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L’arcobaleno dopo la tempesta: Contributi psicoanalitici contemporanei sul tema omosessualità

30 Ott 18

Di andreacrapanzanophd
C’è una promessa in ogni problema, un arcobaleno dopo ogni temporale, il calore in ogni inverno.
(John Powell)
 
English Abstract
The rainbow after the storm: Contemporary psychoanalytic contributions on the theme of homosexuality: In recent years, several authors have studied the theme "homosexuality" from a psychoanalytic point of view in order to better understand its development and intrapsychic dynamics. They also analyzed the repercussions of social and political factors on homosexuality without connoting it as an expression of pathology. In fact, the psychoanalytic literature on the topic of homosexuality has completely changed the tone in many parts of the world and the association between homosexuality and mental illness has been fading. In this article, the author reports the major theoretical contributions of some contemporary psychoanalytic authors who have written on the subject by addressing it from different angles all having in common a non-pathological attitude. This synthesis of the main psychoanalytic theories that emerged over the last few years on the theme of homosexuality is preceded by the work of Stephen Mitchell. This author contributed profoundly to untying the association between psychoanalysis, medical model, and pathology by proposing a model in which reflecting psychoanalytically on the internal and unconscious dynamics that lie behind homosexual behaviors does not automatically mean that there is something pathological in the expression of such behaviors, but it simply means to better understand some of their dynamics like for any other human behavior. Following this logic, some authors have studied the topic from a psychoanalytic point of view focusing on a critical review of the research carried out in this field (Hooker), others have focused on the deepening of some evolutionary aspects of homosexual topics such as family dynamics and the peculiarities of the Oedipus Complex in children who will become homosexuals (Lewes, Isay, Goldsmith), others have deepened the existing discussions on some specific issues such as the concept of gender and masculinity-femininity (Chodorow, Corbett, Butler) and the subjective and inner experience related to growing up gay in a predominantly heterosexual society (Phillips).
Keywords: Homosexuality, Gender, Contemporary Psychoanalysis, Theoretical Models, Oedipus Complex
 
Abstract in Italiano
Negli ultimi anni, diversi autori hanno trattato il tema “omosessualità” da un punto di vista psicoanalitico al fine di meglio comprenderne sviluppo e dinamiche intrapsichiche. Essi hanno inoltre analizzato le ripercussioni di fattori sociali e politici sull’omosessualità senza connotarla come un’espressione di patologia. Infatti, la letteratura psicoanalitica sull’argomento omosessualità ha completamente cambiato i toni in molte parti del mondo e l’associazione tra omosessualità e malattia mentale è andata sfumando. In questo articolo, vengono riportati i maggiori contributi teorici di alcuni autori psicoanalitici contemporanei che hanno scritto sull’argomento affrontandolo da diverse angolazioni accumunate da un atteggiamento non-patologizzante. Tale sintesi delle principali teorie psicoanalitiche emerse negli ultimi anni sul tema omosessualità è preceduta dal lavoro di Stephen Mitchell. Questo autore contribuì profondamente a slegare l’associazione tra psicoanalisi, modello medico, e patologia proponendo un modello di pensiero in cui riflettere in maniera psicoanalitica sulle dinamiche interne ed inconsce che si celano dietro il comportamento omosessuale non significa automaticamente assumere che vi sia qualcosa di patologico nell’espressione di tali comportamenti, ma significa semplicemente meglio comprenderne alcune dinamiche così come per ogni altro comportamento umano. Seguendo tale logica, alcuni autori hanno studiato l’argomento da un punto di vista psicoanalitico focalizzandosi su una revisione critica delle ricerche compiute in questo campo (Hooker), altri si sono concentrati sull’approfondimento di alcuni aspetti evolutivi dei soggetti omosessuali quali le dinamiche familiari e le peculiarità del Complesso di Edipo in bambini che diventeranno omosessuali (Lewes, Isay, Goldsmith), altri ancora hanno approfondito le discussioni esistenti su alcune tematiche specifiche quali il concetto di genere e mascolinità-femminilità (Chodorow, Corbett, Butler) e l’esperienza soggettiva ed interiore legata al crescere gay in una società prevalentemente eterosessuale (Phillips).
Keywords: Omosessualità, Genere, Psicanalisi Contemporanea, Modelli teorici, Complesso di Edipo
 
 
 
 
 
 
Introduzione
Negli ultimi anni, diversi autori hanno trattato il tema “omosessualità” da un punto di vista psicoanalitico al fine di meglio comprenderne lo sviluppo, le dinamiche intrapsichiche, e le ripercussioni di fattori sociali e politici senza connotarla come un’espressione di patologia. Infatti, la letteratura psicoanalitica sull’argomento omosessualità ha completamente cambiato i toni in molte parti del mondo e l’associazione tra omosessualità e malattia mentale è andata sfumando. Riassumere i maggiori contributi psicoanalitici su tale tema è un’impresa impossibile poiché oggi è possibile trovare in letteratura un numero smisurato di pubblicazioni su temi quali la storia dell’omosessualità in psicoanalisi, critiche di teorie e terapie miranti alla conversione sessuale, e le ripercussioni sociali e psicologiche di tali teorie e trattamenti. Di seguito, vengono riportati i maggiori contributi di alcuni autori che hanno scritto sull’argomento affrontandolo da diverse angolazioni accumunate da un atteggiamento non patologizzante. Infatti, mentre alcuni autori hanno studiato l’argomento da un punto di vista psicoanalitico focalizzandosi su una revisione critica delle ricerche compiute in questo campo (Hooker), altri si sono concentrati sull’approfondimento di alcuni aspetti evolutivi dei soggetti omosessuali quali le dinamiche familiari e le peculiarità del Complesso di Edipo in bambini che diventeranno omosessuali (Lewes, Isay, Goldsmith), altri ancora hanno approfondito le discussioni esistenti su alcune tematiche specifiche quali il concetto di genere e mascolinità-femminilità (Chodorow, Corbett, Butler) e l’esperienza soggettiva ed interiore legata al crescere gay in una società prevalentemente eterosessuale (Phillips). Di seguito viene presentato un riassunto delle teorie proposte da questi autori sul tema omosessualità preceduto dal lavoro di Stephen Mitchell. Questo autore contribuì profondamente a slegare l’associazione tra psicoanalisi, modello medico, e patologia proponendo un modello di pensiero in cui riflettere in maniera psicoanalitica sulle dinamiche interne ed inconsce che si celano dietro il comportamento omosessuale non significa automaticamente assumere che vi sia qualcosa di patologico nell’espressione di tali comportamenti, ma significa semplicemente meglio comprenderne alcune dinamiche così come per ogni altro comportamento umano.
 
