L'ipotesi che cercherò di illustrare é che questa enigmaticità, e di conseguenza la particolare malinconia che vi connessa, sia da mettersi in relazione all'assenza di rappresentazioni sia nella cultura che nella realtà sociale di una differenza della donna dall'uomo che si significhi oltre e non principalmente attraverso la funzione materna.
Il soggetto femminile é posizionato ( e si autoposiziona) nel luogo ove non può (né deve) mancare all'altro (il bambino e per estensione ogni altro , persona o cosa, che ha bisogno di appoggio e cura). Che altro é la funzione materna, anche nella teoria psicoanalitica, se non quella di una cura che in quanto `primaria' ( indispensabile alla sopravvivenza dell'infans) non ammette mancanze ? La separazione dalla madre scrive Freud non "richiede alcuna interpretazione psicologica; essa si spiega biologicamente (corsivo mio) in modo abbastanza semplice in base al fatto che la madre, la quale ha appagato fin dall'inizio tutti i bisogni del feto(…) prosegue la sua funzione in parte con altri mezzi dopo la nascita.Tra la vita intrauterina e la prima infanzia vi é molta più continuità di quel che non ci lasci credere la impressionante cesura dell'atto di nascita." (Freud)
Freud disegna così un orizzonte relazionale e rappresentazionale che pone inevitabilmente il soggetto femminile, che nella maternità realizza il compito proprio e della specie, nella impossibilità di accedere ad un' esperienza della mancanza che non sia principalmente ( quando non esclusivamente) il fallimento della funzione materna che ha come altra faccia, ormai anacronistica in verità, l'invidia per ciò che l'altro sesso possiede, il pene-fallo, che lo affranca dalla terribile responsabilità e dal potenzialmente mortifero potere che la donna assomma su di sé quando é identificata come la Madre. D'altra parte la mancanza di cui si cerca qui di delineare la sagoma é, e non può che essere, senza nome essendo essa radicata all'inconciliabilità del desiderio (femminile) con la funzione (materna). La funzione entra così in un conflitto ( innominabile) con la pulsione/sessuale.
In un orizzonte nel quale la differenza femminile é continuamente intrecciata col problema della condizione umana e della sua costruzione legata all'origine é lecito disegnare anche per la melanconia una scena altra da quella descritta da Freud.
Con il termine Hilflosigkeit Freud denota una vera e propria mancanza- ad-essere del piccolo dell'uomo. La maturazione dell'essere umano é lenta e ritardata. Egli é pertanto dipendente dall'adulto per un lungo periodo dopo la nascita.
A partire dalla prematurità caratteristica del piccolo della nostra specie Lacan descrive la circostanza nella quale nasce nell'infans l'Io. Nello scritto Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell'"io" (Lacan) teorizza che lo sguardo della madre ( o della persona soccorritrice) svolge la funzione di primo fondativo riconoscimento del piccolo come appartenente alla sua stessa specie, ciò che pone il piccolo nella condizione di riconoscer-si. "L'esperienza speculare così definita dallo stadio dello specchio si basa dunque necessariamente su tre poli raffigurati da : infans, la presenza materna e il luogo del riflesso." (Lambotte). Questa prima triangolazione determina quella circostanza per cui é l'altro la condizione perché l'uno esista nella capacità di autorappresentazione.
E' spettato alla donna ( in quanto corpo-che-procrea) nella teoria psicoanalitica e nelle pratiche sociali di `incarnare' la costitutiva incompletezza dell'essere umano ( la castrazione ) e altresì alla madre di `ripararla' attraverso la `cura materna'.
L'enormità della funzione e del compito della Madre se messa in relazione con la propria umana incompletezza ( anche la donna viene dall'esperienza dell'impotenza originaria) genera l'enigmatico conflitto che caratterizza tanta parte delle melanconie femminili.
Si può, in questa prospettiva, parlare di un'altra melanconia che si struttura come risposta difensiva (essa é da annoverarsi anche tra le difese psichiche) non tanto alla perdita dell'oggetto quanto alla mancanza di rappresentazioni (Russo) ( nella cultura e quindi anche nella singola persona) che diano conto, perché il soggetto femminile si compia, della necessità di sradicare la donna dalla madre senza che essa venga annullata nella sua qualità di soggetto.
