Come rivista abbiamo deciso di proporre una serie di domande sul tema a diversi psicoanalisti di formazione lacaniana.
Intervistando un lacaniano non si può pretendere che non usi un linguaggio lacaniano ma si può pretendere, e noi lo abbiamo fatto, che, per spirito di chiarezza e per uscire da veri o presunti esoterismi, ogni temine sia spiegato in maniera chiara per consentire anche a chi non conosce il pensiero di Lacan di comprendere pienamente il senso delle risposte. Non si tratta di semplificare o fare della divulgazione si tratta di permettere la comprensione e l’eventuale apertura di un dibattito attorno a questo testo.
Sullo stesso tema si veda anche l'intervista a Roberto Pozzetti seguendo il link.
Sullo stesso tema si veda anche l'intervista ad Annalisa Piergallini seguendo il link
Sullo stesso tema si veda anche l'intervista a Franco Lolli seguendo il link
FRANCESCO BOLLORINO: Su quali basi teoriche e su quali presupposti clinici si basa, storicamente e contenutisticamente, la proposta tecnica di Lacan di istituire un setting in cui il tempo diventi variabile anziché con una durata prefissata e classicamente compresa tra i 45 e i 60 minuti come è nella psicoanalisi freudiana classica?
ALEX PAGLIARDINI: Le ragioni al fondo della seduta variabile sono molteplici. Per ora ne estrarrei tre – ma è bene ribadire che sono ben più numerose.
La prima. Lacan ha dato molto valore alla nozione freudiana di nachträglichkeit, traducendola con il francese après-coup, nozione che sta ad indicare la temporalità retroattiva, cioè che quel che sta accadendo ora stabilisce quel che è accaduto ieri, che l'adesso retroagisce sul prima, che il tempo 2 determina il tempo 1. Lacan ha dato molto valore a questa “faccenda” di temporalità e ha accentuato molto la dimensione constante e improvvisa di questa retroazione, ossia che il tempo 2 è un improvvisa interruzione, è un colpo, che determina la retroazione, e dunque quel che ne è del tempo 1. Nell'intendere la temporalità in questi termini Lacan è in buna compagnia, da Sartre a Heidegger, da Koyré a Frege. Sicuramente rispetto a questi Lacan accentua la funzione del colpo, dell'interruzione, come elemento decisivo nel determinare la retroazione. Questa temporalità è secondo Lacan quella nella quale i “così detti” esseri umani sono immersi e alla quale sono esposti. Detto altrimenti questa temporalità per Lacan è la temporalità dell'inconscio. Arriviamo così al passaggio decisivo. La seduta variabile è la seduta isomorfa a questa temporalità retroattiva, dunque è la seduta isomorfa alla temporalità dell'inconscio. La seduta variabile è la seduta nella quale è operativa questa temporalità retroattiva e non la temporalità dell'orologio – tanto meno la temporalità fenomenologica del tempo vissuto. Nella seduta variabile l'analizzante è immerso ed esposto a questa temporalità retroattiva, cioè alla costante ed improvvisa interruzione che determina retroazione.
La seconda ragione. Lacan afferma con insistenza nel corso del suo insegnamento che il punto decisivo delle pratica analitica è l'incontro ripetuto dell'analizzante con il desiderio dell'analista, detto altrimenti con la posizione e funzione dell'analista. Il desiderio dell'analista non è, né il desiderio di fare lo psicoanalista, né il desiderio della persona-analista, ma è un desiderio “capace” di incarnare un desiderio Altro, cioè non sottomesso e incapsulato nella dinamica sintomatica dell'analizzante, e al contempo è un desiderio “capace” di incarnare e sostenere un punto traumatico per l'analizzante. Lacan afferma ripetutamente che ciò che cura in un percorso analitico è solo e soltanto l'incontro ripetuto e incessante dell'analizzante con questo desiderio dell'analista. Solo e soltanto questo particolare incontro può permettere – e per certi versi obbligare – all'analizzante di costruire una risposta diversa al desiderio dell'Altro e al trauma, risposta diversa rispetto a quella sintomatica che lo ha condotto in analisi. In questo sfondo va collocata la logica della seduta variabile. Infatti la seduta variabile, la seduta esposta all'improvvisa interruzione, è una seduta concepita per valorizzare la funzione del desiderio dell'analista, dunque dell'elemento decisivo di ogni analisi. La logica della seduta variabile valorizza la funzione del desiderio dell'analista, sia perché è una seduta nella quale il tempo e lo spazio sono sottomessi al desiderio dell'analista e non viceversa, sia perché nel maneggiamento dell'interruzione improvvisa della seduta sta il modo più incisivo e decisivo di presentificazione del desiderio dell'analista.
