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Qui lo dico e qui lo nego

6 Ott 12

Di montaninig

Parte I

    Una rilettura del perturbante freudiano

(…) Quindi il sublime non si può unire ad attrattive; e poichè l'animo non è semplicemente attratto dall'oggetto, ma alternativamente attratto e respinto, il piacere del sublime non è tanto una gioia positiva, ma piuttosto contiene meraviglia , cioè merita di essere chiamato un piacere negativo.” (I. Kant, Critica del giudizio)

        

    In questa  rilettura di Das Unheimliche (Il Perturbante) – saggio che Freud scrive nel `19 e anticipa, come mostra bene Derrida, la crucialità della  questione del piacere negativo che si verrà a porre nel `21, in tutta la sua forza, con Al di là del pricipio di piacere – seguo un'episteme di confine secondo cui passione e rappresentazione sono un unicum indisgiungibile. La suggestione (in parte heideggeriana) di un ordine simbolico dove l'origine si lascia `sentire' prima ancora che pensare nel senso presentativo del termine e il sentimento essenziale dell'originario è dunque l'angoscia, mi è parsa sorprendentemente in linea con la `grana' emotiva di cui consiste la scrittura di questo saggio: di questa `grana' perciò intendo qui  specificamente occuparmi. Insieme  però sollevo la seguente questione che procede di pari passo: della tramatura semantica che, in questo saggio, allinea il materno e le sue figure sull'asse dell'angoscia e del perturbante, Freud sembra essere del tutto inconsapevole.  La `grana' del saggio sembra dunque sfuggirgli per così dire dalla penna proprio nel momento in cui mette in sequenza, nel testo, il sentimento del perturbante e il corpo femminile. Questo corpo, nella relazione  passionale che Freud istituisce con esso (e non solo Freud: ritroviamo questa metonimia in tutto il pensiero pisicoanalitico) si dispone  accanto all'origine, come esemplarmente mostra il saggio in questione. Questa particolare posizione che il corpo femminile occupa in ogni punto della costruzione psicoanalitica, freudiana e non, lo carica di tutte le aporie e impensabilità che in verità pertengono all'origine: pertanto queste aporie finiscono con il ricadere di fatto sul primo significante che permette di rappresentare l'origine nella catena simbolica: la madre come spazio figurale dell'inconscio. Lo sappiamo, la psicoanalisi non si occupa del sesso come tale ma del desiderio (che alcuni autori come Laplanche chiamano oggi Il sessuale). Questo desiderio, per quanto riguarda il femminile (inteso qui non come `genere' come vorrebbero alcune recenti scuole del pensiero femminista americano ma come specifico sessuale), si coglie, nell'intero percorso dell'elaborazione freudiana, solo attraverso faticose operazioni di rovesciamento e “decostruzione” della  stesse costruzioni testuali. Prendendo a prestito, ma non con gli stessi fini, l dispositivo con cui Lacan centra la questione del desiderio femminile nel suo seminario su La lettera rubata, potremmo individuare il seguente paradosso: questo desiderio è talmente presente nell'opera di Freud da risultare invisibile. 
    Per inoltrarmi sulla traccia di quelle che sono, a mio avviso, le condizioni di possibilità di ciò che nell'opera di Freud è invisibile – il desiderio femminile – partirò da ciò che in essa, e in particolare nel saggio in questione, è assolutamente visibile, vale a dire il  sentimento del perturbante.  In prima battuta mi servirò però di alcune notazioni che, sembreranno forse accessorie o addirittura 'fuori tema', periferiche rispetto al nucleo centrale della questione che comunque esse contornano e, come margini, definiscono.     
    Il Perturbante freudiano si spinge, all'insaputa del suo autore, oltre una riflessione pura e semplice sull'oggetto artistico: infatti, riletto oggi, alla luce di considerazioni che pongono alla base del linguaggio in generale – come di quel particolare linguaggio rappresentato dall'arte – un corpo pulsionale, un territorio materno da cui entrambi trarrebbero sia l'impasto semiotico che la forma, Il Perturbante esibisce una sorprendente consonanza con alcune recenti formulazioni che indagano nel testo come corpo, e giungono a rintracciare nel femminile (inteso nella sua accezione più allargata di area semantica) il luogo originario da cui trae matrice il senso. Esemplare in questo senso l'analisi di André secondo cui la figura femminile é "generatrice potenziale dell'opera, maelstrom selvaggio che precede la distribuzione delle rappresentazioni e nello stesso tempo ne minaccia la dimensione figurativa"
    
