Quando Freud si laureò nel 1881, aveva 25 anni, non andò fuori corso per poco.
Tra le prime ricerche di cui si occupò vi sono quelle sull’afasia: merita notare che anche in questi ambiti la posizione assunta da Freud appare interessante, in quanto potrebbe essere definita come “globalizzante”. Le due teorie dell’afasia allora valide, infatti, si richiamavano alla scuola tedesca l’una, ed alla tradizione francese l’altra: Wernicke e Charcot. Nella prima era posta l’attenzione sui “centri dell’afasia”, nell’altra era il cervello nella sua globalità ad essere posto in rilievo.
Freud aveva impostato la propria ricerca sulla base della teoria francese. Aveva infatti sentito parlare di J.B. Charcot. – Charcot era allora il rappresentante più interessante e più discusso della neurologia e della psichiatria del tempo. Grande personaggio, maestro di una serie di ricercatori che promossero le scoperte neuropatologiche del secolo: Babinski, Lasègue e tanti altri nomi notissimi alla medicina di oggi come a quella contemporanea di Freud.
Freud ottenne allora una borsa di studio, di cui fruì a Parigi nel 1885: il progetto iniziale era, in realtà, quella di studiare la neurologia. Da Vienna si spostò dunque nella capitale francese, un passaggio importante (potremmo paragonarlo ad un cittadino di Modena che si trasferisca a Boston, forse persino qualcosa di più): Parigi era infatti il centro del mondo. A Parigi era ancora recente il secondo impero con Napoleone III. Nel 1871 era stata fondata la Comune di Parigi, da cui nacque il concetto di comunismo. Nel 1880 era cominciata una grande stagione culturale per questa città: lì era nata una letteratura, da Victor Hugo fino ad arrivare, più tardi, a Proust; la filosofia aveva la stessa sede, come pure la neurofisiologia e l’esperienza della Salpêtrière. Freud fu molto colpito da questa città, come ovvio.


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In una lettera che lui scrive alla fidanzata (20 giugno 1885), prima di partire, scrive:
Come sarà bello! Vengo con del denaro e rimarrò a lungo e porterò qualcosa di bello per te e poi andrò a Parigi e diventerò un grande scienziato e poi ritornerò a Vienna con un prestigio, grande, grande, e poi ci sposeremo presto, e curerò tutti i malati mentali insanabili, e tu mi conserverai in salute, e io ti bacerò fin che sarai forte e serena e felice… [Lettere alla fidanzata, pag. 136]
Questo era l’entusiasmo con cui partì, un entusiasmo che investiva tutto; una volta a Parigi, però, la sua attenzione venne colpita da un problema cui era stato fino allora poco sensibile: quello socio-politico. Freud sostenne, in seguito, l’inattuabilità del progetto di costituire una società di tipo comunista. Si trovò, invece, nel periodo in cui Marx sosteneva il progetto di una società di quel genere e prevedeva, per perseguirlo, una grande rivoluzione non solo sociale ma anche culturale, anche sessuale. Decenni dopo, sarà Reich a raccogliere queste idee; da ciò nacque una polemica con Freud.
Ecco una descrizione di Parigi, in cui Freud parla (nella lettera alla fidanzata del 19 ottobre 1885) dei Grands Boulevards, dell’Étoile:
Nobili donne vi passeggiano con una faccia come se volessero negare l’esistenza del mondo al di fuori di loro e dei loro mariti, o se non altro degnarsi di trascurarla; un lato del viale è formato da un lungo parco nel quale bambini molto carini frustano le trottole, girano sulle giostre, stanno a guardare un pagliaccio, o addirittura fanno da cocchieri su carrozzine tirate da capre. Sulle panchine siedono balie che allattano i bambini, e governanti che i bambini insultano a squarciagola quando qualcosa non va. Mi è venuta in mente la povera Mitti e sono diventato furioso, molto furioso e pieno di idee rivoluzionarie [Ibidem, pag. 152]
Pensa a Mitti, la sorellina. Vede a Parigi una realtà e che a Vienna era meno evidente: la capitale austro-ungarica appariva più provinciale. Nel passo citato, descrive il boulevard de la Grande Armée, con dame eleganti ed i bambini che maltrattano le loro governanti: nel 1885, tale era la realtà sociale parigina
In questo periodo entra in contatto con Charcot e ne rimane affascinato; conosce poi l’opera di H. Bernheim, sull’ ipnosi, e incontra Fliess. Con quest’ultimo Freud stringe un’intensa amicizia, una relazione che, potremmo dire oggi, aveva nette tinte amorose sublimate, con innamoramenti edipici rovesciati. La relazione s’interruppe poi piuttosto bruscamente, forse anche perché Fliess si rivelò essere un personaggio piuttosto singolare: era un otorinolaringoiatra di Berlino, convinto che la nevrosi fosse legata ad un disturbo dei turbinati e che, con l’asportazione di questi, si sarebbe potuto curarla. Egli stesso eseguiva tale operazione. Freud gli diede fiducia finché non successe un dramma: una paziente di Freud, una nobildonna viennese grande nevrotica, fu operata da Fliess che venne da Berlino su richiesta di Freud. Dopo l’intervento la signora continuò a stare male: aveva febbre ed altri gravi disturbi. Fu, perciò, chiamato in tutta fretta un famoso otorinolaringoiatra di Vienna il quale, arrivato ed esaminata la paziente, trovò metri di garza che Fliess aveva dimenticato dentro la ferita, la estrasse e la donna guarì. Quest’incidente fece precipitare le credenziali di Freud sul piano della professione e mise in qualche modo in crisi il legame con Fliess.
