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Relazioni su L’Harem e l’Occidente di Fatema Mernissi /2

6 Ott 12

Di lapigozzi

La formazione di Fatema Mernissi avvenne in un harem, attraverso la nonna Jasmina il cui insegnamento fondamentale era: "Devi concentrarti sugli stranieri che incontri e cercare di comprenderli. Più riesci a capire uno straniero, maggiore è la tua conoscenza di te stessa".

Vediamo se questo insegnamento funziona anche per noi che leggiamo questo libro, in un certo senso, `straniero'.

E' inutile negare che tra ciò che vi è di più perturbante per la coscienza occidentale, posta di fronte a questa cultura, un posto d'attenzione merita la questione del velo.

Questo velo sulle donne ci disturba. Disturba le donne per le quali può accennarsi un principio claustrofobico e di soffocamento. E probabilmente crea una sorta di disagio anche agli uomini…   

Domandiamoci:

Che cosa ha il corpo delle donne da dover essere velato? E' forse portatore di una qualche `stonatura' da nascondere? Una cosa è certa: quando qualcosa viene velato, proprio per il fatto di essere velato, assume un posizione d'oggetto molto importante e significativa. Possiamo senz'altro dire che non si vela qualcosa senza valore. Questo è un punto centrale. Ora, pur senza voler qui introdurre la questione importante del feticcio,  vorrei citare brevemente Lacan quando dice "Il velo, il sipario davanti a qualcosa, è ciò che meglio permette di dare un'immagine della situazione fondamentale dell'amore". Dell'amore dunque si tratterebbe. Nel senso che amiamo dell'oggetto la sua distanza. E il velo non starebbe che a dipingere questa assenza/distanza. Funziona un po' come ilsipario a teatro che crea l'attesa.

Seguendo ancora un momento Lacan, possiamo pensare ad un parallelo tra la funzione del velo e il ricordo di copertura: entrambi indicano un al di là. Oltre il velo, oltre il ricordo di copertura c'è l'essenziale. Che però è rimosso. Non si rimuove infatti che l'essenziale. E' la donna l'essenziale che viene rimosso? Lasciamo un momento sospesa questa domanda.

La Mernissi nel suo libro entra in un viaggio, guidata da un amico francese, tra le immagini di harem dipinte dagli artisti occidentali. E nota la "sconcertante assenza paura che si riscontra negli uomini dell'harem europeo" Spiega in effetti Mernissi che un sultano che può tenere tante donne dà una prova di forza. "I mussulmani si descrivono come insicuri nei loro harem(18) …Califfi furono avvelenati e soffocati dalle loro favorite (30) …Negli harem musulmani gli uomini si aspettano dalle loro donne schiavizzate una feroce resistenza e la volontà di sabotare tutti i loro progetti di piacere" (16)…Non è strano -scrive il califfo Harun- che l'intero pianeta mi obbedisca e che io obbedisca a queste tre signore, determinate a disobbedirmi?" (115)

La tesi della Mernissi è che anche l'occidente ha il suo harem: esso sta nella manipolazione dell'immagine femminile. Un capitolo del libro sin intitola esplicitamente  "L'Harem delle donne occidentali è la taglia 42"

Potremmo dire, usando un gioco di parole, che se gli orientali hanno il  velo, noi abbiamo le veline!  Potrebbe dunque esserci una equivalenza simbolica tra le donne velate e le nostre veline: le donne – sotto il velo o sotto il modello imposto – diventano tutte uguali e tutte fantasmaticamente controllabili.

"Cosa accade alle emozioni di un uomo -si chiede la Mernissi- quando la bellezza della donna è un'immagine fabbricata dall'uomo stesso?"

Potremmo aggiungere noi: che ne è della dimensione di rischio che ogni incontro autentico inevitabilmente porta con sé?

Lasciamo lì questa domanda.

Abbiamo visto che sotto il velo c'è un valore. Dunque si potrebbe dire che la velatura orientale significa una marcatura di un valore. Mentre la "velatura" occidentale delle veline o della taglia 42 assumerebbe più l'aspetto di un disvalore.

Ma torniamo alla funzione del velo e alla domanda lasciata in sospeso. E chiediamoci dunque: perché il corpo delle donne deve essere velato? Il corpo delle donne ha una specificità. Non rimane mai uguale. Dal bambino all'uomo abbiamo un accrescimento. Ma dalla bambina alla donna il corpo subisce svolte rivoluzionarie, vere e proprie traumatiche trasformazioni. Le mestruazioni, il seno che cresce, la gravidanza, il parto e la menopausa. Tempeste radicali talora fonte di angoscia e disagio. C'è un divenire. Il corpo femminile, più di quello maschile, ha capacità di metamorfosi.

