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Fiori funesti. La cappelliera dell’architetto

6 Ott 12

Di Valeria-Medda
Over and over the old, granular movie
Exposes embarrassments – the mizzling days
Of childhood and adolescence,sticky with dreams.
Parental faces on tall stalks,alternately stern and tearful,
A garden of buggy rosesthat made him cry.
Sylvia Plath, Insomniac, from Crossing the water

 

I fiori di Adorno

Nell'aforisma 72 dei Minima Moralia Adorno introduce una disgiunzione logica tra fiori di vita e fiori di morte. “Da quando non si possono più cogliere fiori per l'ornamento dell'amata, come sacrificio che viene riconciliato in quanto l'eccesso per lei sola si fa spontaneamente carico del torto fatto a tutte, il coglier fiori diventato qualcosa di cattivo. Esso non ha più altra funzione che di eternare il caduco e il perituro, immobilizzandolo e mettendolo a portata di mano. Nulla però è più funesto: il mazzolino senza profumo, il ricordo organizzato e predisposto, uccidono quel che resta proprio in quanto viene imbalsamato e conservato. Può vivere solo l'attimo fuggevole nel flusso mormorante dell'oblio se cade su di esso, all'improvviso, il raggio che lo fa lampeggiare; la pretesa di possedere l'istante lo ha già perduto. Il mazzo rigoglioso che il bambino trascina a casa malvolentieri per ordine della madre potrebbe stare in mostra – dietro lo specchio – come quello artificiale di sessant'anni fa, e quello che ne risulta, alla fine, è l'istantanea di viaggio scattata con avida ingordigia, dove appaiono, sparsi come rifiuti, nel paesaggio, quelli che a suo tempo non ne hanno visto nulla, e credono di arraffare come ricordo ciò che è svanito e si è inabissato senza traccia. Chi, però, ammaliato, manda fiori, certamente, senza volerlo, sceglierà quelli che gli appaiono mortali”.
La rappresentazione generale soggiacente a questo bellissimo testo si riconnette alla tradizionale significazione dell'“effimero”, che fa del fiore il paradigma estetico della Vanitas.
Sappiamo che l'idea di “caducità” è cara a Freud che ne fa titolo e argomento per un brevissimo scritto del '15 (anno successivo all'esordio della I Guerra Mondiale – che sarà fatale all'Austria – nel corso del quale elabora anche Lutto e melanconia e Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte). Nelle prime righe diCaducità egli utilizza in questo senso la metafora della fioritura: “Non molto tempo fa, in compagnia di un amico silenzioso e di un poeta già famoso nonostante la sua giovane età feci una passeggiata in una contrada estiva in piena fioritura. Il poeta ammirava la bellezza della natura intorno a noi ma non ne traeva gioia. Lo turbava il pensiero che tutta quella bellezza era destinata a perire, che col sopraggiungere dell'inverno sarebbe scomparsa: come del resto ogni bellezza umana, come tutto ciò che di bello e di nobile gli uomini hanno creato o potranno creare. Tutto ciò che egli avrebbe altrimenti amato e ammirato gli sembrava svilito dalla caducità cui era destinato”. Se Freud indugia sul pensiero del “transitorio” per leggerne la liminarità con l'idea di lutto, concludendo però positivamente sulla valorizzazione del bello (“Se un fiore fiorisce una sola notte, non perciò la sua fioritura ci appare meno splendida”), Adorno resta su un più radicale pessimismo. L'aforisma sui fiori, che, nell'argomentazione finale, si svela come metafora dell'opposizione irriducibile tra la struttura economica vincente del tardo industrialismo e il “carattere apparente” – “velo sottile ed effimero” – della sua facciata politica, lampeggia indimenticabile attraverso una serie di categorie binarie: sacrificale/eccessivo, morale/amorale, rigoglioso/caduco. Il “mazzolino funesto” è una potente immagine della colpa in quanto connessa a una temporalità non padroneggiabile. La stessa formazione del ricordo viene pensata come Bildung artificiale: “organizzato e predisposto”, “imbalsamato e conservato”. Il tempo è “perduto” già da sempre. La colpa si iscrive come perdita e mancanza irrecuperabile. Trattenere il tempo e la vita è operazione impossibile. Per Adorno – ebreo – la “contingenza assoluta, la sopravvivenza tollerata” sono l'essenziale in un mondo definito “sistema dell'orrore”, che avvera ciò che Hegel aveva definito in anticipo come il divenire – di fatto – nullo e insignificante dell'individuale. L'identità dell'individuo è affidata alla sua apparenza; la “menzogna” grazie alla quale sussiste la sua verità.
Come non riconoscere qui ciò che Jacques Lacan elabora sulla struttura di finzione come essenziale alla possibilità di enunciare la verità (egli riprende nel seminario sull'Eticail concetto di fictitiousness caro a Bentham) e la sua teoria del Semblant (la Parvenza) in quanto costitutiva dell'effetto di 

