Nota editoriale de La Psicoanalisi, 17, 1995

II testo di Jacques Lacan che pubblichiamo in questo numero è un testo minore. Come nota Jacques-Alain Miller nella sua presenta­zione, più che di un testo si tratta dì un documento che era in circolazione nell'Ecole freudienne de Paris come allegato alla versio­ne orale del testo base di Lacan sulla formazione dello psicoanalista, la Proposta del 9 ottobre 1967 sullo psicoanalista della Scuola (Altri scritti, Einaudi).

Eppure Una procedura per la passe ha un suo interesse preciso. Oltre a essere una modalità di applicazione della passe, il testo ag­giunge una pietra in più per rispondere all'interrogativo che serpeg­gia nell'insegnamento di Lacan, spesso in modi diversi: qual è il posto dello psicoanalista nel mondo?

Non il posto della psicoanalisi. A torto o a ragione, un posto nel mondo la psicoanalisi ce l'ha. Non a caso, nella migliore delle ipote­si, la teoria analitica è diventata stimolo per altre discipline e, nella peggiore delle ipotesi, essa è invocata come ultima ratio di tutto quel che avviene di sublime o di turpe nell'uomo.

Ma il posto dello psicoanalista?

Qui, una risposta viene immediatamente alle labbra: se per il posto dello psicoanalista si vuol indicare la funzione che gli è pro­pria, allora, come direbbe il signor de La Palice, il posto dello psicoanalista è quello di psicoanalizzare.

Proviamo a dare tre valenze a questo termine psicoanalizzare.

Una prima valenza lo fa coincidere con l'esercizio di un sapere che non è a disposizione del soggetto e che viene supposto a un altro: così il posto che si da (o si prende) lo psicoanalista è quello di

essere né più né meno alla stregua del guru, dell'oracolo o del vate, ma anche del lettore di carte o della mano, gente che minaccia costantemente di terrorizzare il prossimo svelandogli il suo profondo destino.

Una seconda valenza identifica lo psicoanalizzare con la funzione psicoterapica. Psicoanalizzare e psicoterapeutizzare non sono termini sinomini, anzi, in un certo qual senso, sono operazioni esattamente contrarie. Ma non è sulle differenze che vorremmo porre l'accento, su cui del resto la Scuola di Lacan ha prodotto diversi lavori, ma sulla funzione considerata implicita nella domanda che si indirizza a un altro, cosiddetto specialista per far fronte alla sofferenza psichica. Ora, a colui che accoglie la domanda, viene richiesta non solo una competenza specifica, ma viene richiesta anche una condizione par­ticolare: prima di curare deve sottoporsi alla cura. Questa particola-rità lo discrimina rispetto a tutte le altre professioni. Per esempio, al cardiologo viene richiesto di essere competente nella sua materia, e non di sottoporsi a cure di cardiologia.

Non è così per gli psicoanalisti. Così la pensò Freud. E, dopo di lui, tutti quanti. Fino al punto che la legislazione italiana, unica al mondo, ha pensato di richiedere ex officio che sia contemplata una formazione personale, specifica a ogni indirizzo, per l'abilitazione all'esercizio della professione. Non entriamo nel merito, oggi, della questione dell'ex officio, né a quella della parificazione delle più varie formazioni personali. Poniamoci la questione del perché per Freud ci sia la necessità intrinseca che per essere psicoanalisti biso­gna essere psicoanalizzati. Il perché risiede nel fatto che per psicoana­lizzare non basta sapere come si fa, ma bisogna, psicoanalista, diventarlo.

Abbiamo qui la terza valenza di psicoanalizzare: per psicoanalizzare non basta sapere come si fa, bisogna diventare psicoanalista. A questo livello, tutti, proprio tutti, concordano con Freud. Ma lì dove non si concorda più è sul valore da accordare a questo diventare psicoanalista. Vuol forse dire che bisogna acquisire una padronanza di ferro sui procedimenti inconsci? Vuol forse dire che bisogna sviluppare una forte identificazione con un io o un superio a prova di pulsione? Vuol forse dire che bisogna arrivare a un sé armonico e integrato? Certo, è quello che lascia intendere una lettura frettolosa del Wo Es war sol Ich werden di Freud.