La mancanza di rappresentazione e simbolizzazione della nuova soggettività femminile sono dunque non il sintomo ma la causa degli stati melanconici `senza nome'.
La questione posta é se e come sia possibile distinguere in che modo la condizione umana è radicata ai grandi nodi dell'origine (nascita/morte, singolarità/relazionalità, corpo/linguaggio). Tale questione non può essere pensata ( forse non può neanche essere vissuta) se non nel segno della differenza femminile poiché l'origine é tuttora primariamente contraddistinta dalla differenza maschile/femminile.(Boccia/Zuffa)
L'incontro con persistenti ( fino a sembrare intrattabili) ed enigmatiche forme di melanconia ha condotto lo psicoanalista ad occuparsi di stadi sempre più precoci della formazione dell'Io e di conseguenza verso lo studio sempre più approfondito del ruolo che la madre ( la persona soccorritrice per alcuni autori) svolge in quelle fasi.
Per dirlo con una famosa frase di Freud riferita appunto alla melanconia é come se l'ombra dell'oggetto, cadendo sull'Io al momento stesso della sua costituzione, ne profilasse i contorni originari.
A sostegno della centralità che la madre é andata assumendo nella teoria psicoanalitica, vi sono i contributi di autori tra i più originali e creativi dopo Freud.Tra i più recenti ed originali va annoverata la teorizzazione della psicoanalista francese Lambotte che, sulla strada aperta dopo Freud da Lacan, costruisce sulla melanconia un discorso, che definisce appunto melanconico, che si articola attorno alla relazione originaria con l'altro e alle vicissitudini che tale relazione ha avuto nell'esperienza del soggetto melanconico.
"L'io non sono niente melanconico, rimandando al tempo prespeculare di un'impossibile immagine di sé segnala una catastrofe originale (…) catastrofe causata dalla scomparsa dell'Altro quando questi cominciava ad introdurre il futuro soggetto nel campo del desiderio." (Luchetti)
Autori come Lambotte e, anche se con importanti diversità, Winnicott sottolineano con particolare forza la natura intrinsecamente relazionale dell'Io mettendo al centro della loro riflessione l'infans ( letteralmente colui che ancora non parla) e cioé l'essere umano in quella fase dello sviluppo che lo tiene alla mercé dell'adulto che se ne prende cura.
"E' la presenza attiva della madre o della persona soccorritrice" scrive Lambotte, "che permette all'infans, mediante il gioco reciproco degli sguardi, del sorriso e della voce di appropriarsi della propria immagine" (Lambotte)(corsivi miei)
Il tema dell'impotenza, dipendenza e incompletezza dell'essere umano, "esso viene mandato al mondo più incompleto" degli altri animali, scrive Freud, assumerà negli autori che vengono dopo di lui una centralità che sta alla radice della costruzione metapsicologica della Madre.
Da una parte vi sono i francesi (Lacan, Lambotte, Aulagnier tra gli altri) che puntano l'attenzione sulle modalità di costituzione dell'Io e sul ruolo che la madre-specchio svolge in questa fase dello sviluppo.
Dall'altra, anche se non in opposizione, vi sono i britannici con Winnicott in testa che assegnano alla madre la funzione di "scudo protettivo" per dirlo con l'espressione sintetica e pregnante che ha coniato uno dei più originali allievi di Winnicott: Masud Khan. Lo scudo protettivo ha nelle teorizzazioni di questi autori il compito di proteggere l'Io del bambino dalle sollecitazioni intrapsichiche (che vengono dall'interno del soggetto) di origine pulsionale e da quelle di origine interpersonale ( l'ambiente).
"La nuova importanza attribuita al rapporto madre-bambino ha interamente mutato il nostro quadro di riferimento per lo studio della natura e del ruolo del trauma." (Khan) In questo modo anche la teoria del trauma, fondamentale già in Freud che aveva individuato nella nascita il primo e fondativo trauma , si é andata nel tempo modellando più che sull'evento della nascita sulla relazione madre-bambino. Dalla procreatrice si é passati alla madre con conseguenze ancora non valutate in tutta la loro importanza.
L'articolazione e le modificazioni che la teoria del trauma ha subito nel corso del tempo ha contribuito non poco a disegnare una figura materna inedita prima di Freud.
