La psicoanalisi ha qualche cosa da dire nella problematica dell'autismo? Generalmente la psicoanalisi viene esclusa in quanto sarebbe una disciplina non adatta per affrontare la questione dell'autismo.
Chi scrive, nel 1974, ha iniziato ad esercitare la psicoanalisi, e, in quello stesso anno, ha fondato una istituzione per bambini autistici in Belgio, l'Antenne 110.
Per quanto riguarda l'autismo il mio intento era quello di vedere in che modo la psicoanalisi potesse essere di aiuto in questo settore. Dopo qualche tempo arrivai alla conclusione che la psicoanalisi potesse essere di aiuto a condizione che non si applicasse la cura psicoanalitica come la si intende normalmente. Occorreva inventare qualcosa di nuovo, un metodo nuovo, ispirato alle scoperte della psicoanalisi. In altri termini: un metodo psicoanalitico senza il trattamento psicoanalitico. Insomma: si trattava di servirsi della psicoanalisi a condizione di non usarla.
Già precedentemente Lacan aveva preconizzato che le scoperte della psicoanalisi potessero servire in altri settori, come in medicina, nelle organizzazioni psichiatriche, nelle università, addirittura in politica. In tutti questi ambiti non si tratta di psicoanalisi pura ma di quello che Lacan ha chiamato psicoanalisi applicata. Applicata a varie forme di sintomi. Il metodo da me messo in piedi rientra in una delle forme di psicoanalisi applicata.
Jacques-Alain Miller (colui al quale Lacan ha lasciato per testamento i Seminari e i suoi Scritti) definì questo mio metodo pratique-à-plusieurs, una pratica-in-diversi, una pratica non sostenuta da uno solo, come avviene in una cura psicoanalitica, ma sostenuta da più persone contemporaneamente. In questo metodo cambia anche il setting: niente lettino, ma addirittura né stanze o studi di psicoterapia, ma solamente luoghi di vita.
Una precisazione dal punto di vista diagnostico.
I bambini di cui mi occupai erano degli autistici in senso stretto: ossia, senza uso della parola, costantemente sfuggenti allo sguardo e alla voce, con delle stereotipie come uniche attività, spesso completati con oggetti fissi (un giocattolo, una macchinina o altro ancora), oggetti che non avevano la funzionalità dell'oggetto transizionale. Inoltre, erano questi bambini si servivano del corpo, in momenti sereni, per dedicarsi a movimenti ritmici e ripetitivi e, nei momenti di sofferenza, per innescare movimenti brutali se non pericolosi.
Ho dovuto constatare che la definizione stessa dell'autismo è mutata e oggigiorno si parla di spettro autistico, definizione in cui vengono inclusi autistici a vari livelli, per esempio anche dei soggetti non refrattari alla parola e allo sguardo, fino ad arrivare agli asperger, soggetti di alto profilo, in cui le loro evidenti capacità coabitano con delle perturbazioni nel loro rapporto con il grande Altro. Comunque, più il livello autistico è permeabile alla parola, più si hanno possibilità di intervento e di interlocuzione.
Ripeto, il metodo della pratique-à-plusieurs fu resa necessaria dalla inapplicabilità di altre forme di intervento e interlocuzione sostenute dalla parola o, come sovente avviene per i bambini, da quella forma di parola che si manifesta nel gioco.
Una precisazione dal punto di vista della storia della terapia.
All'epoca, siamo agli inizi degli anni '70, tutti i trattamenti dell'autismo provenivano dalla psicoanalisi, soprattutto di estrazione anglosassone. La loro meritevole opera era inficiata da una mancanza a livello teorico, cosa che ha provocato disastri, che avvengono quando, per esempio, i tre registri: immaginario, simbolico e reale, non sono differenziati. Per esempio quando non sono differenziati rispetto alla regressione. Altro errore commesso fu quello di voler applicare la cura analitica ai bambini. A questo si aggiunse ancora un altro errore: quello di proporre la cura analitica ai genitori dei bambini autistici, aumentando in modo irragionevole il senso di colpa e la supposta responsabilità. Queste storture hanno giustamente provocato una dura reazione.
