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LA FAMIGLIA UMANA E IL CUCCIOLO D’UOMO

30 Giu 19

Di antoniomariapagano
Presentato il 13 febbraio 2019 all’Auditorium dell’Acquario di Genova  durante  il ciclo di incontri “Cure parentali e altre tenerezze”
 
Presentazione – Questo studio che Antonio Maria Ferro, con il quale ho avuto il piacere di lavorare a Savona apprendendo molte cose che continuano a essermi di grande utilità,  dedica alla famiglia si compone di due parti. Nella prima, a carattere prevalentemente antropologico, viene ripercorsa a grandi linee l’evoluzione storica dell’istituzione-famiglia dall’antichità, all’Ottocento, al secondo dopoguerra fino ai giorni nostri, quando l’affermarsi di un ruolo decisamente diverso della donna, che aspira ad avere un proprio ruolo nella società e nel lavoro, insieme alla lotta per i diritti lgbt e a nuove tecnologie  in grado di manipolare l’atto procreativo, dal concepimento alla gravidanza, modificano decisamente lo scenario. Ma, nonostante questo – Ferro sembra dirci – la famiglia nucleare fondata sulla coppia sembra tenere come modello e, provando a indovinare ciò che potrà accadere nel futuro, potrebbe confermarsi come aspirazione  per molti e come soluzione più idonea a garantir un ambiente affettivo “sufficientemente buono” per l’allevamento dei “cuccioli dell’uomo”. E così, nella seconda parte, Ferro ripercorre i principali contributi di ambito psicoanalitico alla comprensione dell’uomo, delle relazioni tra gli esseri umani, e della famiglia come spazio di accoglimento e di crescita per il bambino, da Erik Erikson, a  John Bowlby e i principali teorici dell’attaccamento che ne hanno proseguito la riflessione, a Donald Winnicott, psicoanalista e pediatra insieme. Di questi filoni di pensiero Ferro approfondisce da una parte gli sviluppi più recenti, e dall’altra propone paralleli possibili con la teorizzazione, in altro ambito, di Edith Stein intorno al concetto di empatia, e a quelle di Rizzolati, Gallese e della scuola di Parma intorno ai neuroni specchio che potrebbero offrire il supporto neurologico di base alle nostre relazioni.  Paolo Peloso
 
Per comprendere qualcosa della famiglia umana (sono stati scritti migliaia, forse milioni, di lavori su questo tema) mi sembra che occorrerebbe integrare
  1. Aspetti storici, come la demografia, la vita privata , i ruoli famigliari, i rapporti Stato/Famiglia con quelli
  2. Antropologici, come ad esempio il ruolo delle parentele, le strategie matrimoniali, le strutturazioni nei clan/gruppi allargati, le linee di discendenza, le reti parentali e la trasmissione dei beni materiali, culturali-religiosi, simbolici, l’esistenza o non di riti di passaggio che accompagnano l’umano  attraverso i cicli della vita.
 
