tiene a Roma il 12th Congress of European Association for Behavioural Therapies con l'organizzazione della SITCC

1983: Si tiene ad Alta Fiumara, in Calabria, il III Congresso AIAMC; ospiti d'onore sono Sidney W. Bijou e Marc Richelle

1983: Joseph Wolpe tiene a Milano ed Roma alcuni workshops sulla desensibilizzazione sistematica

1983: Si tiene a Padova, con il patrocinio di molteplici enti scientifici, il Congresso "Scienze biomediche e scienze del comportamento: verso una nuova interpretazione della salute". Nel congresso viene presentatala traduzione italiana (opera di G. Bertolotti e B. Tiranti) del volume: B.G. Melamed e L.J. Siegel, Behavioral Medicine. Practical Applicationsin Health Care, New York: Springer. E' il primo testo di medicina comportamentale che appare in Italia.

1984: Inizia le pubblicazioni la rivista TC – Terapia del Comportamento; direttori sono G.F. Goldwurm e P. Meazzini. Il giornale cesserà le pubblicazioni nel 1993; nel corso degli anni oltre a pubblicare articoli teorici e di ricerca di studiosi italiani, ospiterà contributi non solo di studiosi italiani, ma anche di molti stranieri (per es. Bandura, Bellack, Dobson, Eysenck, Fallon, Francks, Glass, Goldstein, Kanfer, Leff, Lewinsohn, Marlatt, Ost, Patterson, Rachman, Sarason, Sobell, Spielberger, Wilson, Windheuser, Wolpe)

1984: L'Università di Siena, per iniziativa di Virgilio Lazzeroni, istituisce un corso di perfezionamento in Terapia del Comportamento

1986: Si tiene a Milano il IV Congresso AIAMC; ospiti d'onore sono C. Dostalek, R.P. Liberman, PV. Simonov; gli atti sono raccolti nel volumeTerapia e modificazione del comportamento negli anni 80 (a cura di A. Meneghelli e D. Sacchi), Milano: Ghedini.

1986: La SIB ampliò il suo scopo ed allargò la propria denominazione in "Società Italiana di Biofeedback e Medicina Comportamentale".

1986: E' pubblicata la rivista Insegnare all'handicappato, che offre una rassegna internazionale di studi e ricerche applicative sull'insegnamento e l'intervento educativo con l'handicappato mentale. Direttori ne sono Fabio Folgheraiter e Dario Ianes, che hanno costituito a Trento un Centro studi e documentazione sull'handicap mentale e disabilità di apprendimento e le "Edizioni Centro studi handicap M.H. Erickson". Nel 1996 la rivista ha allargato lo scopo e modificato il titolo in Difficoltà di apprendimento

1987: Inizia a Milano, presso l'Ospedale Niguarda, il corso "Approccio comportamentale in medicina psicosomatica"; tra i docenti sono H. Heine (Berlin), M. Horwath (Praga), BG. Melamed (Gainsville), G.E. Schwartz (Yale), D. Vaitl (Giessen, Germany); direttore é G.F. Goldwurm

1988: Si tiene a Treviso il V Congresso AIAMC in congiunzione con il Congresso SIB e SITCC sul tema "Salute e stili di vita"; tra gli ospiti stranieri più autorevoli Andrew Steptoe (Londra) e Kurt Halweg (Monaco); gli atti verranno pubblicati col titolo Salute e stile di vita: Contributi della psicologia cognitivo-comportamentale (a cura di Di Giorgi, Michielin, Riedi, Targa, Turola e Zambon), Treno: Erickson,1992.

1989: Si tiene a Roma, per iniziativa di G.F. Goldwurm, il primo incontro delle organizzazioni di terapia cognitiva e comportamentale dei paesi di lingua latina; tra i partecipanti Ramon Bayes, Leonidas Castro-Comacho, Jean Cottraux, Ovide Fontaine, J. Miguel Tobal, Emilio Ribes. E' il primo di una serie di congressi internazionali, che si ripeteranno negli anni successivi con il nome "Latini dies" e sempre con nutrita presenza italiana: nel 1991 a Sitges in Spagna; nel 1993 a Tolosa, Francia; nel 1995 a Guadalajara, Messico; nel 1997 a Cascais, Portogallo. La segreteria permanente dell'organizzazione "Latini dies" é in Italia, presso la segreteria AIAMC, via Settembrini 2, 20124 Milano.

1990: Il VI Congresso AIAMC é organizzato a Parigi, come convegno satellite del XXth Congress of European Association for Behavioural Therapies

1992: L'AIAMC, in riconoscimento dell'importante sviluppo delle tecniche cognitive, opera una aggiunta al proprio nome: il nome esteso é ora: Associazione Italiana di Analisi e Modificazione del Comportamento e di Terapia Cognitiva e Comportamentale, ma la sigla rimane la stessa

1992: Si tiene a Siena il VII Congresso AIAMC per onorare il ritiro dall'insegnamento universitario di Virgilio Lazzeroni; la raccolta dei principali contributi é pubblicata col titolo L'uomo che cambia: nuovi percorsi di intervento psicologico (a cura di P. Moderato e S. Sirigatti), Milano: Angeli, 1995.

1992: Compare la rivista Acta comportamentalia. Rivista Latina di Analisi del Comportamento. E' pubblicata dalla Casa Editrice dell'Università di Guadalajara (Mexico) ed ospita articoli in lingua castigliana, francese, italiana e portoghese; animatore ne é Emilio Ribes Inesta.

1995: Inizia le pubblicazioni la rivista quadrimestrale Psicoterapia cognitiva e comportamentale – Italian Journal of Behavioural and Cognitive Psychotherapy

1997: Si tiene a Venezia il XXVII Congress of European Association for Behavioural & Cognitive Therapies per organizzazione dell'AIAMC; folta la partecipazione extra-europea, per es. 40 comunicazioni sono presentate da studiosi USA, 20 dal Canada, 21 dall'Australia; selezioni dei lavori sono pubblicate nel volume Behaviour and cognitive therapy today: Essays in honour of Hans J. Eysenck, (Ezio Sanavio, ed.), Oxford: Elsevier,1998 e nell'annata 1998 della rivista Psicoterapia cognitiva e comportamentale.