Un punto sulle cause
Nell'istituto di cui parlo abbiamo fin da subito evitato di prendere dei bambini con cause chiaramente organiche, le quali riguardano l'ambito della medicina. Abbiamo accolto dei bambini dove la scienza medica era rimasta muta. Abbiamo tuttavia seguito l'indicazione di Freud: è possibile che la causa sia di natura organica. Tocca alla scienza dimostrarlo. Finora innumerevoli sono stati gli annunci di scoperte circa le cause dell'autismo, ma nessuna ha mai superato il vaglio di una scientificità inequivocabile.
Sappiamo inoltre che la psiconalisi stessa è stata tacciata di indicare cause che si sono rivelate o false o, a dir poco, deleterie. Come indicavo prima, questo rivela la difficoltà degli psicoanalisti di spiegare in parole comprensibili aspetti che toccano quel versante che Freud ha chiamato inconscio e il cui approccio avviene tramite miti o, come le chiamava Lacan, con elucubrazioni. Miti ed elucubrazioni che occorre spiegare in concreto e in dettaglio per non cadere nell'equivoco o nel superficiale. Per intendersi, anche il complesso di Edipo è un mito. Il che vuol dire che è un modo di dire mitico che copre un reale che investe profondamente ogni essere umano.
Dobbiamo comunque constatare che tutti i trattamenti sorti fin dalla nascita della psicoanalisi sono tutti stati messi in piedi da persone che avevano un background analitico ma che avevano trovato insoddisfacente l'applicazione teorico-clinico della psicoanalisi.
Posso dire che mi trovo sulla stessa lunghezza d'onda di questi innovatori, almeno su un punto: in questi casi non si può applicare la psicoanalisi sic et simpliciter, poiché mancano i prerequisiti che sono le condizioni necessarie perché avvenga l'operazione analitica, prerequisiti che sono, oltre a una domanda di ordine analitico che non deve essere confusa con la richiesta di aiuto, la possibilità di mettere in forma quello che la psicoanalisi chiama un fantasma, cosa che avviene generalmente tramite la parola e nei bambini anche tramite il gioco. D'altra parte rispetto a questi innovatori non mi trovo d'accordo su altri punti: e cioè su ciò che deve animare l'impostazione del luogo di vita messo a disposizione del bambino autistico. Le coordinate da tenere presente sono quelle del desiderio e del godimento, non quelle del condizionamento, dell'adattamento, dell'educazione e della rieducazione, a mio parere chiaramente insufficienti, visto che il trattamente terapeutico normale della vita, ossia quello della famiglia e della scuola, non ha funzionato.
Evidentemente l'educazione e la rieducazione non devono essere ignorate, ma devono essere riprese nel contesto, poiché il problema è quello di temperare il godimento (attenzione a questo termine: godimento non vuol dire piacere, godimento è il nome che, al seguito di Freud, Lacan ha dato al risultato dell'impatto della pulsione sul soggetto umano). Ora, il godimento può rivelarsi distruttivo e spesso, soprattutto nei soggetti in questione, può avere forme autodistruttive.
Il compito primario del nostro lavoro è dunque quello, oltre che temperare il godimento mortifero, far emergere un desiderio che non sia anonimo nel bambino, il quale è e rimane sempre soggetto in ogni caso, anche nelle forme di autismo più impenetrabile.
Come avviene dunque la presa in carico di bambini autistici in un'istituto ispirato alla pratique-à-plusieurs?
Distinguerei due versanti.
Il primo è quello osservabile.
L'Antenne 110 è un luogo di vita. E la vita è quella di ogni bambino, con il ritmo giorno/notte, con il tempo per mangiare, giocare, e con una particolare attenzione a due momenti, il momento di andare a letto e il momento della sveglia. La giornata poi è scandita da momenti in cui, in piccoli gruppi, i bambini, con gli operatori, si dedicano ad attività precise, che riguardano l'apprendere o in cui sviluppano quelli che noi chiamiamo ateliers, che possono riguardare qualunque cosa che sia interessante, ludica oppure no, come la cucina, il teatro, la musica, il disegno, la scrittura, la danza, eccetera. Insomma, nulla distingue esteriormente un luogo di vita ispirato alla pratique-à-plusieurs rispetto a tanti altri luoghi di vita.
Ciò che distingue il nostro istituto è il secondo versante. Esso concerne la linea operativa che abbiamo tratto dalla psicoanalisi. Questa linea operativa noi l'abbiamo tratta da alcune indicazioni fornite da Lacan sulla direzione della cura in psicoanalisi. Essa comporta tre livelli: tattica, strategia e politica.