La terza ragione che isolerei come fondamento della seduta variabile è relativa alla questione del taglio, ma di questo credo avremo modo di parlare poi.
FRANCESCO BOLLORINO: Per tempo variabile si dovrebbe intendere un tempo che varia a seconda del momento analitico (per capirci da 1 minuto a molte ore per dire) ma nella vulgata e credo anche nella pratica questo si è trasformato, spesso, in sedute della durata molto breve e ancora si può paventare il rischio che tale durata breve, istituzionalizzata, diventi l’equivalente dei 45 minuti classici con il sospetto che alla fine significhi semplicemente poter ricevere più pazienti nell’unita di tempo. Che ne pensi?
ALEX PAGLIARDINI: Lacan articola da subito la seduta variabile con la seduta breve. Possiamo dire che nel primo tempo del suo insegnamento concepisce la seduta breve come una variazione interna alla logica della seduta variabile. La seduta variabile non è pertanto necessariamente breve – questo punto non va dimenticato. Allo stesso tempo in quest'ottica la seduta breve è un modo per dare solidità e per incarnare il senza sosta del godimento – del trauma e delle sue soluzioni sintomatiche – con cui l'analizzante ha a che fare, e conseguentemente è un modo per evitare che il sonno del senso si insinui e prenda il sopravvento nel processo analitico.
In un secondo tempo del suo insegnamento la seduta variabile diventa la seduta breve. Potremmo dire che si invertono i rapporti di forza, la seduta variabile diventa una declinazione della seduta breve e non viceversa, la seduta variabile diventa un sottoinsieme di quella breve e non viceversa. La logica rimane però la stessa, quello di cui abbiamo parlato sino ad ora. Il cambiamento di fatto consiste nell'accentuazione di un aspetto. Ossia l'interruzione improvvisa della seduta diventa presta, anticipata, immediata, irruenta, perturbante, ripetitiva, fuori senso, proprio per essere isomorfa all'immediatezza ripetitiva del godimento, alla dimensione pulsatile e senza dispiegamento di tempo della pulsione.
Mi preme sottolineare, anche se ci addentriamo in una faccenda molto tecnica, che questa dimensione pulsatile e senza tempo della pulsione – dunque fuori anche dalla temporalità retroattiva – apre all'ultimissimo insegnamento di Lacan, dove la seduta breve diventa la seduta taglio – definita da un'analizzante, non senza affanni, la seduta lampo.
In questa ultima fase Lacan concepisce l'inconscio – la dimensione pulsionale, cioè reale, dell'inconscio – come puro taglio, come un taglio in sé. In quest'ottica, tenendo fede al suo assunto di fondo, ossia che la seduta analitica è tale se e solo se è isomorfa all'inconscio, la seduta diventa un taglio in sé, dunque non più una seduta nella quale avviene un' interruzione, un taglio, ma una seduta che è un' interruzione, un taglio.
Tutto questo ragionamento, in modo particolare questa ultima declinazione della seduta taglio, chiama in causa il problema al quale hai fatto giustamente riferimento, quello dell'istituzionalizzazione e dell'abuso di tutta questa faccenda della seduta variabile-breve-taglio. Istituzionalizzazione e abuso sono a mio avviso due degenerazioni idiote della faccenda, e in questo ambito, come in altri della psicoanalisi e non solo della psicoanalisi, non credo sia possibile scongiurare del tutto tali degenerazioni. Probabilmente la seduta variabile-breve-taglio proprio per la sua incandescenza espone l'analista lacaniano più di altri a queste due degenerazioni. Forse la storia del lacanismo, non sempre brillantissima, testimonia anche di questo. Non dimentichiamo però quanto peso Lacan ha dato alla Scuola e alla formazione. Ha insistito con grande tenacia su questi due aspetti – forse in parte anche per contenere le due degenerazioni alle quali ti riferisci. Come è noto sulla formazione dell'analista ha insistito talmente tanto da mettere in piedi un dispositivo, quello della passe – dispositivo senza dubbio anche problematico – attraverso cui poter raccogliere una testimonianza di tale formazione. Allo stesso tempo ha insistito, forse ancora di più, sull'indispensabilità della Scuola. Un analista deve far parte di una Scuola – o di un Associazione o di una Comunità, la si chiami come si vuole – all'interno della quale mantenere la posizione dell'analizzante e all'interno della quale dimostrare come se la cava nella sua pratica. Se un analista è fuori da questa “logica” è un impostore – potrebbe anche essere bravissimo ecc…ma tecnicamente è un impostore. Ovviamente la Scuola – o Associazione ecc…. – dovrebbe funzionare in tale direzione, come luogo che alimenta e sostiene tutto ciò. La storia del lacanismo, e non solo del lacanismo, dimostra che la Scuola è spesso ben altro da ciò, ma questo è un altro problema.
