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Descrizione di una battaglia

6 Ott 12

Di montaninig

Due analisi interrotte: alcune considerazioni

Nel mio lavoro di analista ho incontrato molte donne. Sono state vicende appassionanti che meriterebbero di essere raccontate una per una. Tra tutte però intendo occuparmi qui soltanto di due e ne darò subito le motivazioni. Si tratta di due analisi interrotte. Entrambe le storie, oltre a presentare questa caratteristica comune, presentano tratti di similarità sorprendenti che non posso non cogliere: veri e propri organizzatori sotterranei , sembrerebbe, della mia vicenda con queste due pazienti e reciprocamente della loro con me.
Inoltre, e con mia grande sorpresa, pur consapevole della irrepitibile unicità come persona di ciascuna delle due donne con cui ho condiviso un percorso analitico arduo e tormentato, mi sono trovata, nel riflettere sull'interruzione dell'analisi di D a imbattermi nelle stesse figure simboliche che il lavoro del contotranfert mi aveva fornito per pensare I, mentre lavoravo con lei e poi in seguito, dopo l'interruzione della sua analisi. Questa coincidenza così singolare può immediatamente indurre il sospetto, e in me l'ha in prima battuta indotto, che qualcosa nella mente dell'analista, la mia, un particolare costrutto difensivo a “percorso obbligato”, possa avere dato luogo a queste costruzioni, così simili, così “compatte” e permanenti nel tempo.
Ma dal momento che da questa particolare coincidenza di costrutti controtrasferali sono nate le interrogazioni che intendo qui mettere a tema , mi è parso conveniente utilizzarle per arrivare passo passo a centrare meglio quella che in realtà è insieme il compito e la meta di questo mio lavoro:esplorare la relazione tra donne all'interno del campo analitico . Il particolare 'assetto delle manovre di tranfert-controtranfert che emerge con particolare forza nel caso di queste due interruzioni e che intendo mostrare, è un'opportunità per interrogarci sul nostro lavoro,da un versante spesso trascurato dalle ormai infinita letteratura sulla relazione analitica: il sesso dell'analista. Non intendo qui utilizzare il termine sesso nella sua accezione che rimanda a un ruolo sessuato. Se una delle difficoltà del pensiero psicoanalitico sta proprio in questo utilizzare la questione del sesso confondendola con quella del genere biologico mescolata alla questione dell'identità, dando luogo a un paradigma in definitiva adattivo, quello dell'identità di genere, desidero subito scongiurare questo rischio esplicitando l'uso che faccio e che il nostro gruppo di lavoro fa dei termini sesso, differenza, identità. Sesso, che deriva da secare, viene assunto e utilizzato in questa sua originaria accezione. E' un termine che rimanda immediatamente alla differenza, a un taglio originario che consegna l'essere umano alla sua unicità irripetibile di essere nato e separato.Identità viene qui assunta come quell'area semantica in cui convergono quegli eventi psichici che riguardano lo stesso, l'identico. In questo senso e solo in questo senso credo non sia stata indifferente nella mia storia con D e con la nostra reciproca identità di sesso . Per identità intendo qui dunque euguaglianza,non differenza , se si potesse coniare un neologismo, direi stessità. L'interruzione di queste due analisi ha fatto capo, credo e penso, alla difficoltà reciproca di districare la questione del prorio sesso da quella del nostro ruolo sessuato.
Gli aspetti riguardati il corpo sessuato della coppia analitica, al di la del ruolo sessuato o se si vuole dell'identità di genere, mi sembrano ancora assai poco esplorati e vengono generalmente risolti nella concezione classica ma sempre attuale del tranfert come riedizione di esperienze pregresse, escluse dalla coscienza, che proprio grazie al tranfert e alla sua interpretazione potrebbero essere incluse in questa provincia dello psichico e trovare grazie al loro statuto di riedizione, un inserimento su “fogli' diversi, nuovi, ed essere dunque traformate. Mantenendoci aderenti a questo schema generale del processo della cura, che – osservo di passaggio- pone l'analista nell'assetto pronominale del neutro- potremmo dire che, nell'interruzione brusca del loro rapporto con me, D e abbiano ripetuto, ma forse non rieditato la loro relazione con l'oggetto arcaico, e che la difficoltà di questa relazione sia stata di natura tale da impedirne perciò stesso l'affioramento nel corso accidentato delle loro analisi.Niente infatti nel corso del trattamento lasciava intravedere la possibilità dell'interruzione e a questa importante questione è dedicata l`ultima parte di questo lavoro Quanto appena detto sull'impianto generale della cura, se ha una sua correttzza e attendibilià analitica, non mi è comunque sufficiente per entrare nel cuore della questione così come l'ho posta all'inizio, quella del campo analitico che si articola là dove i termini sesso differenza identità danno luogo a un particolare paradigma relazionle che ho chiamato stessità ,né del resto, mi è di grande aiuto per ripercorrere, nella loro specificità le dolorose stazioni di questi percorsi analitici .

Pertanto li ricostruirò, come già detto interrogando l'assetto massivo delle fantasie controtranferali e l'enigma della loro identicità
avvertendo che questo resoconto talora anticipa e tal'altra revoca l'ordine temporale del percorso analitico, non per confonderne i momenti ma, al contrario, per mettere in evidenza, attraverso l'incontro di tempi diversi, le affinità fondamentali e distinte del gioco degli affetti che lo hanno caratterizzato.

GIUGNO I994
Non è facile per me cominciare a scrivere intorno ad I., dire e dare conto di come le nostre storie si siano incrociate e separate. Soprattutto perché la separazione è stata veloce e repentina, quasi un precipitarsi, da parte di I, verso una deriva che non tollerava argini di sorta. Ma forse questo è, per quanto mi riguarda, un altrettanto precipitoso giudizio di valutazione e scaturisce, in maniera reattiva, dal vuoto elaborativo lasciato aperto dalla mia paziente e vissuto penosamente da me come fosse una sua firma, messa a sancire la modalità forte che ha caratterizzato il campo analitico durante un anno e mezzo di lavoro comune. 
Ma anche questa affermazione mi sembra in definitiva affiorare da un'area di oscura sofferenza in cui alla mia paziente fuggitiva è piaciuto confinarmi con questa breve e provocatoria lettera di congedo:
"Gentile dottoressa, non so se resterà meravigliata di questa lettera, ma le scrivo per dirle che ho deciso di interrompere il lavoro analitico, almeno per ora. Dopo un alterco vero e proprio avuto con il direttore della clinica la scorsa settimana, ho deciso che era giunto il momento di un 'periodo di lontananza' da tutto ciò che significa psichiatria, psicologia…. Le scrivo perché non credo di riuscire a interrompere dicendole ciò personalmente. Le farò avere al più presto le quote relative alle sedute di Aprile. La ricordo sempre con molto affetto."
La lettera non mi ha meravigliato, devo dirlo, ma gettato in una condizione contraddittoria, dove il campo emozionale è stato in prima battuta invaso dalla consapevolezza, come in un lampo, della mia dipendenza dalla paziente.C'è una verità profonda, indicata da Proust, che penso riguardi da vicino la qualità dell'esperienza emotiva da cui per un momento mi sono, comunque, sentita travolta:
" "La signorina Albertine se n'è andata!" Come nella psicologia la sofferenza va oltre la psicologia stessa! Un attimo prima, mentre stavo analizzandomi, avevo creduto che quella separazione fosse ciò che desideravo, e paragonando la mediocrità dei piaceri che Albertine mi dava alla ricchezza dei desideri che mi impediva di realizzare, mi ero ritenuto perspicace, avevo concluso che non volevo più vederla, che non l'amavo più. Ma quelle parole: "La signorina Albertine se n'6 andata" avevano provocato una sofferenza tale…"

Scrivere intorno ad I è al momento senza dubbio un tentativo di elaborare il lutto che per me rappresenta questa interruzione.
Lo farò mantenendomi aderente, per quanto è possibile, alla vicenda delle mie costruzioni controtransferali. Infatti, in un percorso analitico così breve, che non ha lasciato spazio per la costruzione di altri vertici attendibili, queste mi sembrano, come vuole la Heimann, non solo "macchie cieche" ma forse l'unico strumento che ho a disposizione per la comprensione e l'indagine del campo analitico.

SETTEMBRE I999

Penso a D. L'immagine di I si sovrappone alla sua, le due storie analitiche, pur nella loro diversità si confondono. Quanto scrivevo nel `94 per I è valido, vivo e cocente anche per D. Decido di parlare dell'una parlando dell'altra. Il lavoro della scrittura ristabilisce il continuum tra me e le mie pazienti, solo apparentemente lacerato dunque dalle interruzioni. Nel tempo-non -tempo dell'inconscio – questo tempo che non passa, come dice Pontalis- la relazione tra me I e D si dispone in senso forte nel luogo della mancanza. In questo luogo le ritrovo entrambe e una volta di più apprendo come la mancanza, modalità ineliminabile per avere un contatto `reale `con l'oggetto,se porta dolore, porta anche una inevitabile spinta alla ricostruzione. Letteraria, artistica,scientifica che sia, o pura reverie che non prende la strada del segno, questa retrouvaille che si intraprende per non soccombere al dolore , può ,come spero mi accada scrivendo di I e di D, approdare a una trouvaille.

Pertanto adesso, inseguendo dentro di me queste figure , le presenterò così come mi sono apparse nel momento in cui ciascuna delle due mi portava la sua domanda d'analisi.
I primi colloqui, questa soglia che traccia il primo bordo dello spazio analitico, contengono un alto potere semantico la cui condensazione si scioglie piano piano, nel corso dell'analisi, precisandone , se così si può dire, gli spazi. I pensieri le percezioni le costruzioni dei primi colloqui sono già un'apertura del gioco relazionale , ma non possono , per quanto riguarda la scrittura, essere restituiti inserendoli in un qualche schema teorico. Li racconterò dunque semplicemente, per come li ho vissuti.