    Da questo vertice, la regressione, nel suo senso letterale di `spinta all'indietro', connessa alla creatività artistica, non può essere – come vuole Kris – "al servizio dell'io", ma è soprattutto un movimento che sconvolge questo "io", lo ingorga, e lo costringe a una sortita obbligata nel territorio del simbolico, dove prende a prestito i segni come un limite da superare ed eccedere. Inoltre, uno degli spunti più interessanti offerti dallo scritto frendiano del 'l9 (là dove esso impiega il termine "estetica" inteso nella sua accezione più ampia riconducibile al senso greco di aisthesis ) è quello che ci riconsegna il "sentimento”, come momento che, fondando l'umano come tale, lo consegna perciò stesso alla finitezza e al tempo. In questo contesto il sentimento del sublime è un `negativo' di marca particolare dove l'esistenza spinta e  risospinta contro lo scoglio dell'origine è costretta ad articolare percorsi ai bordi di un io che si perde ugualmente nel fascino  dell'origine come nel suo orrore. Chi come Freud è “costruttore di territori, di lingue, di opere, esule dal territorio materno” come dice Kristeva per Artaud e per Céline, scrive, lo vedremo, a ridosso del pericolo e della perdita, nello spavento del sublime e nello spaesamento del perturbante.

     Per Freud però che lo scriveva nel 'l9, comunque, Il Perturbante doveva essere una ricerca "su una determinata sfera dell'estetica…negletta dalla letteratura specialistica", uno studio su quel "nucleo periferico" che il perturbante sta a rappresentare nella più vasta area dello spaventoso, niente di più. 
    Vedremo come, rispetto agli intenti esplicitamente dichiarati, il saggio freudiano certamente contiene `un di più': esso infatti esplora la deriva del senso implicita nella lingua, la part maudite del testo, il suo fondo di indicibile che lo rende in definitiva "spaventoso" per il grumo libidico`che esso sottende.  Tallona, se così si può dire, l'enigma di ciò che è originariamente spaventoso, sfiorandolo e in definitiva mancandolo per via dell'innesco, nel corpo stesso del testo, della logica passionale negativa che , sempre questo stesso testo, nelle sue aporie, svela.
    Tutta la scrittura del Il Perturbante è segnata di fatto da una intima necessità di rendere conto, alla luce dell'analisi linguistica, della singolare posizione che il termine Unheimliche occupa sia nel contesto della lingua tedesca che in quello delle altre lingue. Se sotto questo profilo questo scritto freudiano diventa, quindi, un prezioso attestato di come il lavoro psicoanalitico possa essere, rispetto alle pieghe e alla profondità della lingua, “anche” un'ermeneutica, uno svelamento del senso,quello che interessa sottolineare qui di questa caccia al senso é soprattutto la puntigliosità con cui é portata avanti e i  suoi  contadditori risultati: il `carniere' di Freud  risulterà infatti, alla fine del lavoro,pieno a metà e a metà vuoto
    Unheimliche (pericoloso, nascosto), è – come mostra Freud –
    lo sviluppo semantico di un termine che indica il suo esatto contrario,heimlich (domestico, fidato) e ne mantiene, nonostante la negazione un e insieme grazie a questa, parzialmente il senso quando è usato per indicare una sfumatura particolare del sentimento della paura, quella che i traduttori italiani di Freud hanno scelto di rendere, appunto, con l'aggettivo "perturbante”. 
    Inoltre – nota ancora Freud – nessuna lingua permette una traduzione che riesca a rendere pienamente la doppia cerchia di rappresentazioni che l'aggettivo tedesco implica, come pure alla traduzione sfugge il senso negativo del prefisso un: pertanto una piena comprensione del nodo semantico contenuto in Unheimliche rende necessario accettare la trasposizione concettuale del termine data da Schelling che sembra pienamente esplicitarne la condensazione e insieme rendere ragione della particolare paura che il termine è chiamato a denominare.
    Unheimliche, per Schelling, "è tutto ciò che avrebbe dovuto rimanere nascosto e invece è affiorato".
    Quanto il saggio, nella sua tramatura emotiva, riproponga lo statuto stesso dell'Unheimliche in Freud stesso che lo scriveva traspare a patto che si metta in atto nei suoi confronti quella "tecnica del sospetto" a cui il metodo psicoanalitico stesso ci ha avvezzato. Così sembra sorprendente ma non incredibile  rilevare che  il discorso di Freud,nel suo farsi, si scontri, in questo testo più che altrove, internamente con quella stessa negazione di cui veniva saggiando le implicanze strette con la rimozione e il suo processo. E ciò accade nonostante la teoria del sogno come quella del lavoro nella stanza d'analisi, costruite da Freud , avessero messo in evidenza – per la decifrazione sia dell'uno che dell'altro – il potere decisivo della negazione (intesa secondo i canoni della logica classica, ma usata di fatto per sovvertirli secondo lo specifico che Lacan chiama dialettica analitica).
    I1 nevrotico – dice Freud – nega ciò che vuole tenere celato e,mentre nega, introduce nel suo discorso un "fattore" di verità, quello che Derrida ha chiamato "il velo dell'`aleteia'".
    La negazione, così `trattata', ha un alto potere detonatore: essa smaschera le difese attraverso cui il rimosso sbarra il senso all'interno stesso del discorso e mostra l'inevitabile `resto' di cui l'operazione puramente logica non riesce a dare conto, e per questo ci si sente spinti e incoraggiati a usare di questa chiave  – il dispositivo di negazione – per entrare  più a fondo nel saggio e cercarvi ciò che la sua "lettera",vedremo, palesemente vi nega.    !
    I1 femminile – vedremo ancora – come `corpo di senso' o, per usare un'espressione spettralmente scherzosa ` corpo che fà senso', ,sta a questa `lettera' come l'irrappresentabile sta al linguaggio: limite, "corpo semiotico" contro cui prende forma il segno.
    Così inteso il `femminile' rappresenta di fatto il luogo più controverso e ambiguo dell'intero discorso freudiano. Il corpo della madre sembra avere in questo discorso – che non  però non lo denuncia mai – la stessa polivalenza del nome del padre, ma una assai diversa e molto più frammentaria elaborazione teorica. Lo ritroviamo infatti, questo corpo di desiderio in ogni `punto critico' della teoria nel suo farsi: momento decisivo – come ha chiarito Lacan – dove si gioca la questione della differenza (la "fase dello specchio “) e quindi del nome, condizione della simbolizzazione (come mostra il gioco, del fort -da), 'figura' da cui prendono i contorni la Verleugnung (diniego) e la Verneinung (negazione), seppure in due registri diversi,il simbolico e l'immaginario. Latenza continua,costante allusione – ma non più che  una latenza, non più che un'allusione – un femminile nascosto che tuttavia riemerge e riaffiora segna di sé il farsi del pensiero psicoanalitico alle sue origini e la mente di Freud che lo andava pensando.