Mi sembra di avere capito che la famiglia sia in parte un’istanza “naturale” evoluta, in parte sia un’ISTITUZIONE SOCIALE che la specie umana – in gran parte del mondo – ha trovato via, via, la più funzionale per trasmettere e preservare se stessa.
Oggi si parla soprattutto della crisi della famiglia ma in realtà il modello nucleare della famiglia dell’occidente Cristiano si è fatto modello  prevalente nel mondo man mano che questo progredisce. Quel modello in parte esisteva già prima nella cultura occidentale tuttavia è con il consolidarsi del cristianesimo che acquista centralità la famiglia nucleare( un uomo una donna e dei figli).
Certamente osserviamo situazioni molto diversificate : famiglie nucleari, famiglie allargate, convivenze anche transitorie, famiglie omosessuali ma ancora famiglie-clan (Peacki Blinders, mafia, ndrangheta, Casamonica, etc), tribù o gens come nella antica Roma (gens Giulia, Claudia, etc), famiglie immigrate dove si intrecciano aspetti nuovi nucleari, con la cultura del  clan  del gruppo allargato alla parentela, famiglie con ancora le donne sottomesse pesantemente, famiglie dove non ci sono gli uomini, famiglie di donne (madri, zie, nonne) senza l’esperienza della presenza continuativa del III°, il maschio/padre.
In realtà, non sappiamo come questi modelli della “famiglia Umana” possano evolvere, mutare, regredire: ad esempio le reti parentali in Occidente sono in affanno ed addirittura potrebbero essere sostituite da “parentele fittizie”, da nuove forme di appartenenza non di tipo naturale.
Vi ricordo che dal XIX secolo abbiamo osservato un’organizzazione piramidale, in cima alla quale si trova la famiglia borghese che si regge su reti di parentele efficaci ed ha  la funzione di trasmettere norme vincolanti per i suoi membri.
La famiglia operaia e piccolo borghese, più tardi la famiglia contadina, sono state via via il Focus di politiche sociali che mirano ad avvicinare queste famiglie al modello di quella borghese.
Nascono istituzioni controllate dallo Stato e dalle società locali comunali che sostengono o addirittura si sostituiscono alla famiglia nella cura della salute, nell’educazione, nella giustizia (regole), nell’assistenza ai bisognosi.
La famiglia nucleare si rafforza così nell’interazione sempre più constante con queste istituzioni “pedagogiche e sociali”; questo tuttavia avviene ancora troppo poco in molte parti del mondo e segna il passo ultimamente anche da noi!
Ricordo ancora come nel II° dopoguerra in occidente emerga un modello di famiglia nucleare, ancora con una rete di parentele, ma con un numero via via più limitato di figli ,fino alla situazione attuale (dai 2,5 degli anni 30 ai 2 degli anni 50/60 fino a 1,4 nel 76 ma ora in regioni come la Liguria ha una percentuale per famiglia inferiore a 1).
Peraltro paradossalmente negli ultimi anni i figli sono nuovamente desiderati ma il tasso di fecondità si è drammaticamente abbassato.
Nel 1995 è stato raggiunto il minimo di fecondità e quindi ci troviamo ora con un numero più basso di potenziali madri che peraltro continuano a figliare troppo poco.
In Origami (inserto Settimanale della Stampa) è uscito da poco un numero dedicato a questi temi: analisi delle politiche sociali e delle spese finalizzate al sostegno di una famiglia moderna dove va pensato sia il sostegno alla maternità (le donne vogliono lavorare e spesso anche devono, per garantire l’economia famigliare) che alla paternità (e qui ci sono note veramente dolenti).
Come aiutare la famiglia nucleare d’oggi, famiglia che peraltro vede con la diminuzione delle nascite ridursi anche la rete parentale d’aiuto come aiutarla a conciliare libertà individuali, il desiderio delle donne di essere significative e competitive sul mercato del lavoro con maggiore sostegno e presenza dei padri e delle istituzioni di sostegno alla maternità ed allo sviluppo psicofisico-educativo dei bimbi (asili nido, scuole materne, etc).
