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Due Maestri: Di Ciaccia – Recalcati

3 Giu 18

Di Mario Degli Stefani
C'era una volta un gruppo di giovani che si reca in un monastero a cer­care un vecchio maestro di cui vogliono diventare allievi. Il maestro è vec­chio e stanco, non ha più tanta voglia di insegnare. Quando i giovani gli rivolgono la richiesta il maestro dice che lui è disposto a prenderli come allievi solo se loro sono disposti a dimenticare i precedenti insegnamenti e insegnanti. Con lui devono spogliarsi di ogni sapere precedente e diventare una tabula rasa. Aggiunge di pensarci durante la notte e di dargli la rispo­sta l'indomani.
I giovani commentano la richiesta del maestro: alcuni dicono che è pre­suntuoso; altri che è consapevole che il suo insegnamento vale più di quello degli altri; altri che deve essere la regola del monastero; altri che vuole esse­re certo che non ci siano incomprensioni o conflitti tra diverse scuole o diver­se teorie e che lui vuole imporre la sua.
L'indomani i giovani si presentano all'appuntamento col vecchio maestro e quando lui rivolge loro la domanda per sapere chi è disposto ad accettare le sue condizioni tutti i giovani alzano la mano senza esitazione, tranne uno.
Il maestro si rivolge a questo giovane e gli chiede: allora tu non vuoi i miei insegnamenti. Il giovane abbassando leggermente il capo dice: "io sono venuto da molto lontano perché ci tengo tanto ai tuoi insegnamenti. Ma non posso fare quello che chiedi. Non posso dimenticare i maestri precedenti che mi hanno dato ciò che mi ha aiutato a diventare ciò che sono oggi. Non posso dimenticare quello che ho imparato dai miei bravi maestri perché quello che sono oggi lo devo ai loro insegnamenti".
Il maestro dice agli altri giovani di andarsene pure a casa. L’unico giovane che può rimanere è chi riconosce che ogni nuovo apprendimento si basa sulle conoscenze precedenti.
  • Giardinieri Principesse Porcospini – Metafore di Consuelo C. Casula – ed. Franco Angeli
 
L’Avvicendamento
A questa morale della metafora,  che rileva giustamente come ogni conoscenza abbia i suoi presupposti nelle precedenti, aggiungo che è soprattutto ogni rapporto ad essere segnato da quelli precedenti, anche se, troppo spesso, si è portati a umane dimenticanze e ingrati rinnegamenti e riposizionamenti.
Ho notato che sulla rivista Psychiatryonline, c’è stato un avvicendamento: l’ottimo  Di Ciaccia è subentrato all’ottimo Recalcati.
Il palese  scisma e rottura dei due autori lacaniani, mi turbano, perché io, inguaribile soggetto ecumenico e felice di esserlo, avverto una certa malinconia nel considerare che il mio approccio a Lacan e  la mia ”epistemofilia lacaniana” (un sintomo?), datano a  7 anni fa,  dalla lettura cioè,  del testo “Jacques Lacan” – Bruno Mondadori editore – di Antonio Di Ciaccia e Massimo Recalcati.
Parlando della mia visione ecumenica delle cose, essa si fonda sulla consapevolezza di come i conflitti contaminino e minino l’armonia auspicabile per soggetti segnati e accomunati da uno stesso destino di vita e di morte.
Capisco altresì, di pensare e rappresentarmi il mondo e la vita, da soggetto patologico, intrappolato  irrimediabilmente nel registro dell’immaginario, che mi porta nonostante le continue disillusioni,  a  illudermi sempre e comunque  e sperare continuamente in un domani nel quale ogni frattura, ogni conflitto, ogni taglio si ricomponga e che le parti sparse, si ricompongano nell’Uno:
  • un Uno come un mosaico, uno splendido mosaico bizantino ove ogni soggetto umano è un tassello che da solo non ha senso, ma che, nella totalità composta, dia l’armonia e lo splendore dell’opera d’arte.
 
Contraddizioni … da coniugare
Ma non sono questi autori, due tra i più autorevoli lacaniani, hegeliani, kojeviani a parlarci della natura essenzialmente intersoggettiva della soggettività umana?
Penso che tale assunto, tale congettura  (direbbe Freud), per non rimanere tale, diventi più condivisibile se ce ne fosse anche una rappresentazione fattuale, proprio da chi la propugna: a meno che, di questa intersoggettività non se ne vogliano evidenziare solo gli aspetti conflittuali.
 
E allora (anche se la frase non si dovrebbe iniziare con la E), se così fosse, si dimostri però che il conflitto abbia, come ci suggeriscono ancora gli psicanalisti, una sua funzione creativa, costruttiva, evolutiva, e convenire sulla necessità e la volontà di una sua risoluzione, attraverso  una epoché, un passo indietro delle singole parti e cioè un passo in avanti per la psicanalisi e per il buon senso.
 
Concludo questa mia
  • con un benvenuto a Di Ciaccia, del quale ho sbobinato recentemente un suo intervento sul Seminario VI e che ho riportato sulla rivista[1]
  • e con un caro saluto a Massimo Recalcati, augurando a tutti e due di continuare ad appassionarci alla psicanalisi e a riflettere sulla nostra condizione di Soggetti comunque “Debitori all’Altro”, l’Altro che, seppur non esistesse, ci ha illusi un tempo, ed è stato bello, che esistesse.
E che non c’è L’Uno senza l’Altro.


[1]  Seminario VI: Lo Stallo di Amleto http://www.psychiatryonline.it/node/7249
 

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