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LA PASSIONE DELLA CURA Aforismario psicoanalitico

7 Nov 16

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Ho avuto modo di leggere questo Aforismario a caldo, man mano che veniva compilato, giacché l’Autore è stato per quindici anni mio vicino di stanza nel Consultorio di Genova Quarto, prima di accedere a un pensionamento che in cuor suo lui avrebbe forse differito di qualche anno. Capitava soprattutto in pausa pranzo: solitamente ero io ad andare nel suo studio, bussavo, mi sedevo e cominciavamo a parlare. Quei colloqui, in cui spesso gli proponevo quesiti freschi sorti durante il lavoro, o mie personali traversie, dubbi, dolori, ai quali Gianni rispondeva sempre con disponibilità e sincerità, talvolta delicato e talaltra al limite dell’irriverenza, sono state le occasioni in cui mi faceva leggere le brevi e succose riflessioni che il lettore troverà in questo libro. Naturalmente anche lui mi rendeva partecipe delle sue inquietudini, in una sorta di “analisi reciproca” tra amici, in cui entrambi cercavamo di fornire all’altro un nuovo punto di vista che potesse risultare utile, spendibile, e talvolta risolvere uno pseudo-dramma in una risata liberatoria. Lavoravamo anche noi “con quello che c’era in casa” e, a conti fatti, mi sento di dire che non era poca cosa. Per quelle conversazioni sono passati consigli di lettura, riflessioni sui colleghi, incoraggiamenti e giudizi anche drastici, progetti di lavoro e indirizzi di opportunità, resi possibili da un sentimento profondo di affetto e stima che ci ha legati e ci lega tuttora. Confesso che quei momenti mi mancano e mi hanno portato a decidere, insieme ad alcune altre corpose ragioni, di cercare al più presto la via del pensionamento.
L’Aforismario è una sorta di miscellanea composta di riflessioni, vignette cliniche, citazioni da opere psicoanalitiche e letterarie, caratterizzate da brevità ed essenzialità. “Illuminazioni”, potremmo definirle, di quelle che ci colgono durante la giornata, mentre lavoriamo o nelle pause di lavoro, e che guardate dalla giusta distanza appaiono una sorta di trama complessa che dà coerenza al pensiero e alla prassi che caratterizza l’Autore. Una miscellanea di piacevole lettura, che a sua volta stimola riflessioni e induce approfondimenti e ulteriori ricerche, e che si avvale – credo di poterlo affermare – della preziosità di una prosa che costituisce una delle grandi qualità del mio amico Guasto.
Queste pagine, oltre a suonare piena conferma di quanto dichiarato nell’introduzione – a proposito della scelta della psicoanalisi non solo come mestiere, ma come passione, chiave di volta per leggere il mondo e le relazioni umane, che non conosce “lavoro e dopolavoro” ma costituisce una delle ragioni fondanti dell’esistenza – vedono ricorrere più volte l’aggettivo “febbrile”. Credo che tale occorrenza non sia solo un’eredità ferencziana, ma abbia a che fare con la modalità propria dell’Autore nell’approcciare la propria attività. La sua disponibilità (vorrei dire generosità) all’ascolto, si accompagna a una sorta di furor: un desiderio di comprendere, strettamente congiunto a un vivo interesse per l’altro, a una spinta ad aiutare, alleviare la sofferenza, fornire strumenti di pensiero e riflessione. Tutto ciò, ci spiega Guasto (e non posso che dargli ragione), non nasce da pura oblatività, ma dall’attivazione di una spontanea identificazione empatica con l’altro. Senza troppi giri di parole, questo significa che egli ha messo il proprio narcisismo (di dimensioni ragguardevoli) al servizio dell’altro, rendendolo strumento fecondo per stabilire buone relazioni e per affinare (anziché ottundere) le proprie capacità di ascolto. Chi lo conosce comprende sicuramente quello che intendo dire: la sua “presa” su qualunque argomento che faccia parte del suo bagaglio cognitivo è quella del mastino che “annusa” e poi non molla più l’osso, almeno fintanto che non colga nell’interlocutore un desiderio di sottrarsi, di recuperare la distanza. In questo è febbrile. Per un terapeuta questa è una qualità. Più di una volta mi sono stupito del fatto che in un solo colloquio era venuto a conoscenza di “segreti” di pazienti che io avevo visto più volte senza che me li rivelassero. E questo – oltre che portarmi a interrogarmi sui miei limiti – non poteva che suscitare la mia ammirazione. Dapprima ho pensato a una questione di “tecnica”, ma frequentandolo e conoscendolo meglio, anche in contesti extra-clinici, ho compreso che in lui la tecnica è profondamente innervata nelle caratteristiche personali e nell’affettività.
Un secondo tratto che mi ha subito colpito di Gianni, e che forse nell’Aforismario è meno evidente, è il suo coraggio. Il nostro è un mestiere difficile, talvolta apparentemente “impossibile”, gravido di molteplici rischi. La presa in carico della sofferenza di un bambino, di un adolescente e della sua famiglia, è un percorso cosparso di trappole e tagliole con cui bisogna fare i conti. Il lavoro nel servizio pubblico per molti versi moltiplica tali rischi. Soprattutto quando si tratta di comporre linguaggi e codici fra loro incompatibili, come il diritto, la deontologia, la sensibilità. Il servizio pubblico ci chiede di mettere sempre e comunque al primo posto il diritto, pena il pericolo di incorrere in sanzioni anche gravi. Peccato che, se rispettassimo pedissequamente questa regola, non potremmo fare il nostro lavoro. Allora ci barcameniamo e, naturalmente, lo facciamo a nostro rischio e pericolo. Gianni Guasto per me rappresenta l’esempio dell’operatore psicologico (anche se è psichiatra, preferisce qualificarsi psicologo clinico) che affronta le situazioni senza paura. Soprattutto quelle più delicate e foriere di infinite beghe giudiziarie, là dove molti preferiscono chiudere un occhio, o anche tutti e due, e girarsi dall’altra parte; lui diventa “febbrile”, il mastino che quando ha annusato l’osso non lo molla più, costi quel che costi. Per chi lavora in un servizio di tutela di chi non ha voce e potere, i bambini, ed è chiamato a dar loro voce e far valere il loro potere, non è una qualità da poco.
Insomma, le note e le riflessioni contenute in questo libro sono tutte da leggere. Per cercare e trovare i nessi nascosti, la trama sotterranea che li ispira, per cogliere suggerimenti e riflettere, per scoprire non tanto la verità – che è concetto altisonante che mal si applica al carattere diadico, relazionale degli enunciati clinici – quanto la vitalità e la produttività del pensiero e della pratica psicoanalitiche. Ma anche, last but not least, per godere di quello che Roland Barthes ha chiamato “il piacere del testo”.

Genova, settembre 2016

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