Per ora negli umani, nonostante le forze in loro presenti di tipo distruttivo e “inconsapevolmente” finalizzate alla fine stessa della specie umana, prevale ancora il desiderio di eternità che la procreazione dei figli assicura, procreazione grazie alla quale la vita passa dagli uni agli altri, senza mai arrestarsi (ma i cloni, i replicanti, gli eserciti di embrioni?)
Insomma, per ora ancora c’è desiderio di discendenza ed obbligo di mantenere viva la SPECIE.
Così possiamo interpretare la lotta, attuale, alla sterilità, proprio quando le nascite continuano a ridursi (inseminazioni artificiali, fecondazione in vitro, prestiti di utero e di ventri sostitutivi, ambienti artificiali -pseudouteri- dove sia possibile formare creature uguali agli umani…..avete visto il seguito di Blad Runner dove vi sono rarissimi umani nati da relazioni sessuali tra un uomo ed una donna e moltissimi umani replicati sempre identici, con la stessa struttura genetica degli altri, ma…..?); ecco allora la discussione etica  sul diritto sì, diritto no, di manipolare la procreazione ed ormai anche il patrimonio ereditario.
Ecco nuovi scenari in cui un’istituzione centralizzata potrebbe sostituire la famiglia nucleare con donne mercenarie  con uteri in affitto, con uteri di sintesi dove viene impiantato l’embrione, procreatori di individui a beneficio di gruppi allargati, senza più bisogno di madri e di padri..di famiglie .
Resisterà l’istituzione familiare, sarà ancora necessaria o la specie umana ne potrà fare a meno? Visto che ormai si possono fare individui che conservino la specie anche senza genitori fino alla separazione dei prodotti del concepimento da chi li ha concepiti, o addirittura dal percorso naturale della gravidanza!!
Probabilmente tutto potrebbe essere possibile, ma non so, non sappiamo, se i “concepiti” saranno ancora cuccioli d’uomo, umani, così come ce li rappresentiamo fino ad oggi!
Quindi, pur potendo inventare nuovi tipi di filiazione, io non riesco ad immaginarmi altri sistemi (naturali) di filiazione, senza che la società del XXI secolo non metta in discussione le proprie fondamenta sociali, culturali, biologiche, non metta radicalmente in discussione il concetto stesso di parentela e quindi le basi “millenarie” attraverso le quali la specie si trasmette e si è trasmessa.
Forse si può trasmettere la specie in altri modi, forse si può finire di trasmetterla e forse vi può essere anche l’estinzione dell’uomo e della specie umana, fatta da uomini che mantengano le caratteristiche di essere creature inevitabilmente frutto di relazioni e che divengono umane attraverso relazioni sociali con altri umani!
Io sono ottimista e ho sempre come riferimento il filosofo Paolo Rossi e quanto scrive in “Speranze”, perché l’esigenza della specie umana di continuare ad esistere è molto forte.
La famiglia potrà assumere molteplici forme, anche flessibili con modi nuovi nel vivere il sociale ed il biologico, ma resterà “famiglia umana” fino a quando non verranno distrutti del tutto i “meccanismi di garanzia” della vita della specie umana in evoluzione continua.
Termino questa parte della relazione ricordando che mai come ora vi sono in realtà studi e ricerche sulla famiglia,
  • sulla diade madre-bambino:
  • sull’importanza del III, il padre o chi per esso,
  • sulle relazioni parentali allargate,
  • sul sostegno delle istituzioni alla gravidanza ed alla maternità e paternità consapevoli,
  • sulla prevenzione delle esperienze traumatiche in gravidanza e puerperio che sono fattori di rischio per lo sviluppo sano del bambino.
 