Freud e l'idea di “Zwang”

Un altro punto però mi incuriosisce nell'aforisma di Adorno, perché ricollega stranamente la sua sensibilità circa la “coscienza infelice” al pensiero di Freud: Renato Solmi, che ha curato la famosa edizione Einaudi dei Minima Moralia, sottolinea in nota l'espressione Dingfest machen (letteralmente: rendere fisso come una cosa) utilizzata qui da Adorno per definire l'operazione di “perpetuare il caduco”, lasciandolo simultaneamente “a portata di mano”. Il significato corrente – dice Solmi – è arrestare, anche nel senso tecnico di “tradurre in arresto”; egli traduce mirabilmente con “immobilizzare”.
Riconosco in questa funzione, indubbiamente di ordine inconscio, qualcosa di molto prossimo all'idea freudiana di Zwang (coazione, compulsione) utilizzata per designare il nucleo simbolico delle nevrosi di colpa, che Freud appunto ribattezza Zwangneurosen. In Recensione a “I fenomeni psichici di coazione” di Leopold Loewenfeld (1904) Freud dichiara di voler estendere il concetto di “coazione psichica” dalle malattie ossessive allefobie, a parte delle abulie, a molti stati nevrotici d'angosciae ai cosiddetti “attacchi d'angoscia senza contenuto”.
Freud non concorda con Loewenfeld sul fatto che si possa parlare di “affetti e sensazioni coatte”, e tiene fermo sul punto teorico di riservare la coazione ai fenomeni di rappresentazione psichica, in altri termini, all'ordine del fantasma. Egli mantiene salda la sua “trimurti” per l'eziologia dell'angoscia: genesi somatica, attinenza con la sessualità, trasformazione della libido. Il fattore Zwang concerne invece lo stile specifico della rappresentazione fantasmatica, ne costruisce la forma, il profilo, la silhouette: serve insomma per la riconoscibilità di uno specifico tratto soggettivo. E, sostanzialmente, la sola cosa che lo interessa dell'argomentazione di Loewenfeld è l'aver posto l'attenzione sul “carattere fondamentale dell'immobilità”.
Freud abborda dunque la questione della colpa a partire dal suo movimento difensivo, costituito appunto dalla posizione di Zwang, che viene a definirsi comeSemblant del senso di colpa.

