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LA FENOMENOLOGIA NELLA SUA TEORIA E NELLA SUA PRASSI, IN PSICHIATRIA

7 Giu 19

Di Eugenio-Borgna

Alla mernoria di Ferdinando Barison

LA SOGLIA

 

Non c'è psichiatria che non abbia a suo fondamento esplicito, o implicito, una concezione Filosofica: anche la psichiatria somatologica rimanda a premesse conoscitive di natura filosofica nella misura in cui disconosce autonomia alla vita psichica, all'arcipelago infinito della vita emozionale, ricondotta ad alterazioni neurotrasmettitoriali. Non può, così, sorprendere il fatto che l'esistenzialismo e la fenomenologia, come indirizzi filosofici moderni, abbiano profondamente infuenzato aree psichiatriche in particolare europee negli anni che, con una datazione ovviamente indiziaria, oscillano fra il 1913, quando usciva la Allgemeine Psychopathologie [35] di Karl Jaspers, e il 1965 quando veniva pubblicata l'ultima opera di Ludwig Binswanger:Wahn [18].

La separazione, la dilemmatica scissione, fra psichiatria come scienza naturale e psichiatria come scienza umana è il Leitmotiv dei lavori di Ferdinando Barison. Fra questi, c'è un lavoro [6], brevissimo e folgorante (nel frammento, nella vertigine inafferrabile e fuggitiva del frammento, direi che si esprime fino in fondo la genialità barisoniana), nel quale gli scenari dell'una ed dell'altra psichiatria rinascono sullo sfondo di dolorose penombre.

Sono parole alte e commosse: nel sottolineare come "anche la psichiatria, questa psichiatria ("la vera psichiatria"), non può che essere coinvolta nel disastro del "Post-Moderno" e le sue sorti (che sono poi le sorti dei nostri malati) non possono sperare di sottrarsi al caos se non partecipando alle speranze e ai tentativi che animano certo pensiero filosofico attuale", Ferdinando Barison continua dicendo che la psichiatria, perduta nella illusione di essere scientifica nella misura in cui "si fonda su studi statistici, computerizzati e no, scale, questionari, ecc.", bene, "non può che rientrare nel grande travolgimento tecnico-scientifico post-moderno, assumendone tutti gli effetti in definitiva nichilistici e mortali per il genere umano: mortali anche se non con la catastrofe nucleare, sulla "essenza autentica" dell'uomo.

La linea di separazione fra la fenomenologia soggettiva e quella obbiettiva si realizza nel fatto che questa, come i lavori [15, 16, 17, 18] di Ludwig Binswanger hanno dimostrato con alta evidenza scientifica, intende accedere direttamente ai fenomeni psicopatologici: considerandoli nella loro immediatezza semantica e nella loro radicale donazione di senso; e questo indipendentemente dal fatto che i fenomeni siano soggettivamenteincomprensibili. Certo, la fenomenologia soggettiva (jaspersiana) considera incomprensibili i fenomeni che non possano essere rivissuti, e sentiti (per analogia) come propri, da noi che, sottratti ad una esperienza psicotica, ci confrontiamo con il paziente; mentre la fenomenologia obiettiva (binswangeriana) ricerca nei fenomeni psicopatologici, al di fuori della loro comprensibilità, o incomprensibilità, soggettiva una radente articolazione di senso.

Cosa intende fare l'indagine fenomenologica obiettiva? Inaugurata da Ludwig Binswanger, essa può essere definita come indagine fenomenologico-antropologica: indicando, così, che il metodo è fenomenologico (in senso husserliano) e l'oggetto della indagine è la condizione umana nella sua problematicità e nella sua ineffabilità.

L'indagine fenomenologico-antropologica, che Binswanger ha chiamato Daseinsanalyse riconducendola nelle sue premesse dottrinali alla grande opera filosofica [29] di Martin Heidegger, è giunta a tematizzare come distorte modalità di "essere-nel-mondo" le esperienze psicotiche: non più considerate come an-archiche aggregazioni sintomatologiche ma come disturbi della comunicazione, e ricondotte invece nella loro costituzione fenomenologica al lorovivere "in un mondo diverso" da quello che è il nostro mondo della quotidianità e della banalità.

