Il titolo è poco propositivo lo so. Se detto poi da un insegnante e da uno psicologo allora è proprio sgradevole, anzi fastidioso. Ma è l'aggettivo che ho trovato più riproducibile e accettabile sintetizzando le voci di insegnanti, educatori, genitori nei vari contesti in cui mi vedo ad operare negli ultimi anni. Chi 'bazzica' certi ambienti assiste, ahinoi, ad una diffusione quasi epidemica di alcuni fenomeni. Iperattività motoria, disturbo dell'attenzione, aggressività, ansia. E sto parlando della fascia di ragazzini che meglio conosco, dal 6 ai 10 anni. . Non esiste classe in cui non ci sia un alunno con disturbo dell'attenzione e iperattività, con disturbo dall'ansia generalizzato, oppure con un disturbo oppositivo provocatorio. E gli aggettivi non mancano: maleducati, irrispettosi, fastidiosi, solo per citarne alcuni. In poche parole insopportabili. Sono ragazzini che mal si dispongono alle regole, si sentono ingabbiati, obbligati. Non riescono a stare fermi, si alzano di continuo, disturbano i compagni, rispondono male agli adulti, si rifiutano di eseguire compiti, fino a comportamenti e agiti aggressivi e minacciosi. E le domande che sento o mi rivolgono sono sempre le stesse. Perché tutto questo? Perché un bambino di 6, 7 o 8 anni si comporta in questo modo? Cosa spinge a farlo? E cosa può o potrebbe fare un insegnante o un genitore quando si trova di fronte ad un alunno o un figlio che non digerisce e non riesce a gestire le frustrazioni che alcuni doveri sociali fanno sperimentare? La questione non è semplice. E la risposta non è mai universale o generalizzabile. Ogni alunno fa storia a sé, ogni figlio è nella sua particolarità. E questo ogni insegnante, ogni genitore deve averlo ben chiaro. Ogni relazione conta quanto e come si instaura la relazione stessa. I soggetti con disturbo di iperattività o oppositivi e provocatori hanno tendenzialmente una difficoltà con la frustrazione. Con i no! Non puoi alzarti quando ti pare, non puoi parlare durante la lezione senza il permesso, non puoi rispondere in modo maleducato, non puoi mangiare quando hai fame. In poche parole, per usare le parole della psicoanalisi, chi soffre di questo disturbo comportamentale cerca di soddisfare sempre e comunque il proprio godimento, di compiacere le proprie pulsioni, di non saper rinunciare, di non avere introiettato il valore del Limite e della Legge. E qui entra in gioco il discorso educativo. In un periodo in cui tutti siamo spinti verso un consumo illimitato degli oggetti ( e spesso anche negli affetti ), diventa difficile introdurre la dimensione della regola. Imporre la legge sembra diventato angosciante. I genitori evitano il conflitto con i figli, non vogliono frustrare le loro aspettative e le loro richieste. Molto debolmente, noi genitori, spesso, siamo spinti ad essere compiacenti e amabili verso i nostri figli. Per paura di veder soffrire i nostri pargoli abbiamo dimenticato quanto sia importante, invece, una porzione di autorevolezza e rigidità. Abbiamo scambiato i limiti con la severità, la determinazione con la disciplina. E invece insegnare a tollerare l'attesa, far sperimentare la distanza tra la richiesta e la soddisfazione è il cardine di ogni crescita matura e consapevole. È imparare a saper gestire i no, a conoscerli, ad accogliere che nella vita non tutto è permesso. Che solo con una certa dose d'impegno e sacrificio la soddisfazione sarà piena e soprattutto duratura. Passare dal ' voglio questo adesso ' al ' desidero diventare, o fare o essere ' , questo è essenziale per definire anche una sana dimensione relazionale. Come si fa? Da genitori, offrendo testimonianza. Trasmettere la dimostrazione che non tutto è possibile, non tutto si può avere, che la caduta, l'inciampo è solo una considerazione per poter ripartire. Fino ad una certa età si cresce per imitazione, emulazione. Nelle regole familiari, nelle prescrizioni sociali si trova spesso quella leggerezza e quella deresponsabilità di cui i nostri ragazzi, non ancora autonomi ed indipendenti, hanno bisogno per potersi permettere e sperimentare i vari e complessi stati emotivi, visti non più come nemici, ma come compagni per poter esplorare senza agiti compulsivi i vari step della loro vita. E gli insegnanti? Accoglienza, disponibilità, pazienza. Ma anche autorevolezza e una certa fermezza. E soprattutto una certa complicità e solidarietà con la famiglia, con i genitori. Quello che accade in classe deve essere supportato e rinforzato a casa. Ma qui, forse apriamo un altro discorso a cui vale la pena dedicare altro tempo.
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