Entr'acte. Il sogno della cappelliera ad alveoli

Lui è architetto, è un uomo riservato e triste. Molto presto mi racconta un sogno.
“È un sogno di vacanza in Grecia, di alcuni anni fa. Le dirò ora delle parole che costituiscono lo spirito del sogno: mi sentivo… là … arrivato in capo al mondo. Sotto un albero c'era un signore anziano, un po' corpulento, vestito di blu, con un cappello … ho l'impressione come di un'autorità costituita. Aveva in mano un grande scatolone fatto come una cappelliera, blu, lucida, molto bella, intatta. A quelli che si avvicinavano e chiedevano cosa fosse, rispondeva che era la reliquia di Aldo Moro. Era piena di alveoli … ogni alveolo conteneva un microscopico mazzo di fiori, avvolto molto strettamente in carta velina e messo nella sua nicchia.Chiunque passasse di lì era invitato a prendere uno di questi mazzolini per spedirlo alla vedova di Aldo Moro”.
A entrambi è subito chiaro il carattere enigmatico della cappelliera alveolare, l'oggetto del sogno. Misteriosa, ma sostanziale e centrale – con le sue marche simboliche di geometria, di chiusura, di disseccamento – eppure funestamente lucente, e dichiarata bella, occupa immediatamente il posto di nucleo organizzatore dell'intera tessitura del sogno.
L'uomo col cappello e la cappelliera, figure enigmatiche della coppia parentale, si stagliano nella geografia assolata del paesaggio greco mediante il carattere dell'arresto temporale, dell'immobilizzazione. Il sognatore si sente arrivato “in capo al mondo” testimoniando il proprio modo di fantasmare il luogo dell'origine con una procedura di dislocazione spazio-temporale.
Alla significazione intima del sogno si intreccia un'idea di crimine, e un desiderio di rivolta: l'assassinio di Aldo Moro – anch'egli una “autorità costituita” – echeggia il tema di parricidio. Restano reliquie, inaridite, dei corpi-fiori.
Credo che ogni contesto di colpa possieda una cifra specifica: qui l'oggetto cifrato è la cappelliera ad alveoli.
Corpo materno corpo architetturale il cui spazio interno appare strutturato come alveare. Gli alveoli-loculi contengono piccoli corpi vegetali morti. Avvolti in stretti sudari di carta velina giacciono nelle nicchie tutti i bambini non-nati di questa ape regina esigente, spoglie identificabili con i mazzi di fiori che si portano ai morti. O ai sopravvissuti a un lutto impossibile a elaborarsi.
La cappelliera gioca come “significante principe” del sogno: tutta la catena significante è dominata dal fonema -AL e dalle sue varianti apofoniche ( -EL, -OL, -UL,-IL ) e le relative formazioni anagrammatiche.
ALcuni parOLe LO LA ALbero corpULento bLU cappELlo scatOLone cappELliera LUcida mOLto bEL-LA quEL-LI rELiquia ALdo AlveOLi avvOLto vELina nEL-LA LÌ mazzOLini ALdo spedirLO alLA.
La lettera L è una consonante liquida: viene considerata in linguistica la forma pregressa dell'altra liquida R – così infatti pronunciano la R i bambini -, e nell'ambito della pulsionalità fonematica segnala inibizione o rimozionedelle pulsioni aggressive.
Immaginando di sospendere ogni censura, ci troveremmo di frontea una serie incredibile di R: un inquietante digrignare di denti. Ma tutto è immobilizzato nelloZwang ossessivo; tutto è ridotto a resto inoffensivo, isterilito, insignificante.