 

Commento di Giovanni Liotti:

  • Alcune note all'articolo di Ezio Sanavio
  • "Trent'anni di psicoterapia cognitiva e comportamentale in Italia"

Sanavio afferma che le due Società scientifiche italiane interessate alla psicoterapia cognitivo-comportamentale (SITCC e AIAMC) perseguono finalità statutarie pressoché identiche, e insinua il dubbio che l'esistenza di tali due distinte Società nel nostro Paese sia dovuta a problemi dileadership. Dissento energicamente, e affermo che dallo scritto stesso di Sanavio emergono abbastanza chiaramente le differenze fondamentali di finalità e di percorso conoscitivo perseguite dalla SITCC e dall'AIAMC. Tali differenze sono evidenziate dai contributi della SITCC all'integrazione fra cognitivismo clinico e teoria dell'attaccamento da una parte, e fra cognitivismo e costruttivismo dall'altra. A queste integrazioni l'AIAMC non ha invece prestato interesse. E' legittimo che Sanavio, come socio dell'AIAMC, critichi severamente tali contributi (e guardi con sospetto al collegamento concettuale che essi pongono fra il cognitivismo clinico ed alcuni settori della ricerca psicoanalitica) ma non è legittimo che eviti di evidenziarli appunto come concreti esempi delle radicali differenze fra gli interessi concettuali della SITCC e quelli dell'AIAMC. Proverò qui ad argomentare in che senso si tratta di differenze radicali, e dunque tali da giustificare l'esistenza di due Società distinte nonostante siano accomunate dall'interesse per le applicazioni cliniche del cognitivismo e del comportamentismo.

Fin dalla sua fondazione, la SITCC prese posizione, a grande maggioranza dei suoi membri, a favore della tesi che le applicazioni cliniche del comportamentismo andavano intese solo come il primo tentativo di un progetto culturale più ampio: il progetto di istituire stretti rapporti fra la ricerca sperimentale in psicologia da una parte, e la psicoterapia dall'altra. All'inizio degli anni '70, l'interesse per i rapporti con la psicologia sperimentale era assai scarso nel mondo della psicoterapia in generale, e della psicoterapia italiana in particolare. Il comportamentismo era, all'epoca, ancora il paradigma principale nell'ambito della ricerca sperimentale in psicologia, mentre erano appena agli inizi le rivoluzioni paradigmatiche del cognitivismo, dell'etologia e della psicologia evoluzionista. Dunque, il clinico che, nei primi anni '70, desiderava contribuire all'edificazione di una psicoterapia in stretto rapporto con la ricerca sperimentale, doveva necessariamente rivolgersi alle tecniche della terapia del comportamento. Tale clinico non doveva però considerarsi vincolato al paradigma teorico del comportamentismo per il solo fatto di utilizzare, nella sua pratica psicoterapeutica, le tecniche della behavior therapy . Se l'interesse fondamentale è rivolto alla relazione stretta fra psicoterapia e ricerca di base in psicologia sperimentale, anziché al comportamentismo metodologico ed ideologico, allora ci si può sentire liberi di esplorare l'uso clinico dei contributi di altre branche, non comportamentiste, della psicologia sperimentale (cognitivismo, etologia, evoluzionismo) non appena questi contributi si prestino alla fecondazione del pensiero psicoterapeutico e psicopatologico.

Proprio questo rifiuto di privilegiare il comportamentismo, rispetto ad altri paradigmi della psicologia sperimentale, come base teorica e metodologica per le applicazioni cliniche, permise ad alcuni soci della SITCC di esplorare rapidamente, appena queste divennero disponibili, non solo le tecniche terapeutiche derivate dal cognitivismo (cognitive therapy) ma anche applicazioni alla psicopatologia dell'etologia e dell'evoluzionismo come la teoria dell'attaccamento di Bowlby. Quando l'AIAMC (Associazione Italiana per l'Analisi e la Modificazione del Comportamento) venne alla luce, i suoi Soci fondatori dichiararono esplicitamente la propria adesione al "credo" teorico e metodologico comportamentista, tanto da escludere dal nome dell'Associazione persino il termine "terapia" a cui venne preferito, secondo la lezione del comportamentismo radicale Skinneriano, appunto il termine "modificazione". Contro prove storiche di questa scelta radicalmente comportamentista dell'AIAMC sono il forte ritardo nell'inserire nel nome dell'Associazione la dizione "terapia" e l'aggettivo "cognitiva" (che avvenne solo nel 1992, a 16 annidi distanza dalla pubblicazione del testo di Aaron Beck in cui per la prima volta compare il termine "terapia cognitiva"), e la tuttora perdurante diffidenza per gli apporti dell'etologia e dell'evoluzionismo alla psicoterapia e alla psicopatologia (diffidenza che chiaramente traspare dallo scritto di Sanavio: si ricordi, a questo riguardo, che proprio dall'etologia vennero alcune fra le critiche più severe al comportamentismo di Skinnere che etologia e comportamentismo Skinneriano sono rivali storici inconciliabili, mentre non sono inconciliabili cognitivismo e comportamentismo).

Dunque, per la maggior parte dei soci SITCC aderire alle finalità statutarie dell'AIAMC avrebbe significato – almeno per il periodo che va  dalla fondazione dell'AIAMC nel 1977 al 1992 (anno in cui l'AIAMC dichiara di accettare le tecniche cognitiviste) – rinunciare alla libertà di non considerarsi comportamentisti. Si noti che ai soci SITCC non è neppure richiesto, a rigore, di sentirsi vincolati al cognitivismo ,o all'evoluzionismo. L'unico vincolo ideologico richiesto al socio SITCC è aderire all'idea che la psicoterapia deve continuamente aspirare al rapporto stretto con la ricerca di base in psicologia sperimentale e alla riflessione epistemologica proposta dalla filosofia della scienza. Dunque non da questioni dileadership, ma dalla necessità di preservare la libertà di pensiero teorico che l'adesione alla SITCC ha sempre comportato, è nata la separazione fra SITCC e AIAMC.