Psicoanalisi, Omosessualità e Patologia: una rivisitazione
Nel suo articolo “Psicodinamica, Omosessualità e la Questione della Patologia” (2002), Stephen A. Mitchell mise in discussione il presupposto alla base delle principali teorie psicoanalitiche riguardanti le origini e la natura dell'omosessualità, secondo cui cercare di comprendere gli aspetti psicodinamici e l'eziologia di base dell’omosessualità significa automaticamente implicare la natura patologica alla base di tale identità sessuale. Come ha affermato Mitchell, nella letteratura psicoanalitica su questo argomento: “O una dimensione psicodinamica viene accettata ed una base patologica viene assunta automaticamente, o una base patologica viene negata ed ogni eventuale contributo psicodinamico viene smentito automaticamente” (pp. 3). L'autore ha spiegato come la nozione che sostiene che cause e contributi psicodinamici all'omosessualità implichino patologia sia un artefatto storico derivante dalla teoria originaria di Freud sulla fissazione libidica alla base della nevrosi. Nella teoria psicoanalitica classica, la salute psicologica è definita come il raggiungimento del primato genitale, dell'eterosessualità e della possibilità di avere rapporti eterosessuali finalizzati alla riproduzione. Conflitti, traumi, ansia ed eccessi costituzionali durante l'infanzia possono provocare deviazioni dal primato genitale ed una fissazione libidica a livello preedipico. Questa fissazione preedipica costituisce una predisposizione alla patologia. Secondo questa ipotesi, il punto specifico di fissazione determina direttamente tutti gli aspetti del funzionamento della personalità, incluso il grado di sviluppo dell'Io e la qualità delle relazioni interpersonali. La maturità psicologica, l'indipendenza e la capacità di costruire relazioni interpersonali intime sono direttamente connesse con il raggiungimento del culmine dello sviluppo libidico rappresentato dal primato genitale eterosessuale. In tale ottica, l'omosessualità è intesa come un'organizzazione libidica preedipica e quindi patologica per le gravi disfunzioni della personalità derivanti dal mancato raggiungimento di un’organizzazione edipica (Mitchell S.A., 2002).
Successivi sviluppi nella teoria psicoanalitica hanno notevolmente ampliato la comprensione e applicazione dei processi psicodinamici dello sviluppo infantile oltre la loro formulazione originale che li vedeva come meccanismi causali in condizioni patologiche adulte. Infatti, il semplice schema sottostante la teoria della fissazione libidica della nevrosi, in cui il funzionamento sessuale è visto come il fulcro della personalità che determina il livello di integrazione e sviluppo dell'individuo, è stato generalmente sostituito da una visione più complessa del funzionamento della personalità in cui lo sviluppo dell'Io e la ricchezza delle relazioni oggettuali possono essere o meno correlati con il funzionamento sessuale. Nonostante successivi sviluppi psicoanalitici abbiano ampliato la comprensione psicodinamica distanziandosi dalla sua applicazione originale di ricerca di meccanismi causali sottostanti diverse forme di psicopatologia negli adulti e nonostante teorie psicoanalitiche successive abbiano sviluppato una teoria interpretativa più generale dell'esperienza umana, nella concezione popolare l’approccio psicodinamico è sempre rimasto legato alle sue origini all'interno dell'originale impostazione medica. L’associazione tra psicoanalisi e mondo medico, secondo Mitchell (2002), sarebbe alla base del pregiudizio secondo il quale la connessione di un comportamento manifesto con possibili aspetti psicodinamici sottostanti ad esso significherebbe automaticamente patologizzare quel comportamento stesso. Secondo l’autore, questo pregiudizio sarebbe responsabile di gran parte dell’atteggiamento popolare nei confronti delle formulazioni psicoanalitiche che considerano l’esistenza di motivazioni inconsce alla base di diversi comportamenti come una indicazione di patologia.
L'ipotesi condivisa che pervade la maggior parte degli scritti sull'omosessualità è un caso specifico di questa confusione teorica: il riconoscimento di un contributo psicodinamico allo sviluppo dell'orientamento omosessuale o l'apprezzamento di una dimensione o di un significato inconscio alla base del funzionamento omosessuale implicherebbe l’ammissione che vi sia un fondamento patologico alla base della condizione stessa. Mitchell sottolinea come tale assunzione viola due principi psicoanalitici fondamentali: il concetto di “sovradeterminazione” e il concetto di “errore genetico”. Il concetto di sovradeterminazione fu introdotto da Freud (1901) nello sviluppo della teoria psicoanalitica sull’interpretazione delle diverse immagini contenute nei sogni. Secondo Freud, ogni elemento presente nel contenuto di un sogno non ha un solo significato o una sola origine psicodinamica, ma tende ad essere una costruzione complessa derivata da diverse idee, desideri e ricordi. Secondo Freud, ogni elemento contenuto in un sogno è “sovradeterminato” dal materiale presente nei pensieri onirici e non è derivato da un singolo elemento, ma può essere ricondotto a molti elementi diversi. Ciò significa che ogni elemento onirico può essere il “rappresentante” di significati diversi. Secondo tale teoria, non solo il materiale presente nei sogni, ma tutti i comportamenti umani sono sovradeterminati o esprimono diversi significati. Questo principio, tuttavia, tende a essere perso quando applicato all’identità omosessuale. Infatti, si assume che, qualora il comportamento omosessuale venga interpretato come una difesa attiva contro paure di castrazione o come un'espressione di desideri simbiotici, questa interpretazione viene presa come spiegazione dell’intero comportamento. Ciò che non viene considerato è la possibilità che vi siano altri significati e motivazioni sottostanti questo comportamento, ad esempio sentimenti e desideri di intimità che si esprimono ad altri livelli. Inoltre, non viene considerato come questo comportamento potrebbe avere significati non connessi automaticamente a conflitti psicodinamici sottostanti.
Infine, la connessione tra approccio psicodinamico e psicopatologia potrebbe portare a commettere il cosiddetto “errore genetico”. Hartmann (1960) definì tale errore come derivante dall'equazione di un comportamento con le sue origini, o l'ipotesi che un comportamento originato da un conflitto sia inevitabilmente legato per sempre a difficoltà con quel determinato conflitto. Per quanto riguarda l'omosessualità, si presume che se il comportamento omosessuale ha origine nell'espressione di, o come difesa contro, una pulsione preedipica, allora il comportamento sarà legato per sempre alle sue origini conflittuali. Ciò che non viene preso in considerazione è la possibilità che l'orientamento omosessuale possa essere determinato in origine da specifici fattori psicodinamici, inclusi conflitto e angoscia, ma che con lo sviluppo successivo dell’individuo, i conflitti e le angosce originarie potrebbero non rappresentare più i motivi salienti di tale orientamento. Infatti, tale orientamento può diventare secondariamente un comportamento autonomo e privo di conflitti (Mitchell S.A., 2002).
 
Ricerche psicoanalitiche sull’omosessualità in chiave analitica: una rivisitazione
Evelyn Hooker (1957), psicologa americana, contestò la concettualizzazione dell'omosessualità di Bergler (1956) che la inquadrò come un disturbo quasi-psicotico comportante disturbi globali nel funzionamento mentale e sociale dell’individuo omosessuale. Per verificare tale affermazione, Hooker sviluppò un progetto di ricerca per il quale reclutò due gruppi di soggetti: un gruppo di uomini che si identificava come esclusivamente omosessuale (gruppo A: 30 uomini identificati come omosessuali e non-pazienti), ed un gruppo di uomini che si identificava come esclusivamente eterosessuale (gruppo B: 30 soggetti maschi identificati come eterosessuali e non-pazienti). Questi due gruppi vennero accoppiati in base a: QI, età e istruzione equivalenti. Per l'interesse dello studio, Hooker si accertò che nessuno degli uomini appartenenti ad entrambi i gruppi fosse stato visto in precedenza per assistenza psicologica, fosse parte dei Servizi Armati, fosse stato in prigione, mostrasse segni di notevole disturbo mentale o fosse in terapia. Hooker utilizzò la propria casa per condurre l'intervista al fine di proteggere l'anonimato dei soggetti partecipanti alla ricerca. La ricercatrice impiegò tre test psicologici per il suo studio: il TAT, il test Make-a-Picture-Story (test MAPS) e il test di Rorschach. Il Rorschach, in particolare, venne utilizzato per la convinzione dei medici del tempo che questo fosse il metodo migliore per diagnosticare l’omosessualità.  Al fine di evitare ogni possibile pregiudizio, l’autrice decise di lasciare l'interpretazione dei risultati del test ad altre persone e reclutò un team di tre valutatori esperti ai quali assegnò i 60 profili psicologici in maniera del tutto anonima. Ogni risposta al test venne inviata al team di valutatori in ordine casuale e senza informazioni identificative. I giudici ebbero due compiti: arrivare a un punteggio di adattamento globale su una scala di cinque punti e distinguere tra le coppie di soggetti quale partecipante fosse omosessuale e quale soggetto fosse eterosessuale. In primo luogo, la ricercatrice contattò Bruno Klopfer, un esperto del test di Rorschach, per vedere se sarebbe stato in grado di identificare l'orientamento sessuale delle persone attraverso i loro risultati a quei test. La sua capacità di differenziare i due gruppi si rivelò non essere migliore del puro caso. Poi reclutò Edwin Shneidman, creatore del test MAPS, per analizzare i 60 profili. Anche Shneidman, dopo sei mesi di lavoro, giunse alla conclusione che entrambi i gruppi erano molto simili nella loro organizzazione psicologica. Il terzo esperto reclutato da Hooker fu Mortimer Mayer. Mayer era così certo che sarebbe stato in grado di distinguere i due gruppi che valutò i profili per ben due volte. I tre valutatori conclusero che, in termini di adattamento sociale e psicologico, non vi erano differenze tra i membri di ciascun gruppo. Inoltre, gli omosessuali (30 persone) che non erano in trattamento psicoanalitico non mostrarono alcuna evidenza di maggiore psicopatologia rispetto al gruppo di controllo composto da persone eterosessuali.
Nella discussione su questo tema, questo studio aiutò a chiarire due punti importanti: per prima cosa rinforzò la teoria che descrive i comportamenti omosessuali come una semplice variazione di un normale sviluppo sessuale; in secondo luogo evidenziò come non sia possibile associare automaticamente omosessualità e patologia dato che non fu possibile distinguere chi tra i partecipanti fosse omosessuale e chi eterosessuale.
Nel 1956, Hooker presentò i risultati delle sue ricerche organizzati sotto forma di un articolo scientifico alla convention dell’Associazione Psichiatrica Americana a Chicago. I suoi studi contribuirono a cambiare l'atteggiamento della comunità psicologica nei confronti dell'omosessualità e influenzarono profondamente la decisione dell'Associazione Psichiatrica Americana di eliminare l'omosessualità dal DSM nel 1973. Ciò a sua volta ha contribuito a cambiare l'atteggiamento della società in generale.
 