Mettendo-fra-parentesi il problema delle cause delle esperienze psicotiche (del perché esse si manifestano), e rinviando questo problema ad un altropiano di conoscenza, l'indagine fenomenologico-antropologica ha fatto riemergere le connessioni di senso che articolano il discorso psicotico e ha infranto il pregiudizio "naturalistico" che, in ogni Lebenswelt psicotica, non vede se non una destorificata sequenza di eventi naturali. Ampliando vertiginosamente l'orizzonte di comprensione delle esperienze psicotiche (molto al di là dei confini della comprensibilità jaspersiana), l'indagine fenomenologico-antropologica ha tematizzato anche una diversa radicale possibilità di comunicazione con ogni paziente sommerso dalla psicosi.

 

LA FENOMENOLOGIA NON È SOLO TEORIA MA È ANCHE PRASSI IN PSICHIATRIA

 

L'indagine fenomenologica jaspersiana (soggettiva), che anche in Italia ha trovato modelli di originale applicazione nei lavori [42, 43, 44] di G. E. Morselli, si è arrestata nella sua articolazione pratica dinanzi alla (apparente) incomprensibilità dei fenomeni psicopatologici che essa, quando siano incomprensibili, considera come esperienze naturali solo spiegabili sulla base di evenienze somatiche. Al di là di questi limiti epistemologici (insanabili e insalvabili), la fenomenologia jaspersiana, radicalmente indirizzata a descrivere e ad analizzare le esperienze vissute e la soggettività dell'altro-da-noi, si costituisce come la premessa indispensabile al fine di raccogliere e di tematizzare le esperienze interiori (la interiorità) dei pazienti; sulle quali si verrà poi svolgendo l'indagine fenomenologico-antropologica (la fenomenologia obiettiva) al fine di coglierne il senso e di ricostruirne la genesi di senso.

Certo, questo è possibile alla sola condizione che fra medico e paziente si abbia ad articolare una struttura relazionale aperta e dialogica: cosa sulla quale concordano, del resto, sia la fenomenologia soggettiva sia quella obiettiva.

Vorrei, ora, chiedermi quali possano essere, e quali siano state, le relazioni possibili fra fenomenologie antropologiche (fenomenologie obiettive) e psichiatria clinica: psichiatria come prassi.

Le articolazioni del discorso, che sono venuto facendo, inducono a ritenere che ogni ricerca fenomenologico-antropologica sia prigioniera delle sue originarie fondazioni filosofiche (husserliane, heideggeriane e scheleriane) e sia condannata ad essere fredda (ghiacciata) analisi fenomenologica, eidetica visione dei fenomeni, e a chiudersi in una Einstellung contemplativa: tagliata-fuori da ogni riferibilità alla psichiatria clinica (alla psicoterapia)e alla psichiatria sociale.

Sono, queste, alcune delle obiezioni che vengono rivolte alle indagini fenomenologiche (alla fenomenologia) che abbiano come loro orizzonte di senso l'attenzione radicale ai modi di vivere, e non di comportarsi, alle strutture di significato, e non alle aggregazioni sintomatologiche destituite di senso, alla storia della vita (alla Lebenswelt), non alla (sola) storia clinica. Ma non sono, queste, obiezioni accettabili nella misura in cui la fenomenologia non si esaurisca, in psichiatria, in una elitaria (statica) forma di conoscenza; ma si immerga nei nodi roventi del reale.

 

LA COMPRENSIONE FENOMENOLOGICA DELLA LEBENSWELT PSICOTICA TRASFORMA LA PRASSI CLINICA

 

Nella misura in cui le indagini fenomenologico-antropologiche hanno radicalmente cambiata, e dilatata, la comprensione delle esperienze psicotiche e delle loro strutture di significato (facendoci conoscere come si "è-nel" mondo, e "chi-è" nel mondo, nella Lebenswelt psicotica) sono riemerse alcune fondamentali contraddizioni e antinomie nascoste nella quotidiana pratica clinica. Analizzando ad esempio, e tematizzando, la spazialità maniacale, e la articolazione spaziale di "chi-è" nel vortice della esperienza maniacale [20, 22, 23], le ricerche di fenomenologia obiettiva hanno dimostrato come a questa metamorfosi della struttura esistenziale della spazialità (della esperienza vissuta dello spazio) corrisponda la metamorfosi spaziale del mondo come orizzonte di trascendenze costituite.