Studi quindi per favorire nascite e crescite serene, cuccioli d’uomo sani e forti, garanti della continuità della specie.
Nascono così progetti per prevenire forme di sofferenza psichica e patologia psichiatrica, peraltro in aumento notevole nei paesi industrializzati.
Si riscoprono :
  1. Le buone relazioni umane
  2. La tutela della maternità
  3. L’importanza delle reti parentali.
 
Mi sembra quindi che la Specie Umana ritenga ancora che la famiglia nucleare vada salvata, per la salvaguardia della specie stessa e per la trasmissione di noi stessi, perché così “non si muore né si morirà mai del tutto”.
Per fortuna, ed è per questo che dobbiamo comunque essere ottimisti, si sviluppano ancora sistemi “reali”, familiari e sistemi democratici degli stati liberali: così i cuccioli d’uomo potranno continuare  a crescere – in realtà non sempre questo accade – e divenire persone umane. Infatti, la maggioranza dei genitori cresce ancora i figli con attenzione, piacere, amore, soprattutto con reciproco piacere pur tra mille difficoltà e frequenti errori che inevitabilmente l’umana vita ci fa attraversare.
 
La Relazione tra genitore e bambino
 
Negli ultimi 50 anni vi è stato un importante “avanzamento “ delle conoscenze sulle prime relazioni tra bimbi, genitori e caregiver.
Ricordo qui due grandi scienziati Erik Erikson (1902-1994) e John Bowlby (1907-1990) che hanno aperto, nel secolo scorso, possibilità di comprensione dello sviluppo umano veramente nuove.
Erikson Erik, psicologo e psicoanalista tedesco naturalizzato statunitense, ha studiato come pochi i cicli della vita, evidenziando come ogni fase della vita porti in sé gli stati precedenti ed è presente in quello successivo: allora possiamo vedere l’individuo  come  una spirale dove tutto evolve e si trasforma ma normalmente niente viene perso! (memoria implicita, e coazione a ripetere).
Quello che caratterizza, per Erikson, ogni ciclo della vita è l’inevitabile necessità della relazione dell’individuo con “l’altro” ed il contesto sociale: le fasi della vita cambiano e noi cambiamo  nei vari cicli della vita ma restiamo umani perché comunque siamo mossi dalla necessità di essere “in relazione”.
Il MCD di tutti questi stadi è che essi si caratterizzano per la relazione con l’altro: il neonato con la madre, il bimbo con i familiari, poi gli amici…il mondo sociale e così via.
La relazione con gli altri è quindi la “conditio sine qua non” che permette al cucciolo d’uomo di divenire persona umana, individuo, ed attraversare così le fasi della vita in modo più o meno umano, a seconda del suo percorso per divenirlo  ed a seconda del suo sviluppo fisico, neurologico, neuropsicologico.
Eccoci ora a John Bowlby (1903-1989): egli sostiene che “esiste nei bambini un bisogno strutturale di essere in contatto e di stringersi ad un essere umano: in questo – ricorda – c’è un bisogno di un “oggetto” indipendente del cibo, un bisogno che è primario , come il bisogno di cibo e calore”.
Egli è aiutato, nell’elaborare queste ipotesi, da K. Lorenz, premio Nobel (1973) per i suoi studi di etologia (Lo scienziato che covò le oche e che le portava a girare al Prater come una brava mamma, riconosciuto come tale dai paperottoli).
Questa modalità relazionale primaria  è per Bowlby l’” Oggetto di Legame Primario”.
Esso contribuisce alla dinamica reciproca di legare  madre e bambino, dove è di fondamentale importanza, per il bimbo , la disponibilità della mamma.
Al terzo mese egli segue con gli occhi una persona per alcuni secondi; quando si muoverà, egli cercherà di seguire la mamma in qualsiasi modo.
Sorriso, pianto, aggrapparsi, seguire, sono risposte specifiche dell’uomo all’inizio del suo vivere: queste modalità declinano nel tempo ma restano e vengono usate in modo diverso quando il cucciolo d’uomo cresce e diventa adulto, soprattutto in situazioni di pericolo e ridotta Resilienza.
E’ Bowlby ad ipotizzare per primo che:
  1. lo stile di attaccamento ci accompagnerà per tutta la vita
  2. Esso dipende dalle cure materne ricevute nella prima infanzia e dalla loro qualità.
 
Egli evidenzia come le relazioni siano caratterizzate, dalla nascita per tutta la vita, dalla Bidirezionalità (madre ↔bimbo↔madre).
La Mary Ainsworth (1969) individuerà tre modelli di attaccamento :
  1. sicuro b)ansioso c) ambivalente preoccupato.
Mary Main(1986) aggiungerà il modello d) disorganizzato-disorientato.
Ella dimostrerà che vi è un’associazione tra rappresentazioni mentali delle gravide ed il successivo stato relazionale Madre-Bimbo
Oggi è possibile collegare Bowlby , e gli altri che vi ho menzionato, a Rizzolati, Gallese e la scuola di Parma con i loro eccezionali studi sui Neuroni a Specchio.
Questi Neuroni potrebbero essere alla base di comportamenti sociali ,come l’imitazione e l’empatia (Simulazione Incarnata, Gallese 2006).
A proposito dell’Empatia, Edith Stein, di origine ebrea, quindi monaca dopo essersi convertita al Cattolicesimo, morta ad Auschwitz nel 1942, nella sua tesi di laurea  del 1916 “Il problema dell’Empatia” così scrive :
“L’Empatia è il fondamento degli atti attraverso i quali viene colto il vissuto altrui , Essa permette di non rimanere chiusi all’interno della propria immagine del mondo , ma di cogliere l’esperienza altrui “ .
Così si può vedere, sentire come gli altri ci vedono, ci sentono : l’Empatia apre alla dimensione dell’Intersoggettività. Nella dimensione empatica l’IO umano non scompare.           
 
Brevemente ricordo come le aree cerebrali dei Neuroni a Specchio, neuroni con funzione motoria ed imitativa/empatica, sono localizzati nel: a) giro frontale inferiore /area del broca b) la parte rostrale della corteccia parietale inferiore.
Rizzolati e Gallese hanno scoperto come  i Neuroni a specchio imitino gli aspetti motori dell’azione :
          I Neuroni Frontali leggono l’intenzionalità dell’azione
          I Neuroni del Solco Temporale Superiore -Area Visiva Superiore-leggono visivamente ed imitano  l’azione.
Essi sono  in relazione con il Sistema Limbico, che sottende la processazione emotiva attraverso l’Ippocampo e l’Insula.
 