Inizierò dalla politica. La politica riguarda nel voler far emergere nel bambino autistico la sua soggettività: egli è soggetto esattamente come lo sono tutti gli esseri umani, e in lui, come soggetto, occorre mettere in valore la sua singolarità. È una politica che tende a far fronte all'insorgenza del godimento mortifero, ossia all'insorgenza della pulsione non regolata, ed è una politica che tende a favorire l'emergere di un desiderio singolare nel bambino autistico.
Per applicare questa politica occorre una strategia.
Per quanto riguarda il desiderio sappiamo, dalla psicoanalisi, che il desiderio di un essere umano si articola, si concatena, con il desiderio di un altro essere umano. Che cosa troviamo nel bambino autistico? Troviamo generalmente l'indifferenza, e a volte, se non sovente, l'opposizione al desiderio dell'Altro, per esempio dei genitori e poi degli educatori. Tale opposizione è proporzionale rispetto al grado di autismo.
Concerne inoltre la strategia anche il saper far fronte a quello che ho chiamato godimento mortifero, il quale, sebbene si tratti di una pulsione non regolata, risponde tuttavia a una logica. Occorre reperire questa logica. E se si fa attenzione si vedrà che si tratta di una logica precisa e implacabile, anche se sovente, in un primo tempo, incomprensibile.
Al terzo livello abbiamo la tattica. La tattica è ciò che rende operativa, momento per momento, la strategia in funzione della politica. Come Lacan ricorda, in queste situazioni la tattica, la strategia e la politica sono inversamente proporionali rispetto a quanto avviene nell'arte della guerra. Nella tattica infatti abbiamo grandi possibilità operative. Nella tattica, quindi, si deve avere una grande immaginazione. Bisogna inventare. Bisogna saper inventare. Cosa che rivela la posizione desiderante degli operatori e che stimola la risposta singolare nel bambino autistico.
Prendiamo un esempio per quanto riguarda il desiderio. Sappiamo che il desiderio si articola con il desiderio di un altro. Ora, tatticamente, come fare per fare emergere un desiderio?
Per un bambino non autistico basta mettere in correlazione un elemento, per esempio un giocattolo, con un altro elemento, vale a dire con il giocattolo di un altro bambino.
Per quanto riguarda il bambino autistico la cosa è più complicata poiché il bambino autistico non tende a mettere in serie i suoi oggetti, ma a soddisfarsi di uno solo. La tattica degli operatori sarà quella di fare in modo che il bambino non si soddisfi del suo unico oggetto, ma di proporgli qualcosa che faccia serie con il suo oggetto, senza tuttavia nessuna coercizione pur ricorrendo a una ferma proposta desiderante.
Prendo un esempio che traggo da Virginio Baio: un bambino batteva ritmicamente con la sua macchinina contro il muro, l'operatore si mise a fare accordi con la chitarra in modo ritmato, come se si trattasse di un'eco rispetto al suono prodotto dal bambino. Dopo un po' di tempo anche il bambino autistico si mise a battere seguenfo il ritmo. Alla fine di questo strano dialogo il bambino corse verso l'educatore e abbracciandolo volle, diciamo così, suonare al suo posto la chitarra.
Sempre a livello della tattica l'esperienza ci ha fornito innumerevoli modi di agire: questi vanno dal non indirizzarsi direttamente al bambino autistico ma di passare per una terza persona, di non insistere con delle domande, poiché la domanda è percepita dal bambino autistico come un'invasione di campo.
Per quanto riguarda la domanda, la domanda rivela sempre una doppia faccia. Nella domanda del bambino, di ogni bambino verso la madre, al di là di una richiesta di qualcosa che risponda a un bisogno concreto, si deve leggere qualcosa di più, vale a dire una domanda di amore.
Al contrario, la domanda che la madre rivolge al bambino, a ogni bambino, rivela una faccia di eccesso, come se la madre volesse dal bambino qualcosa di troppo. Questo è difficile da sopportare per ogni bambino, ma per il bambino autistico questo di troppo, questo eccesso percepito nella domanda può diventare intollerabile. Ed è questo di troppo che è, sovente, la causa di reazioni scomposte e angosciate, e motivo di esplosioni di quello che ho chiamato godimento mortifero.