Ora, la psichiatria clinica tout court, disconoscendo alla esperienza maniacale come ad ogni altra forma psicotica una originaria trascendenza nello spazio e nel tempo vissuti, non si è confrontata con queste esperienze psicotiche se non sul piano della "repressione" e della sopraffazione farmacologica.

Non è solo l'esperienza dello spazio (lo spazio vissuto) a contrassegnare la forma di esistenza psicotica (maniacale o depressiva, e schizofrenica), ma è anche l'esperienza del tempo (il tempo vissuto). La polverizzazione del tempo nella mania [20, 22, 23], l'arrestarsi del tempo nella depressione endogena (psicotica) [19, 20, 22, 23, 50] e gli sbalzi vertiginosi del tempo nella schizofrenia [15, 21, 22, 23], sono elementi fenomenologici e psicopatologici che devono essere ri-conosciuti nella loro articolata dimensione: se si vogliono affrontare le esperienze psicotiche con una prassi (con una modalità pratica di lavoro) ad esse adeguata.

Questo significa, fra l'altro, che in una struttura psichiatrica (ospedaliera) non sono possibili reali modelli terapeutici e assistenziali se non tenendo presenti queste modificazioni spaziotemporali, interne ai pazienti psicotici, che trascinano con sé l’esigenza di articolazioni ambientali aperte e radicalmente rispettose delle aree extrapsicotiche (della libertà ancora e in ogni caso presente: benché in misura più, o meno, profonda nelle diverse esperienze psicotiche): come Kurt Schneider [48] ha drasticamente ribadito.

Da questa più radicale possibilità di comprensione delle strutture (esistenziali) costitutive delle psicosi discendono, dunque, modelli pratici di una confrontazione ambientale e interpersonale con i pazienti nel contesto della loro spaziotemporalità e della loro intersoggettività.

La comprensione fenomenologica della Lebenswelt psicotica non ha solo consentito di cogliere l'evidenza delle strutture antropologiche descritte ma, quando la psichiatria si è fatta psichiatria ermeneutica, è scesa nella profondità dei modi di essere psicotici e nella modificabilità dei modi di esserlo.

Ricorrendo, in particolare, ad un bellissimo lavoro [ 7 ] di Ferdinando Barison, mi è possibile indicare con drastica chiarezza cosa ha nel suo orizzonte conoscitivo la psichiatria ermeneutica e a cosa essa tenda. La psichiatria ermeneutica è "quella che cerca di comprendere i malati con i "come se"": seguendo (certo) i sentieri scoscesi e interrotti delle metafore: del linguaggio delle metafore; ma Barison indica poi con stupefacente radicalità le due strutture portanti del discorso ermeneutico, in psichiatria. Alcune (brevi) citazioni da questo lavoro [ 7 ] mi sembrano essenziali: tenendo presente, in ogni caso, che fenomenologia ed ermeneutica sono osmoticamente sconfinanti l'una nell'altra.

Il circolo ermeneutico e il dialogo ermeneutico sono, queste, le due strutture portanti: "Il circolo ermeneutico è chiaramente descrivibile in giurisprudenza .La legge è valida soltanto nell'interpretazione, che il singolo giudice ne dà nel singolo caso in quanto irripetibile; a sua volta, la legge viene "modificata" dalle applicazioni, che i giudici ne danno via via. Il circolo ermeneutico è proprio questo: un continuo divenire consistente nell'interazione del tutto sulle parti e delle parti sul tutto. L'ermeneutica quindi è storicizzazione. Al contrario le leggi scientifiche sono immutabili, a meno che si sostituiscano tra loro. Senza azzardare giudizi sulle altre specialità mediche, posso affermare che questo è molto importante per la psichiatria, dove il medico vede sempre qualcosa di nuovo in ogni malato".

Mi soffermo su questa citazione e sulla seguente perché i testi di Barison sono qui, come in ogni suo lavoro del resto, di una grande (emblematica) chiarezza: radendo incrostazioni e vischiosità così facili in questo campo.