FRANCESCO BOLLORINO: Connesso con la durata variabile vi è il concetto di “taglio sulla parola”. Puoi spiegare tecnicamente e teoricamente il significato clinico di tale comportamento dell’analista lacaniano?
ALEX PAGLIARDINI: Il taglio della seduta va, come in parte visto, collocato e concepito in relazione a quel che Lacan intende con taglio. Prendiamo una sua affermazione: noi siamo un taglio, semplicemente e solamente. Alla fine della fiera, se si è lacaniani, si è costretti a dare il giusto peso a questo elemento, cioè a prendere sul serio questa affermazione di Lacan. La nostra singolarità consiste non nell'essere tagliati e/o nell'essere tagliabili – Lacan gioca con il termine coupable che in francese vuol dire sia “tagliabile” sia “colpevole”. Se Lacan avesse detto questo sarebbe a pieno titolo un “pensatore” cristiano. La nostra singolarità, sottolinea Lacan, consiste nell'essere un taglio. Il taglio della seduta va inteso in relazione a questo modo di intendere il taglio e di intendere quell'essere che siamo soliti chiamare umano e che sarebbe un essere alle prese con l'inconscio. In quest'ottica il taglio della seduta è un modo – forse il più incisivo, forse l'unico – per fare entrare in gioco la singolarità dell'analizzante.
Il taglio è dunque una delle questioni decisive nell'insegnamento di Lacan. Non si tratta di una cosa tra le altre. Noi siamo un taglio, la nostra singolarità consiste nell'essere un taglio è uno dei modi per intendere come Lacan maneggia la questione del taglio. E' un modo tra gli altri. Ma quel che è certo, è che la seduta, il taglio della seduta, va sempre inteso a partire da uno dei modi con cui Lacan intende il taglio, al di là, o meglio al di qua, del taglio della seduta. Dunque ripeto, al fondo della logica del taglio della seduta c'è sempre un modo di intendere il taglio – il taglio singolarità è solo uno di questi.
Questo legame tra il taglio della seduta e una più ampia concezione del taglio si può dire e articolare in molti modi. Uno tra i più basilari, oltre a quelli già visti, è un assunto della concezione lacaniana del soggetto dell'inconscio. Il soggetto è fatto dall'Altro, dal simbolico nel quale è dispiegato, e all'interno di tale dispiegamento nell'Altro il soggetto è certo un movimento, una direzione, una serie di caratteristiche, ma in primis e da ultimo, è un taglio nel simbolico in cui si articola. Il taglio della seduta è dunque il modo per far incontrare all'analizzante il soggetto dell'inconscio che è.
Al fondo di tutta la faccenda del taglio della seduta c'è però, probabilmente, questo – ed è qualcosa al quale abbiamo già fatto riferimento: per Lacan l'inconscio è un taglio in atto. La seduta, come detto, deve essere isomorfa all'inconscio, dunque nella seduta deve esserci taglio in atto – ecco la ragione del taglio della seduta. Come accennato prima questo porterà Lacan ad affermare che la seduta stessa deve essere un taglio in atto.
Ma che cosa vuol dire che l'inconscio è un taglio in atto? Vuol dire che il dispiegamento dell'esistenza di quell'essere che chiamiamo umano e che ipotizziamo essere alle prese con l'inconscio, è un esistenza costantemente esposta ed immersa, e da ultimo causata, da una ripetuta discontinuità, da una distorsione permanente, da un fremito ripetuto, insomma è un'esistenza esposta ed immersa, e da ultimo causata, da un taglio costantemente in atto. Nella seduta deve essere all'opera tutto ciò. Il taglio della seduta, e ancora più la seduta taglio, è l'unico modo, secondo Lacan, per fare accadere ciò.