Presentazione di I

Nel corso dei colloqui preliminari, che furono più di uno, nel parlarmi di sé, I nonostante i suoi trent'anni, usava i modi e le cadenze di una brava e perfetta bambina.
Aveva deciso di iniziare il lavoro analitico – diceva – in un momento in cui, nella sua vicenda personale tutto sembrava procedere per il meglio: aveva appena acquistato una casa che le avrebbe permesso di lì a poco di andare a vivere da sola – viveva infatti ancora in famiglia con i genitori e il fratello – aveva riallacciato una vicenda amorosa con un uomo a cui teneva molto e ottenuto recentemente una borsa di studio da un'università di provincia. Non aveva problemi di sorta – sosteneva – e, per questo iniziava un'analisi. 
L'anno precedente – mi informò come di passaggio – quando il suo compagno attuale l'aveva lasciata, per poi ritornare con lei dopo qualche mese, aveva attraversato un periodo difficile ma non aveva cercato un aiuto perché voleva "farcela da sola". Adesso invece poteva mettere a disposizione dell'analisi tutte le sue energie, proprio perché tutto procedeva per il meglio.
Il mio nome l'aveva ricevuto dal Centro Psicoanalitico Romano e mi aveva telefonato immediatamente. Ci tenne a sottolineare di non avere avuto dubbi o perplessità di sorta, anzi di aver ribattuto, a chi le faceva notare l'impeto irriflesso con cui aveva immediatamente aderito all'indicazione ricevuta, che "non c'era problema". Il Centro era un servizio e lei se ne era servita… 
Ne fui alquanto sconcertata.
Questo “no problem” , – non capivo ancora se negazione o diniego -, mi sembrava non giocare del tutto a favore di una possibile analisi.-
Il mio sconcerto e la mia perplessità aumentarono mentre il colloquio procedeva, dal momento che I mi parlava di sé senza nessuna emozione, con la distaccata esattezza di chi presenta un curriculum.
Era una psichiatra: divideva il suo tempo tra il servizio presso una clinica psichiatrica privata di lusso e la specializzazione portata avanti nello stesso ambito accademico del suo compagno.
Il suo discorso, che era come disanimato mentre mi porgeva traguardi raggiunti, posizioni sociali di prestigio, figure della grandiosità, si animò però, pur conservando la stessa retorica grandiosa, quando I cominciò a parlare del suo compagno , anche lui psichiatra e impegnato nella costruzione di una posizione universitaria in uno degli ambienti della psichiatria accademica romana tra i più rigidi e conservatori, rivelando un'ammirazione sconfinata e una dipendenza assoluta.
Incontrai I ancora due volte prima di prendere una risoluzione. Nel corso di questi incontri il suo atteggiamento non mutò, ma io ebbi modo di raccogliere elementi che mi permisero una prima valutazione (anche se sommaria e tutta da approfondire) che mi avrebbe portato, in definitiva ad accettare di condividere con lei il rischio dell'esperienza analitica.
Nei due incontri successivi I continuò a utilizzare un'organizzazione difensiva rigidissima. Quando, con molta cautela, le chiesi qualche notizia sulla sua situazione familiare, cercando di cogliere la tonalità affettiva del suo discorso, rispose seccamente: 
"Dei miei genitori posso solo dire che sono perfetti. Ci hanno fatto studiare, me e mio fratello, ci hanno aiutato comperare la casa, di loro non si può dire che bene".
Sembrava il compito di una bambina di scuola elementare. Tema: “Parlate dei vostri genitori”.
Questa impossibilità ad essere 'vera', unica verità immediatamente intuibile nel discorso di I, riconfermandomi l'impressione iniziale di un grave disturbo al livello del Sé, fu in definitiva l'elemento che, attivando in me una risposta forte – anche se giocata più per opposizione che per consonanza – mi spinse ad accettarla in analisi ed ad assumermene il rischio.
Oggetti interni fortemente danneggiati trasparivano inoltre dal questo `compitino'. Mi colpì l'intensa aggressività che esso celava, la sua forma così perentoria e assertiva che lasciava indovinare la difficoltà di I di prendervi contatto e riassumersela come propria.
Non a caso, appena un attimo prima I mi aveva detto:
“Sogno pochissimo. Mi dicono che di notte, a volte, grido. Ma io non me ne accorgo. Ricordo però un sogno ricorrente che facevo da piccola e che anche adesso, ogni tanto, ritorna. C'è uno squalo fermo a pelo d'acqua. Di scatto si muove e mi insegue. Non so che cosa voglia dire” 

Il mio lavoro con lei è durato un anno e mezzo. La lettera di commiato coincide con un momento critico della storia di I: P. il compagno idealizzato e vissuto come un oggetto profondamente persecutorio a cui I si sottometteva completamente, l'ha di nuovo e improvvisamente lasciata.
Se la legge del taglione è uno degli organizzatori del processo primario che si muove secondo un oscuro e labirintico mimetismo, qui, in questa interruzione d'analisi la vediamo all'opera. Vediamo però all'opera – e non potrebbe essere diversamente – le due modalità cardine di funzionamento del “ragionare inconscio”: lo spostamento e la condensazione. Per questa legge io e P siamo la stessa `cosa'. Spostamento e condensazione – come il sogno ci insegna- sono le reti in cui il desiderio cerca di intrappolare ,in un primo assetto di figurabilità, il suo oggetto non altrimenti coglibile, in un infinita ripetizione dell'atto inaugurale che glielo ha consegnato sotto il registro della mancanza. Così I fuggendo da me, fuggiva da P che da lei era fuggito, ribaltando in un tema di vendetta lo spazio analitico dove, con fatica sembrava si stesse aprendo la possibilità per lei e per me di un primo confronto con il significato profondo di appartenere a un sesso per definizione negato ( cfr Irigaray Questo sesso che non è un sesso, Lacan Le psicosi p 2O2,2O7, 2O8)