Il desiderio dell'ossessivo, che lo paralizza, resta segnatodall'ambivalenza bifasica di desiderio e interdetto: la difesa coincide con la punizione per contrappasso. Economia temporale bloccata, economia libidica inibita; nessun matricidio è possibile, nessuna lotta o guerriglia di liberazione. Come nelle tragedie greche, tutto è già avvenuto. Resta uno scenario morto di reliquie, sepolte sotto lo smalto blu dell'involucro lucente.
Il sognatore, che sappiamo architetto, si è visto costretto, nella sua vita professionale, a ripiegare su un più modesto ruolo di designer di scatole; Packaging design recita il suo biglietto da visita. Uno dei suoi lavori recenti, che ha incontrato successo, è lo studio di confezioni per il marchio Bauli, una nota azienda di dolci. Le scatole sono blu. Il nome Bauli, con una variazione d'accento, designa anche i bauli da viaggio. Una cappelliera è appunto un piccolo baule, di forma – se vogliamo – speciale.
Non sarà sfuggito lo slittamento di senso tra alvearealveolo e alvo, termine un po' desueto o clinico per indicare il ventre, o il cosiddetto “basso ventre”, luogo di ciò che Freud, nei lavori sulla pulsionalità anale, indica propriamente come “cloaca”. Luogo del rigetto, della deiezione, dell'abbietto, dell'innominabile. Con quest'ultimo attributo Samuel Beckett, che se ne intendeva, intitolò un suo mirabile racconto. Secondo Freud, a causa della distruttività annientante della pulsione sadico-anale, gli ossessivi sono costretti (ancora!) a sviluppare un ipermoralismo (Eine Übermoral) per difendere i loro oggetti d'amore dall'aggressività e dall'odio “impastati” con l'amore stesso. Nel breve testo Il motivo della scelta dei tre scrigni, che è dello stesso anno, Freud, come si sa, riconosce nelle due funzioni dell'immobilità e del silenzio, tipiche difese ossessive, leggibili come arresto della funzione libidica e della funzione significante, le due principali figure della Morte. “Mère/Mort…” allitterava Lacan.
Nello scritto citato, Freud lavora il Re Lear di Shakespeare, nel momento in cui le tre figlie principesse si impegnano in una scelta decisiva. “Se avessimo qui a che fare con un sogno – scrive – penseremmo che gli scrigni siano donne, simboli – come i barattoli, gli astucci, le scatole, le ceste – di ciò ch'è essenziale nella donna e perciò della donna stessa”. L'elegante parafrasi mira al nodo tragico tra Eros e Thanatos, così come lo si può cogliere nelle donne. Lo scrigno di piombo scelto da Cordelia è “muto”, come lei che “ama e tace”. Il mutismo è un modo di raffigurare la morte, come il nascondersi o il rendersi irreperibile. La terza sorella rappresenta dunque la morte, personificata come Dea della Morte: ma allora, conclude Freud “possiamo dire di conoscere le tre sorelle. Esse sono i simboli del destino, le Moire, o Parche, o Norne, la terza delle quali ha nome Atropol'Inesorabile”.
Dirà più avanti l'Ineluttabile, mentre Loewenfeld preferisce l'Immodificabile.
Fondamentale è la relazione delle Parche al tempo, tanto che spesso furono confuse e sostituite con le Ore, più amabili divinità, mentre le Moire tragicamente significano la severità inevitabile della Legge e il rapporto della temporalità col sentimento del debito nella sua relazione con la morte. Grandi divinità madri concepite simultaneamente come generatrici e annientatrici, dove Lachesi rappresenta l'“Accidentalità”, Cloto la “Fatalità” e Atropo la “Morte”. Freud riconosce nella tripartizione simbolica le tre relazioni “inevitabili” dell'uomo con la donna:con quella che lo genera, quella che gli è compagna, quella che lo annienta.