Spero di avervi dato qualche indicazione su questo punto: la psicoanalisi può essere una fonte di insegnamento per un aiuto concreto quando ci occupiamo di bambini autistici.
Chi scrive, nel 1974, ha iniziato ad esercitare la psicoanalisi, e, in quello stesso anno, ha fondato una istituzione per bambini autistici in Belgio, l'Antenne 110.
Per quanto riguarda l'autismo il mio intento era quello di vedere in che modo la psicoanalisi potesse essere di aiuto in questo settore. Dopo qualche tempo arrivai alla conclusione che la psicoanalisi potesse essere di aiuto a condizione che non si applicasse la cura psicoanalitica come la si intende normalmente. Occorreva inventare qualcosa di nuovo, un metodo nuovo, ispirato alle scoperte della psicoanalisi. In altri termini: un metodo psicoanalitico senza il trattamento psicoanalitico. Insomma: si trattava di servirsi della psicoanalisi a condizione di non usarla.
Già precedentemente Lacan aveva preconizzato che le scoperte della psicoanalisi potessero servire in altri settori, come in medicina, nelle organizzazioni psichiatriche, nelle università, addirittura in politica. In tutti questi ambiti non si tratta di psicoanalisi pura ma di quello che Lacan ha chiamato psicoanalisi applicata. Applicata a varie forme di sintomi. Il metodo da me messo in piedi rientra in una delle forme di psicoanalisi applicata.
Jacques-Alain Miller (colui al quale Lacan ha lasciato per testamento i Seminari e i suoi Scritti) definì questo mio metodo pratique-à-plusieurs, una pratica-in-diversi, una pratica non sostenuta da uno solo, come avviene in una cura psicoanalitica, ma sostenuta da più persone contemporaneamente. In questo metodo cambia anche il setting: niente lettino, ma addirittura né stanze o studi di psicoterapia, ma solamente luoghi di vita.
Una precisazione dal punto di vista diagnostico.
I bambini di cui mi occupai erano degli autistici in senso stretto: ossia, senza uso della parola, costantemente sfuggenti allo sguardo e alla voce, con delle stereotipie come uniche attività, spesso completati con oggetti fissi (un giocattolo, una macchinina o altro ancora), oggetti che non avevano la funzionalità dell'oggetto transizionale. Inoltre, erano questi bambini si servivano del corpo, in momenti sereni, per dedicarsi a movimenti ritmici e ripetitivi e, nei momenti di sofferenza, per innescare movimenti brutali se non pericolosi.
Ho dovuto constatare che la definizione stessa dell'autismo è mutata e oggigiorno si parla di spettro autistico, definizione in cui vengono inclusi autistici a vari livelli, per esempio anche dei soggetti non refrattari alla parola e allo sguardo, fino ad arrivare agli asperger, soggetti di alto profilo, in cui le loro evidenti capacità coabitano con delle perturbazioni nel loro rapporto con il grande Altro. Comunque, più il livello autistico è permeabile alla parola, più si hanno possibilità di intervento e di interlocuzione.
Ripeto, il metodo della pratique-à-plusieurs fu resa necessaria dalla inapplicabilità di altre forme di intervento e interlocuzione sostenute dalla parola o, come sovente avviene per i bambini, da quella forma di parola che si manifesta nel gioco.
Una precisazione dal punto di vista della storia della terapia.
All'epoca, siamo agli inizi degli anni '70, tutti i trattamenti dell'autismo provenivano dalla psicoanalisi, soprattutto di estrazione anglosassone. La loro meritevole opera era inficiata da una mancanza a livello teorico, cosa che ha provocato disastri, che avvengono quando, per esempio, i tre registri: immaginario, simbolico e reale, non sono differenziati. Per esempio quando non sono differenziati rispetto alla regressione. Altro errore commesso fu quello di voler applicare la cura analitica ai bambini. A questo si aggiunse ancora un altro errore: quello di proporre la cura analitica ai genitori dei bambini autistici, aumentando in modo irragionevole il senso di colpa e la supposta responsabilità. Queste storture hanno giustamente provocato una dura reazione.
Un punto sulle cause
Nell'istituto di cui parlo abbiamo fin da subito evitato di prendere dei bambini con cause chiaramente organiche, le quali riguardano l'ambito della medicina. Abbiamo accolto dei bambini dove la scienza medica era rimasta muta. Abbiamo tuttavia seguito l'indicazione di Freud: è possibile che la causa sia di natura organica. Tocca alla scienza dimostrarlo. Finora innumerevoli sono stati gli annunci di scoperte circa le cause dell'autismo, ma nessuna ha mai superato il vaglio di una scientificità inequivocabile.