Presentazione di D

L'analisi di D. si svolge in due brevi trance. La prima inizia nel'95 e si conclude seccamente con una prima interruzione, non annunciata, nel `96. La seconda trance inizia nel `98 e termina, con un'interuzione altrettanto secca, nel 99. La questione dell'interruzione presenta qui una duplicazione inquientante, non rappresentabile solo nei termini di una coazione a ripetere, su cui tornerò.
D. mi viene inviata da una collega che me la presenta come una paziente potenziale affascinante e complessa ma, mi avverte, probabilmente molto grave.
Anche io, incontrandola, nei primi colloqui ho il sentore di una sofferenza forse imprendibile ma comunque molto coinvolgente, tanto da indurmi comunque a iniziare l'analisi. Tanto I si presentava sotto le vesti di una brava bambina, un bravo medico, una brava psichiatra, nascondendo sotto questa costruzione la fragilità profonda che l'aveva resa come folle nel suo rapporto con P. tanto invece D. si presenta sotto le spoglie opposte: genio e sregolatezza. Sotto queste due maschere apparentemente così diverse si cela però ,- questo e il nodo problematico che mi spinge a scrivere dell'una pensando all'altra e viceversa,- un'identica sofferenza. D. è una donna di quarant `anni. Anche lei, come I. sembra una bambina.
La sua storia mi sembra collocata in un fuori tempo, fissata ad un immutabile e gelida ripetizione che sembra avere come meta la conservazione, all'esterno, di un corpo perfetto e incorruttibile e, all'interno, di un assetto caotico celato sotto un costrutto difensivo persecutorio rigido e grandioso. Si rivolge a me nel momento in cui questo potente apparato difensivo sta cedendo e mostrando le corde. Movimenti vitali la spingono alla ricerca di una economia interna meno punitiva e più vantaggiosa, con una forza pari a quella che aveva generato il costrutto marmoreo difensivo dal quale era stata bloccata per lunghissimi anni. Le due forze, in lotta tra loro, producono un conflitto che ha come esito una sofferenza ai limiti del sostenibile. Il modo in cui D parla di sè della sua storia, a differenza dello stile ordinato e preciso di I, ha l'andamento convulso e lacerato di ricordi che si affollano senza un'ordine narrativo. Li riordino qui per come, mentre l'ascoltavo, li ho ridisposti dentro di me in una prima, sommaria costruzione narrativa.
Un'infanzia e un'adolescenza in una grande casa al mare, in una cittadina di provincia. Di questa casa, di questo mare D porta con sè, se così si può dire, gli odori i rumori e i suoni, che ritorneranno sempre, in ogni singola seduta d'analisi. I ricordi la imprigionano a un padre leggendario, un pittore, a una madre piena di denaro, a un fratello amato -dice- in maniera parossistica da questa madre. Il padre di contro ama D a dismisura, ma esige che lei gli sia identica, che faccia di sè stessa un mito. Non è forse un caso che D abbia una creatività spiccata di cui però non riesce a rendersi né cosciente né responsabile tanto da non riuscire completamente a mantenersi con il suo lavoro di grafica. Dipinge ma tiene questa sua attività segreta e celata. L'infanzia dentro di lei si è depositata come una battaglia di fuochi incrociati:ciascun genitore sparava le parole ( erano parole grosse, cariche di accuse reciproche) ,armato l'uno contro l'altro per il possesso dei figli. D. pertanto venne tenuta in ostaggio nel letto della madre dove rimase fino a dodici anni. Da questo letto il padre fu totalmente escluso . Ma – così ad una lettura letterale del racconto di D -, la madre, nel suo letto avrebbe voluto il fratello. 
L'infanzia comunque trascorre senza una vistosa sofferenza apparente: è nell'adolescenza che la sofferenza compare e lì comincia il calvario di D. Il padre la incalza: D deve essere eccezionale e lei si iscrive ad Architettura, a Roma, lasciando la città di mare che pure amava moltissimo. I primi amori intanto, l'avevano vista fredda, mai coinvolta, scelta senza scegliere, lontana.I nuovi studi seguono la stessa sorte e D. li abbandona per iscriversi ad un corso di grafica ( la grafica è la sua professione attuale). Qui D. si unisce al “maestro” della scuola. Un legame che durerà 14 anni con aspetti inquietanti di irrealtà: una convivenza non convivenza, una sessualità bloccata e negata , un'amenorrea ricorrente e recidiva, una frigidità costante. Ma D. si lega profondamente a questo compagno di cui apprezza la cratività ristabilendo con lui il vincolo grandioso che aveva con la figura paterna. Alla ricerca disperata di un senso di sé in questi quattordici anni D. istaura un rapporto inquietante e costrittivo con il suo corpo. IL suo corpo è il suo doppio, la sua immagine è la sola che può darle una risposta: davanti allo specchio D. passa ore e ore in una interminabile operazione di costruzione di sé che la lascia sfinita. Tutto ciò non ha niente a che fare con la vanità (anche se ahimé è vano) né con la bellezza. Ha ha che fare col fatto che D.,nello specchio, ecco quello che vede:niente.
Quando l'ho incontrata per la prima volta, quattro anni fa, D era uscita da poco – appena un anno – dalla lunga storia con il suo compagno che chiamerò X. La separazione – non decisa da lei- ma da X, sembra rompere il castello di ghiaccio in cui D viveva. Il ciclo mestruale ritorna ad essere regolare, D si sente rifiorire, ingrassa un poco ,lavora con piacere, avverte un' energia nuova che ancora adesso non definirei una difesa maniacale dall'angoscia di separazione, anche se il precipitare degli eventi porterebbe come prima cosa a pensarlo. Si iscrive proprio in questo periodo a una scuola di yoga. Le suggestioni che riceve da questo ambiente esoterico e con molta probabilità organizzato psicoticamente, la trovano impreparata: regredisce ancora una volta al rapporto con il padre e si innammora del `guru'. Il personaggio in questione, uno dei tanti appaltatori del disagio contemporaneo, la rifiuta quando lei gli si offre, ma cerca di manipolarla comunque chiedendole denaro per sostenere la scuola. D. per reazione lascia la scuola, ma dopo questo distacco precipita in una sofferenza che ha i linemanti di un ossessione e che è quella che la porta da me, la prima volta . Ma insieme a lei un altro allievo, che chiamerò Z, ha lasciato la scuola. E' un uomo più anziano di lei, di cui lei non è innamorata, ma che le propone con insistenza di sposarla e verso cui D nutre sentimenti profondamente ambivalenti . Al momento della pausa estiva stavamo lavorando sull'idealizzazione all'interno della quale si era costruita la sua vicenda con il `maestro'e cercando di comprendere la natura della forza che la stava spingendo verso il matrimonio con Z, uomo che non solo lei non amava ma che non l'attraeva in nessun senso. D era arrivata a comprendere che c'era qualche nesso tra la figura del `guru' ( che nel frattempo non chiamava più così ma con il suo nome reale: ps Mario Rossi) e quella del padre. Ma associava la mia a quella di entrambi. La pausa estiva interviene nel momento in cui stava emergendo questo aspetto inquietante del trasfert e alla ripresa del lavoro di settembre D non torna. 
Ma dopo due anni D ritenta la carta dell'analisi e riprende contatto con me.
Quando, nel'98, torna per riprendere il lavoro analitico,D è sposata con Z e l'ossessione che si era già palesata nel primo segmento d'analisi è nel frattempo diventata più forte e costrittiva e si articola nei seguenti enunciati:
IL guru la amava ma non ha avuto il coraggio di unirsi a lei.
Z, l'allievo che è diventato suo marito, non la ama e vuole distruggerla.
La madre ha distrutto lei e il padre.
Il fratello gode di tutti i benefici: l'amore e il patrimonio della madre sono tutti per lui.
La magrezza e l'astinenza che avevano caratterizzato il primo lungo rapporto amoroso di D con X, si ripresentano nel matrimonio con Z, che, dopo pochi mesi, diventa un matrimonio `bianco'. 
Nonostante questo impianto dove il lavoro del negativo sembra farla da padrone nella mente di D, i sogni che lei sogna in analisi sono ricchi di figure germinative: piante, animali, acqua, disposti in costruzioni che lasciano intravedere un Es vitale in grado di contrastare quello che nel discorso manifesto che porta nella stanza d'analisi, sembra una coazione a ripetere senza speranza.
Due mesi prima della seconda interruzione d'analisi il padre di D si ammala gravemente e muore. Non c'é stato tempo dunque di elaborare neppure in minima parte questo lutto che, per quanto riguarda la struttura profonda di D, sembrerebbe un lutto impossibile.
. Al momento della prima interruzione,, non avevo cercato D e l'avevo fatto non dico con piena, ma con un certo grado di consapevolezza. Lasciare completamente insaturo lo spazio relazionale mi era parso un modo adeguato di rispondere a un messaggio estremamente enigmatico come è sempre quello dell'interruzione. 
Questa volta, quando, per la seconda volta improvvisamente non la vedo più e comprendo che mi trovo di fronte a un “rilancio” e a una seconda interruzione, decido di non accettare il gioco del suo silenzio e le scrivo un breve biglietto dove le segnalo la mia disponibilità a parlare di quanto sta accadendo. D. non risponde.
Tra me e lei, al momento dunque c'é questo silenzio. E in questo silenzio, che mi ricorda un gioco infantile cui eravamo costrette in classe noi bambine, io scrivo di lei. 
Ma la suggestione che questo silenzio mi rimanda, diversamente da quella del ricordo,dove noi bambine eravamo unite comunque da un silenzio imposto da un Altro e subito in una complicità attraversata dal suono di risatine subito ringoiate, è quella del silenzio gelido che si stende, dopo uno scontro, su un campo di battaglia.

La miseria simbolica – Descrizione di una battaglia

La battaglia è la situazione in cui il conflitto che ha animato e mosso una guerra trova la sua rappresentazione scenica, la sua collocazione di evento puntuale e sincronico. Per certi versi essa è fuori del tempo, o appartiene a un tempo scenico che non è quello della guerra. In altri termini detto, la guerra si racconta, è dell'ordine della storia e della diacronia, la battaglia ( di cui però, si badi bene la guerra non può fare a meno se vuole essere raccontata) si può solo descrivere e non raccontare. La battaglia, anche se termina con un vincitore e un vinto, non sancisce la vittoria o la sconfitta dell'uno o dell'altro una volta per tutte: un'altra battaglia potrà infatti cambiare momentaneamente le sorti dei contendenti e così via , virtualmente all'infinito. 
La battaglia, traducendo in forma di metafora psicoanalitica questa figura del gergo militare, è quel momento in cui nella coppia analitica si muovono forze di natura tale per cui lo scontro è inevitabile e il conflitto , staccandosi da quella situazione di guerra intestina che caratterizza costantemente nella psiche il rapporto tra le istanze producendo una situazione interiore di guerra non guerreggiata, viene alla luce nella forma accecante di un agito, che lascia scorgere la topografia specifica del campo in cui, per l'appunto, si sta svolgendo la battaglia. 

Cercherò di descrivere adesso la battaglia tra me e I e tra me e D, quale era il campo in cui si è svolta , quali gli schieramenti e soprattutto per che cosa si combatteva.
Entrambe D e I, mi hanno offerto una storia interiore dove un passaggio non avvenuto, una Bejahung (ammissione) non operata,avevano prodotto un buco nel simbolico, rintracciabile in una forclusione riguardante il nome della madre. Se una rimozione, attraverso il lavoro analitico si può togliere, “sollevare”, è possibile fare altrettanto con una forclusione? Quello che cercherò di mostrare qui, vale a dire come la forclusione del nome della madre sia stata l'elemento principale della battaglia tra me ed I come tra me e D, e come tale abbia contribuito a strutturare una vasta area sintomale del campo analitico, sarà assunto anche come quel quid che in un'analisi non si può né togliere né sollevare dal momento che ci si muove nell'area del non avvenuto. Contro ciò che è forcluso l'analisi chiama in gioco forze diverse da quelle che rieditano un'esperienza emotivo cognitiva, come accade con il rimosso nella nevrosi.Contro ciò che è forcluso e per la legge rigidamente conservativa dell'economia inconscia tende a rimanere tale,l'analisi ha a disposizione,credo, una sola arma: il desiderio dell'analista di essere un' analista, vale a dire di mettere l'altro in condizioni di vivere.
Queste dunque le forze in gioco nel campo:la coazione a ripetere una miseria simbolica dove il desiderio della donna non fa testo e il nome della madre è cancellato, contro il desiderio dell'analista di dare a questo desiderio voce e parola riscattandone la miseria simbolica. Utilizzando soprattutto gli effetti di senso che questo scontro di forze opposte ha generato e ,ancora, mentre penso a loro con dolore continua a generare, nel ripensarli più da vicino e più a fondo sono arrivata alla seguente ipotesi apparentemente paradossale: le interruzioni di queste analisi sono state il segno di un passaggio psichico operato da I e da D, attraverso un lavoro analitico che ha reso possibile quella Bejahung, quell'attribuzione di un giudizio di esistenza, che nelle storie profonde di queste due donne risultava mancante. Il nome della madre, forcluso e quindi irrappresentbile, risulta alla fine di questi percorsi analitici,potenzialmente utilizzabile. L'interruzione ne fa testimonianza:per negare qualche cosa infatti bisogna prima ametterne l'esistenza. Mi servirò dei sogni di I e di D per mostrare , attraverso il lavoro onirico,le tappe di questo faticoso passaggio
Riporterò qui innanzitutto due sogni di I: il primo, e l'ultimo, che coincide con l'ultima seduta.
Devo dire che sono sogni preziosi perché durante il corso dell'analisi raramente ho potuto fare conto e leva sui sogni di I per raggiungerla. Il lavoro onirico produceva in lei un immediato blocco, sia emotivo che cognitivo, perciò ogni volta che portava dei sogni – rari nantes in gurgite vasto – trovava il modo di raccontarli alla fine della seduta, oppure di depositarli all'inizio, come un peso di cui ci si deve liberare, accogliendo le mie indicazioni sui nessi possibili tra il sogno appena raccontato e quanto di seguito stava dicendo, spesso con evidente fastidio: 
“Non vedo cosa c'entra, ma se lo dice lei….”.