    Freud, sappiamo da Irigaray, non poté articolare il suo pensiero fino a rendere `concepibile' la differenza.  Se avesse riconosciuto il potere formidabile  del femminile nella costituzione del senso della sua teoria,se non lo avesse ritenuto impenetrabile per il discorso analitico, nel '32, pochi anni prima della morte, rispetto alla femminilità che continuava per lui a rimanere un "enigma"  non avrebbe rilasciato la seguente e ormai celebre dichiarazione: 

"…Se volete saperne di più sulla femminilità,, interrogate la vostra esperienza o rivolgetevi ai poeti, oppure, attendete che la scienza possa darvi in proposito ragguagli meglio appronditi e più coerenti"

 Con questa resa d'armi  Freud dimenticava la doppia operazione che a sua propria insaputa, aveva condotto scrivendo il saggio del `19. Dimenticava di essersi avventurato ,proprio con Il Perturbante, nel territorio dei poeti, e di  avere detto insieme , rispetto alla “scienza", una `verità' scientifica. Una verità  specifica e valida  per quella nuova paradossale scienza, la psicoanalisi  ` scienza del soggetto' o `scienza del sentire', rintracciata con  strumenti  assolutamente  anodini per la scienza classica: quelli del sentimento.
Quella stessa verità, in definitiva, di fronte alla quale egli aveva rimproverato  a Breuer di essersi arrestato. 
Verità `singolare' dunque, colta con una `procedura' altrettanto  `singolare',  negata nella sua specificità non solo da Freud ma dal pensiero psicoanalitico a lui successivo, il cui farsi, nel testo del `19, tenterò di ripercorrere  quipasso passo.
    Non è un caso innanzitutto che proprio in una qualità particolare di negazione  ci imbattiamo in apertura del saggio:        
Così Freud scrive
    
"…La difficoltà che emerge nello studio del perturbante… è che la sensibilità verso questa qualità del sentire è sollecitata in maniera diversissima da individuo ad individuo. Anzi, l'autore del presente saggio deve accusare una particolare sordità in proposito, laddove occorrerebbe una ricettività particolarmente acuta. Da parecchio tempo non ha vissuto direttamente e non è venuto a conoscenza di nulla che potesse suscitare in lui il sentimento del perturbante".

    Ma leggiamo più avanti:

    "Una volta, mentre percorrevo in un assolato pomeriggio estivo le strade sconosciute e deserte di una cittadina italiana, capitai in un quartiere sul cui carattere non potevano esserci dubbi. Alle finestre non si vedevano che donne imbellettate e mi affrettai a svoltare appena possibile abbandonando la stradina. Ma, dopo avere vagato senza meta per un bel po', improvvisamente mi ritrovai nella medesima strada ove la mia presenza incominciò ad attirare l'attenzione e la mia rapida ritirata ebbe un'unica conseguenza: dopo qualche giro vizioso mi ritrovai per la terza volta nel medesimo luogo. A questo punto mi colse un sentimento che non posso definire altro che perturbante…" 
    
E in una delle pagine conclusive del saggio leggiamo:

"A conclusione di questa serie certo incompleta di esempi, dobbiamo citare un'esperienza che traiamo dal lavoro psicoanalitico e, che se non dipende da una coincidenza casuale, fornisce il più valido esempio alla nostra concezione del perturbante. Questo perturbante (Unheimliche) è però l'accesso all'antica patria (Heimat) dell'uomo, al luogo in cui ognuno ha dimorato un tempo e che è anzi la sua prima dimora.- Amore è nostalgia-dice un'espressione scherzosa, e quando colui che sogna una località o un paesaggio pensa, sempre sognando:-Questo luogo mi è noto, qui ci sono già stato-è lecita l'interpretazione che inserisce al posto del paesaggio l'organo genitale o il corpo della madre. Anche in questo caso, quindi, Unheimlich è ciò che un tempo fu heimisch (patrio), familiare. E il prefisso negativo un è il segno della nmozione".