Sappiamo inoltre che la psiconalisi stessa è stata tacciata di indicare cause che si sono rivelate o false o, a dir poco, deleterie. Come indicavo prima, questo rivela la difficoltà degli psicoanalisti di spiegare in parole comprensibili aspetti che toccano quel versante che Freud ha chiamato inconscio e il cui approccio avviene tramite miti o, come le chiamava Lacan, con elucubrazioni. Miti ed elucubrazioni che occorre spiegare in concreto e in dettaglio per non cadere nell'equivoco o nel superficiale. Per intendersi, anche il complesso di Edipo è un mito. Il che vuol dire che è un modo di dire mitico che copre un reale che investe profondamente ogni essere umano.
Dobbiamo comunque constatare che tutti i trattamenti sorti fin dalla nascita della psicoanalisi sono tutti stati messi in piedi da persone che avevano un background analitico ma che avevano trovato insoddisfacente l'applicazione teorico-clinico della psicoanalisi.
Posso dire che mi trovo sulla stessa lunghezza d'onda di questi innovatori, almeno su un punto: in questi casi non si può applicare la psicoanalisi sic et simpliciter, poiché mancano i prerequisiti che sono le condizioni necessarie perché avvenga l'operazione analitica, prerequisiti che sono, oltre a una domanda di ordine analitico che non deve essere confusa con la richiesta di aiuto, la possibilità di mettere in forma quello che la psicoanalisi chiama un fantasma, cosa che avviene generalmente tramite la parola e nei bambini anche tramite il gioco. D'altra parte rispetto a questi innovatori non mi trovo d'accordo su altri punti: e cioè su ciò che deve animare l'impostazione del luogo di vita messo a disposizione del bambino autistico. Le coordinate da tenere presente sono quelle del desiderio e del godimento, non quelle del condizionamento, dell'adattamento, dell'educazione e della rieducazione, a mio parere chiaramente insufficienti, visto che il trattamente terapeutico normale della vita, ossia quello della famiglia e della scuola, non ha funzionato.
Evidentemente l'educazione e la rieducazione non devono essere ignorate, ma devono essere riprese nel contesto, poiché il problema è quello di temperare il godimento (attenzione a questo termine: godimento non vuol dire piacere, godimento è il nome che, al seguito di Freud, Lacan ha dato al risultato dell'impatto della pulsione sul soggetto umano). Ora, il godimento può rivelarsi distruttivo e spesso, soprattutto nei soggetti in questione, può avere forme autodistruttive.
Il compito primario del nostro lavoro è dunque quello, oltre che temperare il godimento mortifero, far emergere un desiderio che non sia anonimo nel bambino, il quale è e rimane sempre soggetto in ogni caso, anche nelle forme di autismo più impenetrabile.
Come avviene dunque la presa in carico di bambini autistici in un'istituto ispirato alla pratique-à-plusieurs?
Distinguerei due versanti.
Il primo è quello osservabile.
L'Antenne 110 è un luogo di vita. E la vita è quella di ogni bambino, con il ritmo giorno/notte, con il tempo per mangiare, giocare, e con una particolare attenzione a due momenti, il momento di andare a letto e il momento della sveglia. La giornata poi è scandita da momenti in cui, in piccoli gruppi, i bambini, con gli operatori, si dedicano ad attività precise, che riguardano l'apprendere o in cui sviluppano quelli che noi chiamiamo ateliers, che possono riguardare qualunque cosa che sia interessante, ludica oppure no, come la cucina, il teatro, la musica, il disegno, la scrittura, la danza, eccetera. Insomma, nulla distingue esteriormente un luogo di vita ispirato alla pratique-à-plusieurs rispetto a tanti altri luoghi di vita.
Ciò che distingue il nostro istituto è il secondo versante. Esso concerne la linea operativa che abbiamo tratto dalla psicoanalisi. Questa linea operativa noi l'abbiamo tratta da alcune indicazioni fornite da Lacan sulla direzione della cura in psicoanalisi. Essa comporta tre livelli: tattica, strategia e politica.