Freud e il sentimento di colpa

L'universo della colpa nel pensiero di Freud si colloca nello spazio che sta tra dottrina rabbinica e grecità. Come abbiamo visto, Freud non riesce a dissociare l'idea di colpa dall'idea di morte, in interconnessione reciproca. Colpa di esser nati, colpa di vivere, e di dover morire, in qualche modo costituiscono l'humustragico che fa da base all'esperienza dell'angoscia.
La teologia giudaica pone il sacrificio fondatore come evento simbolico che simultaneamente dà accesso alla colpa e tenta di liberare da essa attraverso un rito espiatorio. Freud postula che, nel racconto del sacrificio di Isacco – miracolosamente sospeso dall'intervento divino – sotto la copertura dell'assassinio del figlio, si nascondano auspici di morte nei riguardi del padre: egli può così supporre – interrogando anche le cosmogonie greco-antiche – l'assassinio del padre da parte dell'orda primitiva e quello di Mosè per mano degli Ebrei. Qualcuno ha ipotizzato che il mito del parricidio provenga a sua volta da un vasto rimaneggiamento dell'immaginario concernente la rivalità tra uomini, destinato a preservare da ogni aggressione una sola persona, la madre, sempre assente dagli scenari di queste messe a morte. Sappiamo dall'esperienza clinica delle nevrosi ossessive come invece sia frequente il fantasma di matricidio sia maschile che femminile: a prova di una rimozione culturale generalizzata – nella forma di un'autentica damnatio memoriae – del desiderio di sopprimere la madre, starebbe l'espulsione del concetto stesso di matricidio dal diritto romano, che presenta infatti per designare il crimine dell'uccisione di uno qualunque dei genitori il solo termine parricidium.
La preservazione memoriale del solo assassinio del padre permette però, nel registro dell'ordine simbolico, di intendere il parricidio come il solo assassinio che conferisce tutta la sua portata al significante, poiché sostiene appunto una primordiale presa del significante in quanto legata alla funzione del padre, che orienta la separazione dalla madre come dalla cosa (das Ding) non significante.

