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IL POTERE DELLA TERAPIA PSICOLOGICA

3 Ott 23

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Lo scopo di questo libro è senza dubbio apprezzabile. Partendo dall’assunto che quelle che qui sono sbrigativamente denominate malattie mentali, in specie le forme di ansia e di depressione, sono le principali cause di sofferenza e di invalidità nei paesi occidentali, ci si chiede come fare per rendere accessibili al maggior numero di persone che necessitano di un aiuto professionale esperto queste forme di terapia. La risposta alla domanda di base è contenuta nella proposta di rendere disponibili le terapie basate sull’evidenza che sono terapie di breve termine, costano relativamente poco e possono essere applicate nei contesti socio-istituzionali da un notevole numero di terapisti (naturalmente adeguatamente formati). “Disponiamo di trattamenti eccellenti che devono essere resi accessibili su vasta scala” (p. 17): e, per introdurre il lettore in questo mondo, gli autori partono con il considerare le manifestazioni dell’ansia e della depressione (soprattutto da lieve a moderata), oltre ai disturbi dell’alimentazione e alle problematiche dell’età evolutiva che sono qui trattate perché potrebbero-dovrebbero essere oggetto di interventi tempestivi.

Prima di proseguire si deve però fare una nota circa l’identità dei due autori: Richard Layard è specializzato in economia del lavoro (e membro della House of Lords): professore emerito presso la London School of Economics, ha scritto Felicità. La nuova scienza del benessere comune (Rizzoli, 2005) e, con George Ward, Possiamo essere più felici? (Giunti Psychometrics, 2023).

David Clark è psicologo sperimentale (Oxford University) e dirige il Centre for Anxiety Disorders and Trauma; è coautore, insieme a Keith Hawton, Paul M. Salkovskis e Joan Kirk, del Manuale di terapia cognitivo-comportamentale. Aspetti teorico-pratici in psichiatria (Giovanni Fioriti, Roma, 2016).

La collaborazione tra i due autori orienta la trattazione (anche) in direzione sociale e socio-economica, con una forte attenzione ai costi-benefici delle terapie psicologiche e alla sostenibilità delle stesse per gli apparati statali. Detto ciò, e tornando al testo, la preoccupazione sul come fare a portare la terapia alle persone che soffrono – vedi i capitoli 3 e 4 intitolati rispettivamente Quante persone soffrono? e Ricevono aiuto? – permea l’intero testo. Il punto di partenza è la constatazione dello scandalo e dell’ingiustizia, costituito dagli alti costi della maggior parte delle psicoterapie, che impedisce a molte persone che ne hanno bisogno di accedere alle terapie più adatte, senza dimenticare il problema dello stigma: “le persone depresse, o iper-ansiose, si vergognano di loro stesse, mentre le persone con una gamba fratturata, o con una patologia cardiaca, non manifestano tale atteggiamento” (p. 58).

Il testo si snoda prendendo in considerazione l’influenza del disagio mentale sulla vita delle persone in termini di riduzione dell’aspettativa di vita, di peggioramento dei risultati nel lavoro e nel percorso di studi, di aumento delle invalidità e inabilità al lavoro e delle giornate perse nel lavoro, fino a considerare che “nove detenuti su dieci manifestano problemi di salute mentale nel momento in cui entrano in prigione” (p. 65). Molta attenzione è riservata all’ausilio della psicofarmacologia soprattutto in associazione alla psicoterapia, puntando l’attenzione sui contributi alla psicoterapia che sono stati offerti da Aaron T. Beck, fondatore della terapia cognitiva, e da Joseph Wolpe, eminente figura della terapia comportamentale, e riassumendo nel capitolo sedicesimo – dal titolo Fermare tutta questa sofferenza – i punti salienti del testo.