Fra le conseguenze della libertà di pensiero – rispetto alle ideologie della psicologia – permessa dalla SITCC, c'è l'interesse di molti dei suoi soci per la filosofia della scienza come uno dei possibili fondamenti nell'edificazione di sistemi di psicoterapia e di modelli di psicopatologia. Di qui l'attenzione rivolta al costruttivismo da molti soci SITCC dopo che le tesi costruttiviste sono state evidenziate e discusse da alcuni importanti epistemologi contemporanei. Altra conseguenza è che alcuni soci SITCC si sono sentiti del tutto liberi di instaurare un dialogo e un confronto con quei settori della psicoanalisi contemporanea che pure hanno recentemente rivolto il loro interesse all'epistemologia, all'evoluzionismo e alla ricerca in psicoterapia. Ciò, mi sembra, non è avvenuto in eguale misura fra i soci AIAMC. Il motivo di questa differenza è forse che non vi è difficoltà nel confronto con altre Scuole di psicoterapia se il confronto si svolge attorno ad idee comuni (ad esempio, le idee fornite dallo studio sperimentale dei processi di pensiero, delle relazioni interpersonali o dello sviluppo sono di interesse per psicoterapeuti di diversa formazione), mentre tale confronto può essere ostacolato dall'adesione rigida ad una ideologia (che sia essa comportamentista, cognitivista o psicoanalitica). Come socio della SITCC, rivendico il mio interesse per le idee che abbiano forte rapporto col mondo della ricerca sperimentale e col mondo della filosofia della scienza, e rivendico il mio diritto a non aderire rigidamente ad alcuna ideologia che emerga nel mondo della psicoterapia e della psicologia. Non so se avrei potuto rivendicare tale interesse e tale diritto, senza essere minacciato di espulsione, qualora fossi stato membro di altre Società di psicoterapia o di modificazione del comportamento.


 

Replica di Ezio Sanavio a Giovanni Liotti

Scrivevo nel mio articolo:

Si può dunque dire che a fine degli anni '70 la presenza in Italia della Terapia del Comportamento é pienamente definita, benché estremamente gracile. Perché due società di terapia del comportamento? I protagonisti che vollero allora tale dualismo dettero spiegazioni stranamente generiche, tanto da accreditare la convinzione che i problemi di leadership fossero l'unico vero ostacolo ad un'unificazione di due società che hanno perseguito e perseguono finalità statutarie assolutamente identiche.

Liotti dice che non vi furono problemi di leadership, ma divergenze radicali di natura concettuale. Prendo atto della sua dichiarazione, come prendo volentieri atto dell'integrità della persona – del resto, quel poco che so di Liotti fa pensare davvero a persona lontana dalle sirene del potere. Ma Liotti porta proprio quelle "spiegazioni stranamente generiche" delle quali dicevo. Da che mondo é mondo in una stessa società scientifica (1) convivono tesi contrastanti e (2)si hanno velocità diverse nelle evoluzioni interne. Quando le divergenze concettuali diventano "dirompenti"? Quando alle loro spalle vi sono questioni che scientifiche non sono: questioni di fede religiosa odi riferimento politico o di convenienza economica o di gelosie di leader, ecc. ecc.

Pur riconoscendo l'integrità (e forse persino il candore) di Liotti, non vorrei che gli argomenti dell'agiografia dell'una come dell'altra Società facessero velo agli argomenti della ricostruzione storica. Perché si é giunti, nel 1977, alla costituzione dell'AIAMC invece che ad una confluenza nella neo-nata SITC, cosa di cui si parlava invece nell'inverno del 1976? Fatico a capire perché divergenze concettuali pur radicali non potessero convivere nel rispetto del pluralismo. E ammesso e non concesso che esistessero davvero radicali divergenze teoriche, quanti e quali tentativi furono fatti per confrontare e meglio chiarire il quadro concettuale? Liotti fu uno dei protagonisti di quegli anni (gli altri furono Gian Franco Goldwurm, Vittorio Guidano e Paolo Meazzini, e mi auguro che mi onorino anch'essi delle loro osservazioni). Al momento, continuo a credere che la scelta di due Società – soprattutto nel gracile quadro degli anni '70 – fu una decisione sbagliata ed uno spreco di sinergie ed un insulto al pluralismo conoscitivo.

Sempre nelle sue note al mio articolo Liotti ribadisce ripetutamente una tesi che a me sta molto a cuore – più a cuore di una (improbabile) unificazione delle Società cognitive e comportamentali o di una loro (abbastanza probabile) ulteriore frammentazione futura. Ribadisce Liotti che – trent'anni fa come oggi – "l'interesse fondamentale è rivolto alla relazione stretta fra psicoterapia e ricerca di base in psicologia sperimentale". Condivido e sottoscrivo (oggi come vent'anni fa, cfr. Sanavio, 1978, p. 136; Sanavio, 1991, pp. 11-16) perché credo che il vero spartiacque che attraversa la psicoterapia sia proprio lì dove Liotti giustamente lo colloca: nel riferimento costante ed in perenne movimento alle acquisizioni della psicologia di base, del dibattito epistemologico, ecc. Non é uno spartiacque tra certe scuole e società di psicoterapia e certe altre, ma uno spartiacque trasversale, che taglia attraverso una dozzina delle società di psicoterapia patria come europea. Per alcune – quelle psicoanalitiche, ad es. – é stato fin dagli albori motivo di grossa sofferenza e forte conflittualità interna.

Mi auguro che prima o poi il clima culturale maturi abbastanza da permetterci di avere una Società di Psicoterapia punto e basta. Psicoterapia senza aggettivi, dunque, senza bisogno di qualificarla cognitiva piuttosto che sistemica o dinamica o vattelappesca. Una spinta in questa direzione viene certo dai moderni movimenti per l'integrazione psicoterapeutica (benché temo inficiati da un troppo ingenuo irenismo).

Altre cose che Liotti dice, però, non mi piacciono affatto. Dice che critico severamente "l'integrazione fra cognitivismo clinico e teoria dell'attaccamento da una parte, e fra cognitivismo e costruttivismo dall'altra" e dice pure che guardo "con sospetto al collegamento concettuale che essi pongono fra il cognitivismo clinico ed alcuni settori della ricerca psicoanalitica." In realtà quel che faccio é rilevare come scorra a fiotti la filosofia classica tedesca (idealismo in particolare) in parte delle tesi apparentemente innovative e stimolanti che ci vengono dal costruttivismo e dal costruzionismo sociale. Quanto ai "collegamenti concettuali" con "alcuni settori della ricerca psicoanalitica", Liotti mi fa troppo "profondo": mi sono permesso di sbeffeggiare non dei "collegamenti concettuali", ma la scarsa fantasia nell'uso e nell'abuso di elementi del lessico ("analizzare", "didatta") in bocca ai nostri colleghi cognitivisti!