Ora, la femmina-velina, nel suo androginismo, è come fermata nel suo sviluppo a prima di queste modificazioni corporee. E, soprattutto, è arrestata allo stadio pre-materno. Perché -probabilmente- il materno è il grande enigma, il grande tabù. Si potrebbe dire che la velatura nasconde il materno. Rappresentare la donna incinta nuda è stato per molto tempo un fortissimo tabù.

C'è come una insopportabile segretezza del corpo femminile: avrà raggiunto l'orgasmo? E' davvero mio figlio? Si domanda l'uomo. Anche le ecografie, al di là del loro valore d'uso, possono apparire come pornografie. Probabilmente sta qui il motivo per cui i delitti sessuali sono sempre maschili: significherebbero l'assalto al mistero.

Insomma, per dirla tutta, c'è come qualcosa dell'ordine del mostruoso che pertiene al corpo femminile. Dunque qualcosa di essenziale, di rimosso e velato. Ma il mostruoso partecipa sia della repulsione che della fascinazione

L'associazione delle donne ai mostri risale ad Aristotele: la femmina viene alla luce quando qualcosa va storto (Generazione degli animali). La femmina è una anomalia del tipo maschile.

Sulla questione del mostruoso vorrei segnalarVi 3 autrici che, sotto diverse angolazioni, se ne sono in qualche modo occupate.

Prima di tutto la Kristeva, che nel suo saggio sull'abiezione sostiene che, nell'abiezione appunto, c'è una rivolta dell'essere contro ciò che lo minaccia. L'abietto sembra non essere assimilabile né nella posizione del soggetto, né in quella dell'oggetto. C'è come un esorbitante, un inassimilabile. "Qualcosa che solletica, inquieta, affascina il desiderio che pure non si lascia sedurre. Ma impaurito si distoglie" (I poteri dell'orrorre, saggio sull'abiezione,p.3).

Seconda autrice la Braidotti che in Madri, mostri e macchine(29) scrive: "La donna è mostruosa per eccesso: trascende le norme stabilite, oltrepassa i confini. E' mostruosa per mancanza: la donna-madre non possiede quella sostanziale unitarietà che è propria del soggetto maschile…Donna è l'anomalia che conferma la positività della norma"

Il mostro è l'incarnazione della differenza. Dell'assenza di normatività.

Ed, infine, Camille Paglia, in Sexual Personae (18): "La ripugnanza storica per la donna ha una base razionale: il disgusto è la risposta specifica della ragione alla grossolanità della natura procreante"

Come dire che il potere delle donne è quello di dare la vita sì, ma una vita mortale!

Piuttosto nota è la frese di Celine, una frase che mi pare davvero esemplare: "Queste femmine ci guastano l'infinito" (citato da Kristeva ). La donna dà la vita ma senza l'infinito, appunto.

Ora l'infinito è anche una categoria matematica, un'idea di perfezione. La sublimazione per eccellenza. Come se la donna – nel suo "guastare l'infinito" – ostacolasse il processo di sublimazionePer questo occorre velarla.

Eppure, ancora una volta, non dimentichiamo che ciò che è sotto il velo è l'essenziale. Ciò che vale è sotto il velo. E' questo che si tratta di riconoscere. Ricordo una scena del film Viaggio a Kandahar di Makhmaltab Mohsem in cui le donne si mettono il rossetto sotto il burka. Oltre a poter dire qualcosa sul vero motivo per cui le donne si truccano (che però oggi non vi diciamo per mantenere, come dire? nn certo velo su questo), se ne deduce qualcosa circa il concetto di valore che sta sotto il velo. Non si vede ma c'è.Significa proprio perché è velato.

C'è una relazione piuttosto evidente tra il desiderio e il pudore. E precisamente il pudore sostiene il desiderio, é ciò che muove il desiderio, ciò che lo sospinge in avanti (fallicismo del desiderio).

In questa dinamica l'oggetto diventa oggetto di prospettiva e  la relazione si struttura come relazione d'ignoto. Ma perché questo meccanismo d'ignoto possa funzionare come motore del desiderio, esso  (l'ignoto) deve avere una qualità: e cioè deve essere nel futuro conoscibile. Deve contenere la promessa che qualcosa poi, un giorno, se ne saprà. La promessa che il sipario infine verrà levato. C'è la promessa di un al di là.

Il velo, nel suo poter essere anche svelamento, sostiene questa funzione di promessa.

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