Genealogia del concetto di colpa

Eric R.Dodds riprende una distinzione tra “civiltà di colpa” e “civiltà di vergogna” introdotta dall'antropologa americana Ruth Benedict per differenziare l'etica pre-omerica e quella post-omerica. Per Dodds, la società descritta da Omero si fonda sicuramente su una cultura di vergogna (Àidos): in essa, la posizione etica di un uomo non sta nel godimento di una coscienza tranquilla, ma nel possesso della pubblica stima (Timé). Àidos, la vergogna, intesa come rispetto dell'opinione pubblica, è la più potente forza morale. “Se nella nostra società il senso intollerabile di colpa viene eliminato proiettandolo con l'immaginazione sopra un'altra persona, possiamo presumere che l'uomo omerico si servisse per lo stesso fine del concetto di Ate, che gli permetteva di proiettare il proprio insostenibile senso di vergogna sopra una potenza esterna”.
Àidos in greco significa vergogna e pudore, ma anche stima, dignità, maestà come grandezza morale. Possiamo pensare alla cultura dell'Aidos come a una dialettica del prestigio, dove l'immagine propria e il suo valore allo sguardo dell'altro risulta costitutiva di identità. Caratteristica della cultura greca di vergogna, secondo Dodds, è la tensione tra impulso individuale e pressione del conformismo sociale, dove tutto ciò che espone l'uomo al ridicolo o al disprezzo, e gli fa dunque “perdere la faccia”, è sentito come insopportabile. È interessante per noi notare il carattere di narcisismo sociale insito in questo modello di cultura, dove vengono proiettati su una sfera indipendente di operazioni divine non solo le mancanze morali, ma anche gli errori tattici e perfino i cattivi affari. Questo aspetto imprime un carattere di fatalismo arcaico all'uomo pre-omerico e omerico, che ritroviamo nelle forme della tragedia più antica, in Eschilo, ad esempio, ma anche in altri poeti: “Nessuno, o Cirno, è responsabile della propria rovina o del proprio successo: di ambedue sono datori gli dèi. Nessuno può compiere un'azione e sapere se l'esito sarà buono o cattivo…”. (Teognide) Oppure: “Viviamo come bestie, sempre alla mercé di quanto porterà la giornata, nulla sapendo dell'esito che il dio imporrà alle nostre azioni…” (Simonide di Amorgo). Così i lirici antichi.
Il termine Àidos possiede un significante omologo in sanscrito (Ide), mentre il suo corrispettivo latino è, secondo i glottologi, l'arcaico Aestumare, poi Aestimare, che significa originariamente stimare il prezzo, nel senso mercantile di valutare, e successivamente “stimare” in senso morale. È interessante la frase latina di Livio “Noxam pari poena aestimare” (Valutare una colpa con una pena equivalente), a significare il valore di “indennizzo” e di risarcimento che la pena deve possedere rispetto al reato. Penso alla libbra di sangue che Shylock l'ebreo deve “versare” (parola che noi oggi utilizziamo tecnicamente per indicare il deposito bancario) nel Mercante di Venezia di Shakespeare. Molto simile è il sentimento del debito nella logica dell'ossessivo.
La “cultura di colpa” – molto prossima alla cultura ebraica fondata appunto dal parricidio – è invece secondo Dodds caratteristica della grecità posteriore all'epoca omerica, e segnala l'accrescersi graduale del sentimento di colpa e di responsabilità morale individuale, che trasforma l'Ate (necessità di destino) in castigo. Le Erinni sono la rappresentazione della necessità di punizione, e dunque ministre della vendetta, mentre Zeus, il padre, costituisce l'incarnazione della giustizia cosmica.
Se nella civiltà di vergogna la storia appare sovradeterminata dalla potenza degli dèi, invidiosi e distruttivi, come insegna “la venerabile dottrina,enunciata in tempi antichi, dell'invidia degli dèi – lo Fthonos theon” (Eschilo), e la tragedia umana consiste nella completa dipendenza da una potenza arbitraria, nella civiltà di colpa subentra l'idea di una “mancanza” o “macchia” nel luogo dell'origine.
La parola colpa vien fatta risalire all'etimo latino culpa, che vale “colpa”, “mancanza”, “debito”. Può significare anche “danno” compiuto con responsabilità personale o collettiva. Si distingue tuttavia dalle parole che significano reato, che sono prevalentemente nell'uso crimen e delictum, quest'ultima per indicare colpe lievi, per lo più di negligenza, perché fanno referenza alla Legge, mentre la colpa si riferisce all'essere.
Nella Patristica latina, culpa, con significato simile a macula (macchia) per quanto riguarda l'argomentazione teologica, sta a significare il “peccato originale” (riguardante l'origine), cioè il degrado dell'uomo dal posto privilegiato di creatura eletta, dopo la cacciata dall'Eden. Come etimologia della parola latina, nulla viene generalmente indicato. Esiste però un termine greco, Kolpos, che significa senogrembo, che vien fatto risalire all'indoeuropeo *Qólpos (insenaturacavitàutero). Esiste nel greco storico il verbo Enkolpó (rendo sinuoso, mi incurvo in forma di golfo, mi raccolgo in seno); esiste già in Eraclito l'attributo Enkólpios, che sta in seno o nel grembo; Encolpio si chiama il dongiovanni narcisista de L'asino d'oro di Apuleio; infine era detto Enkólpion l'ornamento pendente sul petto, successivamente divenuto gioiello distintivo dei vescovi protocristiani. Credo di potermi autorizzare congetturalmente ad interpretare il significante “colpa” come relativo al seno della madre, al luogo letterale dell'origine, colpito (… si gioca sempre sullo stesso significante) da una simbolizzazione drammatica, perché significativo della mancanza tragica insita nel nascere dell'uomo, marcato dalla prematurazione e quindi dalla dipendenza dall'Altro, oltre che dalle successive “colpe” dell'esistere, prima tra tutte la consapevolezza di dover morire.
Vorrei solo aggiungere la constatazione che la parola greca è sicuramente indicativa di una Gestalt spaziale organizzata, che connota una struttura sinuosa e contenitrice, come appunto il fondo dell'utero o l'insenatura della riva, luogo di partenza e di ritorno: le parole moderne “golfo” e “goal” derivano quasi certamente dallo stesso ambito semantico di Qolpos.
Ed eccoci tornati al significante emblematico della “cappelliera”.