Liotti poi mi rimprovera "la tuttora perdurante diffidenza per gli apporti dell'etologia e dell'evoluzionismo alla psicoterapia e alla psicopatologia (diffidenza che chiaramente traspare dallo scritto di Sanavio)".Rileggo il mio testo e non vedo parola che possa autorizzare Liotti ad attribuirmi della diffidenza verso l'etologia (per inciso, la mia prima comunicazione ad un congresso scientifico internazionale fu alla XIVth International Ethological Conference, organizzata da Mainardi nel 1975. In sala, ad un certo punto, venne a sedersi Konrad Lorenz – e ne ricordo la figura imponente e la bella testa canuta con intatta emozione e venerazione oggi ancora).

Liotti pone infine una domanda cui sono lieto di saper rispondere. Una persona come lui, chiede, avrebbe potuto rivendicare il suo "interesse per le idee che abbiano forte rapporto col mondo della ricerca sperimentale e col mondo della filosofia della scienza" e rivendicare il suo "diritto a non aderire rigidamente ad alcuna ideologia che emerga nel mondo della psicoterapia e della psicologia" senza essere minacciato di espulsione, qualora fosse stato membro non della SITC ma di altre Società di psicoterapia o di modificazione del comportamento? Se posso parlare per l'AIAMC, la risposta é sì. Sì al 100%. Provare per credere.


 

DIBATTITO AVVENUTO IN RETE A PROPOSITO DELL'ARTICOLO DI EZIO SANAVIO "TRENT'ANNI DI PSICOTERAPIA COGNITIVA E COMPORTAMENTALE IN ITALIA"

  • Interventi di Tullio Carere, Paolo Migone, Gennaro Esposito, AntonioA. Rizzoli, Piero Porcelli, Mario Galzigna, Silvio Lenzi, Tullio Carere, e Giovanni Liotti

27-9-98, Tullio Carere (Bergamo):

Uno psicoterapeuta integrazionista, o meglio, uno psicoterapeuta senza aggettivi non puo' che rallegrarsi della piega che stanno prendendo le cose, a giudicare dal vivace scambio di opinioni tra Sanavio e Liotti nel documento TRENT'ANNI DI PSICOTERAPIA COGNITIVA E COMPORTAMENTALE IN ITALIA, nell'area Psicoterapia di POL.it a cura di Paolo Migone. Le due Società scientifiche italiane interessate alla psicoterapia cognitivo-comportamentale (SITCC e AIAMC) perseguono, secondo Sanavio, finalità quasi identiche. Perche' allora non si uniscono? Perche', sospetta Sanavio, lo impediscono problemi di leadership. Liotti dissente energicamente:

"dallo scritto stesso di Sanavio emergono abbastanza chiaramente le differenze fondamentali di finalita' e di percorso conoscitivo perseguite dalla SITCC e dall'AIAMC. Tali differenze sono evidenziate dai contributi della SITCC all'integrazione fra cognitivismo clinico e teoria dell'attaccamento da una parte, e fra cognitivismo e costruttivismo dall'altra. A queste integrazioni l'AIAMC non ha invece prestato interesse".

Un socio SITCC non potrebbe aderire alle finalita' statutarie dell'AIAMC senza "rinunciare alla liberta' di non considerarsi comportamentisti". Si noti, aggiunge Liotti, che "ai soci SITCC non è neppure richiesto, a rigore, di sentirsi vincolati al cognitivismo, o all'evoluzionismo". Da questa "liberta' di pensiero – rispetto alle ideologie della psicologia – permessa dalla SITCC" deriva altresi'

"un dialogo e un confronto con quei settori della psicoanalisi contemporanea che pure hanno recentemente rivolto il loro interesse all'epistemologia, all'evoluzionismo e alla ricerca in psicoterapia".

Replica Sanavio: se la differenza tra le due societa' consiste, come sostiene Liotti, nella maggiore liberta' di pensiero e conseguente apertura all'integrazione tra diverse prospettive psicoteraputiche (essendo fuori questione il "riferimento costante e in perenne movimento alle acquisizioni della psicologia di base, del dibattito epistemologico, ecc.") ebbene, la liberta' dalle ideologie di cui si gode in ambito AIAMC non ha nulla da invidiare a quella della societa' sorella: al contrario, Sanavio giunge ad augurarsi che "prima o poi il clima culturale maturi abbastanza da permetterci di avere una Societa' di Psicoterapia punto e basta. Psicoterapia senza aggettivi, dunque, senza bisogno di qualificarla cognitiva piuttosto che sistemica o dinamica o vattelappesca. Una spinta in questa direzione viene certo dai moderni movimenti per l'integrazione psicoterapeutica (benché temo inficiati da un troppo ingenuo irenismo)". Sanavio nega, dunque, che le differenze tra le due societa' addotte da Liotti siano significative, e addirittura rilancia: lui e' per una "psicoterapia senza aggettivi". Ci si aspetterebbe, a questo punto, che le due societa', chiariti gli annosi malintesi, inizino le pratiche per la unificazione. Invece no. Sanavio dichiara esplicitamente di ritenere "improbabile l'unificazione delle Societa' cognitive e comportamentali" e "abbastanza probabile una ulteriore frammentazione futura". Come mai? Perche' Sanavio e' persuaso, e lo ribadisce, che alla base delle divisioni societarie nonsi trovano insanabili divergenze scientifiche, ma "questioni di fede religiosa o di riferimento politico o di convenienza economica o di gelosied i leader, ecc. ecc". Anch'io sono persuaso, e ho detto piu' volte, che la frammentazione del campo psicoterapeutico non e' dovuta primariamente a motivi di ordine scientifico, ma risponde a bisogni di identita' e di appartenenza. Tuttavia, pur non reputandomi ingenuamente irenista, non mi sento nemmeno cosi' pessimista come Sanavio. Qualcosa si puo' fare. Io scrivo mail, e per il momento non posso fare altro. Ma Sanavio e Liotti potrebbero fare molto di piu'. Per esempio Sanavio potrebbe dire a Liotti: visto che i motivi da te addotti non sussistono, tanto che ti posso garantire che il tuo "diritto di non aderire rigidamente ad alcuna ideologia che emerga nel mondo della psicoterapia e della psicologia" sarebbe riconosciuto al 100% nell'AIAMC, ti invito a prenderne atto e a iniziare assieme a me dei passi concreti per l'unificazione delle nostre societa'. E Liotti potrebbe dire a Sanavio: volentieri, ma perche' limitarci a questo? Visto che entrambi ci dichiariamo ormai oltre il comportamentismo, e persino oltre il cognitivismo, perche' non cerchiamo di gettare le fondamenta della "Societa' di Psicoterapia punto e basta" da te auspicata? E, gia' che sono in vena di consigli, Sanavio e Liotti, ormai sulla via dell'unificazione, potrebbero dire a Petrella (presidente della Società Psicoanalitica Italiana [SPI]): non credi che il principio di integrita', al quale tu dichiari di ispirarti, in quanto spinge naturalmente all'integrazione terapeutica, comporti il seppur graduale e prudente abbattimento degli attuali steccati di scuola e in particolare quello tradizionale e molto gelosamente custodito tra psicoanalisi e psicoterapia? Non vorresti, in nome del superamento da te auspicato dell'"imperialismo dei modelli", unirti a noi nella fondazione della "Societa' di Psicoterapia punto e basta"? E infine a Paolo Migone e Mario Galzigna, grazie ai quali sono state messe in rete le posizioni degli studiosi sopra citati: non vorreste farvi latori della presente presso di loro, e se volete anche presso altri soci dell'AIAMC, della SITCC, della SPI e delle altre sigle prestigiose che ancora segmentano, e secondo Sanavio sempre piu' segmenteranno, il nostro campo? E poi renderci note le risposte che eventualmente sarete riusciti a ottenere? Confidando che vorrete farlo, vi ringrazio sin d'ora.