    Gli scritti sul diniego (Verleugnung) (I1 feticismo, 1927, Compendio di psicounalisi,1938, La scissione dell'Io nel processo di difesa, 1938), sono tutti posteriori al Il Perturbante.
    Ma già nel `18 , con L'uomo dei lupi, si profila quel modello particolare di negazione, la Verleugnung, che sarà successivamente assunto da Freud come prototipo di qualsiasi altro diniego della realtà. Tale prototipo, come ben chiarisce Mannoni, ha bisogno per effettuarsi di un gioco immaginario in cui operino contemporaneamente una affermazione e una negazione (Verleugnung) logica, secondo la struttura "sì, lo so che non è vero, ma ci credo".
    Alla luce di quanto viene via via emergendo nello scritto freudiano del `19, la negazione iniziale di una personale e soggettiva  esperienza di "perturbante",in seguito rettificata con un'affermazione – in realtà Freud ha provato questo sentimento, vedremo, in circostanze perlomeno singolari – induce, quasi giocoforza a considerare il diniego rispetto al sessuale femminile il nucleo profondo del sentimento del perturbante.
     Già altrove definito "continente nero", il  corpo femminile,o se vogliamo il corpo della madre'lasciva' emerge gradatamente in questo luogo dell'analisi freudiana come la condizione stessa del perturbante, il suo luogo di nascita, e, se così si può dire ,parafrasando il testo, la sua patria (Heimat).
     Chi potrebbe dire:”Scrivo per non aver paura”? si chiede Barthes nel Piacere del testo. Forse, nel 1919 Freud avrebbe potuto a ragione dirlo, quando si spinge nella ricerca del termine "perturbante", "quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare", tanto avanti.  L'equazione corpo materno= perturbante, `scoperta scientifica' di cui però ,  dicevo, proprio in forza del diniego vivamente operante in tutto il suo testo, egli non riesce a tenere conto (se non confinadola  ai bordi della sua  teoria ), Freud la incontra grazie all'intuito di chi ha istituito con la parola un  rapporto particolare e segreto – l'intuito dello scrittore -. 
Freud intravede  infatti con molto anticipo, rispetto a11e ricerche sulla semiosi che oggi sí vanno svolgendo ,che solo la lingua madre contiene il senso dellá madre, e può restituire con un solo aggettivo (nel caso specifico unheimlich) un' intera storia di tracce: storia, che ,nella lingua lega il soggetto,alla sua origine. Storia che il soggetto, per esistere come tale, deve dimenticare ma di cui la lingua reca la traccia. E “…il prefisso negativo “un” é il segno della rimozione”

    Diciamo di più: “un” non è solo il segno della rimozione o, meglio, è anche il segno della rimozione, ma porta in luce innanzitutto la marca del divieto di cui la rimozione è solo il prezzo. E' un contrassegno di divieto di accesso, traccia del tabù arcaico che il corpo della donna/madre sessuale da sempre nella nostra cultura sta a rappresentare per l'uomo e per se stessa: il segno dunque che marca tragicamente la condizione dell'esistenza del  desiderio femminile nel tessuto immaginario, da una parte vittoriosamente legato al sacer e dall'altra (proprio per questo) inevitabilmente tabù,perenne    rimosso. Luogo delle origini e luogo di non ritorno..
    "Il femminile è il rimosso della storia": a questa secca e precisa costatanzione di Juliet Mitchell, in Psicoanalisi e femminismo , il luogo che esso occupa, perlomeno all'interno del discorso freudiano, sembra in tutto dare ragione.
    Ma perchè questa inesorabile rimozione?
    Qualche congettura in proposito si può fare spingendosi oltre nella lettura de 1I Perturbante, questo testo in cui si dovrebbe parlare della paura o per lo meno di una qualità particolare della paura, e che gioco forza,per l'equazione che esso stesso al suo interno stabilisce tra perturbante e femminile, diventa una certificazione (magari cifrata) dell'evidenza che il femminile, a dispetto della rimozione che l'ha collocato nel discorso frediano come "enigma" e “continente nero", gioca, nella costruzione di questo discorso un ruolo particolare. Margine, da rintracciare sotto i dinieghi e le coperture, sponda senza la quale (come del resto mostrano gli studi sull'isteria) non sarebbe stata possibile l'edificazione dell'edificio freudiano così come é arrivato fino a noi, in questo edificio tutto costruito sotto il titolo di un Ur  centrato sull'edipo, `originario', e proprio per questo ai confini del rappresentabile, strettamente connesso dunque con la formazione originaria del “sentire psicoanalitico” é il desiderio femminile , anche se espresso mediante la sua negazione. 
Mi domando infatti se questa irrappresentabilità del desiderio femminile non sia strutturale al “sentire” stesso della psicoanalisi, un pedaggio che questa disciplina paga  all'impossibilità che le é strettamente intrinseca di lavorare dall' interno la metonimia origine-madre, separarne e scinderne i termini.
    Il sentimento del perturbante infatti nasce – e il testo lì lo afferma, come abbiamo visto e lì lo nega – nel momento in cui il soggetto recupera, d'un colpo, l'evidenza di appartenere a un nucleo originario ( il corpo della madre) di cui rappresenta una sorta di doppio vivente e a cui non può ritornare.