Fu proprio però uno dei suoi rari sogni , il primo sogno in analisi, portato nella prima settimana – a darmi alcuni chiarimenti, a mio avviso importanti, su quella che ieri intuivo e oggi posso chiamare, la miseria simbolica di I, mentre l'ultimo sogno, drammatizzandola, la svela, portandola perciò stesso nell'ordine del dicibile e del rappresentabile come questione.

Mi trovo in un luogo molto grande. Credo che sia un'aula dell'università o comunque un luogo accademico .
Su un grande palco è apparecchiata una tavola. Ci sono molti commensali. Li conosco tutti e tra loro spiccano P ( l'uomo per cui I ha sofferto ferocemente) e mio padre.
Mio padre ha in mano un grande mazzo di tulipani rossi: ne dà uno a P e poi li distribuisce tra gli altri commensali, che sono tutti maschi. Solo a me non dà niente. Ma io lo fronteggio e gli strappo di mano il suo tulipano.

Se l'ingresso di I in analisi era , in parte, segnato, come mostra il sogno, dalla volontà sotterranea di colmare un debito narcisistico con modalità aggressive e violente e al fallo veniva demandata sia la facoltà di riconoscere (dare identità) che quella di essere riconosciuti (avere un'identità), si trattava per noi, come coppia analitica, di fronteggiare potenti sentimenti di autosvalutazione, legati innanzitutto al proprio sesso, che indicavano un sotterraneo bisogno di vendetta verso chiunque avesse “il tulipano” (il fallo con cui I sembrava far coincidere il sentimento di esistere e che veniva vissuto come un potere esclusivamente maschile).
Ma si trattava anche, di monitorare, per quanto possibile, il trabocchetto del tranfert che,per il suo aspetto basico di coazione a ripetere, ponendo l'analista nel luogo di quelli che possedevano ` il tulipano', poteva ridurre l'analisi a “un'accademia” da utilizzare, del tutto inconsapevolmente per soddisfare innanzitutto il desiderio di castrare, secondo l`antica legge del taglione che governa certi movimenti primari e mima il desiderio dell'altro.
Non di passaggio infatti, segnalo qui che il padre di I. aveva ostacolato l'ingresso di I all'università , caldeggiando ripetutamente e con insistenza per questa figlia la professione di infermiera e che P, fintanto che mantenne in piedi la sua vicenda con I, la esortava a considerare il suo lavoro di psichiatra come una distrazione, uno svago a cui si sarebbe potuta dedicare saltuariamente ( e privatamente) una volta iniziata ufficialmete una vita comune.
Non so se sono riuscita ad evitare questo trabocchetto e l'esito di questa analisi porterebbe a tutta prima a rispondere di no. L'interruzione rimanda infatti alla figura del taglio, della ferita e della castrazione. Ma due sono gli elementi in base ai quali è possibile invece una valutazione diversa e che permettono di considerare l'interruzione come un evento analitico e , in questo caso specifico, il segno del passaggio dal non avvenuto all'avvenuto.
Il primo elemento riguarda l'espressione con cui I accoglieva 
i miei commenti ai suoi rari sogni.
“ Se lo dice lei….”
Il secondo riguarda la frase cruciale della lettera con cui I mi informava dell'interruzione:
“ Le scrivo perché non credo di riuscire ad interrompere dicendole ciò personalmente…”
La prima affermazione dubitativa, letta alla luce della seconda ed esplicita dichiarazione con cui I riconosce la forza del vincolo analitico in praesentia , svela la qualità della relazione analitica. Questa relazione non è neutra , ma prende il suo senso e la sua forza dall'essere una vicenda relazionale incarnata.Questo a mio avviso è quanto costituisce il corpo semiotico dell'analisi, la sua qualità assolutamente originaria che ne fa un dispositivo adatto a riaprire le porte sbarrate della vicenda personale. L'ultimo sogno di I in analisi mi sembra possa vantaggiosamente darne conto.
Un chiarimento, a mio avviso essenziale, prima di inoltrarmi in questo ultimo sogno . Il nome di I – fu una delle sue prime battute, così come si dice di un tema musicale – costituiva per lei stessa un enigma. Il tono leggero con cui, nel corso del primo colloquio, mi consegnò allo scioglimento possibile di un enigma angoscioso e indefinibile (perché senza nome), fu per me – all'inizio dell'analisi – il segnale che già entrambe ci trovavamo di forza collocate in un nodo di senso, che pur affondando le sue radici nella persona viva e presente, I, in qualche modo la trascendeva:
“Il mio nome è incomprensibile. Non lo capisce nessuno. C'è una storia dietro, ma gliela dirò un'altra volta.”
Così I, svagata, rompendo per una frazione di secondo l'assetto di `brava bambina', mi disse nel primo colloquio e ne rideva.Credo non sia stato un caso che io abbia compreso il nome di I `veramente', vale a dire la specificità dei fonemi e lessemi che effettivamente lo componevano, solo in quella che – avrei appreso dopo – si sarebbe rivelata l`ultima seduta. Né del resto è casuale, forse, che lei me ne abbia dato la possibilità effettiva solo in quel momento.

I: Ho fatto questo sogno. 
Mi ha molto angosciato. Anche perché tra la prima e la seconda parte mi sono svegliata e, quando mi sono addormentata di nuovo, il sogno è ritornato.
Nel sogno mia madre mi chiama e mi dice che c'è qualcuno che mi vuole al telefono. Vado. Una voce di donna mi dice che sono desiderata da…dalla…non so bene…non capisco bene il nome.
Potrebbe essere Auliana…oppure il nome di una società …che, non so, come una serie di sillabe messe insieme che però mi ricordano qualche cosa.
A questo punto mi sono svegliata angosciatissima.
Poi, quando ho ripreso sonno il sogno è ricominciato dal punto in cui l'avevo lasciato.
Avevo riattaccato la cornetta. Stavo uscendo. Mi trovavo già in giardino vicino al cancello, quando mia madre mi chiama dalla finestra per dirmi che mi vogliono al telefono. Mi sento gelare e dico a mia madre “Digli che non ci sono” e scappo.

(pausa)

A: a cosa la fa pensare quell'insieme di sillabe?
(Il suono complessivo del nome mi riporta immediatamente alla mente la `questione del nome' di I' su cui, a livello manifesto per un anno e mezzo sembrava non si fosse potute tornare)

I: Potrebbe essere il nome della società in cui Z lavora;
(Z è il nuovo compagno di I. Appena una settimana dopo la separazione da P, I ha velocemente stretto questo nuovo legame. Z é' separato e in attesa di divorzio. I teme molto la disapprovazione dei suoi genitori – cattolici osservanti – per questa sua nuova vicenda).

A: Z è in società; lei forse teme di doverlo dividere ancora con la moglie. Però,I, se ci pensiamo bene il nome che compare in questo sogno somiglia molto al suo:I

I: Sì è vero. Non ci avevo pensato, ma è vero.

A: Forse questa è l'occasione per raccontare la storia che sta dietro al suo nome….

I: ( improvvisamente piangendo) Il mio nome non esiste.
Non si trova sui calendari . 
Quando dico come mi chiamo chiunque commenta: `Che razza di nome porti!' 
Nei documenti ufficiali lo sbagliano sempre.
(pausa)
La madre di mia madre si chiamava I… ( Ilia) Questo è il primo pezzo del mio nome.
La madre di mio padre si chiamava A…(Anna) ed è la seconda parte. 
(con estrema fatica)
Nessuno dei due ha voluto rinunciare al nome della propria madre, così li hanno uniti e mi hanno dato il nome.
(pausa)
Io, da piccola ho sempre vissuto con I, la nonna materna: voglio dire che vivevamo tutti nella stessa casa e, di fatto, io stavo sempre con I. Mi ha cresciuto lei. Mia madre era malata di cuore, come lei sa, e allora I. mi ha cresciuto. Facevamo tutto insieme. I mi ha insegnato a leggere e a scrivere. 
Ricordo ancora la prima parola. Stava scritta sulla stufa
della cucina dove mia nonna mi dava da mangiare:Phonola 
Il racconto del sogno finisce, la seduta finisce e, insieme, l'analisi di I.
Ho ripercorso molte volte dentro di me questo ultimo incontro. 
Inizialmente perché, non sapendo che sarebbe stato l'ultimo, avevo cominciato ad elaborare una `pista', che progettavo di percorrere insieme alla mia paziente.
Mi sentivo spinta, proprio dal vivo testo di questa seduta, per me assai importante, a rompere le cautele e gli indugi e a considerare la mia paziente pronta a darsi quel riconoscimento che fino a questo punto sembrava non esserle negato, ma addirittura interdetto.In breve, il sogno mi sembrava il `frutto' del lavoro comune: il superamento di quel vuoto riguardante il giudizio di esistenza che aveva, fino a quel momento, messo I a contatto con un `materno' irrapresentabile.
Il sogno mi sembrava aprire infatti alla rappresentabilità di un ordine simbolico diverso da quello del primo sogno, e la la sofferenza epressa da I durante il suo racconto lasciava intravedere una possibile accettazione e integrazione della sua appartenenza genealogica. L'interruzione mi ha lasciato con dei `resti' di intuizioni, pensieri, sentimenti rispetto alla questione del nome I e alla sua sofferenza e soprattutto con un interrogativo cruciale. Se la prima parola scritta che I apprende è in una lingua le cui parole impresse sul corpo psichico della bambina ,affondano nel territorio ancestrale del nutrimento e del calore, perché la forclusione del nome della madre?
Una prima parziale risposta l'ho trovata, come ho cercato di mostrare, nella scoperta, da parte del pensiero femminile della differenza, della questione della miseria simbolica .Elemento che trascende la singola storia soggettiva pur attraversandola, questa condizione emotivo-cognitiva affonda nella storicità delle pratiche discorsive, dove, di fatto,si forclude il nome della madre. Un esempio eclatante, per quanto riguarda il discorso psicoanalitico, è quella che Hilmann indica come la metapsicologia della cattiva madre, ,che neppure autrici sottili e avvertite come Piera Auligner sono riuscite ad evitare.Il lavoro del controtrasfert, – per quanto mi riguarda- come vedremo ne appare intimamente segnato, avvitandosi intorno a questo luogo cieco come in un labirinto e cercando, ma forse non trovando , nella passione dell'identità una via d'uscita.