Possiamo cosi dire che il sistema dei neuroni a specchio rappresenti la base neurofisiologia dei naturali processi di imitazione ed empatia.
La rivoluzione è questa e ci confronta con l’Etica del “Prendersi Cura” e con la Pedagogia più moderna e rispettosa  della nostra specificità umana :
il bambino è biologicamente portato all’Empatia, attraverso questa base neuronale.
Egli, se il mondo degli adulti non avverserà la natura, imparerà ad essere umano anche attraverso Imitazione ed Empatia.
Bowlby così ha intuito, in anni lontani, che le modalità introiettate precocemente tenderanno a riprodursi per tutta la vita, grazie all’Imprinting ed alla Memoria Implicita, ed influenzando in modo significativo le nostre relazioni con il mondo, sia nell’adolescenza che nella vita di adulti.
 
“UN BAMBINO SENZA L’AMBIENTE NON PUO’ ASSOLUTAMENTE SOPRAVVIVERE  NE’ EMOTIVAMENTE  NE’ FISICAMENTE………CADREBBE ALL’INFINITO “
 
Donald W. Winnicot
 
A partire dalle ricerche di questi scienziati si sono sviluppate:
  1. Teorie dell’attaccamento
  2. Infant Research
  3. Adult Attachment Interview che aiuta a studiare 1) la trasmissione transgenerazionale dei modi di vivere le interazioni con il mondo fin da neonati, studiando i genitori ed i loro rapporti con i figli 2) i modelli operativi interni di attaccamento e di “essere-con-l’altro da noi”
Queste ricerche  hanno portato anche ad interventi precoci, di prevenzione della sofferenza psichica della diade madre-bimbo (es. l’esperienza di Savona  sulla maternità a rischio).
Si è affinato anche lo studio della responsività genitoriale, intesa come
  1. capacità di leggere e rispondere adeguatamente ai segnali (empatici) del bambino
  2.  “competenza emotiva materna nel regolare le emozioni negative e il “distress” mostrati dal neonato. (Bowlby, Tronick e prima la Ainsworth e la Main, e in Italia il gruppo di Ammaniti/Speranza a Roma e la prof.ssa Riva Crugnola alla Bicocca a Milano)
La responsività genitoriale, per questi autori è in relazione con la naturale competenza (gustosa, spontanea) mentale del genitore di attribuire fin dalla sua nascita, al bimbo “stati mentali propri”: ovvero riconoscere il figlio come amoroso ed amorevole “altro da sé” fin dal livello fetale, piuttosto che uno spazio per le nostre proiezioni di adulti.
Lo stato della mente sicuro della madre permette l’apertura empatica a tutti gli stati emotivi del bambino, anche a quelli non gustosi: pianto, difficoltà nell’alimentazione, non corrispondenza al Bimbo-Ideale interno.
Ora è studiata e conosciuta anche la competenza comunicativa, in parte genetica, del bambino. Il bimbo mobilita l’accudimento materno, sia fisico che emotivo attraverso pianto, sorrisi, il modo che ciuccia e/o si fa tenere in braccio e nello spazio.
Così si vanno creando più o meno efficaci legami di attaccamento, cognitivo ed affettivo,  di scambio…interattivo e via via, finalmente intersoggettivo.
Dal 9°/12° mese compaiono poi nuove modalità di comunicare del bimbo e nuove modalità responsive dei genitori, entrambi , e dei caregiver.
Queste modalità sono finalizzate ad acquisire informazioni sull’ambiente circostante “il mondo  là fuori” , grazie anche alla capacità dei genitori di garantire una buona funzione di SCAFFOLDING (contenimento e protezione sicuri).
La comunicazione, come sopra scritto,  è comunque fin dai primi mesi bi-direzionale: attraverso queste esperienze, prima di tutto sensoriali, il bimbo andrà via via alla conoscenza di Sé e del mondo.
