Il ponte nei sogni ha quasi sempre il significato di avvicinamento, di conciliazione, di riconoscimento di nuovi aspetti di sé, di confronto e integrazione dei vecchi aspetti con i nuovi, di superamento di conflitti fino a quel momento vissuti come irrisolvibili.
La leggenda del “ponte del diavolo”, dice che il diavolo fa terminare la costruzione del ponte in una sola notte, ma in cambio chiede come tributo l’anima della prima persona che l’attraverserà.
Attraversare il ponte ha il senso di affrontare il diavolo, cioè di entrare in contatto con le angosce più profonde e spaventose (diaboliche), per riconoscerle, affrontarle e vincerle e in tal modo avvicinarsi e incontrare con maggiore sicurezza emotiva l’Altro da sé.
Il ponte nei sogni svolge la funzione di cerniera tra più elementi: tra soggetto e oggetto; tra realtà interna e realtà esterna; tra passato, presente e futuro.
Sognare il crollo di un ponte può rimandare ad aspettative deluse, a obiettivi prima avvertiti come possibili e successivamente vissuti come irraggiungibili, alla potenziale soddisfazione di bisogni che si trasforma in una cocente frustrazione.
La separazione, la perdita, lo scardinamento di rapporti fino a quel momenti vissuti come stabili e addirittura la sensazione di rovina irreparabile trovano rappresentazione onirica nella caduta di un ponte.
Quando, però, un ponte architettonicamente avveniristico come il ponte Morandi crolla nella realtà, si verifica anche uno specifico rischio di induzione da parte delle impressionanti immagini del disastro diffuse a getto continuo dai media sulla costituzione dello scenario onirico, che sicuramente ha un'origine personale e individuale, ma che è al contempo inducibile. Le successive fasi della caduta del ponte, cioè, si possono porre come uno strumento di visualizzazione degli aspetti più oscuri e meno integrati della personalità del singolo. Un'immagine esterna, un ‘paesaggio disastroso’ proposto a livello iconico, può talvolta assumere una funzione organizzativa, fornire rappresentabilità specifica a disegni interni disorganizzati in cerca di un’aggregazione rappresentativa. Il culmine del timore del crollo del ponte è rappresentato da una specifica fobia, la gefirofobia (dal greco géphyra, ponte), che provoca l’impossibilità di attraversamento a causa di veri e propri attacchi di panico. In alcune città degli Stati Uniti, le autorità hanno organizzato un servizio di assistenza sui ponti con agenti e volontari per aiutare gli automobilisti che patiscono di questa fobia e che possono arrivare a paralizzare il traffico se l’attacco di panico non gli permette di continuare a guidare.
Nello studio dello psicoanalista a Genova, dove la catastrofe ha avuto un’eco emotiva necessariamente più intensa che altrove, donne e uomini che pure non hanno avuto una relazione diretta con il disastro, hanno evidenziato vissuti di precarietà psichica, di azzeramento di progetti esistenziali, di depressione e angoscia di morte, di paura del futuro, di interruzione di relazioni affettive significative, di lutti e perdite irrisarcibili, ma anche di violenta distruttività vendicativa, di impotente bisogno di giustizia contro un responsabile invisibile. Le immagini oniriche che hanno rappresentato questi vissuti sono state veicolate dal ponte crollato continuamente riproposto dai media e dall’insicurezza fisica ed emotiva che ne è derivata. La caduta del ponte ha avuto un effetto psichicamente devastante primariamente sui sopravvissuti, i familiari e gli amici delle vittime e sui generosi soccorritori ma l’ombra del trauma si poserà a lungo nella psiche di tutti i genovesi che si confronteranno con quelle immagini strazianti anche attraverso l’ interruzione dei quotidiani flussi di traffico cittadino, con quella ferita aperta di cui ogni giorno e, temo a lungo, dovremo avvertire i dolorosi effetti.
0 commenti