Sogni di D
Dei tanti sogni di D, uno in particolare mi ha colpito molto, mentre lavoravo con lei,tanto da trascriverlo accuratamente,subito dopo la seduta annotando insieme i dubbi e le perplessità che questo sogno mi provocava (e a cui non riuscivo a dare una soluzione che non rilanciasse a sua volta altri dubbi e altre perplessità).
Lo riporto qui, insieme alle brevi note che allora stesi, perché,sia l'uno che le altre, ripensati adesso, dopo l'interruzione, assumono una valenza indiziaria più marcata rispetto al gioco di forze che si andavano scontrando nel campo analitico.
Siamo nel Novembre 1999, nella seconda trance d'analisi di D 
Ecco il sogno:
Sono a teatro. Un teatro incredibile perchè mette in scena, sulla scena, il mare. E' un mare in tempesta. Un uomo in una barca che sta per fare naufragio rema e tenta disperatamente di condurla a riva. Quest'uomo è Totò. Rema con tutte le sue forze . Finalmente riesce a portare la barca a riva. Io sono entusiasta dello spettacolo. Mi diverto Rido. Batto le mani. Accanto a me c'è R Anche lui applaude. Lo spettacolo continua:ora sul palcoscenico c'é un altro attore. E' Diego Abatantuomo. Arriva sul palcoscenico accompagnato dalla madre piccola e dimessa: una donna di paese. ( Si sa, io so, il pubblico sa) che alle sue spalle c'é una storia dolorosa. Una dolorosa storia familiare.Si ripete, sul palcoscenico la lotta della barca e dell'uomo con il mare, la salvezza, gli applausi del pubblico. Sulla scena compare una macchina vecchia e semifracassata. Accanto, o dentro la macchina c'é una ragazza dimessa e timida. Lui le si avvicina con uno spruzzatore per pulire i vetri in mano ed entrambi sono molto imbarazzati per questa vicinanza. Sulla scena compare Milva ( la cantante) Parla con il ragazzo. Mentre parla il suo abbigliamento si trasforma: porta una vestina corta e i calzini arrotolati. Dice qualche cosa al ragazzo. Mi sembra che dica:”Devi essere più positivo”.
Io continuo a guardare.
Sento alle mie spalle la presenza del guru. Accanto a lui c'é una donna che dice” sieropositivo”.

Ecco quanto ho annotato subito dopo a seduta,nel Novembre 1999: 
“Il sogno mi raggiunge come un'onda improvvisa. e mi rimanda subito a una metafora dell'esistenza orchestrata sull'esperienza umana della navigazione. Fare naufragio è uno dei rischi dell'esistenza infatti, e di contro, la bonaccia è uno dei modi più usuali per indicare momenti di quiete interiore. Ma quello che mi colpisce subito è l'alto potere figurativo di questo sogno, che nella sua prima parte sembra la ritrascrizione in immagini del titolo di un saggio di Blumemberg Naufragio con spettatore .Paradigma di una metafora dell'esistenza.
“Dove mi porteranno questi pensieri“ Che cosa potrà farsene D? Glieli comunico?
Mi accorgo che questi pensieri mi amettono in contatto con D attraverso un sentimento preciso: l'ammirazione.
Ammiro la sua capacità di cogliere intuitivamente il dramma della situazione analitica espresso chiaramente dalla rappresentazione di una situazione dove si rischia il naufragio, ammiro l'ironia sugli sforzi terribili di chi conduce la barca(l'analista), la sua capacità di godere dello spettacolo.
(A D. piace lavorare in analisi,me ne rendo conto quando insieme sciogliamo una condensazione, lavoriamo su uno spostamento e lei si stupisce e spesso, esce dallo stato di prostrazione con cui era arrivata).
Nel corso della seduta D. diligentemente ha associato a Totò il padre , e all'altro comico il suo primo amore. Milva la riporta al ricordo di un altro sogno in cui la madre compariva con la stessa vestina corta, gli stessi calzini arrotolati. 
Si certo,i fantasmi genitoriali sono diventati rappresentabili. Li possiamo guardare insieme, contemplare e costruire su di loro la nostra teoria
Ma dietro? Cosa succede dietro?
Dietro c'é il guru.
Figura che emerge da un recente passato di D., il guru rimanda a una sofferenza feroce, a un periodo della storia di D che l'ha vista esposta al rischio dell'estremo naufragio della mente.
Se nella prima parte del sogno D contempla quanto l'analisi le ha dato a vedere, nella seconda parte sembra essere ancora minacciosamente ancorata al delirio e al desiderio di ripeterlo con me in analisi.
Si -ero -positivo” dice infatti il guru alle sue spalle
D. mi convoca nel luogo del guru:quello che ,in un registro puramente immaginario,l'ha sedotta per poi rifiutarla e lasciarla cadere. Sento che un elemento che può contrastare la spinta a ripetere in analisi una vicenda fallimentare e il crollo conseguente, potrebbe essere rappresentato dal sentimento di sincera ammirazione che io provo per questa mia paziente.e che però questo è solo la punta di icenberg emergente da un controtranfert più complesso. Ma, comunque, per quanto mi riguarda , come dice Pascal: Vous etes embarques.

Come dicevo “presentando D”, sono stati soprattutto i suoi sogni, il loro spessore, la loro qualità ( insieme alla loro spaesante frequenza) ad impedirmi di “vedere” lo statuto profondo della sua sofferenza. Sogni ricchissimi, -come quello che ho riportato- che io tendevo a leggere come il segno di una elaborazione costante, un `lavoro dal di dentro', mosso dalla relazione analitica. In effetti è stato così, ma non solo nel senso della trasformazione che io ipotizzavo stesse avvenendo, seppure faticosamente, nel campo. Nel gioco di forze che si articola tra analizzando e analista dunque, è possibile che sogni che fanno intravedere trasformazioni, o comunque testimoniano di un percorso elaborativo, siano di fatto anche la ripetizione , nella relazione, di un dispositivo libidico volto a ripristinare una relazione più antica e a ripristinarla nell'assetto formale e sostanziale in cui si è svolta.In questo senso i sogni di D ripristinavano nel profondo l'antico assetto della relazione con il padre. Il padre l'aveva voluta eccezionale. D. diventa un'analizzanda ideale.
Il sogno , così come adesso lo ripenso, lascia intravedere elementi che l'ammirazione mi ha impedito di cogliere nel lavoro onirico , in ciò così simile al Witz che permette di `dire', ciò che non è in altra forma dicibile. Tutte le figure del sogno sono infatti caricaturali e il sogno sembra dire all'analista:” canta, canta( Milva), i tuoi sforzi sono comici (Totò), faremo naufragio perché solo il guru in effetti era positivo”
I sogni di D , sognati per me che rappresentavo l'Altro che richiedeva a D prestazioni eccezionali , mi hanno soltanto tratto in inganno? Sono stati soltanto una mossa strategica nella battaglia che si andava svolgendo tra di noi volta a restituire a D il suo valore? Sarei incline a rispondere di no, e a riesaminare la questione dell'inganno nell'ultima parte di questo lavoro, riprendendo in mano adesso quella della miseria simbolica , che alla luce di queste considerazioni sul valore strategico dei sogni di D si precisa nei termini seguenti: D era impossibilitata ad amarsi per quello che era, una donna e non poteva tollerare, di conseguenza di essere amata per quello che era, una donna soprattutto da una donna. L'ammirazione che ha destato in me ha avuto in parte l'effetto di riportarla ad uno status quo ante, dove incontrava un padre esigente, malato, forse paranoico che pretendeva che lei fosse il suo fallo..
Ma che dire di Milva.? Si può liquidare questa figura dicendo che solo aspetti infantili aggressivi vengono svelati da questa figura materna in vestina corta e calzini?. Una cantante è qualcuno che ha una voce.Lo feci notare a D,mentre lavoravamo su questo sogno. E D di rimando:
“Lei mi deve spiegare perché nei miei sogni ci sono quasi sempre donne così. Donne come Milva. Belle, calde, rassicuranti,autorevoli. Se sono aspetti di me, come lei dice, come lo sono i fiori, le piante e i giardini che sogno, perché sto così male, perché soffro così, me lo vuole spiegare?

Non ero certamente in grado di “spiegare” a D quello che andavo intuendo sugli effetti di senso che il nostro lavoro stava producendo. Troppo `condensati', i suoi sogni avrebbero richiesto un lavoro analitico articolato in un tempo più lungo che D. non mi ha concesso né si è concessa. Ebbi modo però di commentare spesso con lei almeno un aspetto che i suoi sogni lasciavano cogliere. Sognati per il padre esigente che il lavoro del tranfert ostinatamente mi assegnava come parte, e in questo senso “compitini”, i sogni di D erano però anche sognati in maniera tale, in forma tale, da dire il desiderio di I e collocarlo al di là del luogo dove la sua mente aveva fatto naufragio,al di là della suggestione, al di là del credito cieco aperto all'altro,o detto più semplicemente, al di là della coazione a ripetere. Nei suoi sogni D – forse mi piace solo pensarlo ma continuo comunque a pensarlo- metteva costantemente in scena la possibilità di godere di sé: così io continuo a leggere ancora oggi le piante e i fiori dei suoi sogni e le donne belle che vi compaiono.

La duplicazione

Quello che ho chiamato stessità, ha dato luogo nel campo analitico, ad un effetto di duplicazione complesso che cercherò di riordinare e raggruppare in tre movimenti fondamentali:
Primo movimento: Il troppo pieno
Secondo movimento: Il perturbamento
Terzo movimento: Aspetti ed effetti della duplicazione sulla mente dell'analista.