Omosessualita’ e Complesso di Edipo: una rivisitazione
Alcuni autori, quali Isay, Lewes, e Goldsmith rivisitarono le dinamiche edipiche in soggetti omosessuali secondo la teoria che vede l’omosessualità come una variazione normale dello sviluppo sessuale. I loro tre contributi diversi, ma allo stesso tempo interconnessi l’uno con l’altro vengono di seguito presentati.
 
Richard A. Isay fu uno dei primi psicoanalisti a proporre una teoria evolutiva dell'omosessualità basata sui concetti di salute e normalità. Egli postulò che l'omosessualità fosse costituzionale. Nella sua opera più famosa “Essere omosessuale: uomini gay ed il loro sviluppo” (1990), Isay scrisse: “Il mio lavoro negli ultimi venti anni con più di quaranta uomini gay sia in analisi classica sia in terapia analiticamente orientata, insieme alle mie osservazioni personali, mi ha portato a concludere che l'espressione della loro sessualità è normale e migliora il loro sviluppo psicologico. Il mio lavoro clinico e gli studi empirici suggeriscono anche che, come l'eterosessualità, l'omosessualità è costituzionale nella sua origine” (pp. 4). Secondo l’autore, la terapia analitica dovrebbe aiutare il paziente ad accettare la sua identità omosessuale lavorando sull’omofobia inconscia che il paziente assorbe al proprio interno durante lo sviluppo. In questo, Isay si differenziava dagli psicoanalisti che lo precedettero (Ovesey, Socarides, Bieber) e sfidava la convinzione che “ciò che è sano è ciò che è socialmente adattivo” (pp. 5). Tradizionalmente, uomini gay che esprimevano i loro impulsi omosessuali erano considerati come pazienti non adatti all’analisi perché incapaci di contenere le loro fantasie e impulsi e di conformarsi alle richieste e aspettative della società. Infatti, alcuni analisti consideravano gli omosessuali come “anormali”, perché questi individui esprimono impulsi sessuali che non sono socialmente accettabili e non sono capaci di sublimare la loro sessualità “per amore dell'adattamento sociale”. Isay ha rilevato come questa posizione esprima il pregiudizio della società in cui gli psicoanalisti vivono e lavorano e che questo pregiudizio ha interferito sia con la possibilità di concettualizzare un percorso evolutivo normale per gli uomini gay sia con la capacità di fornire una psicoterapia neutra e imparziale per tali individui.
Nell stessa opera, Isay (1990) sostenne che la persona omosessuale nella sua infanzia ha una specifica costellazione edipica che è analoga allo stadio edipico dei bambini eterosessuali, tranne che per il fatto che l'oggetto sessuale primario dei bambini omosessuali è il padre. Sulla base del suo lavoro clinico, egli osservò come i bambini omosessuali assumano caratteristiche sessuali femminili per attrarre e ricevere l'attenzione del padre. Questi sono attributi come sensibilità, gentilezza e mancanza di interesse per sport aggressivi. Alcuni bambini omosessuali possono anche sembrare femminili nella postura, nel modo di vestirsi e nel comportamento. Secondo Isay, questi bambini che diventeranno omosessuali sviluppano tali caratteristiche per la stessa ragione per cui i bambini eterosessuali adottano certi attributi dei loro padri al fine di attirare, in primo luogo, l'interesse della madre e, in seguito, di qualcuno come la madre. Queste identificazioni con caratteristiche femminili nei bambini omosessuali sembrano seguire e non precedere la manifestazione dell'orientamento sessuale e dell'attaccamento erotico al padre. Isay descrisse anche le reazioni del padre all'omosessualità dei loro figli. Ha descritto come i padri dei bambini omosessuali diventano spesso distaccati e ostili durante i primi anni del bambino, come risultato dell'omosessualità del bambino stesso. I padri di solito percepiscono questo bambino come “diverso” dagli altri figli, da loro stessi e dai loro coetanei. Ciò può portare il padre sia a disinvestire affettivamente dal figlio sia a favorire un fratello maschio maggiore o minore d’età poiché quest’ultimo sembra avere un comportamento più convenzionale o mascolino. Alcuni dei padri di bambini omosessuali riconoscono consciamente o inconsciamente che i loro figli hanno un bisogno speciale di vicinanza ed un attaccamento erotico a loro. Per queste ragioni, questi padri possono ritirarsi a causa dell'ansia causata dai loro stessi desideri omoerotici inconsci. Isay arrivò a questa conclusione dopo aver ascoltato i suoi pazienti omosessuali descrivere i loro padri come distaccati, assenti o ostili. In breve, Isay ha offerto una reinterpretazione della relazione tra padre e figlio omosessuale. Invece di considerare la distanza del padre come la causa dell'omosessualità del figlio, Isay considerava questa distanza come il risultato del disagio del padre con la “differenza” del figlio. Ha anche collegato questo atteggiamento paterno verso il bambino alla mancanza di autostima di alcuni individui omosessuali adulti e alla difficoltà di questi ultimi a formare relazioni intime basate sulla fiducia.
Isay non trovò alcuna differenza tra la genitorialità dei suoi pazienti gay e la genitorialità dei suoi pazienti non-omosessuali, motivo per cui concluse che l'orientamento sessuale dipende da fattori costituzionali piuttosto che dall'ambiente. L'ambiente può ancora avere un impatto su come si esprime la sessualità. Dal momento che considerava l'omosessualità come costituzionale, egli scoraggiò gli psicoanalisti a sforzarsi di cambiare il comportamento omosessuale in eterosessuale e descrisse le conseguenze negative che questi sforzi possono portare quali problemi di autostima, depressione, ansia ed ideazione suicidaria.
Una delle critiche che vennero rivolte alle teorie proposte da Isay fu che, nonostante l'impatto rivoluzionario delle sue ipotesi, Isay propose un modello teorico ancora basato sulla teoria della pulsione sessuale ed un'ipotesi biogenetica di omosessualità mai scientificamente documenta. Isay, infatti, sviluppò un modello pulsionale alternativo negli stessi anni in cui le teorie relazionali cercavano di liberare la sessualità dal dominio della teoria psicosessuale (Lingiardi V., 2004).
Isay (1999) descrisse anche le esperienze interne di alcuni uomini omosessuali con cui ha lavorato. Egli rilevò come molti omosessuali adulti riportassero di aver avuto desideri opposti dal loro genere biologico fin da una tenera età che li hanno fatti sentire “diversi” durante la loro infanzia. Questi uomini riportano, infatti, che da bambini avevano scarso interesse per sport aggressivi, preferivano giocare con le ragazze piuttosto che con i ragazzi e vestirsi con gli abiti delle loro madri o delle sorelle, e desideravano di essere nati come donne per essere in grado di vivere una vita più facile. Riferivano anche di aver avuto uno stretto legame con le loro madri, con le quali condividevano molti interessi. L’autore ha anche illustrato come ammonizioni e interventi genitoriali miranti a frenare o sostituire questi tratti femminili con comportamenti tipicamente maschili possano essere dannosi per lo sviluppo del bambino, in particolare per la sua capacità di “resilienza emotiva”. Un esempio di come le ammonizioni di questi padri possano essere dannosi per lo sviluppo del bambino è rappresentato da padri che ammoniscono i loro bambini all'inizio della scuola al fine di farli rinunciare ai loro comportamenti femminili poiché temono che i loro bambini possano essere vittime di bullismo o che loro stessi come genitori possano essere giudicati come aventi scarsa capacità genitoriale o che la loro virilità possa essere messa in discussione.  Una conseguenza di queste ammonizioni, secondo l'autore, è visibile in alcuni adulti gay che perderebbero la capacità di riconoscere ed esprimere una varietà di affetti al punto che alcuni di loro tenterebbero di evitare relazioni intime che evocano questi e altri tratti “femminili” da loro ripudiati in precedenza. Come affermato dall'autore: “Molti ripudiano aspetti di se stessi che considerano femminili, soprattutto nell’espressione dell’emotività, e di conseguenza perdono la capacità di riconoscere un'ampia varietà di affetti perché da loro soppressi o repressi. Una volta adulti, tentano di evitare relazioni intime che possano evocare tratti “femminili”. Molti di loro presentano anche difficoltà con le separazioni perché incoraggiati, durante l’infanzia, a sopprimere il desiderio di essere come la madre proprio nel momento in cui l'identificazione con lei era necessaria per rendere meno traumatico il passaggio a una maggiore indipendenza” (pp. 187-188). Concentrandosi su quest’ultimo punto, l'ansia di separazione, Isay ha indicato quanto le separazioni precoci dalla madre, difficili per ogni bambino, siano particolarmente dolorose e angosciose per il bambino omosessuale poiché le identificazioni con lei sono socialmente proibite. Inoltre, quando queste identificazioni si verificano, possono portare al rifiuto da parte del padre e talvolta anche da parte della madre. Il bambino omosessuale deve rinunciare al suo desiderio cosciente di essere come la madre nel momento in cui ha bisogno di sentirsi vicino a lei, per esempio quando si separa da lei per andare a scuola. Isay ha anche sottolineato un aspetto interessante nella differenza di genere dei bambini omosessuali; infatti, ha notato come negli adolescenti e adulti omosessuali la maggior parte dei tratti femminili della loro infanzia non siano più così evidenti. Infatti, nella prima adolescenza alcuni di questi ragazzi sviluppano un interesse per lo sport, smettono di indossare indumenti femminili e modificano la loro precedente postura e modo di camminare tipicamente femminili. Non è chiaro se tali cambiamenti avvengano a causa dei feedback negativi da parte dell’ambiente familiare o per la pressione sociale o per entrambi.
Infine, per quanto concerne la pratica della psicoanalisi con uomini gay, Isay suggerì che psicoanalisti e altri professionisti della salute mentale dovrebbero iniziare a considerare i tratti di genere misto (maschili e femminili) esistenti, soppressi o repressi degli uomini omosessuali adulti come parte della loro dotazione naturale con accrescimenti successivi dovuti a identificazioni con la madre a cui sono legati attraverso l’espressione di questi tratti stessi. Il riconoscimento e l'apprezzamento di questi tratti come costituzionali potrebbe aiutare a spostare l'attenzione dei clinici dal motivo per cui i loro pazienti gay hanno caratteristiche femminili al riconoscimento dei conflitti generati dalla loro repressione durante l’infanzia. Tale prospettiva dovrebbe consentire agli operatori della salute mentale di aiutare i loro pazienti ad accettare la loro atipicità di genere, aumentando in questo modo l'autostima e mitigando i problemi di intimità che affliggono molti uomini gay nella nostra società odierna (Isay, R., 1999).
 