Si colloca qui un'ulteriore variazione. Nella pratica analitica, quella orientata dall'insegnamento di Lacan, non solo il taglio della seduta ma l'interpretazione dell'analista, il silenzio dell'analista, l'atto analitico, lo stile di presenza dell'analista, ecc… sono tutti piegati all'esigenza di dare corpo al taglio.
FRANCESCO BOLLORINO: Mi sembra che vi sia una dicotomia tra dominio del tempo (proprio della tecnica lacaniana) e dominio del timing (proprio della tecnica freudiana classica) accomunati dalla necessità o dal tentativo da parte dell’analista di intervenire nel momento migliore per creare consapevolezza nel paziente. Che ne pensi?
ALEX PAGLIARDINI: Questa domanda è molto importante, dunque mi perdonerai se mi permetto di rispondere in modo un po' brusco. Un analista lacaniano non interviene mai per creare consapevolezza nel paziente. Un analista lacaniano interviene sempre per produrre inconscio. Se interviene per fare altro non sta intervenendo come analista – il che ovviamente capita durante la conduzione di una cura. Questo è un punto decisivo, sul quale Lacan è molto netto – e sul quale si può ovviamente non essere d'accordo.
Per Lacan la pratica analitica non è mai e poi mai una pratica di conoscenza di sé, non rientra in alcun modo nella lunga e nobile tradizione di queste pratiche. La pratica analitica non si dispiega affinché l'analizzante – cioè colui che si sottopone a tale pratica – prenda coscienza di sé e/o acquisisca consapevolezza. La pratica analitica si dispiega affinché vi sia produzione dell'inconscio, ossia si dispiega affinché l'analizzante faccia la costante e ripetuta esperienza dell'inconscio, di modo da stabilire con questo un altro rapporto, fatto di assenso, rispetto a quello sintomatico, fatto di dissenso, che lo ha condotto in analisi. Questa produzione dell'inconscio può avere effetti di consapevolezza e/o di presa di coscienza nell'analizzante, ma sono effetti secondari e che si determinano in sovrappiù, esattamente come gli effetti terapeutici. Per fare un esempio. Se un analizzante fa un lapsus, ossia porta una formazione dell'inconscio, l'intervento dell'analista non sarà mai volto a far si che l'analizzante diventi consapevole di quel che il lapsus vuol dire, ma sarà volto a far si che a partire da questo lapsus ci sia un' ulteriore manifestazione dell'inconscio.
Da un altro versante l'intervento dell'analista è rivolto a far risuonare il si gode, cioè il corpo pulsionale in atto in quel che l'analizzante sta mettendo in atto e affermando nella propria analisi – questo è un punto decisivo, articolarlo ci porterebbe un po' lontano dal nostro ragionamento.
FRANCESCO BOLLORINO: Nella tecnica tradizionale per certi versi tutto si conclude all’interno della seduta mentre con la tecnica lacaniana sembra che il working throught sia volutamente ed espressamente portato “fuori della stanza di analisi” con un lavoro affidato al paziente e alla sua introspezione. Che ne pensi?
ALEX PAGLIARDINI: Nella pratica lacaniana il lavoro è tutto dalla parte dell'analizzante e non dell'analista. Il fare, il darsi da fare, è dal lato dell'analizzante. All'analista spetta il compito impossibile di essere capace di tenere la propria posizione, quella del desiderio dell'analista, cioè di incarnare una incognita, cioè un'ipotesi di sapere, e un buco, cioè l'insistenza di un trauma. In quest'ottica la pratica lacaniana è volta a far si che l'analizzante interpreti, o meglio che l'inconscio interpreti manifestandosi. La pratica lacaniana non è volta ad interpretare l'inconscio, in quanto concepisce l'inconscio come interpretante e non come interpretato. L'analista, il suo atto ripetuto, deve sostenere e alimentare l'inconscio interpretante – almeno stando a questo livello della riflessione.
Anche in questa logica si inserisce la seduta variabile, e ancor più quella breve. Si tratta in effetti di una seduta dalla quale l'analizzante esce con una x, con un vuoto e/o con un colpo, un urto, dunque si tratta di una seduta che forza la risposta dell'inconscio, che costringe l'inconscio a interpretare, a manifestarsi. In questa logica è vero quello che tu dici, ossia che spesso l'interpretazione dell'analizzante si produce dopo la seduta, dunque tra una seduta e l'altra, diventando il materiale della seduta successiva.