Il dialogo ermeneutico, infine: "Nel dialogo ermeneutico non ci sono un soggetto ed un oggetto, ma c'è l'incontro di due orizzonti, che si fonde in un orizzonte nuovo, costituito da un cambiamento di entrambi nel momento dell'interpretazione: si verifica un "aumento di essere" come dice Gadamer". Ancora Barison sui confini, e sul senso, dell'ermeneutica: "L'ermeneutica è linguaggio. Il dialogo ermeneutico (e lo è quello psichiatrico) è presenza che parla. L'essere è linguaggio: anche le cose parlano. L'universo dei significati in cui viviamo è linguaggio (Gadamer)". e sulla nsonanza clinica del discorso ermeneutico: "Bisogna ricordare che l'essenza dell'esame clinico è l'ascolto, che può essere anche ascolto in silenzio del silenzio, nel mirabile nuovo orizzonte che abbraccia due orizzonti".

La conclusione pratica? questa: "Mentre non c'è filosofo che non si preoccupi del senso della follia, una psichiatria "scientifica", che rifiutasse la verità ermeneutica dei messaggi lanciati dai malati, priverebbe l'universo degli uomini d'un aspetto fondamentale di esso"

La percezione ermeneutica (fenomenologica) della Lebenswelt psicotica (anche neurotica, del resto) trasforma radicalmente il modo concreto di fare-psichiatria: di incontrare il paziente sulla linea di una trasformabilità dialettica e dialogica delle realtà umane mai sclerotizzate e perdute.

La comprensione della Lebenswelt psicotica è tematizzata da Ferdinando Barison in altri lavori: muovendo da prospettive fenomenologiche (correlate con quelle ermeneutiche) che indicano i modi concreti di agire nei confronti della schizofrenia, in particolare. Da uno [3] di questi lavori vorrei stralciare due brani di radicale importanza psicopatologica e antropologica: "L'approccio fenomenologicamente ispirato dello schizofrenico punta sul coglimento di due elementi ineffabili, che sono la schizofrenicità e l'unica irripetibile esistenza che la vive. Cerchiamo non di descrivere ma di cogliere i significati di comportamenti, mimica, linguaggio con l'immediatezza dell'intuizione, cercando di vivere i modi di essere del malato"; e ancora: "Poggiante dunque più sul significante ed allusivo al significato; si notano dei "come se", allusivi a modi di essere che vien fatto di immaginare. Si sviluppa così una sene di proposizioni a spirale, che sempre più si avvicinano al nucleo ultimo, all'ineffabile esistenza di "quello" schizofrenico, unica irripetibile".

L’intuizione fenomenologica ha consentito, del resto, a Barison di cogliere, capovolgendo tesi ostinate e generalizzate, l'area inesauribile dei significati sia nell'autismo infantile [1] sia nelle schizofrenie [2, 9]solo apparentemente perdute e abbandonate dal senso.

 

LA FENOMENOLOGIA COME PREMESSA RADICALE ALLA PSICOTERAPIA DELLE PSICOSI

 

Altre aree della prassi (della psichiatria come prassi) sono state radicalmente influenzate dalle indagini fenomenologico-antropologiche; e fra esse l'area della psicoterapia delle psicosi. Solo nel contesto di una indagine fenomenologico-antropologica, infatti, l'abisso-senza-fondo, che separa il "nostro" mondo dal mondo delle realtà psicotiche e che sembra infrangere ogni comunicazione immediata con l'altro-da-noi, si fa scientificamente comprensibile e scientificamente oltrepassabile. Quando questo avviene, e si realizza, anche l'area affascinante e problematica della psicoterapia delle psicosi ne viene rifondata e riformulata. La psicoterapia delle esperienze neurotiche è, certo, inavvicinabile a quella delle esperienze psicotiche: sulle quali si riflette più immediatamente e radicalmente il senso del discorso fenomenologico-antropologico.

Le cose (in particolare), che a questo riguardo sono state tematizzate da Ludwig Binswanger [14], si finalizzano alla articolazione psicoterapeutica nellepsicosi: nelle quali non ha senso una qualsiasi modalità terapeutica che non si accompagni ad un radicale impegno personale; e questo al di fuori (anche) di ogni rigida e formale articolazione tecnica. Come egli dice (ancora), ogni psicoterapia è operante solo nella misura in cui fra terapeuta e paziente si abbia a concretare una comunicazione esistenziale fondata sulla fiducia: condizione essenziale, questa, perché nasca una reciprocità relazionale che trascenda ogni reificazione dell'altro-da-noi e ogni subalternità ad una figura astratta, come è la "psiche", e che si esprima in un modo radicalmenteumano di vivere-con, di essere-insieme, fra chi cura il paziente e il paziente.