Scott J. Goldsmith (2001), come Isay, respinse l’esistenza di una fase “edipica negativa[1]” per il bambino omosessuale, suggerendo invece che la configurazione del “padre come oggetto d'amore e madre come rivale” è l'esperienza normativa per un individuo omosessuale e che tale esperienza dovrebbe essere considerata come un esempio normale e naturale di triangolazione edipica. Per evitare la confusione dei termini, Golsmith ha suggerito di chiamare tale tipologia di triangolazione edipica in persone omosessuali come “Il Modello di Oreste”. L’autore attinse dal mito greco in cui Oreste uccide la propria madre per vendicare la morte del proprio padre. A partire dalla formulazione di Isay che le fantasie omoerotiche sono solitamente presenti a partire da quando il bambino raggiunge i quattro o cinque anni d’età e che questo periodo di sviluppo è analogo allo stato edipico nei bambini eterosessuali (eccetto per il fatto che il target erotico primario dei bambini omosessuali è il padre), Goldsmith si concentrò non solo sulla relazione tra bambini omosessuali e i loro padri, ma anche sulla relazione tra il bambino omosessuale e le loro madri. Secondo l'autore, durante questa fase, una volta che il padre diventa l'oggetto d'amore primario del bambino, la madre diventa la principale rivale per il raggiungimento da parte del bambino dell'affetto del padre. Pertanto, per una risoluzione di successo di questo stadio di sviluppo, il bambino omosessuale deve imparare a dominare sia la sua rabbia e aggressività nei confronti della propria madre sia la paura di rappresaglie da parte della madre stessa. Goldsmith ha anche posto l’accento su come il ragazzo debba confrontarsi con una realtà in cui il padre, piuttosto che partecipare a una relazione romantica con lui, agisce in modo competitivo con il figlio o prende attivamente le distanze dai sentimenti erotici da parte dello stesso. Allo stesso modo: "La madre del ragazzo omosessuale si relaziona in una maniera emotivamente e fisicamente tenera con un bambino che non solo non è sessualmente interessato a lei, ma che si sente in competizione con lei e che cerca di proteggersi da possibili ritorsioni legate ai sentimenti competitivi ed ai desideri erotici che il bambino prova per il padre. Tenendo conto di tale ambiente emotivamente carico e dissonante di questa relazione, ci si può aspettare che il bambino omosessuale veda il comportamento della propria madre caratterizzato da profonda tenerezza attraverso una lente distorta a causa delle proprie proiezioni di impulsi aggressivi verso la madre. Quindi, indipendentemente dal fatto che questi sentimenti siano o meno consapevoli, la madre di un bambino omosessuale può sembrare maligna, seducente, invadente o aggressiva semplicemente in virtù del fatto che il suo comportamento materno del tutto congruente in apparenza è incongruente con la vita emotiva interna del bambino "(pp. 1275).
Goldsmith ha definito il ruolo del bambino omosessuale in questa triangolazione edipica come il "ruolo del doppio agente segreto". L'anatomia fisica del bambino omosessuale crea una serie di attese da parte delle persone intorno a lui che sono incongruenti con la sua vita intrapsichica. A causa della sua anatomia fisica, il bambino omosessuale è continuamente chiamato a reprimere i suoi desideri omoerotici, compresi quelli verso il padre, e i suoi sentimenti aggressivi, in particolare verso sua madre. "Inoltre, il bambino può intuire che ciò che gli viene richiesto è di apparire all’esterno come un bambino con una serie di impulsi che sono opposti a quelli che sente al suo interno. In sostanza, il bambino diventa un "doppio agente" nella sua stessa casa, provando una serie di sentimenti nella propria mente mentre gli viene richiesto di mostrarne altri all’esterno. La tensione nel mantenere questo doppio ruolo è aggravata dal fatto che l'ambiente del bambino omosessuale offre a lui (e ad altri bambini) pochi modelli alternativi alle immagini stereotipate di mascolinità e femminilità eterosessuali. A quel punto, il bambino non ha altra scelta se non quella di tentare di conformarsi a uno di questi due ruoli stereotipici. Tuttavia, per il bambino omosessuale, nessuna delle due opzioni gli offre l'opportunità di integrare la sua identità in modo convincente e autentico. Diventa non solo un "doppio agente", ma un impostore, nei suoi tentativi di identificarsi con uno dei due generi sessuali" (pp. 1276-1277).
Infine, Goldsmith (1995) ha descritto come lo sviluppo di un senso di identità di genere possa essere particolarmente difficile per gli uomini omosessuali. Infatti, lo sviluppo di un senso di mascolinità richiede sia un'identificazione con altri bambini e altri uomini sia la capacità di separarsi dalla madre. Il ragazzo omosessuale è in svantaggio nel raggiungere tali tappe evolutive perché deve fare i conti da una parte con un padre distante ed emotivamente distaccato che si ritira dal proprio figlio omosessuale percepito come diverso e dall’altra con bambini che possono rifiutarlo o ridicolizzarlo per la sua mancanza di mascolinità. "Il ruolo di impostore o doppio agente può, infatti, essere scoperto più facilmente dal gruppo dei pari del bambino piuttosto che dagli adulti" (pp. 119). La possibilità di essere ridicolizzato da parte di altri bambini insieme al distacco emotivo da parte del padre, può avere un considerevole impatto negativo non solo sull'autostima del bambino omosessuale, ma anche sulla sua capacità di creare relazioni che lo aiutino ad identificarsi come uomo. Allo stesso modo, il disinteresse del ragazzo per attività stereotipicamente maschili da cui non trae alcun piacere può ostacolare la sua capacità di formare legami affettivi in futuro. Lo sviluppo di un senso di mascolinità coinvolge anche indirettamente la relazione del bambino con la madre e con il concetto di femminilità. Infatti, al fine di sviluppare un senso di mascolinità, la separazione dalla madre è di fondamentale importanza. Il figlio omosessuale affronta una sfida complicata durante questo processo di separazione. Dato che si identifica con aspetti della sessualità della madre mentre è anche anatomicamente diverso da lei, la separazione da lei non arriva mai ad una distanza sufficiente per la formazione dell'identità di genere. Di conseguenza, il percorso verso lo sviluppo di una mascolinità tradizionale è per definizione parzialmente bloccato per il bambino omosessuale.
 