FRANCESCO BOLLORINO: Ritieni possibile esportare il tempo variabile dentro setting non lacaniani ovvero utilizzare il tempo variabile come uno strumento di miglioramento della qualità clinica dell’intervento psicoanalitico?
ALEX PAGLIARDINI: Se mi stai chiedendo se la seduta variabile è applicabile da psicoanalisti con un'altra formazione, sarei dell'idea di risponderti: “assolutamente no!”. La seduta variabile, da cui la seduta breve, da cui la seduta taglio, è concepibile e maneggiabile solo all'interno dell'artificio lacaniano. Se un analista fa riferimento ed è inserito in un altro artificio non ha ragione di praticare la seduta variabile. Abbiamo detto che questa si inserisce all'interno di una logica stringente le quale fa riferimento a della fondamenta teoriche e pratiche nette. Se un'analista non assume ciò come bussola della sua pratica, se non ha frequentato e non frequenta questo concatenamento ma un altro, da un lato non ha motivo di praticare la seduta variabile, dall'altro non può farlo, cioè non può saperlo fare – e questo non certo perché non è abbastanza bravo. Ci sono infine delle vere e proprio incompatibilità. Ad esempio l'operatività delle seduta breve è del tutto incompatibile con l'operatività del controtransfert.
Se invece mi stai chiedendo se la seduta variabile è applicabile fuori dallo studio dell'analista, fuori dal suo setting canonico, sarei dell'idea di risponderti: “assolutamente sì!”. Come ho accennato prima, nella pratica lacaniana lo spazio e il tempo sono piegati alla funzione del desiderio dell'analista. Oggi abbiamo parlato del tempo ma qualcosa ci sarebbe da dire anche sullo spazio. Se anche lo spazio è piegato alla funzione del desiderio dell'analista, dobbiamo arrivare a dire che è possibile fare una seduta in qualsiasi spazio si riceva il paziente e, siccome per un'analista lacaniano la seduta è sempre e solo una seduta variabile, dobbiamo arrivare a dire che è possibile praticare la seduta variabile in qualsiasi contesto si riceva il paziente – dal consultorio all'ospedale, dall'asl alla comunità. Il tutto andrebbe detto con franchezza. Per un analista lacaniano il punto incandescente non sta tanto nella possibilità di praticare la seduta variabile in qualsiasi contesto ma nell'obbligatorietà di praticare la seduta variabile in qualsiasi contesto. Con sfumature, accenti, sensibilità diverse, questo è ovvio! Ma il punto interessante, cioè vivo, attuale, problematico, è il dovere della seduta variabile e non la sua possibilità.
mi soffermo su questa frase
mi soffermo su questa frase di Alex: “Ad esempio l’operatività delle seduta breve è del tutto incompatibile con l’operatività del controtransfert.”
mi domando come si possa immaginare una situazione analistica che è e resta un rapporto tra due persone e due “universali” che si incontrano e necessariamente si intrecciano senza considerare il controtrasfert che può essere tante cose ma pure un utile strumento di comprensione e che non può restare immanente per me.
Curioso del parere dell’autore e di chi altri vorrà intervenire
Purtroppo in Freud e in Lacan
Purtroppo in Freud e in Lacan non c’è una teoria adeguata del controtransfert. Lacan propone una pratica (non abbastanza teorizzata) del desiderio dell’analista, che tangenzialmente riguarda il controtransfert. E’ essenziale affrontare il problema con serietà scientifica, mettendo a tema l’interazione tra analista e analizzante. Ma la stessa parola “interazione” è poco usata in questo contesto.
Faccio notare che la parola “variabile” veicola un concetto portante della scienza moderna. Non esistono considerazioni di variabilità nella scienza antica. Ma ciò che fuorcluso dal simbolico ritorna nel reale. Così ci troviamo di fronte alle sedute variabili di Lacan, senza averne una teoria scientifica (absit iniuria…).
Devo dire che la chiarezza (
Devo dire che la chiarezza ( e incisività) di Alex Pagliardini, permette di diversificare in modo netto quella che è lo stile è gli intenti della psicoanalisi lacaniana da quello che sono lo stile è gli intenti della psicoanalisi tradizionale. Questa distinzione così netta, mi pare evidenzi che nella psicoanalisi lacaniana non ci si occupa dello psichico….in questo senso accolgo sempre di più le parole di J. A. Miller che sottolinea come il termine psicoanalisi sia uno pseudonimo e non il nome vero (della pratica Lacaniana, aggiungo io).