    Esemplare in questo senso è l'analisi del doppio contenuta nel saggio,che viene a comprovare il sospetto che in Freud ci fosse una profonda intuizione della vastissima portata semantica del femminile e un'altrettanto forte tendenza a seppellirla, o, per lo meno, a confinarla ai bordi del discorso analitico. Il sosia, infatti, a ben leggere il saggio, è la figura a cui più di ogni altra compete l'evocazione del perturbante. Questa figura, come rappresentazione interna, sorge "sul terreno dell'amore illimitato per se stessi, del narcisismo primario che domina la vita del bambino”    
    Lo stadio del narcisismo primario – se il saggio non lo dice a chiare lettere possiamo ricavarlo da uno scritto precedente Introduzione al narcisismo (1914) che lascia pochi dubbi in proposito – può considerarsi come la matrice semiotica della storia soggettiva nel momento in cui le  imprime il contrassegno, per quanto concerne il godimento, dell''unità del corpo del figlio e di quello della madre. I1 senso si erge contro questa barriera di indistinto, come scacco del desiderio rimosso che ritorna sui suoi passi, all'origine di una soddisfazione antica e di una pienezza perduta. E sarà questo il nucleo centrale di Al di la del principio di piacere.
    Quanto tutta questa vicenda fosse, per Freud che se ne andava occupando (non guasta qui dire "inconsciamente"), fonte di inquietudini che andavano respinte nel non-pensato, sia per salvaguardare l'edificio teorico che la direzione della cura, come per lui il segno del sesso femminile fosse legato indissolubilmente al piacere e alla morte , lo mostra un altro esempio di perturbante che egli ci fornisce ,rintracciato questo nel più generale patrimonio fantastico dei suoi pazienti:    
    
"…Alcuni vorrebbero attribuire lo palma del perturbante all'idea di venir seppelliti in stato di morte apparente. Senonchè la psicounalisi ci ha insegnato che questa fantasia terrificante non è che la trasformazione di un'altra fantasia, che non aveva in origine nulla di spaventevole, ma che anzi era il portato di una certa lascivia: mi riferisco alla fantasia della vita intrauterina…".

    La traccia dell'equazione perturbante/sessofemminile che unisce in un unico sentimento, il perturbante e l'amore – nostalgia per il corpo  vietato (per entrambi i sessi) della madre,comunque non viene seguita e svolta sistematicamente nel corso del saggio: è piuttosto un'intuizione, uno spunto improvviso, subito abbandonato dal discorso critico che si dedica invece diffusamente a una seconda apparentemente  più proficua equazione: perturbanteangoscia di castrazione.Così l'analisi racconto di Hoffmann 1I mago sabbiolino, che Freud a un certo punto del suo percorso di scrittura intrarprende, è tutta segnata dallo sforzo di rintracciare  nella vicenda di Nathaniel, il protagonista, esclusivamente l'angoscia di castrazione e di far scaturire da questa il sentimento perturbante che il racconto dovrebbe comunicare al lettore.

    Ma l'amore e la nostalgia per l'antica patria, per il corpo della donna – e la loro rimozione – continuano a segnare ciononostante la struttura del saggio, a impastarne la `grana'. Per questo il vero oggetto perturbante del racconto hoffmanniano, la bambola meccanica Olimpia, – concretizzazione materiale del fantasma del doppio – di cui Nathaniel è disperatamente innamorato,viene quasi passato sotto silenzio. Gli viene comunque dedicato un breve spazio all'interno di una lunga nota. 

    "Olimpia è per così dire un complesso distaccatosi da Nathaniel che gli si fa incontro come persona: quanto egli sia dominato da questo complesso, è espresso dall'insensato e ossessivo amore che egli nutre per Olimpia. Possiamo ben definirlo un amore narcisistico, e comprendiamo che colui che ne è  preda si estranei dall'oggetto d'amore reale…”

     Questo reticente commento in nota, quasi sfuggito a un discorso che porta altrove (al padre), rilancia ancora una volta l'invito a cherchez la femme che attraversa  come un filo rosso di latenza il pensiero di Freud  e… ancora oggi ci sfida.