28-9-98, Paolo Migone (Parma):

Caro Tullio, ti ringrazio per il tuo intervento, come al solito molto stimolante e che non demorde mai. La mia impressione è che le vere ragioni del perdurare di false separatezze all'interno della psicoterapia siano legate in buona parte a problemi politico-economici, non teorici. Non conosco bene la situazione istituzionale della psicoterapia ognitiva, ma riguardo ad esempio alla questione della differenza tra psicoanalisi e psicoterapia psicoanalitica, ritengo (e questo, come ben sai, l'ho scritto chiaramente più volte, in vari articoli e anche nel cap. 4 del mio libroTerapia psicoanalitica [Milano: Franco Angeli,1995]) che l'intera faccenda si riduce a una questione di mercato, cioè di veri e propri interessi economici che vengono difesi dalle singole associazioni professionali. Ormai in certi casi vi sono molte più differenze teoriche tra approcci all'interno della stessa associazione, che tra associazioni diverse. Ma non voglio tediarti a dire queste cose che sono a noi arcinote. Non intendo comunque dire che il dibattito teorico vada sottovalutato, anzi, è proprio grazie ad un approfondimento di questo dibattito che – sempre a mio parere – si arriva alla conclusione che molte barriere potrebbero essere abbattute, mentre certe barriere rimangono proprio perché non si approfondisce il dibattito teorico, spesso accontendandosi di luoghi comuni. Per quanto mi riguarda, farò avere a Liotti il testo della tua mail, e immagino che sicuramente Galzigna lo fara' avere a Petrella. Lo farò avere anche a Sanavio, che non so se è iscritto alle liste. Se ne viene fuori un dibattito interessante, potremo pubblicarlo come discussione degli interventi di Sanavio e Liotti. Sbaglieremmo pero' se ci illudessimo che queste discussioni riescano ad incidere sulla realtà in un qualche modo, almeno nel breve periodo. Occorrerà molto molto tempo prima che il movimento psicoterapeutico nel suo complesso (movimento psicoanalitico incluso, ovviamente) faccia passi avanti nella direzione da noi auspicata.


28-8-98, Gennaro Esposito (Napoli):

Ho letto anch'io l'interessante articolo di Migone e lo scambio di opinioni di Liotti e Sanavio. E dico: ma e' proprio necessario arrivare a costituire un'unica Societa' di Psicoterapia? Mi sembra paradossale, visto che niente si puo' fare oggi senza la politica. La politica permea ogni cosa, financhel e societa' scientifiche. Forse e' necessaria, chissa'… Dobbiamo solo prenderne atto, accettare che sia cosi' e fare delle scelte. Io, per esempio, pur riconoscendomi terapeuta "vicino" alle posizioni del cognitivismo, non ho mai pensato di aderire ad una delle due societa'. L'importante e' lavorare. Che ne pensa Mario Galzigna?


30-9-98, Mario Galzigna (Venezia):

Cari amici, sull'integrazione avrei molto da dire: ma quello che penso, a livello teorico, l'ho già detto, almeno in parte, nel mio articolo "Persona, struttura e storia" pubblicato su POL.it nella sezione "Epistemologia e Storia", che ora è uscito, con qualche leggero ritocco, in Psichiatria Generale e dell'età evolutiva, settembre 1998. Questa brevissima mail per dirvi una cosa: sarebbe a mio avviso auspicabile che, dopo un dibattito così vario e ricco sul tema, qualcuno di voi ne raccogliesse le fila e proponesse un contributo scientifico, in rete, da sottoporre alla discussione. Ciò darebbe modo anche a chi non se la sente di scrivere mail troppo lunghe (oppure a chi non ha potuto seguire tutto il dibattito) di dire la sua. Passo parola. Auguri di buon lavoro.


1-10-98, Antonio Augusto Rizzoli (Venezia):

Quale mai interesse pratico per noi vi sia nella fusione di due società di psicoterapia cognitivista lo sa unicamente Tullio Carere, che ringrazio per l'informazione, stimo per la sua lunga discussione del "caso" e ammiro per la pazienza che ha nel dedicarsi ad argomenti di politica culturale così remoti in un'Italia psichiatrica, decisamente allo sbando. [Come diceva oggi il mio collaboratore ed infermiere Livio Guerretta, "una cosa era Basaglia, altra cosa sono i basagliani" aggiungendo qualche altro commento che non sono autorizzato a riportare. Questo per spiegare il termine "sbando"]. Io sono maleficamente curioso: quanti soci hanno l'AIAMC, la SITCC, e perfino la SPI? Questo ci illuminerebbe un poco di piu' sulla reale materia del contendere. Sono d'accordo con Migone, che, invece, e giustamente, sottolinea gli aspetti culturali, quando dice "l'intera faccenda si riduce a una questione di mercato, cioè di veri e propri interessi economici che vengono difesi dalle singole associazioni professionali".