Ma se si sostituisce l'idealizzazione con la logica, voglio dire con la logica del significante che serve da filo d'Arianna nei meandri inconsci, sì scopre che ciò che si attende da una psicoanalisi, per diventare psicoanalista, non avviene sul filo di una identificazione in più, ma sul filo di una disidentificazione. In altre parole, per utilizzare la terminologia che Lacan usa ne La direzione della cura (Scritti, Einaudi) l'analista, nell'esercizio della sua funzione, "farebbe meglio a orientarsi sulla sua rnancanza-a-essere piuttosto che sul suo essere". Essere "pura mancanza" e "puro oggetto": è questo che, secondo la prima versio­ne della Proposta del 9 ottobre è dato di sapere a colui che termina la fatica analizzante e si accolla la fatica analista. Sapere, che viene definito nella versione definitiva della Proposta come la risoluzione di una x, e cioè di un'incognita che è il soggetto stesso, incognita "la cui soluzione consegna allo psicoanalizzante il suo essere e il cui valore si annota (-phi), la falla beante indicata come la funzione del fallo da isolare nel complesso di castrazione, oppure (a) per quanto la ottura con l'oggetto che si riconosce sotto la funzio­ne a cui si avvicina alla relazione pregenitale" (Altri scritti, Einaudi, p. 249).

Nella Proposta Lacan raddoppia quindi la mancanza: non solo il soggetto analizzante non è più nessuno dei tanti significanti che si sfogliano nel corso della sua analisi. In altre parole, il suo essere non è rappresentato da nessun significante, ma, in più, gli si palesa di essere oggetto di un desiderio di un altro. Anche se sta proprio qui il segreto del viraggio per diventare psicoanalista, quando egli acconsente a permettere "al soggetto, al soggetto dell'inconscio, di prenderlo come causa del suo desiderio", come dice Lacan in Televisione (Altri scritti).

Così psicoanalizzare è un termine che si snoda, a monte, a partire da un'attività passiva, che è quella di essere psicoanalizzato, e che Lacan chiama lo psicoanalizzante, per arrivare fino a valle, in una passività attiva, che è quella di lasciarsi prendere come causa di desiderio di un altro, e che è lo psicoanalista.

Difficile, in questo contesto, costituire il posto per colui che

funziona nello psicoanalizzare. Difficile perché, da un lato, psicoana­lista lo diventa e lo è grazie a un processo non definibile sic et simpliciter socialmente. E difficile perché, invece, il sociale come tale funziona grazie a dei significanti. Il sociale, insomma, vuole delle identificazioni chiare e distinte. Per tutti questi motivi, Lacan ha istituito come luogo sociale degli analisti, non già una Società, in cui tutti si identificano con lo stesso significante, ed eventualmente si ordinano secondo una graduatoria che è parallela alla gerarchia, ma ha istituito una Scuola, dove ognuno è invitato a testimoniare della propria posizione soggettiva, poco importa il livello gerarchico che occupa per assicurarne il funzionamento.

La procedura per la passe ha due valenze: una concerne la modali­tà del funzionamento della passe, in cui il soggetto testimonia del suo passaggio da psicoanalizzante a psicoanalista. Come tale, la procedu­ra è una tra le diverse possibili modalità. E la presente, in alcuni punti, non coincide con quella in funzione nella Scuola.

La seconda valenza è quella politica, affinché ci sia un luogo che favorisca il divenire psicoanalista. Certo, come dice il testo della Proce­dura, "potete osservare che qualsiasi Società organizzata in questo modo sarebbe ingovernabile. Ma non si tratta per me di governare. Si tratta di una Scuola, e non di una Scuola ordinaria. Se non siete responsabili davanti a voi stessi, essa non ha alcuna ragione di essere. E la sua responsabilità essenziale è di fare progredire l'analisi e non di costituire una casa di riposo per veterani. […] In questo, non c'è utopia. C'è una Scuola che esisterà oppure no".

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