Il calore emotivo, la capacità cognitiva, l’apertura, la curiosità, il piacere dei genitori di vivere l’essere genitori, queste esperienze si rispecchieranno (la riflessività) nel bimbo, che avvia, attraverso la naturale empatia, i meccanismi di interazione, attraverso i sistemi neuropsicologici della simulazione incarnata (embodiment) costruendo sé stesso e le modalità di relazione con il mondo: sono e saranno i  suoi modelli dell’attaccamento che lo accompagneranno nella vita (i cicli vitali di Erikson).
Quindi, responsività materna e comunicazione infantile influenzeranno lo sviluppo emotivo e relazionale del bimbo che cresce!
Se il bimbo vivrà, invece, nel 1° anno esperienze di ostilità, freddezza, intrusività materna e/o ambientale, questo sarà predittivo di problematiche negli anni a venire!
Peraltro una buona responsività del genitore verso emozioni positive espresse (il riconoscimento di esse) dal bimbo, aumenta e rinforza l’ulteriore espressione di emozioni positive e la capacità di contenere quelle negative e comunque la capacità di sostenerle senza angoscia disperante.
L’esperienza, ripetuta con costanza nel tempo, di emozioni positive ci protegge(rà) sia da bimbi, che da adolescenti e poi da adulti, quando potranno  emergere  per noi condizioni difficili o addirittura ostili nei vari cicli della nostra vita (vedi Erikson).
Quindi è ormai evidente, come peraltro è sempre stato intuito e sentito, come la qualità dell’attaccamento infantile e delle cure parentali sia predittivo delle competenze sociali, della capacità di utilizzare al meglio le proprie risorse cognitive ed emotive nell’infanzia, nell’adolescenza e nella vita adulta.
Il nostro destino in parte non piccola, si costruisce così: si formano i mattoni, con i quali potere costruire la “casa” della propria vita, nel primo anno di vita e nella prima infanzia fino ai 2-3 anni.
Ecco allora come un attaccamento “sicuro”, un’esperienza primaria gustosa ed empatica, siano fattori di RESILIENZA rispetto all’emergere di eventi traumatici , fin dallo sviluppo infantile.
Peraltro e purtroppo
  • Da un lato, “istituzionalizzazioni” forzate nei primi anni di vita (studi su bimbi rumeni adottati), esperienze traumatiche ambientali, caregiver e socialità carenti, pericolo di depressioni post partum, famiglie fragili, psicopatologia genitoriale, giovanissima età della madre, livello socio economico molto basso
  • Dall’altro, prematurità, temperamento difficile e/o non gustoso, patologie neonatali e nei primi 2-3 anni di vita
incideranno negativamente sullo sviluppo dei bimbi.
Soggetti che hanno vissuto infanzie difficili, con trascuratezza e maltrattamento da parte di genitori e/o dell’ambiente, possono comunque trarre benefici, in grado di modificare queste esperienze negative introiettate precocemente, da esperienze relazionali protettive e positive, concomitanti (nonni, altri caregiver) o successive.
Come ho già accennato, negli ultimi 30-40 anni si sono sviluppati strumenti che permettono precoci valutazioni dei rischi nello sviluppo ed al tempo stesso permettono altrettanti precoci interventi per garantire al bimbo un adeguato sviluppo socioemotivo: ricordo a questo proposito l’esperienza pluriannuale di interventi precoci sulla gravidanza e puerperio a rischio nell’ASL n. 2 di Savona in collaborazione con l’Università “La Bicocca” di Milano.
Vi sono interventi precoci sulla diade madre-bimbo, sulle relazioni caregiver-bimbo, III° – padre – bimbo, interventi in grado di agire in tempo reale sulle dimensioni emotiva e cognitiva delle interazioni non adeguate, evitando così imprinting, pattern relazionali negativi  che potrebbero pesare negativamente su tutta la vita successiva.