La parola al soggetto: le impasses della nevrosi ossessiva

Mi dice:

Vorrei essere nuovo… è un fatto di libertà e di respiro… è come se volessi rinnegare tutta la mia infanzia. Ero in un mondo di donne, ovattato… mia madre, la zia seduttrice, la donna delle galline. Mi proteggevano dal freddo, dal mondo.
Mia madre aveva il culto del dolore, del sacrificio… Sperimentavo relazioni inconcludenti… Mio fratello morto in un istituto per disperazione dopo episodi febbre cerebrale… non mi ha lasciato senza sensi di colpa.

Irreparabilità. Sentimento di un tempo “chiuso” dove ogni riconciliazione è impensabile. Esaurite tutte le possibilità, lo scenario si articola nella forma dell'impossibile.
Mi dice:

Il mio ritardo nel frequentare la vita… un eterno deambulio di situazioni, città, paesaggi, case, gente che conosco che non conosco… sentimento di abbandono.
In certi sogni erotici, non pervengo al coito… Ho paura di dire chi sono, e di sentire che l'altro cerca di capire chi sono… Mai cose spontanee, un non-sapere del sesso e delle donne… Con mio fratello, da ragazzi… due mosche scopavano… ah sì, so tutto! ma non sapevo nulla.

Nomadismo, erranza, assenza di senso. Sempre, il desiderio e l'ostacolo.
Mi dice:

Quel sogno… l'alveare dentro la scatola, bisognava aprirla con molta cura… avevo quasi terrore… quei sacchetti di carta velina, una suddivisione di cartone leggero… il coperchio un po' bombato.
Faccio altri sogni, dove sono coinvolto in brutte storie… non sono l'assassino, ma sono inseguito, come se fossi sempre coinvolto e “perseguibile”… Io sono all'esterno del fatto, ma ho provocato… 
La scelta del packaging (lui, architetto) è stata una scelta razionale e rinunciataria… ho sempre avuto una cura maniacale dei dettagli estetici: per me la bellezza era necessaria, una condizione per vivere.

Mi dice:

È come un sacco con tanti buchi che perdono… uno spreco, irrecuperabile… Meglio comprimere, contenere in una scatola… La scatola-ufficio con la segretaria che mi sa di stantìo, a volte sogno che vorrei ucciderla, ma rimando… Un cubo di cristallo con la muffa.
Da bambino disegnavo bene case, grattacieli, auto, cruscotti… un capitale inutilizzato.
Ora c'è un desiderio di farmi desiderare… la difficoltà della prima telefonata. Mi dico: oggi lo farò, poi sparisco… “Scusa, sto cucinando, ti chiamo tra un'ora…”. Non l'ho più chiamata. Per anni.

Economia temporale bloccata. Trionfo della procrastinazione. La riflessione sull'io ha una consistenza di vuoto, di trasparenza (il cubo di cristallo) e di limite irrevocabilmente geometrico. Il tempo è sempre percepito attraverso categorie spaziali che si chiudono in una zona di bordo; “un passaggio con una donna sempre difficile da instaurare…”.
Qualcosa sembra dilatarsi e finisce per “restringersi” (i fiori secchi) sempre.
Mi dice:

In quel sogno la casa era molto articolata, poco definibile. All'ingresso porte che non combaciavano… il problema della fessura… Con quell'amica della Lunigiana, volevo alzarmi per chiudere la porta al gatto… L'indomani, questa porta, un portone, aveva una fessura, come dire, ristretta. Facendo l'amore, c'era sempre l'idea di accedere a lei in modo intenso, ma con paura… un accesso senza rete.

Il semiaperto, il restringimento…
Pensiamo a un quadro di Magritte con una porta chiusa dove appare una traccia di sfondamento, un frayage disarticolato nella zona inferiore, come un passaggio per topi…
Mi dice:

Le strade proposte mi sembrano troppo allargate. Proviamo a chiudere un po'… teniamo presente questo schema ad alveare dove le luci si accendono come allarmi… È un setaccio a buchi stretti, un imbuto chiuso. Insistendo nell'espulsione si spacca tutto… Allora “allargo” un pochino, prendo un attimo respiro… e si spengono le luci.

Allarme terminato.
Mi dice:

Una specie di blocco chiuso, nero… Impotenza a uscirne, come camminare con lo scafandro. Sognavo di camminare in un'enorme solitudine, strade deserte… Via Speronari o via Spadari… questo piombo… piombo, e case scure.
Faccio tutta una rassegna di persone, e passa il tempo… Nessuno chiama. Dico, beh, tra un quarto d'ora telefono. Poi non lo faccio. E sempre questo blocco di pietra col muschio, come l'inamovibile… macigni pesantissimi, e sotto, i vermi.

Angosce pazzesche. Un reportage sulla morte.
L'analisi fu brevissima, pochi mesi. Mi ero ammalata, e lui sparì del tutto.