Kenneth Lewes (1998) contribuì allo sviluppo di teorie psicoanalitiche riguardanti il tema dell’omosessualità attraverso la descrizione di uno speciale meccanismo nello sviluppo di questa identità sessuale in uomini nevrotici ad alto funzionamento mentale che l’autore definì "Complesso Edipico Duplicato". Egli descrisse questi pazienti come persone con relazioni intime stabili e durature, alta qualità di esperienze libidiche e affettive e con ottime qualità a livello occupazionale ed interpersonale. Lewes presentò questo paradigma come un'aggiunta agli altri due modelli edipici: il tradizionale Complesso Edipico Positivo ed il Compleso Edipico Negativo (o Invertito). Secondo l'autore, nel Complesso di Edipo Duplicato il padre fungerebbe allo stesso tempo sia come oggetto del desiderio sia come divieto per l’espressione dell’eccitazione erotica nel bambino in età edipica. Lewes sviluppò questo nuovo paradigma analizzando in seduta alcuni ricordi di uomini nevrotici che spesso riportavano di avere assunto il proprio padre come loro oggetto libidico. Più in particolare, egli notò che per questi soggetti, all'inizio della fase fallica, è il padre e non la madre ad essere oggetto di investimento libidico. Inoltre, a differenza del Complesso Edipico Invertito o Negativo in cui la madre funge da proibitore dell’espressione della pulsione erotica ed è la fonte della minaccia di castrazione, nei casi considerati da Lewes, questo ruolo è assunto dal padre, pur fungendo egli stesso anche da oggetto della pulsione libidica. Lewes osservò come nei ricordi di questi pazienti la madre non sia mai emersa come una figura erotica prominente, sia come oggetto erotico sia come inibitore della pulsione erotica, e come il padre regolarmente ricopra entrambi i ruoli simultaneamente. Nel Complesso Edipico Duplicato, è importante riconoscere che anche se solo due figure – padre e figlio – sono protagoniste di questo dramma, la relazione tra loro è pur sempre di natura triadica poiché il padre opera in due ruoli separati: seduttore e proibitore. Infine, Lewes indicò che l'origine dei sentimenti edipici di colpa e vergogna nel bambino fallico si originerebbe nella dinamica relazionale padre-figlio in cui "il bambino fallico corre eccitato verso un padre che si congela per l’imbarazzo, e reagisce con sdegno e ostilità nei confronti del bambino" (Lewes, K., 1988, pp. 354).
 
Riflessioni sui concetti di Genere, Mascolinità e Femminilità: una rivisitazione
Nancy J. Chodorow, sociologa femminista e psicoanalista, scrisse un articolo nel 1992 intitolato "Eterosessualità come Formazione di Compromesso" nel quale fece eco all'affermazione di Freud che avere un interesse esclusivamente eterosessuale rappresenta anch’esso un problema che richiede chiarimento[2]. Il suo articolo richiama la nostra attenzione e mette in discussione il privilegio indiscusso automaticamente accordato all'eterosessualità presente in molte teorie psicologiche dello sviluppo sessuale. Ad esempio, Chodorow sottolineò come, nel considerare l’omosessualità, le persone omosessuali, la scelta di un oggetto omosessuale o le perversioni, sembra che ci riferisca specificamente alla sessualità, alla scelta di un oggetto sessuale, alla lussuria, alla erotizzazione o al desiderio, mentre nel considerare l’eterosessualità, sembra che si intenda “qualcosa di più o più grande della semplice esperienza sessuale”. Infatti, nel parlare di eterosessualità di solito ci si riferisce a concetti complessi quali "innamoramento", "amore maturo", "passione romantica", "vero oggetto d’amore" o "amore genitale". L'autrice suggerisce che poiché l'eterosessualità è data per scontata, la sua origine e le sue vicissitudini non vengono mai sufficientemente descritte in letteratura. Infatti, molti psicoanalisti ritengono che l'eterosessualità sia innata o naturale e che una tale posizione sia ovvia e non necessitante di giustificazioni o discussioni. Questo pregiudizio implica anche che vi sia un bisogno di una spiegazione per lo sviluppo dell'omosessualità, mentre l'eterosessualità non ha bisogno di spiegazioni. La domanda sottolineata nel saggio di Chodorow è: perché’ non abbiamo studi che comparano lo sviluppo di una normale eterosessualità con lo sviluppo di una normale omosessualità in termini di profondità, ricchezza e specificità di tali due tipologie di rapporti? Secondo l'autrice, nell’analizzare gli studi compiuti al fine di meglio comprendere lo sviluppo dell’eterosessualità, ciò che si scopre è che o questi studi sono privi di basi scientifiche o sono troppo generici o che ciò che si può affermare per lo sviluppo dell’eterosessualità non sia qualcosa di completamento diverso da ciò che possiamo affermare per l’omosessualità, le perversioni o altre tipologie di pratica sessuale: cioè che ogni sviluppo sessuale rappresenta al tempo stesso una formazione di compromesso, un sintomo, una difesa, una nevrosi, un disordine, un intreccio di diverse linee evolutive, di compromessi narcisistici, di relazioni oggettuali, di fantasie inconsce e così via. Poiché ogni identità e scelta sessuale rappresenta una formazione di compromesso diventa difficile trovare all'interno della teoria psicoanalitica motivi persuasivi per distinguere l'eterosessualità dall'omosessualità secondo criteri di "salute", "maturità", "nevrosi", "sintomi" o altri termini valutativi quali "normale vs anormale". Al massimo, potremmo essere in grado di distinguere, in base a questi termini, forme di sessualità perversa da forme di sessualità non perversa all'interno di entrambe le categorie: la categoria omosessuale e la categoria eterosessuale. In conclusione, secondo l’autrice, sottoporre le teorie psicoanalitiche riguardanti l’eterosessualità ad un esame accurato, come suggerito in precedenza da Freud stesso, ci può dare un maggiore senso dei suoi contorni e delle domande che ci dobbiamo ancora porre per comprendere sia l'eterosessualità sia altre forme di sessualità umana.
Inoltre, nel suo libro "La riproduzione della funzione materna" (1999), Chodorow considerò le differenze di genere come formazioni di compromesso del Complesso Edipico. Chodorow sviluppò l'affermazione di Freud secondo la quale l'individuo nasce bisessuale e la madre del bambino rappresenta il suo primo oggetto sessuale[3]. Chodorow attinse anche dall'opera di Melanie Klein (1932), in particolare dall’affermazione di quest’ultima riguardante come il bambino formi il suo Io in reazione alla figura dominante della madre. Secondo l’autrice, il bambino formerebbe un senso di indipendenza identificandosi con il senso di indipendenza e di libertà del padre ed emulando l’interesse possessivo del padre nei confronti della madre / moglie. Mentre questo processo per il bambino è relativamente facile, lo stesso processo non è così semplice per la bambina. Il legame tra madre e figlia è infatti più forte del legame tra madre e figlio. La bambina, infatti, nel suo tentativo di rendere il padre il suo nuovo oggetto d'amore, è ostacolata dall'intenso legame che ha con la madre. Mentre i bambini maschi tipicamente sperimentano l'amore come relazione diadica, le figlie sono intrappolate in un triangolo libidico in cui l'Io è tirato tra l'amore per il padre, l'amore della madre, e la preoccupazione per il rapporto del padre con la madre. Per Chodorow, il contrasto tra le prime esperienze d'amore diadico e triadico spiegherebbe la costruzione sociale dei ruoli di genere, il degrado universale delle donne nella cultura, le somiglianze interculturali del comportamento maschile e la tensione coniugale nel mondo occidentale a seguito del movimento femminista.
 