Nei modi psicoterapeutici di articolarsi con una esperienza psicotica (schizofrenica in particolare) entrano in gioco, dunque, elementi non semplicementetecnici, legati alla percezione astratta di una "malattia" psichica, ma elementi che nascano dalla intuizione e

dalla capacità di immedesimazione negli abissi della interiorità (della soggettività) dei pazienti. Sulla scia di una radicale impostazione fenomenologica e antropologica, ci sono lavori come quelli, ad esempio, di Friedrich Mauz [38, 39] e di Alfred Storch [49] che dimostrano la importanza della fenomenologia (husserliana, heideggeriana e scheleriana) nel fondare una psicoterapia delle psicosi, e che dimostrano anche la conciliabilità di una Einstellungfenomenologica con quella psicoanalitica.

Cose essenziali sull'orizzonte di senso di una psicoterapia, che si rifaccia a premesse fenomenologiche, sono state espresse da Martin Heidegger nel corso dei seminari [31] tenuti in Svizzera. Da una psicoterapia intesa ad "oggettivare" l'uomo e a confrontarsi con "oggetti", da una psicoterapia intesa a fare qualcosa di semplicemente tecnico, dice Heidegger, "non verrà fuori mai un uomo più sano"; perché, in una terapia di questa natura, "l'uomo è definitivamente escluso; al massimo, potrebbe risultarne un oggetto levigato". Sulla relazione "medico-paziente" egli dice: "In qualità di medico, ci si deve, per così dire, ritirare e lasciar essere l'altro uomo. Questi sono modi di comportamento del tutto diversi, che, dal di fuori, non sono affatto distinguibili"; e ancora: "Invece di parlare sempre solo di un cosiddetto rapportarsi io-tu, si dovrebbe, piuttosto, parlare di una relazione tu-tu, in quanto lo io-tu è sempre solo detto a partire da me, mentre, invece, in realtà, v’è una relazione reciproca"

Le cose più affascinanti e più sondanti, che tranciano ogni incrostazione teorica e ogni ruggine dei segni, sulla psicoterapia delle psicosi sono nondimeno quelle che ha scritto Ferdinando Barison.

Le sue riflessioni sul circolo ermeneutico e sul dialogo ermeneutico spalancano (certo) brecce luminose sul senso della psicoterapia; e, in ogni caso, questo tema fa parte di lavori radicali che egli ha scritto muovendo dal suo modo concreto di fare-psichiatria e di confrontarsi con i pazienti. Non c'è psicopatologia, e non c'è ricerca "scientifica" in psichiatria, autentiche e dotate di senso, se non nella prospettiva della terapia: sono cose, queste, che ritornano (essenziali e ribadite) in ogni lavoro di Barison sia nell'area della psichiatria sia in quella della psichiatria infantile.

In uno [4] dei suoi alti e appassionati lavori di psichiatria infantile sono indicate le linee di quella che è psicoterapia fenomenologica: "Da una fase "psicologica" di stare insieme, nell'atteggiamento di classica accettazione, di voluta attenzione a quanto appare di personale, di specifico nel modo di essere del paziente, al "salto" in una coesistenza molto simile al "modus amoris" di Binswanger: una modificazione delle esistenze unificate dallo stesso destino, nell'avventura psicoterapeutica".

La riflessione barisoniana continua con tranciante apertura umana: "L’esistere del paziente viene tratto fuori sia dal banale di tutti i giorni, sia dalle condizioni di scacco psicologico, che ne rappresentano in fondo una variante di decadimento: e diviene esistenza nella luce fondante del non nascondimento dell'Essere. È un modo di essere al mondo nuovo, sia per il terapeuta che per il terapeutizzato. I significati che sensibilmente il terapeuta coglieva nei comportamenti e nelle espressioni del paziente ora diventano trasumanati, per così dire, dalla luce ineffabile dell'Essere. È qualcosa che richiama la messa in opera della verità della concezione Heideggeriana dell'opera d'arte".

Una ultima citazione da questo lavoro contrassegnato da una profonda partecipazione interiore: "Questo tipo di psicoterapia rappresenta l'esasperazione di quello che è in fondo l’essenza di "ogni" genere di psicoterapia, che consiste non nell’acquisizione di tecniche ma nel raggiungimento di condizioni di apertura esistenziale, capace di cogliere e vivere eventi in cui "l'altra" esistenza è coinvolta".