Il troppo pieno

C'é un romanzo di Tomas Mann che mi tornava frequentemente alla mente mentre ascoltavo D e I e il racconto delle loro storie familiari. Toni, la protagonista del romanzo come D. e I,è incapace di mettere a frutto e di godere di sé stessa in un proggetto, in una speranza. La famiglia ne decide la sorte.
Toni sposa un ricco mercante. Toni è molto intelligente e vivace, bella di una bellezza insolita. La vediamo a poco a poco intristire, chiusa nelle sue eleganti vestaglie da casa, bevendo birra gelata per placare quello che lei chiama mal di stomaco ed è invece angoscia. Senza le ribellioni di Emma Bovary, tragiche e inutili, senza le illusioni di Effi Brest, pericolose e mortali, Toni Broonderbrook è `l'icona di un genere forcluso a se stesso. Il fratello Hanno Broonderbrook ha una genealogia, tanto forte da fantasticare che in lui, prorio in lui, Hanno, questa abbia trovato una sorta di compimento e sottolinea il suo nome due volte, nella carta genealogica in cui si imbatte per avventura in casa. Toni sembra fuori di questo movimento genealogico, alle spalle sembra non avere niente e niente sembra anche il suo presente. Assume un valore momentaneo solo quando si appresta ad essere scelta come moglie.Ma ben presto questo valore mostra la sua obsolescenza, e Toni, come Emma, come Effi, si ritrova a galleggiare , senza ancoraggio simbolico alcuno nel flusso di un tempo non suo dove si perde.
D e I, come Toni. Ma non solo: un'altra figura mi si presentava frequentemente alla mente, ascoltandole e pensandole.
Figura complessa, disposta su piano dell'allegoria , La Cina del film Lanterne rosse mi rimandava un nucleo della loro sofferenza aiutandomi a rappresentarmela più da vicino e più profondamente. La protagonista del film, come le altre donne che compaiono in questa vicenda che si ispira a un deposito di senso culturale rimasto inalterato nei secoli e operante non solo in Cina, non hanno valore simbolico se non come mogli prese per generare figli.La rivalità fra le donne della piccola comunità poligamica che il film ci mette sotto gli occhi, è atroce. 
Nessuna riesce a riconoscere l'altra come persona, e ciascuna provoca la morte dell'altra, fisica e simbolica. Infatti il film si chiude con la follia della protagonista, che non riuscendo a generare il figlio che le avrebbe dato valore ,si inventa una gravidanza e viene dalle altre smascherata.
La più trasgressiva delle mogli del ricco mercante cinese che le possiede tutte, viene giustiziata per averlo tradito. Questo assassinio viene perpretrato con la complicità e la connivenza delle altre ,che, ancora una volta alleate solo per distruggere, ne avevano denunciato il tradimento 
La moglie trasgressiva è una cantante. L'equazione simbolica tra trasgredire- avere una voce- parlare- farsi sentire, nel film è evidente e molto sottolineata. E' lo stesso nesso tra essere privati del diritto alla parola e essere-diventare donna che si può cogliere in una favola bellissima, la Sirenetta di Andersen dove affiora un nucleo di verità storica e simbolica: per diventare donna è necessario perdere la voce e il canto. Il nodo che affiora nel tessuto figurale del testo è il seguente: il genere che si incontra nella propria vicenda umana e che bisogna in qualche modo assumere rimanda al taglio e alla castrazione. Chi conosce la favola ricorderà che la Sirenetta viene letteralmente secata, tagliata in due e il suo corpo viene diviso. Ma a questo primo taglio, la castrazione simbolica che è valida per l'un genere come per l'altro e risponde al senso profondo e universale della sessuazione (cfr Luccioni), corrisponde l'altro taglio,- la perdita della voce- ,che permette di mettere in scena e rappresentare qualche cosa che pertiene esclusivamente al femminile, una volta che il lavoro della sessuazione viene riconsegnato all'incontro con la storia, intesa qui nel senso di un racconto intorno all'umano. Qui, in questo racconto incontriamo un'evidenza: la miseria simbolica, la mancanza di genealogia,la cancellazione o forclusione del nome della madre per altri versi origine della semiosi e del senso (Muraro Kristeva, Putino).
Se il campo analitico può dirsi strutturato da ciò che costituisce il fenomeno analitico, vale a dire il sintomo, propongo di assumere in senso sintomale le mie fantasie su I e D e da questo versante leggere l'effetto di troppo pieno delle immagini controtransferali come una duplicazione, nella mia mente dei depositi archeologici delle menti di I e di D. 
O, detto in altro modo, il lavoro del controtrasfert, lungi dall'essere un contro, è un lavoro che si svolge in un area indivisa dove i depositi di sofferenza dell'uno e dell'altro membro della coppia, affiorano e sono riconoscibili dall'analista in virtù di un sentire comune
Alle fantasie emerse nel controtranfert se ne sarebbero potute aggiungere ancora molte altre ma non diverse come tessuto emotivo. In esse mi sembrava di rincontrare incessantemente le mie pazienti e me stessa. Queste immagini, tratte per lo più da contesti narrativi, romanzi o film , andavano a formare una teoria – , (non perché io la costruissi ,ma perché essa si dava a vedere), e mostrava, in definitiva, quale sguardo I e D gettassero su se stesse e conseguentemente su di me. Le mie erano associazioni al loro modo di raccontarsi,che però andavano stranamente a incrociarsi con il modo in cui il sesso femminile viene `raccontato' nella teoria psicoanalitica. 
C'é nella teoria, a questo proposito, un buco, un vuoto di narrazione.A questo vuoto il controtrasfert e il suo lavoro hanno dunque risposto con un troppo pieno, articolato però con una mossa paraddossale che, in fondo, non faceva altro che che duplicare e rilanciare la questione della miseria simbolica senza, apparentemente, offrire elementi per elaborarla al di là della sua enunciazione. Dal lavoro del controtranfert non mi arrivava infatti una chiave per raggiungere pienamente la sofferenza dell'una e dell'altra della mie pazienti come persone, individualità preziose e irripetibili, come se l'impatto con la roccia dura di una teoria che mi impediva di rifletterle si sovrapponesse tra me e loro , alla stregua di un Superio rigido, aggirabile solo nei termini di un'opposizione. Un aspetto di quanto vado dicendo va sottolineato: come I e D,nel fondo del loro specchio non trovavano niente di sé se non il desiderio dell'Altro che le voleva o falliche o castrate , cosi io , come analista a mia volta,mi sono trovata presa in una teoria che duplicava la condizione delle mie pazienti e si risolveva, per quanto riguarda il desiderio femminile in una vuoto di teoria.(cfr Freud Lacan Winnicott Klein).
Due passaggi obbligati si impongono rispetto a questo vuoto teorico. Il primo è di ordine metodico e consiste nel rivedere criticamente,alla luce dell'insegnamento di Faucault, alcuni punti del corpus teorico così come ci è stato trasmesso (l'isterica di Freud, l'isterica di Lacan ,il seno di Klein e Winnicott). Il secondo riguarda un'ulteriore riflessione sul lavoro nella stanza d'analisi con le mie pazienti e su quanto in quella stanza è accaduto tra noi, nel tentativo di esplicitare quanto, implicito nell'interruzione dell'analisi di I e di D, puo essere colto come effetto di senso di un campo in cui l'appartenenza di entrambi i membri della coppia analitica allo stesso sesso ha generato un maelestrom in cui identità e differenza si sono mescolate secondo i percorsi che mi appresto a mostrare

La duplicazione movimento II
Il perturbamento

Sulla scorta di quanto è emerso dal gioco del tranfert tra me I e D , passerò ad esaminare l'effetto di spiazzamento reciproco che ha prodotto il nostro incrociarsi, in un luogo troppo pieno e affollato da figure di una familiarià inquietante, segnate tutte dal silenzio e dalla impossibilità di portare a compimento il proprio sé, ma d'altro canto aperto alla scoperta e alla emersione di figure nuove che segnano l'emergere della possibilità di ammettere, per se stessa e per l'altra, l'inscrizione in un ordine simbolico che prende corpo da quella che Karen Hornrey ha definito “pienezza del femminile”. Lo spiazzamento di cui voglio rendere conto qui si situa in una zona specifica del sentire, quella del perturbante lasciando cogliere, di questo sentimento, aspetti ancora poco esplorati dalla ricerca psicoanalitica. Anche se molto è stato scritto e detto infatti sulla relazione stretta tra noto-ignoto che questo sentimento istuisce in maniera esemplare attraverso la sua figura chiave, quella del doppio,lo spiazzamento a cui esso conduce è stato esplorato soprattutto per quanto riguarda il suo potere evocativo, la sua capacità di risignificazione umbratile e misteriosa di tracce apparentemente perdute. In questo senso il perturbante sembrerebbe avere a che fare soprattutto con il fatum, un già detto che, seppure sotto altre vesti si ripete, mentre il suo potere di “messa in forma” dell'esperienza interiore secondo una spinta che inizialmente la disorganizza spingendola ad una nuova e inedita riorganizzazione – sorta di anamorfosi dell'esperienza interiore- il suo valore di `scoperta', vengono ancora poco sottolineati. Mi occuperò qui di questo aspetto meno indagato, molto simile a quello che Edelmann definisce come epigenesi, per entrare nel vivo della nostra questione che potremo a questo punto riformulare così: essere identiche nella differenza permette una differenziazione? E se la permette , per quale strada?
. Così come Freud lo definisce nel saggio del'I9 , il perturbante, questo sentimento `negativo', che non è legato né al principio di piacere ne a quello di realtà,sembra una via attraverso cui il rimosso ritorna, ma nel farsi `sentimento', si stacca dal percorso obbligato del pulsionale, (che impone la soddisfazione nevrotica), per aprirsi a uno svelamento che possiamo senz'altro collocare nel campo di una conoscenza che avviene per una via non logica ma analogica, come sempre accade nelle produzioni di senso . Perturbante è dunque ciò che scardina un ordine costituito, un assetto difensivo , facendo emergere l'Altro nella sua forza vincolante di `attrattore ` del desiderio.Per questa via l'esperienza sentimentale a cui porta il perturbante è un perturbamento che si articola al livello del sentire.
I sogni di D presentavano questo continuo spiazzamento da un ordine di rappresentazione che articolava il femminile in spazi vuoti, disseccati e muti a un altro ordine che andava collegandolo alla crescita alla pienezza e a un corpo finalmente incarnato e mi testimoniavano di un cambiamento nonostante l'assetto persecutorio della sua sofferenza sembrasse apparentemente, a un livello di superfice ,ancora immutato.
Questo travaglio della rappresentazione che andava includendo un elemento fino a quel punto escluso, un femminile disposto sotto il segno della vita e della possibilità, non poteva non produrre 
quella che ho definito battaglia tra me e D,e soprattutto tra D e se stessa, in forza del perturbamento che questa ammissione, questa Bejahung non poteva non comportare.