Ken Corbett (1993) sfidò alcuni tentativi degli psicoanalisti di collocare le persone omosessuali all'interno di una teoria di genere basata su fondamentali distinzioni tra ciò che è femminile e ciò che è maschile. Iniziò esaminando le riflessioni di Freud sull'omosessualità (Freud S., 1920) e la definizione freudiana della relazione tra omosessualità e modalità di soddisfazione sessuale (attiva o passiva) che Freud chiamò "il mistero dell'omosessualità" (pp. 170). Corbett evidenziò il fatto che, per gli omosessuali, così come la virilità non corrisponde necessariamente all'attività che Freud associava alla mascolinità, la femminilità non corrisponde necessariamente alla passività. L'esperienza di genere dell'omosessuale è stata vista da Freud come una sorta di crisi di categoria: quale genere assegniamo a questi individui misteriosi? In linea con le qualità di un mistero, il genere omosessuale è stato considerato come una minaccia per una certezza conosciuta – la disposizione eterosessuale di genere binaria basata sulla netta separazione tra maschile e femminile. A loro volta, i tentativi degli psicoanalisti di risolvere questo mistero riflettono il modo in cui le soluzioni ai misteri sono spesso ricercate nel tentativo di ripristinare la certezza. Per tale ragione, i seguaci di Freud hanno ripetutamente tentato di dislocare gli omosessuali all'interno di una teoria di genere che si basa su distinzioni nette tra ciò che è femminile e ciò che è maschile.
La migliore illustrazione di questa dislocazione è il modo in cui l'omosessuale viene spesso considerato come un uomo effemminato. Questa convergenza tra persona omosessuale di genere maschile e persona eterosessuale di genere femminile si è ampiamente basata su quello che gli analisti vedevano come una somiglianza tra il modo passivo di soddisfazione sessuale ricercato dagli uomini omosessuali e la soddisfazione sessuale ricercata da donne eterosessuali. Tale teorizzazione ha portato alla seguente equazione: omosessualità maschile = passività = femminilità = trauma. Gli uomini omosessuali vengono così rimossi dal regno della mascolinità e rifusi come donne camuffate. Piuttosto che attingere dall'esperienza dell'omosessuale al fine di ampliare le categorie di genere, gli analisti hanno limitato le categorie di genere alla convenzionale suddivisione tra genere maschile e genere femminile. Ma come esemplifica l'esperienza dell'omosessuale, tale logica si traduce in un ordine codificato culturalmente che non cattura adeguatamente l'esperienza di genere. Definire uomini gay effemminati non aiuta a raggiungere una maggiore comprensione dell’esperienza di genere di questi individui, ma semplicemente disloca questa esperienza all’interno del concetto binario di identità di genere. Definire gli uomini omosessuali come “donne contraffatte” oscura le vicissitudini di genere invece di affrontare il modo in cui l'omosessuale sfida il concetto binario “uomo-donna eterosessuale” convenzionale. Corbett sosteneva che l'omosessualità maschile è una mascolinità strutturata in modo diverso, non una femminilità simulata o una non-mascolinità. Egli suggerì che sebbene sia gli uomini omosessuali che quelli eterosessuali si identificano come maschi, l'identità di genere dell'uomo gay si distingue per la sua esperienza di passività in relazione a un altro uomo. Sosteneva inoltre che un passo cruciale nella psicoterapia di ogni uomo gay è il riconoscimento della sua precoce esperienza di genere e di come quell'esperienza si intrecci nel tessuto della sua sessualità (Corbett K, 1993).
Corbett descrisse anche (1998) un sottoinsieme di individui omosessuali la cui esperienza di genere mista va oltre le classiche categorie di mascolinità e femminilità. Questi individui in passato sono stati etichettati come patologici da parte di operatori della salute mentale a causa della riluttanza di questi ultimi nel riconoscere che vi sia uno spettro di identità di genere che va ben oltre i due estremi rappresentati dalla classica suddivisione di uomini e donne. La varianza di genere è stata spesso patologizzata all'interno di paradigmi evolutivi deterministici che restringono le possibilità di genere al binario eterosessuale maschile / femminile convenzionale. Questa costrizione artificiale ha portato alla valutazione di identificazioni di genere alternative come un sintomo, anziché come una manifestazione di normali differenze di genere. Corbett sostenne che l'accoppiamento di identificazioni maschili e femminili che spesso informano la soggettività del bambino gay rivela la possibilità che vi possano essere forme di identità di genere all'interno dell'omosessualità che contraddicano e superino le categorie convenzionali di mascolinità e femminilità. L'autore presentò esempi clinici di uomini e donne che descrissero l’angoscia e l’ansia derivante dall’obbligo da loro sentito interiormente di identificarsi solamente con due opzioni estreme quali uomini e donne. Esempi clinici sono stati offerti da Corbett per evidenziare il bisogno di una teoria di genere che spieghi l'intreccio tra genere e struttura psichica nel loro co-evolvere e nel loro riflettere la complessità della soggettività umana. Infatti, come illustrano i suoi esempi clinici, bambini resi ansiosi quando etichettati come effemminati, o quando si sentono fuori dai limiti della mascolinità tradizionale, possono sviluppare, una volta adulti, problematiche psicologiche specifiche al non sentirsi parte della dicotomia tradizionale tra “maschile” e “femminile”. Di conseguenza, gli omosessuali possono sentirsi “senza nome” all'interno di una matrice di genere fondata su certi ideali di mascolinità e femminilità eterosessuali. Ad esempio, Corbett ha analizzato il modo in cui la femminilità maschile è stata vista secondo la prospettiva di un continuum da più a meno "femme", con l’estremo “più femme” legato a maggiori deficit dell'Io e patologia del carattere. Questa nozione di continuum è resa esplicita dall'affermazione di Friedman (1988) secondo cui il numero di "uomini omosessuali che sono interamente maschili (secondo i consueti standard culturali) aumenta man mano che il livello della patologia del carattere globale diminuisce" (pp. 93). In altre parole, secondo Friedman, più un uomo è come una donna (più un ragazzo è come una ragazza) più è probabile che vi sia qualcosa di patologico in lui. Secondo Corbett, è fondamentale sviluppare un apparato teorico che si allontani dal determinismo di genere ed il modo in cui tale determinismo promuove un nesso causale tra il “genere reale” e la struttura psichica "sana". Egli ha anche sottolineato la necessità di giungere ad una nuova formulazione teorica in grado di muoversi verso una teoria di genere capace di tenere conto della complessità della sessualità e soggettività umana.
 
Judith Butler (1995) riflette’ sull'uso da parte di Freud del termine “identificazione di genere” contenuto nell’opera freudiana “L'Io e l'Es” (1923). In quest’opera, Freud afferma che l'identificazione di genere “rappresenta l'unico modo in cui l'Es può rinunciare ai suoi oggetti”. Nella stessa opera, Freud prosegue dicendo: “Tale assunto permette di supporre che il carattere dell'Io sia un precipitato di oggetti abbandonati e che l’Io contenga la storia di quelle scelte oggettuali” (1923, pp. 29). Prendendo spunto da alcune idee che Freud illustrò nell’opera “Lutto e melanconia” (Freud S., 1917), Butler suggerisce che, nell'identificazione di genere, la perdita dell'oggetto dello stesso sesso rimane non riconosciuta ed il lutto conseguente rimane non elaborato: “Sembra chiaro che le posizioni di “maschile” e “femminile” che Freud (1905) intese come il risultato di un lavoro intrapsichico laborioso ed incerto, vengono in parte raggiunte attraverso proibizionismo. Tale proibizionismo richiede la perdita di certi attaccamenti sessuali e richiede inoltre che tali perdite non vengano elaborate emotivamente e sofferte. Se il raggiungimento di una identità maschile e femminile procede sempre verso il raggiungimento di una tenue identità eterosessuale, potremmo interpretare l’intensità di questo traguardo come un obbligo dell'abbandono di legami omosessuali o, in maniera più incisiva, come una prelazione della possibilità di legame omosessuale, come una preclusione della possibilità che vi possa essere un dominio di omosessualità intesa dunque come passione invivibile e perdita irrecuperabile” (Butler J., pp. 168). Butler sostenne che tale processo spiegherebbe l'ansia provocata dall'incertezza sessuale: “Quindi, la paura del desiderio omosessuale in una donna è direttamente collegata alla paura di questa di perdere la propria femminilità; di non essere una vera donna, di non essere una donna adeguata; o la paura che, se non è un uomo, è come se lo fosse e quindi è un essere in qualche modo mostruoso. O in un uomo, la paura nei confronti del desiderio omosessuale può ben portare al terrore di essere considerato come un essere femminile, femminilizzato; di non essere più propriamente un uomo o di essere un uomo “fallito” ” (pp. 168).
Infine, dalla lettura che Butler ha fatto di Freud, l'omofobia rappresenterebbe un ritiro psichico dalla confusione che sentiremmo quando ci confrontiamo con il fatto che le nostre categorie prestabilite di uomo e donna sono meno adeguate e chiare di quanto vorremmo. Infatti, questa è una delle difficoltà principali che deve affrontare un giovane che cresce gay o una giovane che cresce lesbica quando sono circondati da coetanei alle prese con le loro ansie sessuali, i quali trasformano questi individui gay in bersagli delle loro proiezioni (Newbigin, J., 2013).
 