Parte II

Sessuale , sintomo, senso

Dopo avere a lungo meditato, Zeus disse: “Mi pare di avere a disposizione un mezzo che permetterebbe agli uomini di continuare ad esistere e, divenuti più deboli, cessino di essere così sfrenati. Infatti ora – continuò – li taglierò ciascuno in due, cosicché da un canto, essi saranno più deboli e, d'altro canto, saranno più utili a noi perché diventeranno maggiori di numero…”

Dopo avere detto questo, tagliò gli esseri umani in due, come quelli che tagliano le sorbe per farle essiccare, o come quelli che tagliano le uova con un crine. E per ciascuno di quelli che tagliava dava ordine ad Apollo di rivoltargli la faccia e la metà del collo verso la parte del taglio, in modo che l'essere umano, vedendo questo suo taglio, diventasse più mansueto. E Apollo rivoltava la faccia, e tirando da ogni parte la pelle su quello che oggi viene chiamato ventre, come si fa con le borse che si contraggono, la legava nel mezzo del ventre, facendo una specie di bocca che ora si chiama ombelico e spianava molte altre pieghe. Ma ne lasciò qualcuna intorno al ventre medesimo e intorno all'ombelico, in modo che restasse il ricordo dell'originario castigo…    

(Platone, Simposio, 189 D-190 E)

    La relazione d'ignoto e la strategia feticistica
    
    Abbiamo visto come nel dispositivo di scrittura di Freud ciò che è trattato come un accessorio, la questione del desiderio femminile, rivesta di fatto, anche se in modo assolutamente anodino, un valore centrale.
         Con il desiderio femminile Freud difatti ha intrattenuto una relazione strettissima e particolare, quella che chiamerò, da qui  in avanti, ”relazione di ignoto”, utilizzando, per chiarirne il senso  un  altro  suo saggio, Il feticismo che porta la data del `27.
       Tra questo saggio e il lavoro di riflessione intorno al `perturbante' sono passati otto anni e in questo tempo il dramma dell'impossibile rappresentazione della differenza  nel testo di Freud é continuato : vorrei mostrarne qui l'interno  esito feticistico, esito che continuerà a segnare, a mio avviso, anche l'assetto rappresentazionale del pensiero psicoanalitico  a lui successivo. Mossa strategica di ritiro di fronte alla possibilità che l'edificio teorico potesse subire una scossa forte da ciò che fin qui ho indagato sotto il titolo di “perturbante?
     Se per soggettività intendiamo il rapporto unico e particolare che ciascun individuo è costretto ad intrattenere con il proprio “ignoto”, o se vogliamo, rimosso,qualsiasi lavoro teorico è la risultante del compromesso che il ricercatore riesce ad operare tra la  sua passione di conoscere e la propria, specifica e personale relazione di ignoto (ciò che non può permettersi di conoscere), un ignoto che ha le caratteristiche semantiche di quello che in tedesco va sotto il titolo del termine unerkannt: tale risultante lascia dietro di sé un “resto” che si offre alla ricerca, “scarto“ del pensato che aspetta di diventare pensabile.
        Unerkannt è, in tedesco, un termine polisemico: è utilizzato per designare tanto lo sconosciuto che il non riconosciuto. Non riconosciuto resta ciò che è stato conosciuto in origine, quello strano-familiare di cui Freud parla ne Il Perturbante: impensabile, inacessibile, esso esiste, ma solo nella sua potenzialità.  Gli effetti di senso della relazione di ignoto intrattenuta da Freud con il corpo femminile, che ne attraversa tutta la scrittura e culmina nella domanda angosciosa “Che cosa vuole una donna?”, a tutt'oggi rimasta inevasa, sono e rimangono, dunque, la “macchia cieca” non solo dell'autoanalisi di Freud ma della teoria psicoanalitica come tale, trasmessi come un  enigma transgenerazionale dal “padre” al pensiero della comunità analitica a lui successivo.
        Gli strumenti che a tutt'oggi abbiamo per indagare questo luogo oscuro – il desiderio femminile – sono esigui. Tutt'al più riusciamo a pensarlo come “desiderio di bambino”. Le analiste che hanno tentato di forgiarsene di propri e autonomi come Horney e Irigaray, sono state espulse dalle rispettive Società. L'invito lanciato da Freud alle analiste (e alle donne in genere) – in verità assai provocatorio e ironico – a sciogliere esse stesse l'enigma, è per lo più caduto nel vuoto, o nel migliore dei casi ha prodotto un lavoro settoriale sul “desiderio di bambino” come mostra una larga  fetta della ricerca teorica del primo femminismo.
        Cercherò di mostrare come il “desiderio di bambino” non risponda esaustivamente alla domanda: “Cosa vuole una donna?” utilizzando una lettura “sintomatica” di quanto Freud dscriveva nel saggio che porta il titolo Il feticismo.
        Leggiamo nell'incipit del breve saggio del `27:

Negli ultimi anni ho avuto l'opportunità di studiare analiticamente un certo numero di uomini la cui scelta oggettuale era dominata da un feticcio. Non occorre aspettarsi che queste persone si rivolgano all'analisi a causa del feticcio; esso infatti, mentre è riconosciuto da coloro che ne dipendono come un che di anomalo, solo in rari casi viene vissuto come fattore di sofferenza; per lo più queste persone si dichiarano soddisfatte del loro feticcio o addirittura mostrano di apprezzare le facilitazioni che esso procura alla loro vita amorosa. Di regola dunque il feticcio ha avuto  il ruolo di una scoperta accessoria. 
    E più avanti, sempre nel corso dello stesso saggio, leggiamo:
    
La spiegazione che l'analisi ha dato del significato e degli intenti del feticcio è sempre la medesima; essa è emersa con tanta naturalezza e mi è parsa così convincente che sono pronto ad aspettarmi la stessa soluzione in tutti i casi di feticismo. Se ora annuncio che il feticcio è il sostituto del pene, certamente tale asserto sarà accolto con disillusione; per questo mi affretto ad aggiungere che non è il sostituto di un pene qualsiasi, ma di un pene particolarissimo e ben determinato… Per dire le cose in termini più chiari, il feticcio è il sostituto del fallo della donna (della madre) a cui il piccino ha creduto e a cui, per i motivi che sappiamo, non ha voluto rinunciare