La madre acquista nelle teorizzazioni dopo Freud, soprattutto con lo sviluppo della psicoanalisi infantile, sempre più potere, sia come "appoggio"(Laplanche) fondamentale perché il nostro Io si formi e si nasca così alla vita psichica, essa é propriamente un'ego-creatrice, sia come funzione che opera per un certo tempo al posto dell'Io nascente dell'infans. L'enfasi posta dalla psicoanalisi sul ruolo della madre nei primi mesi di vita del bambino/a ha avuto l'effetto di depotenziare la donna e la sua soggettività a tutto favore della funzione materna. In questo modo si é realizzato uno slittamento dalla madre al materno di cui dà conto acutamente Pontalis che afferma "Che cosa ci si guadagna a dire "il materno" anziché "la madre"? Il ricorso all'aggettivo sostantivato ci propone un essereneutro, diffuso, senza una destinazione direttamente assegnabile ad una persona, a una figura, ad un sesso. Spostamento verso la funzione?" (corsivi miei)
La deriva materna risucchia la libido femminile dentro il gorgo dell'istinto materno.
Una conseguenza di questa deriva poco valutata dagli psicoanalisti sia dal punto di vista metapsicologico ma anche da quello storico, é la sorte che il conflitto tra pulsioni di vita e pulsioni di morte subisce nella donna la cui identità é significata principalmente dalla funzione -scudo- materna.
Va forse rintracciata in tale esaltazione della funzione `conservativa' della madre una delle radici della melanconia non solo femminile.
La melanconia maschile infatti non può che attestarsi sul rovescio di questa nuova situazione storica e psichica: l'uomo sembra avere sempre meno a disposizione dello scenario interno una rappresentazione, socialmente confermata, della propria funzione nei processi di formazione e conservazione della specie.
La madre ( lo sguardo materno), nella sua funzione di stampo che mette in forma l'Io e successivamente di "scudo protettivo" di quello stesso Io, finisce per assommare su di sé le funzioni pratica e simbolica che prima della crisi della famiglia borghese ( di cui forse Freud é stato inconsapevolmente uno dei precursori) era distribuita sulle due figure della madre e del padre.
Il tramonto del complesso edipico auspicato come aspetto maturativo del soggetto umano ai giorni nostri prende la deriva dell'eclissi della figura del Padre e dell'ipertrofia di quella della Madre.
Lo scivolamento dalla madre al materno e dal padre al paterno colloca le funzioni parentali su due soggetti la cui identità sessuale é crescentemente"neutralizzata" essendo ambedue ridotti a "facenti funzione di". La parentalità assume così nuovi significati che ben si inseriscono nell'orizzonte `progressista' del mercantilismo che tende all'ottimizzazione della prestazione a scapito delle caratteristiche del soggetto che la fornisce.
E' singolare e non privo di implicazioni inconsce che i rivolgimenti storici, culturali e scientifici, giunti ormai anche nella stanza d'analisi, che hanno profondamente modificato lo scenario intrapsichico e il mondo interpersonale di uomini e donne, a livello dell'immaginario collettivo abbiano assunto la forma (difensiva?) dell'ipertrofia della figura materna al punto da estendere metaforicamente "il lavoro di cura" (di chiara ascendenza materna) a ogni situazione nella quale l'autodistruttività e la distruttività rischiano di uscire fuori dal controllo sociale. Basti pensare al ruolo delle donne nei conflitti attuali, nelle mediazioni internazionali (Albright, Fontaine ecc), nella cura della relazione pubblica e privata. Dietro molti dei ruoli socialmente importanti delle donne si nasconde la speranza e l'idealizzazione che ne vorrebbero fare lo "scudo protettivo" contro le guerre, le perversioni e quant'altro é apparentato con la morte.
Sembra che neanche le e gli psicoanalisti più attenti e sensibili ai mutamenti storico-sociali trovino nell'apparato teorico e concettuale della psicoanalisi categorie e rappresentazioni che diano nome e quindi senso e significazione ad una relazionalità che non sia la inesauribile ripetizione del rapporto d'origine con la madre.
