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IL MESTIERE DELLO PSICOLOGO: LORO SI ASPETTANO CHE NOI…

6 Mar 21

Di SUSANNA-PREMATE

Diventare psicoanalista, diventare attrice

C’è chi decide a vent’anni di diventare psicoanalista e c’è chi, invece, inizia già dalle elementari a giocare al “far finta di”. E no, non abbiamo bisogno di un’analisi per scoprirlo, possiamo arrivarci anche da sole. Sì, da sole perché siamo donne, ma forse per gli uomini è diverso. Sarà all’incirca questo il pensiero della mia psicoanalista, Marisa Fiumanò, che percepisce la femminilità come una sorta di bandiera rosa da sventolare a destra e a manca ogni volta che si sente attaccata e che non riesce a dire “mi fai sentire sola”. Sì, “mi fai sentire sola”: questo dovrebbe dire un’attrice in formazione con il metodo Meisner.

Ah, no! Scusate, scusate tutti, mi hanno fermata dalla regia! Questo è l’articolo per psychiatryonline sulla formazione degli psicoanalisti, non la prefazione per il libro di recitazione!

Tranquilli, ce la faccio. Ci metto un attimo per rientrare in scena con un vestito diverso! Mi basta solo immaginare di trovarmi davanti al pubblico degli psicoanalisti più famosi del mondo.

– “Sì, si aspettano il tuo discorso. Sei a La Passe. Devi dargli prova della testimonianza del tuo desiderio.”

– “Dargli prova? E come si fa? Ma avevi detto che non avresti interrotto lo spettacolo se ci fosse stato qualche errore perché non se ne sarebbero accorti! E che sarebbe bastato ripetere quanto detto dall’Altro affinchè accadesse qualcosa di nuovo!”

– “Queste sono le prove! Sei alle prove! Ricomincia!”

– “Senti, io mi rotta delle prove! Vado in scena! Vado continuamente in scena!”

– “Vorresti forse non andarci più?”

– “Vedi, è complicato da spiegare, ma ci voglio comunque provare. Allora, loro si aspettano che noi facciamo i salti mortali, anche se non siamo acrobate. Loro si aspettano che noi corriamo, anche se non siamo atlete. Loro si aspettano che noi educhiamo bambini e ragazzini tra le 14.00 e le 18.00 e che ci convinciamo di non sapere nulla tra le 18.00 e le 20.00! Loro si aspettano che troviamo agli altri un lavoro e che quello sia il nostro lavoro! Loro si aspettano che noi scriviamo anche se non siamo scrittrici e che valutiamo romanzi anche se non siamo laureate in lettere! Loro si aspettano che noi siamo empatiche, partecipi, simpatiche e, all’improvviso, senza alcuna reazione!”

– “Loro, loro, loro! Ma loro chi?”

– “Loro. Gli uomini! O chi per essi.”

È, infatti, diffusa, nei salotti Lacaniani, quell’abile distinzione tra sesso e genere che sorregge ogni cosa. Infatti, si può essere uomo (sesso), ma con funzione di donna (genere). Un po’ come nell’oroscopo in cui puoi essere toro con ascendente scorpione! Le donne, ascendente donna sono le più fortunate. Patiscono meno il farsi oggetto di una funzione maschile. Godono nel farsi oggetto di un uomo, di un lavoro, di un gruppo, di un discorso. Per diventare psicoanalista mi sono ritrovata a farmi oggetto di numerose funzioni maschili. Infatti, quel che è poco chiaro per le matricole di psicologia è che presto dovranno abbandonare la loro idea unitaria e coesa del sé (molto cara alla psicologia sociale!) per fare i lavori più disparati. Francesco Bollorino, psichiatra e fondatore della rivista Psichiatryonline, si chiede, in una diretta sul canale youtube, quali lavori pensano di fare i laureati in psicologia. Mi colpisce il modo in cui lo chiede, come se sottointendesse che non ce ne siano. Così, faccio ciò che più mi riesce meglio: ripeto! Ma non dal punto di vista della tecnica Meisner, bensì secondo i termini psicoanalitici. E sbotto in un messaggio ironico.

– “Sì, l’ho rifatto! Ho ripetuto! Non c’è bisogno che fermi la seduta, l’ho colto già da sola!”