1-10-98, Piero Porcelli (Bari):

Probabilmente sto per scrivere una boiata, ma la dico cosi' come mi viene. Ritengo altamente improbabile che una prospettiva unificazionista di questo tipo possa avere esito positivo, per tutte le mille ragioni (ed anche di piu') che sappiamo benissimo. In un ipotetico dibattito a tre(i soggetti-societa' coinvolti in questa discussione), o a diecimila (se teniamo presente tutti gli indotti ed i contrari generati negli anni),verrebbero immediatamente fuori le ragioni per non fare l'unificazione. Pero' forse (ed e' questa la boiata a cui mi riferivo) esistono due tipi di integrazione: una interna e l'altra esterna. Mi spiego. L'integrazione psicoterapeutica interna e' quella che si compie nella mente e nella prassidell'operatore psicoterapeuta. L'integrazione esterna e' invece quella relativa alle societa', istituzioni, scuole. Le forze e le motivazioni che animano questi due tipi di integrazione sono molto diverse: concretezza clinica, consapevolezza critica, onesta' intellettuale giocano nel motivare l'integrazione interna; potere, denaro, prestigio in quella esterna. L'integrazione esterna restera' una utopia, anche perche' non mi figuro movimenti di massa degli psicoterapeuti che spingono i vertici delle rispettive societa' a muoversi in questo senso. Tutto sommato, e' anche vero che il nostro lavoro quotidiano resterebbe tale e quale. L'integrazione interna, invece, potrebbe essere il luogo reale della integrazione psicoterapeutica, o psicoterapia senza aggettivi? Beh, anche qui, in fondo, cosa accade nella realta'? Secondo me, accade che la stragrande maggioranza degli psicoterapeuti compie quotidianamente nella propria prassi professionale l'integrazione poiche' svolge davvero una psicoterapia non aggettivata. Alcuni la fanno ma non lo dicono pubblicamente, per motivi tutto sommato comprensibili. Altri la fanno, ma non ne sono consapevoli. Poi c'e' una sparuta minoranza composta da due specie diversissime di terapeuti. Un primo gruppo e' composto da colleghi che fanno una psicoterapia senza aggettivi e lo dicono in pubblico. Sono senza dubbio le persone piu' oneste e trasparenti, ma anche quelle che sentono meno – per tante ragioni – il bisogno di appartenenza ad una parrocchia. Il secondo gruppo e' formato da colleghi che non fanno l'integrazione delle psicoterapie, non lo fanno davvero, stanno nei loro studi e lavorano con i pazienti veri in carnee ossa proprio come viene detto in pubblico parlando di pazienti finti o di personaggi piu' o meno romanzeschi. Per questi non c'e' speranza, e bisogna rassegnarsi. Morale: l'integrazione psicoterapeutica, interna, e' stata gia' fatta, da anni.


1-10-98, Silvio Lenzi (Bologna):

A proposito di "Cognitivisti e altri" e dell'articolo + dibattito tra Sanavio e Liotti sul tema "Trent'anni di psicoterapia Cognitiva e Comportamentale in Italia" mi preme fare alcune precisazioni. Premetto che di questi 30 anni ho vissuto direttamente gli ultimi dieci, avendo frequentato un Training ufficiale quadriennale della SITCC a partire dal1990, che ha visto trai suoi didatti, tra gli altri Guidano, Reda e Liotti. Devo dire che dell'universo cognitivista con cui sono venuto in contatto attraverso quel training, ed anche successivamente, non ho trovato molte tracce nello scritto di Sanavio. Mi riferisco in particolare: 1) al modello teorico-clinico, adottato mi permetto di dire quasi ufficialmente dalla SITCC, come testimonia l'impostazione del Manuale di Psicoterapia Cognitiva, curato da B. Bara per i tipi di Bollati Boringhieri ed uscito nel 1996 (di cui su POL-it è disponibile una recensione curata dal sottoscritto e per certi versi anche piuttosto critica); 2) all'impostazione della operatività terapeutica certo in linea – come sostiene Sanavio – con la prassi cognitiva classica di tipo beckiano, ma anche caratterizzata di sostanziale modificazioni. Riguardo tali aspetti nell'articolo di Sanavio non vi sono riferimenti precisi e diretti se non in modo critico nelle considerazioni conclusive. Si badi che personalmente condivido pienamente alcuni punti, quali l'osservazione critica inerente il disinteresse per i cosiddetti "problemi empirici", per esempio "la documentazione dei risultati e l'implementazione tecnica". Mi sembra però che, al di là di determinate posizioni più o meno condivise o condivisibili, dall'articolo non emerga – se non in negativo – un immagine di alcuni tra i recenti sviluppi nell'ambito del movimento cognitivista italiano. In questo senso piuttosto che replicare a specifiche obiezioni e critiche mi permetto, se non altro come testimonianza personale e quindi in modo sicuramente arbitrario, di segnalare alcuni momenti significativi che hanno interessato una parte del movimento cognitivista italiano negli ultimi dieci anni:

1992: Con l'uscita in italiano del volume di V. Guidano: The Self in Process. Toward a Post-Rationalist Cognitive Theraphy (Il Sé nel suo divenire. Verso una terapia cognitiva post-razionalistica. Torino: Bollati Boringhieri, 1992) trova riscontro cartaceo una esplicita metodologia terapeutica – già ampiamente diffusa in ambito SITCC – collegata ad un paradigma teorico definito post-razionalista. Con tale etichetta si vuole indicare l'intenzione di considerare "la conoscenza dal punto di vista di chi la possiede" e non unicamente nel senso dell'adeguatezza alla realtà esterna secondo categorie di "vero-falso" o "razionale-irrrazionale". Le forme conoscitive (tra cui in primo piano, diversamente da prima, la componente emozionale) diventano la modalità con cui l'organismo vivente costruisce e mantiene una coerenza organizzativa nell'ambito delle relazioni interpersonali. La strategia terapeutica – pur conservando numerose caratteristiche procedurali della terapia cognitiva classica – è volta alla facilitazione dei processi di auto-organizzazione e non alla confutazione delle convinzioni irrazionali.