La psicoanalisi é immersa, come ogni creazione dell'umano, nella storia nella quale ha immesso una concezione della soggettività inedita: essa ha sin dalla sua nascita messo in tensione l'esperienza con la traduzione che l'Io ne fa "all'interno" del soggetto. E' in virtù dei processi traduttivi, che permettono l'assunzione in termini soggettivi del messaggio dell'altro (Laplanche) che anche l'interazione madre-bambino diviene esperienza psichica. Ma la madre é, prima ancora di essere interiorizzata, una persona di sesso femminile immersa nella storia e soggetta alle sue modificazioni.
Pertanto l'imago materna, la madre interiorizzata, insegue ed é inseguita dai rivolgimenti storici del ruolo delle donne. Di essi fa parte, anzi ne é il cuore, la trasformazione che sta avendo nelle rappresentazioni individuali e collettive la sessualità femminile.
Laplanche precisa che tra sessualizzazione (collegare alla sessualità) e sessuazione (collegare alla differenza dei sessi) vi é una distinzione importante. La prima riguarda per questo autore l'inevitabile carica sessuale che ogni adulto, di qualsiasi sesso, immette inconsciamente nel rapporto con l'infans che é impotente di fronte alla potenza del desiderio dell'adulto. Di qui l'aspetto costitutivamente traumatico della relazione adulto-bambino.
La sessuazione é invece il modo come si declina secondo la differenza tra i sessi la vicenda umana. Ma tale differenza vede da un lato l'uomo e dall'altro non vede, come la logica vorrebbe, la donna bensì la madre. E' assai raro trovare metafore della sessualità adulta, che tanta parte ha nella formazione `traumatica' dell'Io del bambino (é bene chiarire che non si tratta di un abuso come lo si intende comunemente ma del l'impossibilità del bambino piccolo, prima cioé che abbia accesso al linguaggio, a tradurre ciò che gli arriva da parte dell'altro), che non si riferiscano anche metaforicamente alla penetrazione e quindi alle modalità sessuali dell'uomo. La madre che allatta (é esemplare in tal senso l'interpretazione che Laplanche dà del caso di Leonardo) "penetra" il lattante con il seno che diviene così un sostituto del pene.
C'é da chiedersi d'altra parte se anche la penetratività, sia essa del pene o del seno, non sia a sua volta la rappresentazione sbiadita dell'intrusività del sessuale inconscio nella relazione adulto-bambino.Circostanza questa che sottolinea, pare a me, ancora meglio la mancanza e la necessità di una rappresentazione che vada oltre il pene e il seno come oggetti metonimici di un'altra intro-missione.
La cura materna finisce così per avere il compito di riparare ( nel doppio significato di nascondere e restaurare) gli effetti della seduzione-desiderio che la madre in quanto donna e in quanto persona adulta esercita inconsciamente nei confronti dell'infans.
Il modo come lo psicoanalista inglese Adam Phillips tratta il tema della distruzione e conservazione della vita così come si presentano nell'opera di Darwin e di Freud fornisce utili spunti per la riflessione sui temi trattati sin qui..
"Ciò che gli uomini mal sopportano é proprio la pura e semplice voracità del cambiamento." scrive nel suo libro dal singolare titolo i lombrichi di Darwin e la morte di Freud. In esso egli sostiene l'interesse di Darwin e Freud per come la distruzione (di cui l'opera dei lombrichi con la loro prodigiosa opera di digestione e quindi distruzione dell'esistente necessaria per la formazione del terriccio fertile é una straordinaria esemplificazione e metafora) serva alla vita e alla sua conservazione.
L'ipotesi dell'Autore é che attraverso l'introduzione dell'istinto di morte, uno dei concetti più controversi della storia della psicoanalisi, Freud suggerisce che la morte é un oggetto di desiderio. In questo immettendo, a differenza di Darwin, il vettore-desiderio nella vicenda della specie, che é appunto un'immissione e non una scoperta di qualcosa che era già inscritto nella vita biologica dell'uomo. L'istinto di morte rappresenta per Phillips "quella parte di noi che dubita della nostra fiducia nella conoscenza e nella verità".
Affermazione che porta, pare a me, come conseguenza che la vita non é un progetto epistemologico in cui dovremmo conoscere sempre meglio noi stessi e gli altri, e lo stesso istinto, lungi dall'essere la "verità naturale" dell'essere umano va considerato come una costruzione-rappresentazione che interviene après coup nella vicenda umana.