Approfondimenti di alcuni aspetti unici all’esperienza gay in analisi e nella vita
Sidney H. Phillips (1998) ha descritto alcuni aspetti unici dell'esperienza analitica di un analista omosessuale e del suo analizzando eterosessuale. Nel suo articolo, Phillips ha presentato un resoconto dettagliato della relazione psicoanalitica – quattro sedute a settimana usando il divano – svolta da un analista gay con un uomo eterosessuale la cui analisi è andata a buon fine. Nonostante vi siano state delle prove fin dall’inizio dell'analisi dell'inferenza inconscia del paziente sull'omosessualità dell'analista, il paziente iniziò il trattamento manifestamente inconsapevole di ciò. In seguito, nel bel mezzo dell'analisi, il paziente apprese che il suo analista era omosessuale quando un amico del paziente, che conosceva l'analista, disse al paziente che il suo terapeuta era omosessuale. Nell'articolo, Phillips ha seguito il percorso di questa scoperta attraverso le sue trasformazioni, i suoi usi difensivi, i suoi significati transferali e la risoluzione dei conflitti inerenti a tale scoperta al termine dell’analisi. L’autore ha illustrato i processi fondamentali di transfert, controtransfert e dell'analisi delle difese e della resistenza, nonché le reazioni del paziente all'omosessualità dell'analista come potenziali punti di ingresso al transfert e al processo analitico. Il caso descritto offre una finestra sul funzionamento di una nuova diade analitica – un analista omosessuale e un paziente eterosessuale – e dimostra l'importanza di analizzare le reazioni del paziente all'apprendimento dell'omosessualità dell'analista. Ad esempio, l’autore ha descritto il conflitto che il paziente si è trovato ad affrontare dopo la scoperta: da un lato il desiderio del paziente di parlare liberamente dell'omosessualità in generale e del suo analista in particolare; d'altra parte, il desiderio di approvazione del paziente da parte dell'analista. L'articolo descrive questo e simili conflitti emersi durante il processo psicoanalitico, nonché le interpretazioni offerte dal terapeuta e le conseguenti reazioni del paziente a tali interpretazioni.
Phillips (2001) ha anche dato un contributo importante alla nostra comprensione di come sia l’esperienza di crescere gay in un mondo progettato per persone eterosessuali. Ha esplorato l'effetto eccessivamente stimolante sul ragazzo gay del trovarsi costantemente in situazioni, come gli spogliatoi, dove non può né evitare né riconoscere i suoi impulsi sessuali. Una società eterosessista ed ignara pensa di aggirare il problema della sovrastimolazione non consentendo agli spogliatoi misti, ma per individui attratti dal proprio stesso genere, questo crea solo l'effetto opposto. Phillips ha discusso l'adattamento che il ragazzo gay deve fare a seguito di questo tipo di iperstimolazione, che può portare alla massiccia repressione dei propri sentimenti ed a isolamento e vergogna.
Infine, Phillips (2003) contribuì alla messa in discussione di alcuni assunti teorici sull'omosessualità presenti in molte ricerche psicoanalitiche contemporanee. Egli, per esempio, confutò apertamente la tesi di Bergeret (2002) secondo cui l'omosessualità non rappresenterebbe una forma reale di sessualità ma sarebbe semplicemente una fissazione difensiva e narcisistica, o una negazione quasi-psicotica dell'eterosessualità. Phillips criticò questa ed altre tesi psicoanalitiche sul tema omosessualità poiché esse non tengano conto dei recenti progressi teorici sull’argomento e delle nuove prove cliniche che evidenziano come non vi sarebbe alcun collegamento tra omosessualità e patologia.
 
Conclusioni
Autori psicoanalitici contemporanei stanno puntando l’attenzione verso un bisogno di ridefinire il concetto di genere in maniera più flessibile e fluida. Inoltre, essi evidenziano come teorizzazioni psicoanalitiche contemporanee non possano non tenere in considerazione la complessità inerente la sessualità umana ed il bisogno di mantenere una posizione equidistante dall’inevitabile intreccio di fattori psicodinamici con altri fattori quali gli aspetti politici, sociali, culturali, religiosi, psicologici e fisiologi quando si cerca di meglio comprendere concetti quali sessualità e genere. Ascoltare e cercare di aiutare persone con sessualità alternative, non può infatti prescindere dal considerare come molte delle problematiche presentate dal paziente all’analista derivino direttamente dal tessuto sociale e familiare al quale il paziente appartiene e da come tale contesto contribuisca alla formazione del malessere psicologico del paziente stesso. Stigma, depressione, ideazione suicidaria, colpa, vergogna, solitudine, ansia, problemi nelle relazioni intime ed altre problematiche tipicamente presentate da pazienti omosessuali sono infatti spesso conseguenza diretta del contesto familiare e sociale da cui essi provengono. Lavorare psicoanaliticamente con pazienti LGBT richiede all’analista di avere una visione della sessualità umana “non-binaria” e non fondata su una formulazione eteronormativa della realtà. Infatti, gli analisti non possono più oggigiorno pretendere di non vedere come modalità rigide e dogmatiche di interpretare le categorie di genere non siano utili nell’incontro con i nostri pazienti le cui identificazioni sono molto più fluide e sfumate di quanto la psicoanalisi abbia pensato in passato. Infatti, anche se l’identità sessuale viene assegnata alla nascita o persino prima, ognuno di noi sviluppa un senso del proprio genere come un habitus, in relazione con l’esperienza vissuta al proprio interno ed all’esterno, come un continuo dialogo fra maschile e femminile, e come un processo di scambio con fattori stereotipici esterni, relazioni interpersonali, ed aspetti sociali, culturali, politici e religiosi. In poche parole, così come non vi è un solo modo di essere un uomo o una donna, così non vi è un solo modo di formulare psicoanaliticamente il senso di identità dei nostri pazienti. Tentare di comprendere la complessità di tale fluidità attraverso l’applicazione di stereotipi di genere non aiuta gli analisti a comprendere l’unicità dei propri pazienti, farli sentire accolti, capiti ed ascoltati al fine di aiutarli a superare le loro difficoltà. Infatti, per molti di loro la problematica principale non è rappresentata dal loro orientamento sessuale, bensì dalle ripercussioni e reazioni della società al loro orientamento sessuale. L’aspetto fondamentale che ogni psicoanalitica dovrebbe considerare è l’evitare di ritraumatizzare i loro pazienti facendoli esperire colpa e vergogna o farli sentire diversi, malati e non accettati nel corso dell’analisi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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Phillips, Sidney H. (2001) “The overstimulation of everyday life: I. New aspects of male homosexuality.” Journal of the American Psychoanalytic Association 49 4. 1235-67. https://doi.org/10.1177/00030651010490042001
 
Phillips, Sidney H. (2003) Homosexuality: Coming out of the confusion, The International Journal of Psychoanalysis, 84:6, 1431-1450, DOI: 10.1516/1DYV-CJAN-A6R5-LDPX.
 
 
 
 
 

[1] Secondo Freud (1905), la formazione di un'identità sessuale matura ed eterosessuale rappresenta la risoluzione del conflitto Io-Es. Nel caso di un bambino, la maturità sessuale è rappresentata dalla riuscita identificazione con il padre. Al contrario, l'incapacità di risolvere con successo il complesso di Edipo fissa l'identificazione del bambino con la figura materna. Tale identificazione dirige l’investimento libidico (concentrazione di energia sessuale) del bambino sul padre. Secondo tale teoria che Freud chiamò “Complesso Edipico Negativo”, l'omosessualità adulta rappresenta uno dei possibili esiti di questa traiettoria edipica patologica.
[2] Nel suo tentativo di comprendere diversi tipi di “inversioni”, Freud giunse alla conclusione che tali fenomeni dimostrano l'ampia variazione riscontrata sia per quanto riguarda la natura del “fine del comportamento sessuale” che per quanto concerne la scelta dell’ “oggetto sessuale” stesso. Nel descrivere tale relazione, Freud non ha sollevato eccezioni per l’eterosessualità. Egli ha infatti affermato: “Dal punto di vista della psicoanalisi, l'esclusivo interesse sessuale sentito dagli uomini per le donne rappresenta anch’esso un problema che deve essere chiarito e non è un fatto evidente di per sé che può essere spiegato esclusivamente sulla base di un'attrazione di natura chimica” (Freud S., 1905, nota pp. 146).
[3] Freud credeva che tutti gli esseri umani siano intrinsecamente bisessuali e che possedere sentimenti omosessuali è del tutto normale. Egli credeva, infatti, che tutti gli esseri umani nascono bisessuali e che poi, con lo sviluppo, la maggior parte diventa eterosessuale. Freud sosteneva anche che tendenze bisessuali sono rintracciabili anche in età adulta, ma rimangano in uno stato latente. In altre parole, Freud riteneva che l'omosessualità infantile fosse una fase passeggera da superare prima di incamminarsi sulla strada dell'eterosessualità tipica degli adulti (Freud S., 1905).
 