1996: Esce il primo numero dei Quaderni di Psicoterapia Cognitiva, pubblicazione semestrale edita dalla SITCC e inviata ai suoi 1100 soci. La rivista ospita articoli monografici e di ricerca, con l'intenzione di favorire e potenziare la comunicazione tra le persone interessate alle applicazioni cliniche delle scienze cognitive.

1996: Nasce l'IPRA, Istituto di Psicologia Cognitiva Post-Razionalista" dall'esigenza del superamento del paradigma rappresentazionale nelle scienze cognitive. In alternativa all'approccio computazionale, gli studi condotti nell'ambito dell'IPRA sviluppano la ricerca sui processi di costruzione del significato personale nel corso del ciclo di vita individuale".

1997: Cresce nell'ambito della SITCC l'esigenza di studi empirici sul processo terapeutico e l'interesse per lo studio diretto delle trascrizioni di sedute. Si occupano di questo A. Semerari a Roma, B. Bara a Milano e F. Bercelli & coll. a Bologna. In particolare, riferendomi al gruppo di Bologna di cui faccio parte, ci si propone di dare riscontro empirico alle differenti modalità di conduzione di seduta e di attuazione delle tecniche (per tentare anche di verificare se è stata realmente "inventata l'acqua calda", come teme Sanavio, o se sono presenti elementi di novità rispetto all'approccio cognitivo classico e di differenziazione rispetto agli approcci analitici). Un lavoro preliminare pubblicato sulla rivista Quaderni n. 2 suscita all'interno della SITCC inaspettato apprezzamento e interesse proprio per il suo carattere di "empiricità" (sorprendendo gli autori e probabilmente anche Sanavio). In esso, attraverso l'analisi conversazionale di sedute di didatti che si definiscono costruttivisti, si individuano importanti differenze metodologiche in particolare nel trattare l'esperienza soggettiva del paziente.

1998: Si tiene a Siena il VI Congresso Internazionale Sul Costruttivismo in Psicoterapia. Da segnalare la differenziazione dell'approccio post-razionalista dal costruzionismo sociale e dagli approcci narrativi (che potremmo chiamare riferendoci all'articolo di Sanavio post-moderni in senso lato), che implicano prospettive differenti sui processi di costruzione del significato personale. Si sottolineano le differenze metodologiche tra terapia "orientata alla self-reflection" vs. terapie "orientate alla conversazione".

 Grazie per l'attenzione. P.S.: Per dovere di cronaca segnalo che tra le scuole riconosciute dal ministero nell'articolo di Sanavio non è stata segnalata quella di Como, gestita dalla SITCC.


1-10-98, Tullio Carere (Bergamo):

Caro Paolo, grazie per la sollecita risposta, che mi riflettere. Soprattutto le ultime righe del tuo messaggio mi inducono a chiedermi: qual e' precisamente la direzione da noi – o almeno da me – auspicata? Si puo' trarre dalla mia mail precedente l'impressione che io desideri la fondazione di una "Societa' di Psicoterapia punto e basta", in cui tutte le associazioni attualmente esistenti confluiscano cessando di esistere come tali. Cosa che, oltre a essere manifestamente irrealistica, non e' nemmeno, per quanto mi riguarda, desiderabile. Mi affretto dunque a scrivere questa postilla per dissipare sul nascere un potenziale malinteso. Non mi disturba affatto l'esistenza di una miriade di scuole e associazioni psicoterapeutiche – al contrario, trovo che sia un segno di vitalita' e liberta' di pensiero. Mi disturba invece il settarismo e l'ostacolo alla circolazione e al confronto di idee che deriva dall'acritica adesione alle rispettive scuole e associazioni per motivi politico-economici e/o per bisogni di identificazione e appartenenza. Nessun processo di integrazione e' privo di resistenze, ma mi sembra essenziale distinguere la giusta opposizione a una pretesa uniformizzante e negatrice delle differenze (che comunque non mi appartiene) dall'arroccamento sciovinistico, localistico se non parrocchiale. Questi ultimi aggettivi portano a una metafora che puo' forse chiarire meglio il concetto. L'Europa e' un territorio straordinariamente ricco di nazioni, culture e tradizioni. Nessuno vuole che questo patrimonio sia disperso. Ma e' anche drammaticamente attuale la necessita' di procedere verso un'integrazione economica e politica che abbia come obiettivo la formazione di una nuova identita', grazie alla quale potremo riconoscerci come cittadini europei prima che italiani, tedeschi o francesi. Da un paio di decenni e' in corso un analogo processo nel nostro campo, che tende a fare di noi degli psicoterapeuti, prima che dei freudiani, junghiani o cognitivisti. Circa la meta' degli psicoterapeuti in tutto il mondo si colloca gia' ora dichiaratamente su posizioni eclettico-integrative. Se si aggiungono coloro che su queste posizioni si trovano senza dichiararlo apertamente, la maggioranza e' netta. Eppure a questo movimento integrativo reale così impetuoso (l'integrazione "interna", come la definisce Piero Porcelli) non corrisponde il minimo adeguamento societario-istituzionale (l'integrazione "esterna"). Prendo dunque l'Europa come metafora per chiarire che cosa mi aspetto e per che cosa mi pare realistico battersi. Il punto d'arrivo e' una federazione in cui una Carta dei diritti e dei doveri e una legislazione federale stabiliranno le regole generali della convivenza dei cittadini europei, lasciando peraltro ampie autonomie politiche, economiche e culturali agli stati federati. Ma a quell'obiettivo ci si puo' avvicinare solo per gradi. Analogamente, non mi pare irrealistico pensare a qualche passo iniziale in senso comunitario nella galassia delle psicoterapie. Se per esempio persone come Sanavio, Liotti e Petrella prendessero atto a) del movimento di integrazione reale che e' gia' impetuosamente in corso e b) delle prese di posizione in senso chiaramente integrativo da loro stessi espresse, sommando a+b potrebbero sentirsi spinte, chiamate, o forse anche attratte dall'idea di cominciare a pensare qualche forma minima e aurorale di aggregazione, organizzazione e governo per lo smandrappato popolo degli psicoterapeuti, che non ha per ora altro luogo ove ritrovarsi(come tale) che le liste omonime stilate dagli ordini provinciali dei medici e degli psicologi. Insomma la domanda che vorrei fare alle persone sopradette e': al di la' delle differenze che nessuno si sogna (certamente non io) di negare, vi riconoscete o no come specie diverse dell'unico idealtipo "psicoterapeuta"? Se no, chiuso l'argomento (ma allora perche' parlate di integrazione?). Se si': con tale termine (psicoterapeuta) vi riferite a un semplice contenitore nominale per cose irrimediabilmente disaparate (ma allora perche'…), o pensate a una qualche sostanziale forma di identita' nella diversita' (come per il gatto e l'elefante, animali diversissimi eppure uniti dalla comune struttura mammaliana)? E infine se, come spero, avete risposto affermativamente all'ultima domanda: non vi sembra interessante, ma oserei dire necessitante, l'idea di metterci a studiare che specie di strani mammiferi sono mai gli psicoterapeuti? E all'uopo creare almeno una commissione o un gruppo di studio composto da rappresentanti delle scuole maggiori, e magari anche da qualche cane sciolto, ma curioso e motivato all'impresa? Non sarebbe questo almeno un primo nucleo embrionale di una casa comune? Caro Paolo, ti ringrazio per l'ulteriore attenzione e ti prego, quando trasmetterai il messaggio precedente agli interessati, di aggiungere la presente postilla.