    Ma quali sono questi motivi?
    Scavando più a fondo nella globalità della visione freudiana ci imbattiamo innanzitutto nell'“inquietante estraneità” del corpo femminile, lo “sconosciuto” (o non riconosciuto) i cui organi genitali, sinonimo dell'invisibile, sono anche il luogo dell'irrappresentabile del corpo stesso. A questa “inquietante estraneità” l'organizzazione fallica, permessa dalla visibilità del pene (e la logica a cui dà luogo: maschile o castrato) risponde con il suo ordine rassicurante da opporre ad una specifica e pericolosissima condensazione del processo primario, quella del “piccolo staccabile”.
        Dice Freud ne L'uomo dei lupi.
Le feci, il bambino, il pene, costituiscono un'unità, un – sit venia verbo – concetto inconscio, il concetto di “piccolezza”, che può essere staccata dal proprio corpo”         
La piccolezza, o se vogliamo l`“essere piccolo”, è connessa dunque a una paura particolare, quella del distacco, dell'abbandono, la paura fondamentale dell'infans.  Il risultato teorico del controinvestimento di questa paura in Freud , riconsiderato alla luce delle nozioni  lacaniane di simbolico e immaginario, esita in due  costruzioni: la prima (simbolica) è  il reperimento e l'enunciazione della strategia feticistica in sé e per sé, strumento analitico come tale assai importante e utilizzabile in generale per l'ascolto dell'umano, al di là del genere; la seconda (immaginaria) è quella  della madre fallica, che è più una condensazione che una  costruzione, più una fantasia di desiderio relativa ad un solo genere, il maschile, che  uno strumento euristico in grado di darci ragione della sofferenza di entrambi i sessi.  Nel caso specifico  della costruzione immaginaria, la fantasia di madre fallica  garantisce che ella, sempre identica al bambino maschio per via del  suo preziosissimo pene (che è anche  perciò stesso un preziosissimo bambino), non potrà mai “lascerlo cadere”, e, come un canguro con il suo piccolo nel marsupio, lo porterà sempre con sé, lo avrà davanti a sé e lo “guarderà”.
        In altro modo detto, nella strategia feticistica, così come Freud ce la consegna, è inconcepibile rappresentarsi un corpo femminile che non sia il corpo della madre unito al suo bambino che è il suo fallo. Ma la messa in sequenza di pene-bambino-feci se la dice lunga sulla paura infantile di Freud,  se svela il suo timore di essere per la sua giovane e affascinante madre un accessorio, un materiale di scarto di cui ci si può bellamente liberare, dice molto poco, o non dice altro che non sia riconducibile al tema della castrazione. Lacan, imponedo a questa figura fantasmatica una piroetta acrobatica, ne farà, nella rappresentazione, il luogotenente della mancanza. Con lui, Lacan,la strategia feticistica riesce ad articolare un sistema di pensiero tanto potente e forte da lasciare fuori qualsiasi possibilità per la ricerca psicoanalitica a tutt'oggi di ricollocarsi nei pressi di un'interrogazione plausibile sul desiderio femminile, preso questo, sembra indissolubilmente, nel circolo vertiginoso della sequenza castrazione-mancanza castrazione. Ciononostate, pur avendo  la psicoanalisi, dopo Freud, gli strumenti che egli stesso le ha fornito per smascherare l'aspetto di “verità parziale” dell'equazione simbolica pene-bambino, come pure la possibilità di una revisione della teoria castrazione/mancanza lacaniana in visione di un'apertura più ampia sulla questione del desiderio,è accaduto che questa equazione sia stata presa alla lettera e la teoria lacaniana non interrogata sufficientemente ma semplicemente `applicata'.  In definitiva,  la prima nella sua nuda letteralità, ha autorizzato la psicoanalisi dopo Freud a un'operazione teorica che ha visto la riduzione del desiderio femminile al materno, la seconda ha riviato la questione del  desiderio femminile all'indicibile e all'irrappresentabile. Si tratta di una  psicoanalisi che ha dimenticato o ignora che per l'inconscio il bambino è il significante di altro e la sua equivalenza simbolica con il pene, il fallo e le feci è una delle tante possibili. Questa dimenticanza ha avuto ricadute pesantissime sulla pratica clinica e il suo superamento non è certo facile perché, come fa notare Cornut, un desiderio femminile che non si risolva nel materno, un femminile erotico che si definisca esclusivamente in rapporto alla differenza dei sessi e non sia fallico è, per lo stato attuale di una teoria ormai impoverita che ha ripristinato una concezione lineare e prefreudiana della soggettività, addirittura inconcepibile.
    Resta comunque un fatto: il saggio sul feticismo (per accogliere l'invito di Derrida a essere giusti con Freud) è soprattutto un breve, illuminante testo sulla strategia del diniego. Esso ci rende ragione del costrutto epistemico che sta alla base delle credenze e delle superstizioni, quello che si articola nell'enunciato “Sì, lo so che non è vero, ma ci credo”, di cui questo testo è una testimonianza e una metapsicologia. 
    Ma la strategia feticistica immaginaria, secondo la quale il pene-bambino non può né deve mai staccarsi dal corpo femminile e viene perciò direttamente applicato al corpo della madre, diventando un fallo (esso è infatti, ad un primo e più arcaico livello di rappresentazione, “il piccolo staccabile”, sentito come un accessorio, eternamente in pericolo e sempre minacciato), non riguarda soltanto le difese del singolo uomo rispetto al fantasma di castrazione. Riguarda anche e soprattutto la costruzione freudiana, basata su un dispositivo di sessualità che tiene conto solo di un sesso (e solo questo dunque, a fil di logica, permetterebbe di curare).    
    Il dispositivo “generale” di sessualità immaginato da Freud, come hanno sottolineato Irigaray, Koffmann, Cosnier, risponde pienamente alla logica maschile-castrato, che altro non è che la logica primaria del bambino “disperatamente” attaccato alla madre: una logica costruita sul diniego. L'escamotage (in verità tragicamente ridicolo) di “accessoriare“ il corpo dell'altro con  ciò che nel proprio corpo è già un pericolante accessorio, non solo dà ragione a Derrida in merito al differimento infinito della pensabilità della differenza, ma convoca gli analisti ad un'interrogazione radicale sui dispositivi di sapere che vanno maneggiando nella loro pratica.
    La relazione di ignoto, che è quella che Freud e la psicoanalisi hanno intrattenuto con il femminile e il suo desiderio, è dunque il frutto – nel testo di Freud, e non solo, – di una strategia difensiva che fin dai Tre saggi si risolve in una costruzione teorica forte che costringe a pensare il corpo femminile  in toto come la “negativa” del maschile. 
    Dalla continua tensione tra un sapere presunto (la costruzione teorica nel suo impianto sistematico) e la relazione di ignoto che lo lacera, emerge una  fondamentale verità passionale, quella che la parola sesso di per sé istituisce. Come si racconta nell'elogio dell'eros che Platone fa pronunciare ad Aristofane, il sesso ha a che fare con un secare (tagliare, separare) e rimanda dunque direttamente alla differenza, l'inconcepibile, l'impensabile.
        Così la teoria della bisessualità psichica, “verità passionale” (il cui valore difensivo possiamo cogliere  sempre e solo grazie alla tecnica del sospetto che abbiamo appreso dalla lezione freudiana) mima nel testo stesso di Freud ciò che accade nella mente infantile e nasce per rendere più accettabile, meno scandalosa e violenta la verità del sesso, la verità della differenza, da cui comunque discende e prende corpo. 
         A questo punto forse non possiamo non convenire sul valore di sintomo che la dichiarata ignoranza sul desiderio femminile riveste inequivocabilmente nella scrittura di Freud. Un sintomo che, assemblando insieme la rappresentazione della madre e del fallo, rimane aderente alla palese difficoltà di riconoscere, al di là del proprio desiderio, l'Altro. Questo “nucleo psicotico” è presente e “parla” esattamente là dove Freud dichiara “accessoria” la scoperta dell'importanza del feticcio nell'immaginario maschile, utilizzando egli stesso in prima persona e inconsapevolmente una strategia di diniego. Ma il sintomo é quello che rende possibile il lavoro analitico. Esso, impossibile da concettualizzare come la scrittura, affonda in quei luoghi del piacere preliminare indicati da Freud ne Il poeta e la fantasia. Serbatoio di tracce di un godimento perduto che il sintomo e la scrittura disperatamente cercano di riprodurre, ai bordi dell'uno e dell'altro, invisibile, ma non per questo assente, un corpo che `fa senso'  alla psicoanalisi. Un corpo femminile. O ,se vogliamo, la femminilità, quella che in Analisi terminabile e interminabile, non a caso, é indicata da Freud come la “roccia” contro cui si infrangerebbe l'analisi (e il suo pensiero).

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