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1 commento

  1. manlio.converti

    Ringrazio Andrea Crapanzano
    Ringrazio Andrea Crapanzano per questo notevole contributo critico.
    Ce la vediamo ai punti.
    1) Non esiste nessuna polarizzazione manichea omosessuali/eterosessuali perché sappiamo che esistono le persone Bisessuali (sia omo che eterosessuali in proporzione variabile), ma anche persone Asessuali (senza che abbiano alcuna altra patologia mentale o fisica), ed infine persone Pans sessuali (che sono quelle che hanno rapporti sessuali soddisfacenti e/o relazioni affettive soddisfacenti con persone Trans gender o Intersessuali).
    2) Esistono prove oggettive di differenze neurobiologiche tra persone Omosessuali ed Eterosessuali. La più interessante nel merito è l’efficace attivazione di un’area sensibile ai Feromoni Maschili (AND) per donne eterosessuali cis o trans gender e maschi omosessuali cis o trans gender. (immagino tutti sappiano cosa significhi cis e transgender). Allo stesso modo si attiva un’area sensibile ai Feromoni Femminili (EST) solo nei maschi eterosessuali cis o trans gender e nelle donne omosessuali cis o trans gender. Non esistono molti studi rispetto alle persone Bisessuali, Asessuali e Pansessuali. (questo autore però cita la questione della bisessualità come essenziale, giustamente per aiutare in terapia le persone Lgbt confuse, questioning o che si autodisprezzano: https://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/19359700802197006 )
    3) Sapete cos’è il Complesso del Mago di OZ? No perché se parliamo solo di Complesso di Edipo, stiamo fondamentalmente parlando di maschi eterosessuali e forse donne lesbiche (entrambi cis gender) mentre dobbiamo parlare del Complesso del Mago di OZ per le donne eterosessuali e forse per i maschi omosessuali (sempre considerando solo quelli cis gender per entrambi i gruppi, essendo più complessa la situazione delle persone trans gender perché le dinamiche relative all’identità di genere, del tutto ignorate nell’articolo, colpiscono profondamente le relazioni familiari già nell’infanzia, causando purtroppo spesso intolleranza o espulsività omofoba familiare).
    4) Il tema del conflitto e dell’ansia/angoscia/ambivalenza ad esse relativo a mio avviso è completamente da rivedere. E’ noto da molti studi di Genere, anche psicanalitici, che l’influenza culturale è attiva fin dai primi stadi di vita, ed è pregna proprio durante le fasi cosiddette edipiche. L’influenza di un contesto omofobo viene interiorizzato come conflitto rispetto alla propria identità ed è questo conflitto interiorizzato rispetto all’eterosessismo manicheo appreso a provvedere questi sentimenti ambivalenti/angoscianti/ansiogeni in tutte le minoranze di genere (quindi tutte le donne oltre alle persone Lgbt).
    5) Deriva dal punto precedente e in parte integra il lavoro della Hooker, che usò solo soggetti sani. La popolazione femminile in generale e le persone Lgbt soffrono più di quella eterosessuale maschile di patologie dello spettro ansioso-depressivo e DCA. Si evidenzia invece una correlazione (quindi culturalmente imposta) tra sesso e rischio suicidario (tentato per chi nasce donna e efficace per chi nasce maschio) che vede in testa la popolazione Trans gender, seguita da quella Bisessuale e infine Omosessuale (lesbiche e gay), ma che correla per la sua espressione (tentato suicidio vs suicidio efficace) col sesso alla nascita e non con l’orientamento sessuale o l’identità di genere. Le persone Lgbt infine, come tutte le minoranze soffrono di maggior abuso di sostanze. Tutte queste differenze rientrano nel modello Bio-Psico-Sociale del Minority Stress, dove lo stress della minoranza è in questo caso omofobia, transfobia, bifobia, lesbofobia, misoginia, attraverso il meccanismo interiorizzato dell’eterosessismo manicheo.
    6) Non è indifferente dire che Hooker e Isay erano rispettivamente lesbica e gay… non sono sicuro degli altri autori ma mi informerò. Questo può essere considerato un Bias, un errore, ma è invece una questione di autodeterminazione psicanalitica. Ognuno è padrone, sembra, del proprio inconscio (o meglio il suo inconscio ne è padrone) e lo esprime pertanto meglio di altri quando abbia una formazione specifica adeguata, sia nel ruolo di transfert che di controtransfertL
    7) La questione effeminatezza (o mascolinità) delle persone omosessuali è oggi molto dibattuta. Intanto essere effeminati o virago sembra essere un carattere indipendente dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere. Nella maggior parte delle persone omosessuali questi atteggiamenti sono più evidenti durante l’infanzia e vengono moderati attraverso una feroce autodisciplina, che arriva al doping e all’omofobia interiorizzata, ai DCA e allo stato ansioso-depressivo fino al tentato o efficace suicidio. Il motivo della moderazione artificiale (appresa) del proprio comportamento durante l’adolescenza è legato sicuramente a vari fattori, tra cui quello dell’efficacia maggiore nella ricerca di partner omosessuali e della resilienza in contesti sociali, scolastici o lavorativi eterosessisti. Esattamente al contrario le persone trans gender esaltano i caratteri propri del sesso opposto durante l’adolescenza, anche attraverso l’abuso di ormoni senza prescrizione, stavolta per corrispondere ad un’esigenza incoercibile di essere sé stessi o sé stesse, all’opposto del proprio sesso alla nascita.
    8) A questo aggiungo, dato il ricco commento su Isay che ho letto grazie al Prof. Paolo Valerio già negli anni novanta, che le mie mani, sono uguali a quelle di mia nonna e che forse uno zio materno, non certo mio padre, potrebbe essere stato al centro di mie intenzioni infantili…
    9) Caro J. Goldsmith, adoro il modello di Oreste, ma era succubo di Elettra… troppa confusione… e poi la madre sarebbe Fedra… e qui finiamo nel modello di Ippolito…mentre la madre maligna e il padre onnipotente è proprio quello del Mago di OZ…o sbaglio?
    10) Caro J. Goldsmith, adoro il termine “doppio agente segreto”, molti gay e lesbiche adolescenti e adulti vivono nella società e nella famiglia come delle spie del controspionaggio russo, simili ma nemiche in casa propria, accettando o imponendo il proprio ruolo di “impostore” anche ad eventuali amicizie esterne cui abbiano confidato il grande segreto (il Coming Out, parole sconosciute in psicanalisi? Ne vogliamo parlare?).
    11) Caro J. Goldsmith, di cosa parlano le persone omosessuali per essere incluse in una società eterosessista? La polarizzazione manichea degli argomenti mette in difficoltà secondo me anche le donne e gli uomini emancipati, che a parlar di cucina e calcio sono migliori d’altri a sessi inversi… diciamocela tutta!
    12) Cara Chodorow, pretendere che una propria ipotesi psicanalitica sia la responsabile del maschilismo, quando sappiamo che esistono o sono esistite culture matriarcali, mi pare eccessivo, anzi è proprio misoginia introiettata.
    13) Caro Corbett, le consiglio Deadpool (il film di supereroi, intendo…)…e comunque conosco un sacco di uomini contraffatti eterosessuali, se lo lasci dire… purtroppo alcuni di questi sono anche uomini di potere…
    14) Caro Corbett, nel merito delle osservazioni sul maschile e femminile, oggi rientrano nelle forme di bullismo e shaming tra persone Lgbt. E’ devastante l’idea binaria che un gay debba essere un maschio esattamente come quella che sia una donna contraffatta… sono due idee eterosessiste manichee violente e basta…. Ops… esattamente come spiega la Butler…
    15) Devo ringraziare sempre il prof. Paolo Valerio per avermi fatto leggere già all’inizio del millennio alcune considerazioni di Phillips. Devo dire che ho avuto esperienze lavorative molto più complesse nel merito e riferita di colleghi Lgbt, generalmente terrorizzati all’idea di fare Coming Out, legate alla problematica della relazione medico-paziente (o meglio psicoterapeuta-paziente) nel caso di coppia etero/etero, etero/omo, omo/etero, omo/omo. Capirete da soli che le possibilità sono molte di più, trans, donna, lesbica, pansessuale ecc. Ho avuto anche esperienza con un paziente intersessuale, ma solo di un colloquio. Finora… il caso peggiore è stato quello riferito da un collega che ha RINUNCIATO a fare Coming Out, perché il suo paziente era omofobo, e ne voleva preservare il rapporto medico paziente senza doverlo fare confrontare con questa dimensione, perché il suo paziente aveva anche un figlio gay, che lo aveva fisicamente aggredito durante uno dei loro numerosi alterchi (il caso potrebbe essere inventato ma era vissuto con angoscia dal collega). Che è come dire che un uomo non può fare da terapista ad una donna stuprata o viceversa una donna ad un uomo divorziato che abbia perso i figli e la casa…
    16) Per favore Phillips non mi togliere gli spogliatoi…. Le persone transessuali sono sconvolte dal non poter usare nessuno spogliatoio comune, mentre ti assicuro anche gli eterosessuali si vivono con angoscia questa esperienza di vita intima con estranei o con compagni e compagne di sport, che è irrinunciabile e formativa. Un po’ di frustrazioni servono. Le ambiguità servono. La nostra mente ne ha bisogno…
    17) Crapanzano per favore nelle Conclusioni tolga Genere al primo rigo. Lei ha scritto solo sul binarismo omosessualità/eterosessualità. Inoltre aggiunga alle Conclusioni, all’ultimo rigo: altrimenti sarà il terapeuta ad aumentare le condizioni ansioso-depressive, il rischio suicidario, il rischio di comportamenti a rischio (condotta alimentare, tabagismo, abuso di sostanze, alcolismo e sesso non protetto) e questo è anti-etico e contrario ad ogni forma di deontologia professionale.

    GRAZIE
    Manlio

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