Solo se nell'incontro dialogico, nella articolazione psicoterapeutica dell'incontro, con una forma di vita psicotica, c'è qualcosa in noi di questo straordinario discorso fenomenologico, si incrineranno i ghiacciai della solitudine autistica.

 

 

GLI SCONFINAMENTI DELLA FENOMENOLOGIA NELLA PSICHIATRIA SOCIALE

 

Le indagini fenomenologiche-antropologiche hanno radicalmente trasformato il discorso sulla "normalità" e sulla "a-normalità" in psichiatria: travolgendo idee arcaiche e dogmatiche che sembravano immodificabili. Dal discorso sulla problematica definibilità di "normalità" psichica, e sulla sua oscillabilità, e dal discorso sulla diversa costituzione delle esperienze psicotiche, ma dotata di senso, sono scaturite conseguenze rivoluzionarie sui modi di considerare le esperienze psicotiche e di confrontarsi con esse: sconfinando, infine, nelle fondazioni teoriche e pratiche di quella che è oggi la psichiatria sociale.

La "norma" (quella che è considerata "sanità" psichica) e la "antinorma" (quella che è considerata "malattia" psichica) non si contrappongono, dice Binswanger [16], come esperienze antitetiche (come modi radicalmente estranei gli uni agli altri): l'una portatrice di valori e l'altra negatrice di valori; ma si articolano come esperienze umane esistenzialmente (non assiologicamente) diverse.

Quella che ci appare come esperienza psicotica non è, nella sua più profonda ragione d'essere, se non una esperienza altra dalla nostra: non tematizzabile in ogni caso come esperienza senza senso.

Le indagini fenomenologiche hanno, così, consegnato un senso e una interna normatività alle esperienze psicotiche (alla schizofrenia come alla esperienza depressiva e a quella maniacale). Non solo sulla base di questa rivalutazione radicale del senso, e della donazione di senso, delle esperienze psicotiche (della loro dignità e della loro originalità), ma anche sulla base della articolazione e della progettazione di un incontro interumano, che consideri il "malato" nella sua emblematica significazione esistenziale e si svolga nell'area di una immediatezza dialogica destituita di ogni "distanza" e di ogni "reificazione" (di ogni "oggettivazione"), si sono venute costituendo le premesse teoriche di alcune decisive correnti di psichiatria sociale. Non vorrei, qui, ricostruire e storicizzare gli anelli, e gli sviluppi, di un discorso fenomenologico che si è trasformato nel discorso di una psichiatria dialettica fondate nelle sue articolazioni sociali.

In ogni caso, dai modelli conoscitivi della fenomenologia attraverso sentieri nascosti e complessi, che nei lavori [12, 13] di Franco Basaglia si sono configurati in una continuità lineare fra impostazione teorica fenomenologico-antropologica e sfondamento pratico della istituzione manicomiale, sono scaturite le linee operative di una psichiatria intesa a cogliere e a tematizzare l'importanza dei contesti ambientali e degli atteggiamenti interpersonali (aperti o chiusi, dialogici o indifferenti) nel fare-precipitare una esperienza psicotica, o nel frenarla e nell'arginarla.

Se la psichiatria sociale, la sua fondazione, rispecchia in sé la traccia più eclatante delle influenze che le ricerche fenomenologiche hanno lasciato sulle modalità pratiche di fare-psichiatria, non è possibile dimenticare come a queste ricerche sia necessario assegnare una importanza radicale nel coglierel'essenza delle esperienze psicopatologiche e nel tematizzare le forme di incontro, e i modelli di intersoggettività, con cui affrontarle nella loro costituzione spaziotemporale e nella loro dialettica di libertà e di illibertà.

Ovviamente, in psichiatria, le ricerche hanno un senso profondo e non effimero solo se siano finalizzate alla prassi quotidiana nella sua grandezza e nella sua miseria. Non sono state, e non sono, estranee a questo orizzonte di senso e di lavoro, in psichiatria, le ricerche fenomenologiche.

 

 

L’ADDIO

 

Questo mio discorso si sta chiudendo; ma non posso ora non dire (non posso non ripetere) una qualche parola di infinita straziante riconoscenza per quella che è stata la testimonianza di una incomparabile grandezza scientifica e umana che mi è stata data, in

questi ultimi anni, da Ferdinando Barison. Il destino, o non so quale apparente lontananza, non mi ha consentito di conoscere Ferdinando Barison se non negli anni estremi della sua vita che sono stati nondimeno sufficienti perché egli abbia voluto dimostrarmi una solidarietà e una amicizia indimenticabili.