Un apparato di note che copre oltre venti pagine e una articolata Bibliografia completano questo volume sicuramente originale nel panorama dei testi che si occupano delle psicoterapie. Un testo che è chiaramente, britannico-centrico, nel senso che i maggiori riferimenti, compresi i report NICE – National Institute for Health and Care Excellence (in base ai quali sono valutate e riportate le migliori strategie terapeutiche evidence-based che sono proposte nel libro) e il modello IAPT – Improving Access to Psychological Therapies sono inglesi – ciò si rileva senza nulla togliere all’importanza del modello IAPT finalizzato a rendere il supporto e le terapie psicologiche disponibili e accessibili al maggior numero di persone che ne possono aver bisogno.

Alle caratteristiche di sicuro interesse che possiede questo lavoro di Richard Layard e David M. Clark si devono però aggiungere alcune note critiche iniziando proprio dalla scelta del titolo con cui gli autori hanno indicato la materia: terapia psicologica invece della più diretta, immediata e direi precisa locuzione di psicoterapia. In effetti, talvolta si nota in alcuni colleghi una certa difficoltà nel pronunciare il termine psicoterapia, ad esempio sostituito con terapia della parola o con altre locuzioni simili, come se vi fosse ancora oggi una qualche ritrosia a parlare apertamente di psicoterapia / terapia della psiche.

Un rilievo di tipo oggettivo, per così dire, certamente più importante è relativo alla tempistica, nel senso che il testo inglese è del 2014 e prende in esame la letteratura fino all’anno precedente – vedi, ad esempio, la citazione dei report NICE – National Institute for Health and Care Excellence, che si fermano al 2013 con il documento Social anxiety disorder: recognition, assessment and treatment. Clinical guideline [CG159] pubblicato nel maggio 2013. Dunque, leggere oggi queste pagine significa dover tenere presente che il contenuto si ferma, nei suoi riferimenti e nell’aggiornamento complessivo, a 10 anni fa, cosa che non è di poco conto. Peraltro, l’edizione inglese del testo si avvale di una bella Foreword a firma dello psicologo israeliano Daniel Kahneman (vincitore, con Vernon Smith, del Premio Nobel per l’Economia nel 2002 per le applicazioni della ricerca in ambito psicologia cognitiva alle decisioni economiche, particolarmente in condizioni di assenza di informazioni adeguate e/o di incertezza), prefazione che non compare nella traduzione italiana.

Per concludere con una osservazione di carattere generale credo che ormai – da tempo! –nel momento in cui si scrive un libro di psicologia clinica e di psicoterapia sarebbe opportuno precisare fin dalle prime pagine se si tratta di un testo wide range oppure di un lavoro che tratta una o poche e specifiche tipologie di terapia. Nel nostro caso la terapia che emerge in quasi tutte le pagine è la CBT, cioè la Cognitive-Behavioral Therapy, affiancata da qualche scarno riferimento ad altre forme di terapia considerate sufficientemente scientifiche. Ma, anche in tale contesto, credo che si debbano prendere in seria considerazione le osservazioni critiche proposte dagli autori, come le seguenti: “per poter affermare che un trattamento funziona, non basta osservare che molte persone migliorano… se i vostri pazienti recuperano, ciò non significa necessariamente che li avete aiutati, anche se loro pensano che voi l’abbiate fatto. Infatti, è possibile che abbiano recuperato spontaneamente” (pp. 122-123). Dal che deriva che “il gold standard per tali confronti è rappresentato dagli studi randomizzati controllati (randomized control trial, RCT)” (p. 124) che, com’è noto, mal si applicano alle forme di terapia protratte nel tempo, ad ampio spettro, prive di obiettivi specifici, e così via…

Credo che, nel complesso, questo libro sia molto utile per il quadro di contesto che offre e le riflessioni che certamente stimola, a rinforzo della necessità di trovare modi e strade per rendere sempre più accessibili le cure psicoterapiche e arginare così le sofferenze e i disagi delle persone, superando finalmente gli stigma ancora spesso purtroppo diffusi.

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