Ancora fiori. Freud e il sogno della monografia botanica

Nell'Interpretazione dei sogni, Freud racconta un sogno personale, che intitola appunto Sogno della monografia botanica.
“Ho scritto una monografia su una certa pianta. Il libro mi sta davanti, sto appunto voltando una pagina a colori ripiegata. Ad ogni esemplare è allegato un campione secco della pianta, come se fosse preso da un erbario”.
Anche qui un contenitore, un involucro di carta (il libro), fiori secchi, e una struttura di “ripiegamento”.
Freud articola l'interpretazione sull'opposizione concettuale tra due significanti: “secco” (Getrocknet) e “fiorente” (Blühed).
Fiorente è l'aspetto del professor Gärtner (Giardiniere) e della sua giovane moglie (Seine jungen Frau): Freud ha recentemente incontrato la coppia in occasione di una sua visita al dottor Königstein, l'oculista che aveva operato suo padre di glaucoma. Freud dice di non riuscirà a trattenersi dal complimentarsi con entrambi per il loro “fiorente” aspetto. La mattina del sogno egli aveva visto nella vetrina di una libreria un nuovo libro intitolato Il genere ciclamino: il ciclamino è il fiore preferito della moglie di Freud. Egli si rimprovera (la colpa) di portarle fiori così raramente, perché lo dimentica. Ricorda invece di aver scritto veramente tempo addietro una monografia su una specie di pianta (Pflanz) dalle proprietà anestetizzanti, la coca. Freud pensa che se mai dovesse avere un glaucoma, utilizzerebbe la cocaina come anestetico, e “non un muscolo della mia faccia rivelerebbe che ho contribuito alla scoperta”. All'erbario di fiori secchi Freud collega un ricordo di ginnasio: il direttore aveva radunato gli alunni, consegnando loro l'erbario dell'istituto, perché lo esaminassero e lo ripulissero. Vi si erano annidati dei piccoli vermi, tignole. (Bücherwurm significa anche “topo di biblioteca”). I pochi fogli di erbario assegnati al giovane Freud – evidentemente perché il direttore si fidava poco della sua precisione – contenevano delle crocifere (Kruziferen, letteralmente, portatrici di croce), piante che egli sarebbe stato incapace di riconoscere più tardi, all'esame di botanica. Nel commento al sogno, come ogni volta che sfiora un tema di colpa, Freud non dimentica l'idea della morte: “Ad ogni esemplare sono allegate piante secche: come la quiete di un campo di battaglia seminato da cadaveri: non si sente più nulla del tumulto della lotta…”. Nel pensiero, alla repressione dell'affetto, corrisponde una “difesa viva e appassionata della mia libertà di agire come agisco, di organizzare la mia vita unicamente come a me e solo a me sembra giusto”.
Freud accenna alla propria bibliofilia: ricorda che da studente in medicina studiava unicamente su monografie con tavole a colori. Ieri ha ricevuto una lettera da Berlino dall'amico Fliess, che gli comunica di interessarsi moltissimo al suo lavoro sui sogni; gli scrive “Vedo il libro già terminato davanti a me, e lo sfoglio” (Und blättere darin). Blatt significa foglia, ma alcuni afidi delle piante vengono detti Blattlause. Freud ricorda che suo padre gli regalò da bambino un libro con illustrazioni a colori di un viaggio in Persia che egli strappò ad una ad una “sfogliandolo come un carciofo”. Carciofi (Artischocken) rima con Getrocken (seccare, aver seccato). Freud conclude ammettendo di esser diventato un topo di biblioteca che sfoglia “carciofi”. Egli dimentica però che il verbo seccare – come peraltro in italiano – oltre che per seccare piante o fiori, si usa per “infastidire, seccarsi, annoiarsi”. Ricordo inoltre, sullo sfogliar libri o carciofi, che Freud già altrove vi ha riconosciuto una metafora erotica.
La piccola colpa cui è dovuto il sogno è dunque la seccatura di mandar fiori alla moglie – che forse non è più di bellezza fiorente (Blühende Schönheit) come Frau Gärtner, mentre preferirebbe occuparsi solo delle sue attività preferite (Meine lieblingsblume, letteralmente, il fiore preferito), che oltretutto gli procurano la gloria che non ha ottenuto all'esame di botanica.
Se il volto di Frau Freud è divenuto un fiore secco, le illustrazioni colorate, con la loro bellezza smagliante, sono divenute i fiori preferiti da Freud.
E, se i fiori secchi del sogno della cappelliera erano le reliquie di Aldo Moro, oltre che del corpo della madre, e i resti disseccati del proprio desiderio, i fiori secchi dell'erbario freudiano sono i resti della bellezza, e forse l'arrestarsi del suo desiderio, dentro i libri. Sotto il segno della crocifera.

*Pubblicato in La Ginestra. Rivista di Cultura PsicanaliticaLa colpa. Franco Angeli Editore

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