Sembra che nel momento stesso in cui la rivoluzione epistemologica darwiniana e ancor più quella freudiana disancoravano la vita da un fine che ne costituisse il senso, in quello stesso momento e forse proprio per via delle conseguenze intuite di quel rivolgimento epistemologico la psicoanalisi, nella figura del suo inventore, abbia messo in cantiere una contromisura che scongiurasse la mancanza intrinseca di senso della vita. La natura non ha al suo interno né un principio né un fine .Non può averli perché la vita oscilla ripetitivamente tra la nascita e la morte senza che questa ripetitività, che accomuna tutti i viventi, costituisca altro senso che la sua intrinseca insensatezza.
Basta pensare al fenomeno, frequentissimo, degli aborti spontanei e al timore sacro che incute da sempre il corpo femminile dentro cui la vita si fa con la stessa forza con cui si disfa e a cui é arduo dare un significato se non che la nostra specie non é diversa dai lombrichi di Darwin per quanto riguarda il suo `naturale' rapporto con la vita e la morte. E' solo a posteriori che imprimiamo alla nostra vicenda biologica un senso che la biologia non spiega e di cui non é causa. Come dire che é nell'aprés coup, a posteriori, che si costruiscono il senso e l'etica della nostra vicenda biologica. Il senso viene a noi dal linguaggio attraverso cui creiamo una relazione significativa tra eventi che non seguono un progetto intrinseco. Il progetto sorge nel momento in cui una certa sequenza (i miti d'origine servono a questo) diviene oggetto di comunicazione . E' nella relazione che la condizione biologica della specie diviene vicenda propriamente umana .
E' così che la madre nasce come Origine: nel momento in cui ci si fa la domanda "da dove vengo?".
La persona di sesso femminile della nostra specie, presa nella sua funzione biologica, rappresenta niente altro che il soggetto che ha la capacità, e non il compito, di procreare. Questa capacità é soggetta ad interne leggi che la regolano ma non ha uno scopo che la trascenda.
E' la donna, divenuta madre della creatura che ha procreato, il soggetto del linguaggio che racconta la vita e la morte, l'origine e il compimento, condannandosi così e condannandoci alla ricerca continua del senso della vita.
L'altra melanconia la si può a questo punto osservare con sguardo diverso. Cosa perde la donna nel momento in cui riceve ed accetta l'investitura della madre? La donna perde, pare a me, la possibilità di dare rappresentazione alla potenza (intesa certo come potere ma anche e soprattutto come possibilità di) di fare e disfare il vivente.
Costruire e de-costruire,fare e dis-fare, tessere e sfilare, legare e slegare sono alcuni dei modi con cui vengono indicate due operazioni che, solo se prese in coppia, imprimono all'esperienza umana il movimento che ne rivela l'intima vitalità. ( Fraire)
La mancanza ad essere dell'essere umano derivata dalla sua prematurità, dalla sua impotenza originaria che lo mette alla mercé dell'adulto e che imprime in ognuno l'angoscia di annullamento, ha nell'esperienza femminile una vicissitudine diversa da quella maschile. Ciò che un uomo teme e porta con sé di quello stadio della vita é qualcosa che ha a che fare con l'angoscia relativa all'essere stato messo al mondo dalla propria madre incompleto, non finito, non pronto per la vita.
Un angoscia simile abita sicuramente anche le donne ma prende la strada dell'essere capaci o meno di mettere al mondo una creatura completa, pronta per la vita. In altri termini il soggetto di sesso maschile non può ripetere `col corpo' l'esperienza della creazione (e del disfacimento) mentre quello di sesso femminile attraverso le gravidanze, sia quelle interrotte che quelle portate a compimento, ha questa possibilità. Nella vicenda della specie questa differenza crea, io credo, diversi presupposti alla simbolizazzione della vita e della morte.