Riprendo ora  il Concetto di Responsività.
La Responsività genitoriale è la capacità di leggere e di rispondere adeguatamente ai segnali del bambino.
La responsività materna, la responsabilità e responsività paterne sono in relazione con la competenza emotiva interna delle madri e dei padri (A. A. Interview)
Si tratta della capacità di regolare/contenere anche le emozioni negative e il distress del bimbo, oltre che le emozioni positive.
La Responsività è in relazione alla riflessività, essa si può descrivere come la “capacità di attribuire al bimbo, fin dalla nascita ed ancora prima, stati mentali suoi propri”.
Questa capacità è in relazione allo stato della mente sufficientemente sicuro della mamma (la madre sufficientemente buona di Winnicot) che può tollerare che il bimbo sia “altro” da lei, che può tollerare che, accanto alle emozioni positive ci siano anche quelle negative: una mamma che sappia metabolizzarle, queste emozioni, e poi restituirle al suo bimbo in modo che siano ben “digeribili” (gli “sguassi” delle madri venete prima della II Guerra e le donne dei Pellerossa).
Ancora due parole sulla Competenza Comunicativa del bambino: essa si sviluppa attraverso segnali specifici come il pianto, il riso, il sorriso, i bla bla bla, il modo in cui “manduca” il cibo – primo latte materno (o biberon) – e quindi il mondo.
Questi sono i mattoni del suo prima sistema naturalmente interattivo ed intersoggettivo! Infatti il cucciolo d’uomo appartiene alla specie “uomo sociale” e si sviluppa inevitabilmente nell’intersoggettività. Egli si “arrampica” così verso livelli cognitivi, emotivi, motori, via via superiori.
Il bimbo cresce quindi bene se si sviluppa questa interazione “amorosa” tra competenza comunicativa infantile e responsività materna e parentale.
Per inciso io, forse con un pensare semplice, ritengo che queste modalità relazionali, siano potenzialmente naturali e che possano solo in parte essere apprese, essere insegnate (la mia esperienza nel Mali); infatti, perché siano efficaci occorrono il Gusto, il Piacere, la Curiosità giocosa, l’Amore, soprattutto il reciproco gustoso piacere nell’allevare un figlio in un contesto umano che sia però vivibile.
E’ evidente a tutti noi come la qualità di queste interazioni matriciali, originarie, influenzeranno tutto lo sviluppo socioemotivo relazionale del bimbo e poi del giovane ed infine dell’adulto.
Penso ancora ai modelli dell’Attaccamento studiati da J. Bowlby, la M. Ainsworth ,la M.Main, Fonnagy e, da noi, dai gruppi di Ammanniti/Speranza a Roma e Riva Crugnola a Milano alla Bicocca, per ricordarne alcuni.
Quindi, riassumendo, bimbi più gustosi, piacevoli, non angosciati né angoscianti, rinforzeranno, a loro volta, la Responsività Materna che, a sua volta, rinforzerà la capacità del bimbo poi del giovane e dell’uomo, di affrontare, contenere metabolizzare anche le situazioni avverse che inevitabilmente capiteranno nella vita. Essi sapranno poi godere, assaporare, valorizzare le situazioni positive, rafforzando il proprio Sé.
La funzione di Scaffolding (aiuto dato da una persona – qui il genitore – ad un’altra – qui il bimbo – per svolgere un compito. Impalcatura, ponteggio) nello sviluppo delle funzioni cognitive ed emotive è una funzione di aiuto ma anche di contenimento e di disciplina “amorosa”. E’ in benevola relazione con la funzione III -del padre (se c’è o di chi per esso), della rete parentale e della qualità del loro esserci.
La qualità di questo attaccamento primario di rete sarà anch’essa predittiva delle competenze sociali, relazionali, cognitive ed emotive nell’infanzia e nell’adolescenza.
 