Rispondo alle questioni che
Rispondo alle questioni che solleva il bel contributo di Alex anche attraverso il commento dell’amico Moreno: Alex correla molto il taglio della seduta a una valorizzazione del desiderio dell’analista, nella prima risposta. Rispondendo all’ultima domanda, dice assolutamente no alle sedute brevi da parte di un non lacaniano. Allora mi chiedo: il desiderio dell’analista è davvero tanto valorizzato dalle sedute brevi ? Se un analista lacaniano lavora anche in una ASL, in una Comunità, ecc. dove vi è la regola delle sedute di un’ora, il desiderio dell’analista ne verrà decisamente intaccato ? D’altro canto, un analista bioniano, winnicottiano, ecc. (come Moreno) non avrà, a suo modo, qualcosa del desiderio dell’analista ?
Intanto vi ringrazio delle
Intanto vi ringrazio delle risposte. Sono completamente d’accordo con quanto scrive Moreno Mattioli.
Francesco Bollorino prende un resto della nostra conversazione e ne fa occasione di rilancio. Bene, allora gli propongo una nuova conversazione sul controtransfert. Anticipo. Per lacan parlare a partire dal “proprio” inconscio significa, all’interno del dispositivo analitico, essere nella posizione dell’analizzante, cioè del paziente. L’analista che interviene o interpreta a partire dal controtrasfert è dunque l’analista che interviene e interpreta dalla posizione di analizzante, di paziente. Questa è la tesi di Lacan – si può non essere d’accordo con lui, difficile però dire che non sia una tesi semplice e chiara.
Apprezzo moltissimo il lavoro decennale di Antonello Sciacchitano, il suo rigore e la sua originalità. Non condivido però il suo approccio all’insegnamento di Lacan – non condivido significa qui che il mio approccio è completamente diverso dal suo. Quello che per lui è un problema della psicoanalisi – manca sempre un’adeguata teoria scientifica – è per me – e per fortuna non solo per me – il reale della psicoanalisi. Quando Antonello nel rispondere al testo di Pozzetti fa riferimento ad un suo analizzante che si autoregola la durata della seduta, sta dicendo probabilmente qualcosa di molto interessante, di certo allo stesso tempo sta dicendo qualcosa che non ha niente a che fare con la seduta variabile di cui parla Lacan.
Venendo a quanto scrive Roberto Pozzetti. Credo che il commento di Moreno Mattioli sia un’ottima risposta alla questione che pone Roberto.
DICE PAGLIARDINI:”Per lacan
DICE PAGLIARDINI:”Per lacan parlare a partire dal “proprio” inconscio significa, all’interno del dispositivo analitico, essere nella posizione dell’analizzante, cioè del paziente. L’analista che interviene o interpreta a partire dal controtrasfert è dunque l’analista che interviene e interpreta dalla posizione di analizzante, di paziente. Questa è la tesi di Lacan – si può non essere d’accordo con lui, difficile però dire che non sia una tesi semplice e chiara.”
in realtà immaginare un analista immune dal proprio inconscio mi pare un non sense e quello sì fuori da ogni logica umana ancorchè non lacaniana..
Ottima riflessione, secondo
Ottima riflessione, secondo me Francesco, avresti potuto fare un ultima domanda ad Alex Pagliardini, se questa tecnica analitica sia aperta a tutti. A parte il costo, è sostenibile psichicamente una terapia Lacaniana ad esempio per la casalinga di Voghera (per citare Moretti). Non rischia di essere una terapia di élite, per pochi adepti? La massa delle persone potrebbe, a suo avviso (di Pagliardini), accedere a questa forma di trattamento?
Non voglio entrare in
Non voglio entrare in disquisizioni terminologiche, tanto meno stabilire l’esegesi ortodossa del pensiero lacaniano, che lascio agli scolastici. A me sembra che quando Lacan usa l’etimo “reale” sfrutti un modo filosofico per dire “scientifico”. Il reale è secondo la definizione di Lacan ciò che non cessa di non scriversi. Ma ciò che non cessa di non scriversi è proprio la verità della congettura scientifica, che non può mai essere confermata al 100%, ma solo confutata. Per il resto concordo con Alex.