Scrive Green che l'analista non legge il testo costituito dalle tracce offerte al suo ascolto bensì lo `slega'. Nel nostro caso il mito d'origine a cui sembra legata indissolubilmente la madre, come colei-che-dà-vita , é il testo che va slegato. Lo psicoanalista "spezza la secondarietà per ritrovare, al di quà dei processi di legame, lo slegamento che il legame ha ricoperto." In altri termini accoglierei l'indicazione di Green come una necessità per la teoria psicoanalitica di s-legare la funzione materna dalla madre e quindi dalla donna. Il processo secondario con le sue rappresentazioni della donna come datrice-di-cura, di cui anche, e forse soprattutto, la psicoanalisi é impregnata, lega il desiderio e con esso la sessualità femminile coperti dalla funzione materna grande baluardo eretto nel tempo a copertura dello slegamento che alimenta il desiderio della madre.
Se é vero, come Green afferma, che é compito dello psicoanalista "slegare" il testo ovvero scoprire il nucleo di verità che vi si nasconde, propongo di indagare la melanconia femminile, tanto per cominciare, come un testo che va slegato dalla convinzione che essa abbia a che fare con la perdita di per orientare la ricerca piuttosto verso la mancanza di. Ciò che manca alla donna é proprio una rappresentazione della mancanza che é l'esperienza che permette la messa in forma del desiderio.
Colei il cui desiderio é ostruito é per definizione destinata ad impersonare il soggetto melanconico.
Alla culla del neonato vi é la madre, spesso impaurita (anzi terrorizzata) dal desiderio di disfare ciò che ha appena creato. La forza con cui nutre, accarezza, guarda il proprio bambino é carica del desiderio di farlo e disfarlo nel tentativo, umano, di ricreare la situazione di incompletezza che alimenta ogni desiderio e che inquieta e nutre ad un tempo le fantasie femminili durante la gravidanza. Con la nascita di un figlio la donna abdica a quel desiderio trasformato nella speranza di perfezione del figlio e si sente spinta ( ma di che origine é questa spinta?) ad assolvere alla funzione materna rinunciando così in un sol colpo alla madre e al pulsionale. Funzione versus pulsionale/sessuale mi chiedo? E non é proprio nell'ipotesi di una sconfitta del pulsionale che é lecito parlare di melanconia e nella fattispecie di melanconia femminile?
Tutti , proprio come afferma Phillips, abbiamo da perdere oltre che la vita il diritto a desiderare la morte. La madre nella sua funzione di origine e custode della vita deve rinunciare a quel diritto due volte: come donna e come madre.
L'autore che ha più incisivamente teorizzato la necessità della distruzione dell'oggetto é Winnicott. Solo che egli guarda a questo procedimento, necessario allo sviluppo della creatività, principalmente quando non esclusivamente dalla parte del bambino.
A me sembra che manchi nella teoria psicoanalitica un'adeguata rappresentazione dell'impulso a disfare della madre che non sia spaventoso. E questo, credo, per via della insufficienza attuale dell'apparato concettuale, a dispetto delle modificazioni che l'esperienza ci mostra, a s-corporare la sessualità femminile dalla cura materna. O a svelare questo aspetto della sessualità femminile nascosto dentro lo sguardo, la parola e il gesto della madre senza patologizzarlo.
Non resta, pare a me, che partire dalla conoscenza avanzata che abbiamo della funzione fondativa che la madre (il grande altro dell'origine della vita psichica) ha nella formazione dell'Io sia maschile che femminile e che autori anche diversissimi tra loro, chi in modo più esplicito (Winnicott) e chi più indirettamente (Lacan e poi Laplanche) hanno messo in grande rilievo.
In questo orizzonte, ciò che sembra garantire continuità all'Io, sia femminile che maschile, é quell'aspetto di creatrice di relazionalità della donna che spesso si esprime e si realizza nel rapporto madre-bambino, ma non perciò si identifica e si risolve nella funzione materna.
La sessualità femminile, non ancora riconosciuta anche come desiderio che eccede la funzione materna , diviene così la "spina irritativa" che reinterroga la metapsicologia ponendo all'ordine del giorno la necessità di concepire uno slegamento che non sia appiattito sulla pulsione di morte della cui esistenza d'altronde la funzione materna, sempre più imponente ed estesa metaforicamente ad ogni aspetto della cura di cui la nostra civiltà necessita, resta una traccia non solo archeologica.
*Pubblicato in: AAVV dal titolo "Pensare l'inconscio" 2001 Manifesto Libri
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