Durante gli anni della mia formazione in psicoanalisi Lacaniana, presso Il Laboratorio Freudiano di Milano, ho svolto numerosi lavori associati alla libera professione. Per prima cosa, ho lavorato in un servizio di tutela ed affido minori con problematiche famigliari, fragilità emotive, disturbi della condotta, problemi relazionali e disabilità fisiche o cognitive. Successivamente, ho affiancato questo lavoro pomeridiano a quello di tutor del lavoro, facendo la formatrice in corsi per disoccupati, valutandoli, orientandoli e utilizzando le strategie più disparate per trovare loro lavoro. In seguito, ho sostituito il lavoro da tutor con quello di educatrice scolastica perché mi sentivo attratta dall’istituzione. Inizialmente, facevo sostituzioni, quindi ogni giorno andavo in una scuola diversa, anche dall’altra parte di Milano per poi tornare indietro e dedicare il pomeriggio ai bambini. E la pausa pranzo ai pazienti. In una giornata, cambiavo almeno quattro o cinque posti di lavoro e le sere erano quasi tutte impegnate tra analisi personale, supervisioni, seminari e lezioni di recitazione. Adesso i ritmi sono decisamente più lenti (e io decisamente più grassa!) perché ho soltanto due lavori: sono docente di sostegno in una scuola primaria (tra l’altro vicino a casa!) e pratico la libera professione nel mio studio (quello si trova direttamente in una parte della casa!). Ho fatto fuori una peugeot vecchio stile per star dietro a tutto questo. Ho cambiato almeno tre navigatori. Ho fatto un incidente.

– “Sì, un incidente! Vicino al tuo studio, per colpa tua. E quando sono arrivata e te l’ho detto, tu sei rimasta indifferente e non hai sentito niente. Forse, non ci ho messo troppa enfasi nel dirtelo! O forse non hai reagito perché tanto sarebbe stato solo Immaginario. E, così, a forza di respingere e odiare l’Immaginario, ci ritroviamo senza espressioni, senza emozioni, senza questioni. È forse questa la vita che vogliamo?”.

Questa totale mancanza d’Immaginario in quella donna mi ha portata a ricercarlo, a bramarlo negli studi di recitazione con il metodo Meisner – presso la scuola di recitazione e ricerca Anime Sceniche di Francesco Scarpace Marzano –, per scoprire solo dopo che sua figlia è una regista. Fatale coincidenza? Naturale conseguenza del posto che può occupare un oggetto a causa di una specifica mancanza?

Più cercavo, nell’analisi, e più trovavo, malauguratamente. Ero già complicata prima, figuriamoci adesso. E non voglio pensare a come sarò fra trent’anni.

– “Vita privata?”

– “Ah, perché in tutto questo loro si aspettano che noi bramiamo anche dalla voglia di giocare all’Immaginario del gatto e il topo? Una follia! Mi sono scelta come compagno uno psicoanalista Lacaniano, così non avevo bisogno d’ingegnarmi per entrare, come oggetto, nel suo fantasma!”

– “Un colpo di fulmine?”

– “Magari! Se fossi stata nell’Immaginario, sarebbe anche stato possibile. Direi, piuttosto, una botta di c… Mi ha fermata sulle scale della metro, mi ha chiesto cosa facessi nella vita. Rispondevo. Sebbene il mio Immaginario lo respingesse, lui aveva imparato a non crederci. E poi mi disse di essere anche lui Lacaniano. Mi spuntò il sorriso e non mi andò più via. Ero a casa. Mi feci offrire un caffè. Ancora oggi, quando mi chiede perché avessi scelto lui, gli rispondo: perché sei Lacaniano! È un nostro giochetto.”

– “Quindi, quali semplici consigli se proprio non possono fare a meno di tentare questi studi?”, mi chiede lo psichiatra, avvolto in una nuvola di fumo della sua pipa elettronica. C’è così tanto fumo che nemmeno riesco a vederlo in volto. Tanto sarebbe stato solo Immaginario, penso. Così, mi fido e cerco di rispondergli.

– “Non prendete niente sul personale. Collezionate tanti ‘loro si aspettano che noi’. Dimenticatevi dell’esistenza dell’Immaginario. Si fa prima. E sceglietevi uno psicoanalista, o una psicoanalista di un certo spessore, su cui sfogare addosso tutta la vostra rabbia di parl-esseri! Tranquilli, non reagirà. Avrà disimparato a farlo. Sarà indistruttibile per insegnarvi a fare altrettanto. E non iscrivetevi contemporaneamente ad una scuola di recitazione! Non abbiate nostalgia dell’Immaginario! Come ricorda Madame, non può scomparire del tutto: basta accendere la televisione! E magari, per guardare un film di sua figlia.

E ricordate: il transfert negativo è sempre la scelta migliore. Recalcati e Miller ne sono un esempio. Ad amare siamo bravi tutti, ma a odiare? Per quello ci vuole coraggio, inventiva, tenacia, determinazione, ironia. Sì, per odiare, ci vuole tanta ironia.”

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