“Lei mi deve spiegare perché nei miei sogni ci sono quasi sempre donne così. Donne come Milva. Belle, calde, rassicuranti,autorevoli. Se sono aspetti di me, come lei dice, come lo sono i fiori, le piante e i giardini che sogno, perché sto così male, perché soffro così, me lo vuole spiegare?

Alla angosciosa domanda di D, a cui ai tempi non potevo rispondere, perché immersa con lei nella dialettica di una sofferenza che stava trasformando il reciproco assetto rappresentativo, oggi , occupando la posizione del fuori scena cui mi ha costretto l'interruzione di questa analisi, posso almeno parzialmente rispondere con quanto qui ho definito come perturbamento, vale a dire il prezzo emotivo che si paga nel pasaggio da un non rappresentato a un rappresentato. 
D'altro canto testimoniano di questo travaglio rappresentativo anche certi percorsi associativi di I, di cui uno in particolare vale la pena di essere qui menzionato e ripercorso .
I:
Ieri sono stata a teatro. Le dirò che mi è preso un colpo, appena il sipario si è alzato e l'ho vista, lì al centro del palcoscenico. Ho detto tra me è lei! E'lei! Non ci potevo credere. Ma lei era li.”
A:
Lei chi?
I:
Lei! Lei! 
I mi aveva riconosciuto. Ero sul palcoscenico, al centro della rappresentazione. (Ovviamente si trattava di un'attrice che mi assomigliava). Questo riconoscimento, questo potere ammettere la centralità del femminile nel campo della rappresentazione, alla luce di quanto abbiamo detto fin qui, si è svolto ad un livello di profondità che è andato ben al di là di quello di un trasfert idealizzante: chiamava infatti in causa il riassetto della trama simbolica che si andava operando con la riammissione di un elemento forcluso ; la forza con cui questo lavoro interiore si stava dando viene certificata dalla espressione gergale( ma proprio per questo `forte) di I:”mi è preso un colpo”. 
Sulla scorta di queste notazioni sottoporrei adesso ad esame, perché se ne è maturata l'opportunità, l'elemento più significativo della lettera di congedo di I:”… le scrivo perché non credo di riuscire a interrompere dicendole ciò personalmente.” Contestualmente adesso va ripreso e riconsiderato anche il fatto che neppure D mi comunicò personalmente la sua intenzione di interrompere l'analisi, né la prima né la seconda volta. Entrambe le sottrazioni dei corpi di I e di D al luogo fisico della seduta, dicono che se in ogni relazione analitica la forza della viva presenza dell'altro è la condizione imprescindibile per dare corso al processo analitico e alle trasformazioni ad esso inerenti, in questo particolare assetto relazionale, dato dall' essere identiche nella differenza, le modalità con cui questa forza viva si declina possono assumere cadenze che mimano il paradosso rappresentativo costitutivo della relazione di stessità. Può accadere, come è accaduto che, per difendersi dall'entrare in questo paradosso rappresentativo che, una volta imboccato, comporta un vertiginoso lavoro di rielaborazione dello statuto di miseria simbolica in cui versa la relazione fra donne “ogni divergenza venga assimilata in una differenza che già la comprende e le conferisce senso”. L `empasse individuata da A Putino quando segnala che nell'isteria:”la differenza non è più il divenire disgiunto di un'evoluzione divergente, ma un arrocamento in un legame indissolubile -alla fine biologico – che preserva dalla paura indotta da tale evoluzione” è stata di fatto la stessa empasse che si è prodotta nel momento in cui né l'una né l'altra , né I né D, sono potute entrare fisicamente in contatto con la loro analista per comunicare de visu la decisione dell'interruzione. Ma perciò stesso il perturbamento era al massimo del suo apice perché se da una parte si stava riproponendo l'empasse isterica che costringeva I e D a fuggire dall'analisi per evitare il corpo a corpo con il fantasma della madre biologica ,contemporaneamente si stava proponendo, credo per la prima volta nella storia di I e di D,e, per quanto riguarda la mia storia di analista e il mio lavoro con pazienti donne una volta di più , un movimento che ci portava , senza cancellare l'esperienza esistenziale della differenza e del suo valore semantico ,all'ammissione del valore della presenza dell'altra come persona.
In una relazione che proponeva di riconoscersi identiche nella differenza, senza schiacciarsi e appiattirsi nel biologico,il vecchio ( il corpo a corpo con la madre biologica) e il nuovo( l'ammissione del valore della madre simbolica) si sono scontrati cortocircuitando lo spazio analitico. La sofferenza che ne è scaturita e di cui ho cercato di rendere conto qui, non credo sia stata improduttiva. I paradossi e le aporie passionali di cui ho cercato di rendere conto, specifici di queste due analisi, il travaglio rappresentativo volto ad articolare tra loro differenza e stessità in un andirivieni teso e serrato tra forclusione , negazione, ammissione affondano nella difficoltà non solo di elaborare un pensiero della differenza, ma di viverla. Ma in definitiva non si potrebbe dire che proprio dalla difficoltà di elaborare e vivere la differenza,questo prius della condizione umana , il lavoro picoanalitico nella sua accezione più alta di interrogazione del soggetto sul soggetto, sia nato?

Movimento III
Aspetti e effetti della non-differenza sulla mente dell'analista. L'abbaglio 
Sebbene quanto esplorato fin qui faccia necessariamente capo a un campo relazionale attraversato dalla questione della stessità e la scrittura stessa possa essere considerata uno dei suoi effetti, vorrei spingere più avanti la mia interrogazione intorno a questi effetti lavorando su un punto specifico che chiamerò effetto d'abbaglio 
Questa esplorazione comporta l'abbandono, da parte mia e di chi mi legge, della concezione positivistica che fa del `vedere' l'adeguazione dello sguardo alla cosa vista, in una corrispondenza lineare tra percipiens e perceptum e il conseguente abbandono dell'illusione che ci sia, per l'analista, la possibilità di uno "sguardo clinico" da cui deriverebbe un'esatta comprensione di un "quadro patologico", chiaramente rintracciabile.
L'abbaglio è dunque qui chiamato in causa e percorso non solo come effetto della stessità sulla mente dell'analista al lavoro, ma come effetto del campo analitico in generale sulla mente dell'analista al lavoro. Mostrerò come questa particolare relazione lasci cogliere questo effetto in maniera esemplare in quanto lo induce nel campo con particolare forza e intensità. 