Non ho mai conosciuto una persona che sia stata capace, in un tempo così breve e così intenso insieme, di offrirmi prove di una generosità assoluta ed inaudita, e di accogliere il mio modo di essere e di fare-psichiatria con una così sconvolgente donazione di senso. Le cose, che egli mi ha scritto e quelle che egli ha scritto dei miei lavori, non solo mi hanno colpito al cuore (ogni volta e per sempre) ma si sono accompagnate alla mia vita, e l'accompagnano, con la luce e il coraggio (l'invito a resistere) che ci sono state in esse.

Nella recensione-ri-creazione [10] del mio libro sulla schizofrenia egli ha svolto considerazioni bellissime, molto più belle (certo) che non le mie, e ha fatto ri-emergere dalle mie pagine significati nascosti e sonnecchianti che solo la sua straordinaria captazione intuitiva e creativa ha colto e ha s-velato: nella luce di un dialogo ermeneutico che ha fondato, da sempre, la sua psichiatria. Da questo testo, da questo meta-testo, di Ferdinando Barison (al quale idealmente si uniscono le ultime parole [11] del suo ultimo lavoro) vorrei stralciare un frammento brevissimo: nel quale, come in un lampo fulmineo e incenerito, si brucia la sua immensa divorante passione per la musica: per quella di Johann Sebastian Bach (non so cosa avrebbe detto di questo articolo[37] dedicato al wohltemperierte Klavier nel contesto di un numero di Psyche su musica e psicoanalisi) e per quella di Gustav Mahler. Lo rileggo e lo riascolto: le mie parole sono state una semplice occasione per una sua fuga vertiginosa sul senso misterioso e indicibile delle associazioni musicali.

"Il brano, ispirato dalla musica, si conclude con un "morendo" come in un adagio mahleriano, dolorosissimo: "il silenzio attonito" e la "solitudine disperata" quando le voci consolatrici allucinatorie si siano dileguate".

La musica, certo, senza la quale non è possibile intendere la profondità e la inesauribile originalità del pensiero e del poetare (direi questo) di Ferdinando Barison in ogni sua forma di espressione. Non gli poteva essere ignota, del resto, la abbagliante definizione della musica di Rainer Maria Rilke: "Musica: respiro delle statue" (Musik: Atmen der Statuen) [45].

Ora, è il silenzio.

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1 commento

  1. manlio.converti

    L’incontenibile meraviglia
    L’incontenibile meraviglia dell’unicità, della diversità, dell’umanità, che da intuizione diventa condizione sociale e relazionale, resa utile da uno sforzo di comprensione immenso sull’alterità.
    Se oggi arrivasse un alieno, anche in forma umana, la meno probabile, sarebbe la sua forma di pensiero ad esserci totalmente incomprensibile, come i colonizzatori di fronte alle tribù primitive o d’altre ere evolutive e queste medesime a confrontarsi con i colonizzatori.
    Il tempo, la violenza, che oggi supponiamo in Alien ma anche nell’Intelligenza Artificiale, la ricostruzione archeologica del vissuto e dell’antropologia dopo l’esito del conflitto, come Thor Heyerdahl all’isola di Pasqua, un terapeuta ‘biswangeriano’ di fronte ad uno psicotico, la lotta per i diritti civili come la visione liberatoria e terapeutica anti-manicomiale di Basaglia.
    Il gioco dell’alienazione, invece, è nell’omologazione alla massa richiesta dagli stessi pazienti che ‘conciliano’ le proprie terapie, o nella diversità del vissuto che li rende estranei alle stesse famiglie?
    La scoperta del ‘metodo’ per ‘comprendere’ l’altro è ignorata dal nostro Paese, afflitto dal conflitto eterno, dalla paura come strumento di potere e dall’eteropatriarcato come mito fondatore, inclusivo di stupro etnico, come il ratto delle sabine, e violenza terapeutica e fondatrice di senso, come Romolo e Remo.
    Sarebbe lungo spiegare qua il ‘Diritto al Vissuto’ proverò a ricominciare questo discorso altrove.

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