Attaccamento sicuro è quindi predittivo di buona Resilienza.
In sintesi, il Senso basico delle connessioni sociali introiettate permetterà, più o meno, l’esistenza di aspettative positive, concernenti se stessi e gli altri, con i quali relazioniamo e relazioneremo nella vita.
E’ il vero Starting Point per lo sviluppo relazionale del bambino, delle sue competenze sociali, cognitive ed emotive nelle interazioni con “altri significativi” ed il mondo più in generale.
Si sono sviluppati quindi in questi anni (ad esempio l’esperienza di Savona e di molti servizi per l’infanzia, fin dalla neonatologia, esempio l’Ospedale Galliera), modelli di intervento preventivo che favoriscano uno “sviluppo sicuro”.
Ecco interventi preventivo-terapeutici, in tempo reale, nella relazione in (formazione)fieri madre-bimbo-genitori-rete parentale per evitare l’irrigidirsi di patners relazionali disadattivi :modelli di attaccamento insicuro, ansioso o evitante o addirittura disorganizzato.
Rinomino qui soltanto strumenti come la Strange Situation, l’Infant Research, interventi precoci sulla diade madre-bimbo e sulla triade Madre-bimbo-padre anche con le terapie audiovisive (George Downing) che mio figlio per anni ha praticato a Savona nel progetto di prevenzione della sofferenza psichica durante la maternità ed il puerperio.
L’ideale è certamente una famiglia ben “triangolata”, sufficientemente sintonica e legata al piacere reciproco nelle relazioni, magari sostenuta da una rete parentale sicura  ma non intrusiva.
In verità questo non è così frequente e le realtà familiari possibili sono molte e così le possibilità di sostegno “ambientale” ma anche di danno ambientale.
Ricordo tuttavia come questa rappresentazione di famiglia condivisa in relazione con altre famiglie, verso un bene comune, è in contrasto con la cultura del narcisismo, dell’Individualismo dilagante via via affermatisi a partire dagli anni 80 del secolo scorso (Aspetti neurologici del narcisismo).
In conclusione, le rappresentazioni genitoriali delle proprie relazioni di attaccamento (Adult Attachment Interview) influenzeranno il modo di sviluppare le relazioni di attaccamento con i propri figli, fino a quelle con il mondo che si andrà incontrando nella vita.
Una madre, ma anche un padre, che non siano troppo “occupati”, “condizionati” dalle proprie rappresentazioni genitoriali, quando queste siano state problematiche, avranno buona riflessività e responsività, con uno “Scaffolding” efficace: essi potranno così vivere il loro figliuolo come soggetto, con propri peculiari stati mentali, altri dai loro quindi; si svilupperà allora nel bimbo una prima “teoria della mente” che il genitore – in un gioco amoroso – gli attribuisce ma anche insieme inventano.
Il bimbo è così accompagnato nell’assorbire il mondo e metabolizzarlo nei processi imitativi nei quali, grazie alla naturale e primaria empatia (neuroni a specchio – simulazione incarnata ed embodiment) forma il suo Sé Infantile.
Egli, cominciando ad esplorare la mente ed il corpo della sua mamma (o più in generale del/dei caregivers primari) riflettendosi in essa(i) , imitandone le modalità relazionali, forma il suo primo Sé e la prima Teoria della Mente di se stesso e degli altri. Nascono così via via il:
IO – TU – NOI – VOI
Nasce presto così la potenziale capacità di usare la funzione riflessiva, di usarla bene, abbastanza bene, male o per nulla…durante tutta la vita.
La funzione riflessiva permette:
  1. La comprensione della natura degli stati mentali propri e degli altri attraverso un buon utilizzo della funzione empatica,
  2. L’individuazione degli stati mentali, cognitivo – emotivi, sottesi ai comportamenti,
  3. La capacità di comprendere il legame tra stati mentali e sviluppo del bimbo,
  4. La capacità di riconoscere gli stati mentali degli altri (Fonnagy)
Vado verso la conclusione ricordando una ricerca che si è sviluppata in molteplici paesi. Questa ricerca ha coinvolto paesi di tutto il mondo. Sono state selezionate famiglie con situazione sociale simile; esse  sono poi state seguite durante la gravidanza ed i primi due anni del bimbo nato: non sono emerse differenze significative nella gestazione, nascita, crescita di questi bimbi, nati in regioni così diverse (Radio Scienza terzo canale RAI).
Questo vuole dire che i cuccioli della specie umana sono uguali in tutte le parti del mondo, questo vuole dire ancora una volta che le teorie razziali sono stupide ed ascientifiche perché negano prima di tutto, prima ancora delle più basilari leggi morali, la natura della specie umana.
Concludo ora con  tre brevi riflessioni sul vivere del nostro filosofo Tommaso, bimbo dell’età di 5 anni:
  1. In questo mondo di umani non si finisce mai di imparare
  2. Per pensare serve il silenzio
  3. La prima volta che si fanno le cose, sembrano difficili ma poi diventano facili.  
Tommy
 


 
Bibliografia
 
 
  1. Ammaniti M., Gallese V.: La nascita dell’intersoggettività, Cortina ed. Milano 2014
  2. Amsworth M. Ed al. Patterns of Attachment. A psychological Study of strange situation, Hillsdale,N.Y.Erlbaum ed. 1978
  3. Bowlby J.(1969) Attaccamento e Perdita (1969),  vol. 1 Bollati Boringhieri ed. Torino 1972
  4. Bion W.R. (1961) Experiences in Groups and other, other Papers,  London Tavistock Publications
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