L'abbaglio
Per entrare nel vivo dell'effetto di “abbaglio”, che si articola nel campo specifico della non-differenza, mi soffermerò innazitutto sulla polisemia del termine e su due dei suoi significati in particolare: il primo riferito a una fonte troppo luminosa, ”essere abbagliati”, il secondo che rimanda ad un'operazione figurata: “prendere un abbaglio”. 
Rispetto a questi significati faccio notare qui come essi facciano emergere un soggetto che è simultaneamente attivo e passivo, soggetto e oggetto dell'abbaglio.
Essere abbagliati e prendere un abbaglio rappresentano la inevitabile torsione cognitiva che, seguendo Lacan, appartiene strutturalmente alla relazione amorosa. Quando Lacan definisce la fascinazione come funzione specifica di quell'oggetto che sorge nel campo analitico, o campo del desiderio, questo oggetto affascinante Lacan, seguendo Platone (Il simposio), lo chiama AGALMA.*
Soffermiamoci un momento su questo termine considerato da Lacan come rappresentativo della topologia del soggetto nella relazione amorosa e che, nel suo seminario sul transfert, egli prende a modello della relazione analitica. 
La parola Agalma in greco presenta un'area semantica che va da ornamento, fregio, gioiello a statua fino a immagine. Di tutti Agalma, come nozione analitica, va a indicare – dicevo – quel punto di torsione dell'esperienza interiore tra soggetto e oggetto che caratterizza in maniera eminente l'esperienza amorosa. In questa esperienza – e questa è la torsione – si cancella, se così si può dire, la verità originaria del mandato speculare che impone che noi ci si possa scorgere come soggetti esclusivamente ai bordi all'altro. Nella relazione d'amore l'oggetto del nostro desiderio, l'oggetto parziale, assume una particolare brillantezza che va a strutturare la situazione di abbaglio: l'altro diventa un oggetto totale o, se vogliamo, un soggetto e attinge a un'illusoria totalità che, se cancella la sua e la nostra Spaltung originaria, tuttavia è a questa Spaltung che profondamente ci riconsegna, in quanto questo luccichio è un illusione e un inganno.
Così in proposito Lacan:
La radice di agalma è scomoda. Gli autori la riportano ad aganos (splendido – superbo) e la fanno derivare da agamai (io ammiro, ma anche invidio, sono geloso di), che a sua volta slitta in agazo (sopporto pazientemente, sopporto con dolore), che slitta verso agaiomai, che vuol dire essere indignato. Gli autori ammalati di radici, voglio dire di radici che portano dentro di loro un senso – il che è assolutamente contrario ai principi della linguistica – ne derivano gal (latte – cosa preziosa) e gel (che fa ridere, il gel di gelao: rido per gioia, rido per dispregio), gal che è la stessa radice di glene, la pupilla, e che ritroviamo in galenen (mare tranquillo), che l'altro giorno vi ho citato di passaggio, il mare che brilla perché è perfettamente compatto. In breve un'idea di splendore è nascosta nella radice. Aglaos (splendido), aglaia, la brillante, sono lì a farci da eco familiare. Ciò non contrasta quel che dobbiamo dirne. Lo metto solo tra parentesi per mostrarvi l'ambiguità di questa idea che l'etimologia ci porti non in direzione di un significante ma verso una significazione centrale. Infatti ci si può anche interessare non tanto a gal, quanto alla prima parte dell'articolazione fonematica, vale a dire aga, che è proprio ciò che in agalma ci interessa nel suo rapporto con agathos (p. 17O).
Questa fulminate analisi della radice e delle componenti fonematiche di agalma tocca simultaneamente i movimenti passionali prodotti nel campo dal sorgere dell'oggetto amoroso. Brillante, splendido, esso è anche, però, quello che sopportiamo con dolore, la cui falsa interezza, che costituisce per noi il sommo bene, è messa in questione dallo scherno e dall'invidia. 
E' come se Lacan ci fornisse qui la chiave per guardare dentro lo specchio, quella superfice unita, brillante come il mare calmo, nella quale noi incontriamo inauguralmente noi stessi come un altro (soi-même come un autre). 
Nella relazione tra me I e D circolava, in una zona senza tempo o se vogliamo metastorica della relazione stessa, un assetto sotterraneo contrassegnato dalla contraddizione e dal paradosso. In questa area della relazione, che definirei originaria, loro – I e D – non erano con me per curare la loro sofferenza, quella che io comunque sentivo e vedevo e che ha articolato i movimenti del controtransfert su cui ho lavorato fin qui, ma, semplicemente, loro erano lì, con me. In questo essere lì con me diventavano, l'una e l'altra, agalma, quell'oggetto parziale che il sentimento amoroso riveste di una illusoria totalità. Diventavano soggetti interi. Questa interezza mi appariva tel quel, come se scotomizzasse di un colpo la Spaltung destinale dell'essere un soggetto.
Questo particolare e paradossale vissuto ci aiuta forse a comprendere da dove nascono e dove trovano la loro matrice profonda le teorie oggi in voga della relazione analitica centrata e risolta nell'hic et nunc. Agalma, la topologia strutturale del soggetto nella relazione amorosa, abbaglia, abbacina gli analisti che di conseguenza su questo abbaglio costruiscono la loro teoria del recupero dell'interezza, hic et nunc, nella relazione..
Ricordo inoltre che il rapporto con l'oggetto, il costituirsi di questo come un “per sé” nel gioco pulsionale soggettivo, rappresenta uno dei luoghi di maggiore problematicità all'interno della ricerca freudiana sul narcisismo.
Quando Freud (1914) fa cenno a due modi d'amare propri dell'essere umano che seguirebbero due modalità di scelta diverse, una narcisistica, l'altra per appoggio, il tentativo di conservare tensione e dualismo tra libido dell'io e libido oggettuale suona assai poco convinto e come forzato. Tant'è che la nascita contraddittoria dell'amore cosiddetto oggettuale si smaschera là dove Freud (1914) dice:
L'amore parentale, così commovente e in fondo così infantile, non è altro che il narcisismo dei genitori tornato a nuova vita: tramutato in amore oggettuale, esso rivela senza infingimenti l'antica natura. 
Nel rapporto d'amore, dunque, il narcisismo rivela “senza infingimenti” tutta la sua capacità di azzerare la differenza, per riconsegnare il soggetto al gioco ambiguo dell'identità deformata che gli viene riconsegnata da quello specchio sferico evocato da Lacan per rappresentare la dialettica intrasoggettiva tra Io ideale ideale dell'Io e oggetto parziale nel modo seguente:
Davanti a questo specchio si crea, sorge, il fantasma dell'immagine reale del vaso nascosto nell'apparecchio. Se questa immagine illusoria può essere supportata e percepita come reale, ciò accade perché l'occhio è capace di produrre un accomodamento in relazione a ciò intorno a cui essa si va realizzando, vale a dire i fiori che abbiamo messo lì. Vi ho insegnato.a corredare con queste tre notazioni – l'ideale dell'io, l'io ideale e a, l'agalma dell'oggetto parziale – i rapporti reciproci dei tre termini di cui si tratta ogni volta che si costituisce che cosa? – precisamente ciò di cui si tratta al termine della dialettica socratica. (…)
L'incarnazione immaginaria del soggetto, ecco di che si tratta in questa triplice referenza .
La questione dell'effetto d'abbaglio in una relazione di stessità che reduplica e rinforza quello strutturale alla relazione analitica (che si articola, non dimentichiamolo, nel campo del desiderio), non è lieve. Per certi versi essa, se non elaborata, può invadere la mente dell'analista, siderandolo in una contemplazione fissa del proprio oggetto idealizzato, inchiodandolo a quella dialettica immaginaria tra ideale dell'io, io ideale e oggetto parziale secondo la quale, seguendo Lacan, si articola la relazione amorosa.
Nel vertiginoso lavoro del transfert, infatti, la topologia soggettiva della relazione amorosa ha un suo statuto innegabilmente forte, tuttavia essa non copre l'intero campo del desiderio. Assumerla come un'ipotesi ci aiuta a pensare questo campo, ma non ci aiuta a comprendere appieno l'articolarsi delle manovre al suo interno. Questo è il limite, a mio avviso, della pur grande lezione lacaniana. 
Nelle analisi da me condotte con I e D ci sono stati dunque altri movimenti di campo, non facenti capo alla dialettica amorosa, quelli su cui ho lavorato fin qui e su cui vorrei ora brevemente tornare per rivisitarli dando loro il valore di contromosse all'effetto di abbaglio.
Battaglia, troppo pieno, perturbamento sembrano infatti sorgere nel campo da altre intersezioni della relazione e sfuggire alla cattura fascinosa e angosciante dell'eromenon, il che oltre a riconfermare che la topologia amorosa del soggetto non ricopre tutto il campo analitico, ci dice anche che, se ne definisce la struttura e l'economia, non ne esaurisce la dinamica.
I movimenti del controtransfert emersi nella relazione si articolavano infatti in un registro diverso da quello immaginario dell'agalma, dove io e le mie pazienti e il nostro essere lì insieme sembrava, a quel livello, colmare se non azzerare la ferita della mancanza ad essere che comunque a ciascuna di noi competeva, e se nel registro immaginario incontravo I e D come agalma, ciò che accadeva nel registro simbolico andava rispondendo a una diversa dialettica. Chiamata come analista a collocarmi in un sapere, di fatto questo risultava inutilizzabile, la teoria risultava `bucata',come ho mostrato nella parte di questo lavoro dove mi sono occupata della questione della miseria simbolica. 
A fronte di una forclusione che impediva alle mie pazienti di riconoscersi in un nome e in un corpo proprio, io come analista non avevo altro da opporre che la duplicazione di questa forclusione nella teoria. E se consideriamo ogni costruzione, quindi anche quella analitica (nel suo doppio aspetto di costruzione della teoria e costruzione nella teoria), inevitabilmente dotata di un potere destinale, la miseria simbolica, per quello che riguardava il registro simbolico del femminile, mi appariva – da quel versante- un destino 
Il modo in cui il desiderio femminile viene `raccontato' nella teoria psicoanalitica, infatti, sembra occupare, rispetto al maneggiamento che di questo racconto si fa correntemente nella clinica, un fatum. 
L'incrocio con una teoria dove questo desiderio si esaurisce nel fallo ( avere un bambino che tappi il buco della castrazione), costringe l'analista, al lavoro in una situazione di duplicazione, a confrontarsi con un buco, un vuoto di narrazione e, conseguentemente, a inventarsene una, ricorrendo non solo, come voleva, Freud, alla strega – la metapsicologia – ma alla passione.
Se infatti a questo vuoto di narrazione il controtransfert e il suo lavoro hanno risposto con un troppo pieno paradossale che non faceva altro che duplicare e rilanciare la questione della miseria simbolica e dal lavoro del controtransfert non mi arrivava una chiave per raggiungere pienamente la sofferenza dell'una e dell'altra della mie pazienti come persone, se l'impatto con la roccia dura della teoria mi costringeva a riflettere le mie pazienti solo secondo il desiderio dell'Altro che le voleva o falliche o castrate, tutto ciò non può non avere avuto conseguenze passionali. Winnicott in un punto particolare dell'ormai famoso Dalla pediatria alla psicoanalisi parla dell'odio nel controtransfert.
Dice Winnicott:
Nelle analisi normali l'analista non ha difficoltà ad affrontare il proprio odio …Ma ve e sono di altre in cui l'odio rimane inespresso e perfino non sentito come tale…
Tra le molte ragioni portate da Winnicot per dare conto di questo silenzio dell'odio, mi soffermerei in modo particolare su quella che riguarda la difficoltà da parte dell'analista di farlo parlare, in quanto “l'analisi è il lavoro che ha scelto”, quello che “meglio gli permette di affrontare il proprio senso di colpa'. 
A questa come sempre semplice e acuta osservazione di Winnicott aggiungerei che per un'analista donna l'analisi è il lavoro che ha scelto non solo per affrontare il proprio senso di colpa ma anche per elaborare la propria `miseria simbolica'. Inoltre questa le torna davanti come un revenant ogni volta che lei, l' analista donna, prende in cura una donna: l'odio per se stessa e per la propria paziente si dispiega allora, inavvertito, in aeree le più sotterranee della relazione, quelle psicotiche dove la mente funziona per assunti di base e diniego e la femminilità è impensabile al di là della mancanza e della castrazione intese non nel loro valore metastorico di costituzione di un soggetto, ma come ferita narcisistica, e dolorosa ascritta esclusivamente al proprio genere.
La questione della miseria simbolica, dunque, al di là del suo valore di `scoperta' di cui siamo in debito con il pensiero femminile della differenza, affonda, per quanto riguarda il `farsi' del controtranssfert, in una relazione di stessità, in quel deposito della mente dell'analista dove la sofferenza non ancora divenuta memoria si dispone come un lascito che, misteriosamente, si trasmette attraverso le generazioni, traccia indelebile di una differenza che cerca ancora il senso del suo essere tale.
Non ancora metapsicologia della differenza, ma orientati verso una costruzione di una metapsicologia della differenza, battaglia, troppo pieno, perturbamento sono nati nel campo come movimenti elaborativi di una passione dell'identico, che, assunta nel suo valore strettamente psicoanalitico di conservazione e coazione a ripetere, minaccia, ogni volta che questa si dà, la relazione di cura tra donne.

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