6-10-998, Giovanni Liotti (Roma):

Prendo atto con piacere della replica di Sanavio al mio tentativo di confutare la sua tesi, secondo la quale le due Società interessate in Italia alle terapie cognitive e comportamentali debbono la loro distinta esistenza solo a motivi di potere e prestigio personale. Resto dell'opinione che (anche?) importanti divergenze teoriche e di prassi clinica abbiano giustificato l'esistenza di due distinte Società, ma, ripeto, prendo atto con piacere della contro-replica di Sanavio, e del suo dichiarato interesse per i mondi concettuali dell'etologia e della psicologia dinamica oltre che della psicologia sperimentale (comportamentista o non comportamentista).Sono anche contento dei commenti di Carere allo scambio di opinioni fra Sanavio e me, e al successivo dibattito a più voci sull'integrazione delle psicoterapie. Contentezza e piacere sono dovute al fatto che anch'io, da anni, penso che il futuro della psicoterapia stia nella scomparsa degli aggettivi che oggi seguono questo nome. Accolgo dunque sempre con soddisfazione la possibilità di condividere questa convinzione con altri Colleghi. Tutti sappiamo che la possibilità di confronti fra psicoterapeuti con diversi itinerari formativi e con diversi modelli teorici – necessaria premessa alla "psicoterapia senza aggettivi" – è attuabile già in molti contesti. Oltre a quelli pratici menzionati da Piero Porcelli nella sua mail del 1-10-98, conosco, come molti fra voi, due contesti internazionali di confronto: la SEPI (Society for the Exploration of Psychotherapy Integration) e la SPR (Society for PsychotherapyResearch) [vedi la recensione del Congresso Europeo della SPR a Cernobbio e il programma del 1°Congresso Italiano della SPR a Salsomaggiore; vedi anche il sito della sezione italiana della SPR [SPR-Italy]]. Di quest'ultima sono membro, traendone continuo giovamento intellettuale (non politico-economico o di prestigio sociale). Personalmente, inoltre, opero sistematicamente il confronto fra psicoterapie, oltre che attraverso dialoghi fruttuosissimi con numerosi singoli Colleghi di diversa formazione, anche attraverso la partecipazione ai comitati di redazione e scientifici di tre Riviste: Terapia Familiare (e lì confronto i miei modelli cognitivo-evoluzionisti con quelli dei Colleghi sistemico-relazionali), Psicobiettivo(ove il confronto, per la pianificazione di ciascun numero, si svolge a tre: cognitivisti, sistemici e psicoanalisti), e Psicoterapia (dove il confronto è, per il momento, soprattutto fra cognitivisti e psicoanalisti).Potrebbe la fusione delle diverse società esistenti (SPI e varie altre sigle per gli psicoanalisti; SITCC e AIAMC per i cognitivisti ed i comportamentisti; CIPA e AIPA per gli Junghiani, e via elencando) facilitare la costruzione di una psicoterapia senza aggettivi, più di quanto lo facilitino Società come la SEPI e la SPR o riviste come Psicoterapia Psicobiettivo? Noi che ci riconosciamo  nel progetto "Psicoterapia e basta", caro Carere, non ne siamo tutti convinti. Bisogna piuttosto che le Società esistenti, OLTRE che essere centri di potere (come pare inevitabile), si sforzino di essere ALMENO ANCHE luoghi di sviluppo e chiarificazione di idee e di prassi terapeutiche che ritengano proprie e specifiche, per POI consentire che il confronto con le idee e le prassi di altre Società avvenga. Evidentemente, se si riconoscesse che non c'è distinzione fra le teorie e le tecniche a confronto, si procederebbe subito alla fusione delle due o più società che le propugnano. Ecco, quello che manca al dibattito originario fra Sanavio e me è un confronto obiettivo delle idee e delle prassi nate e cresciute in vent'anni all'interno della SITCC, con quelle nate e cresciute all'interno dell'AIAMC (per intenderci, un confronto obiettivo del genere non potrebbe essere fatto da me, né da Sanavio da soli: l'ideale sarebbe che lo facesse una commissione mista di psicoterapeuti esperti e di teorici navigati, appartenenti in pari misura alla SITCC e all'AIAMC, nonché ad altre Società o tradizioni scientifiche).Se da tale confronto – operato ad esempio comparando fra loro le pubblicazioni scientifiche esistenti e i programmi di formazione delle due Società, e poi sottoponendo il risultato della comparazione al voto delle Assemblee delle due Società – risultasse la reale sovrapponibilità fra i contributi della SITCC e quelli dell'AIAMC di cui parla Sanavio, sarei pronto a propugnare l'immediata fusione fra le due Associazioni.

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