Inizierò dalla politica. La politica riguarda nel voler far emergere nel bambino autistico la sua soggettività: egli è soggetto esattamente come lo sono tutti gli esseri umani, e in lui, come soggetto, occorre mettere in valore la sua singolarità. È una politica che tende a far fronte all'insorgenza del godimento mortifero, ossia all'insorgenza della pulsione non regolata, ed è una politica che tende a favorire l'emergere di un desiderio singolare nel bambino autistico.
Per applicare questa politica occorre una strategia.
Per quanto riguarda il desiderio sappiamo, dalla psicoanalisi, che il desiderio di un essere umano si articola, si concatena, con il desiderio di un altro essere umano. Che cosa troviamo nel bambino autistico? Troviamo generalmente l'indifferenza, e a volte, se non sovente, l'opposizione al desiderio dell'Altro, per esempio dei genitori e poi degli educatori. Tale opposizione è proporzionale rispetto al grado di autismo.
Concerne inoltre la strategia anche il saper far fronte a quello che ho chiamato godimento mortifero, il quale, sebbene si tratti di una pulsione non regolata, risponde tuttavia a una logica. Occorre reperire questa logica. E se si fa attenzione si vedrà che si tratta di una logica precisa e implacabile, anche se sovente, in un primo tempo, incomprensibile.
Al terzo livello abbiamo la tattica. La tattica è ciò che rende operativa, momento per momento, la strategia in funzione della politica. Come Lacan ricorda, in queste situazioni la tattica, la strategia e la politica sono inversamente proporionali rispetto a quanto avviene nell'arte della guerra. Nella tattica infatti abbiamo grandi possibilità operative. Nella tattica, quindi, si deve avere una grande immaginazione. Bisogna inventare. Bisogna saper inventare. Cosa che rivela la posizione desiderante degli operatori e che stimola la risposta singolare nel bambino autistico.
Prendiamo un esempio per quanto riguarda il desiderio. Sappiamo che il desiderio si articola con il desiderio di un altro. Ora, tatticamente, come fare per fare emergere un desiderio?
Per un bambino non autistico basta mettere in correlazione un elemento, per esempio un giocattolo, con un altro elemento, vale a dire con il giocattolo di un altro bambino.
Per quanto riguarda il bambino autistico la cosa è più complicata poiché il bambino autistico non tende a mettere in serie i suoi oggetti, ma a soddisfarsi di uno solo. La tattica degli operatori sarà quella di fare in modo che il bambino non si soddisfi del suo unico oggetto, ma di proporgli qualcosa che faccia serie con il suo oggetto, senza tuttavia nessuna coercizione pur ricorrendo a una ferma proposta desiderante.
Prendo un esempio che traggo da Virginio Baio: un bambino batteva ritmicamente con la sua macchinina contro il muro, l'operatore si mise a fare accordi con la chitarra in modo ritmato, come se si trattasse di un'eco rispetto al suono prodotto dal bambino. Dopo un po' di tempo anche il bambino autistico si mise a battere seguenfo il ritmo. Alla fine di questo strano dialogo il bambino corse verso l'educatore e abbracciandolo volle, diciamo così, suonare al suo posto la chitarra.
Sempre a livello della tattica l'esperienza ci ha fornito innumerevoli modi di agire: questi vanno dal non indirizzarsi direttamente al bambino autistico ma di passare per una terza persona, di non insistere con delle domande, poiché la domanda è percepita dal bambino autistico come un'invasione di campo.
Per quanto riguarda la domanda, la domanda rivela sempre una doppia faccia. Nella domanda del bambino, di ogni bambino verso la madre, al di là di una richiesta di qualcosa che risponda a un bisogno concreto, si deve leggere qualcosa di più, vale a dire una domanda di amore.
Al contrario, la domanda che la madre rivolge al bambino, a ogni bambino, rivela una faccia di eccesso, come se la madre volesse dal bambino qualcosa di troppo. Questo è difficile da sopportare per ogni bambino, ma per il bambino autistico questo di troppo, questo eccesso percepito nella domanda può diventare intollerabile. Ed è questo di troppo che è, sovente, la causa di reazioni scomposte e angosciate, e motivo di esplosioni di quello che ho chiamato godimento mortifero.
Spero di avervi dato qualche indicazione su questo punto: la psicoanalisi può essere una fonte di insegnamento per un aiuto concreto quando ci occupiamo di bambini autistici.
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