In quest’epoca, certamente fervida d’idee e insieme povera di conoscenze, era invalsa la teoria secondo cui la tonsillectomia era causa di gravi nevrosi: si vede in questo esempio come fosse confuso l’elemento simbolico con quello reale.
In tale situazione comincia il lavoro di Freud, che troviamo descritto nel primo volume delle sue opere. Semplificando. Potremmo dire che i primi due volumi raccolgono le opere della “preistoria” della psicoanalisi. Per convenzione si stabilisce come data di nascita di tale disciplina il 1900, con la pubblicazione della “Interpretazione dei sogni”. Potremmo, però, spostare legittimamente tale data al 1892, con la pubblicazione degli “Studi sull’isteria”.
Nel primo volume abbiamo lavori che traggono origine dall’interesse di Freud per l’opera di Charcot, soprattutto sull’isteria. Si cominciava allora a cercare di capire, osservare con attenzione, approfondire. Seguono poi alcuni lavori che riguardano ricerche di Bernheim, centrate sullo studio dell’ipnotismo.
Il primo volume consiste in una serie di osservazioni. La prima è una relazione di Freud sulla sua borsa di studio. Al suo ritorno a Vienna, infatti, gli fu obbligo fare un rapporto sugli studi compiuti, per giustificare d’aver usufruito di una così cospicua somma di denaro: 600 fiorini, circa 1200 lire di allora, non poco se si pensa che un impiegato medio guadagnava allora tra le 25 e le 75 lire al mese, Leggiamo un passo tratto da questa relazione, che non è stata pubblicata da Freud nelle opere ma è stata rintracciata presso l’Università di stato di Vienna (parecchio tempo dopo: nel 1956) quando la biblioteca psicoanalitica di New York, ha compiuto alcune ricerche:
Non ho neppure trascurato l’opportunità di formarmi un’opinione personale sui fenomeni così strani e così poco creduti dell’ipnotismo, e soprattutto del grand hypnotisme descritto da Charcot. Con stupore ho potuto riscontrare che vi sono in questo campo fenomeni assolutamente inoppugnabili, eppure talmente strani da non poter essere creduti se non da chi vi ha assistito personalmente. [O.S.F, vol. 1, pag. 12]
È importante notare come qui l’ipnotismo, successivamente abbandonato da Freud, sia utilizzato per chiarire che esiste una dimensione al di fuori della percezione cosciente e della memoria. Questa concettualizzazione è antecedente all’idea, come poi chiarita da Freud, di “inconscio”. L’inconscio tuttavia esisteva già: l’inconscient è un termine che nasce in Francia, con un grande studioso di alcuni anni prima, Janet. Questo concetto seguiva l’impostazione della scuola neurologica Jackosiana. Jackson sosteneva l’ipotesi di un funzionamento del sistema nervoso centrale per livelli, uno superiore e uno inferiore; e pensava che il primo non solo “comandasse” attivamente il livello inferiore, ma anche che lo inibisse e che potesse eliminarlo.
È noto che una lesione corticale produce una paralisi spastica, questo perché il livello inferiore, in questo caso il midollo spinale, determina autonomamente una iperattività motoria: lo spasmo; il livello superiore, invece, produce con la sua attività una diminuzione dello spasmo. Questa teoria si ripercosse anche sul concetto di psiche, per cui Janet parlava, anche in questo ambito, di livello superiore e livello inferiore. Il livello superiore inibisce il livello inferiore. Esisteva, in altre parole, qualcosa “sotto” in qualche modo tenuto a freno dal livello superiore. Secondo Janet la malattia mentale si verifica in rapporto ad un funzionamento automatico del livello inferiore. Si spiega così l’origine del termine “psicoastenia” per indicare i sintomi ossessivi. Nel comportamento ossessivo, secondo Janet, si assiste ad un fenomeno in cui la “parte superiore” dell’attività psichica è astenica e non riesce pertanto a tenere sotto controllo la “parte inferiore”, che entra in funzionamento ripetitivo, in modo automatico.
Allo stesso modo nelle malattie più gravi, come la schizofrenia, si verificherebbe il cosiddetto automatisme mental. La sindrome schizofrenica sarebbe caratterizzata dal completo venir meno della parte superiore, da cui l’entrata in funzione automatica della parte inferiore.
Che differenza si può trovare tra questo inconscio e quello freudiano? Nella sistematizzazione operata di Janet non è prevista una comunicazione, un passaggio tra ciò che sta di sopra e quello che sta di sotto. Di fatto l’inconscio rimaneva in condizione statica e poteva emergere soltanto quando la parte superiore era malata, ed in questo caso si manifestava isolatamente, come elemento automatico. L’inconscio di Freud che è dinamico, sta un po’ sotto e un po’ sopra, come un pallone che si tenta di tenere sul filo dell’acqua: occorre variare la forza della pressione sul pallone a seconda della forza che viene da sotto, in modo da stabilire un equilibrio dinamico.
L’ipnotismo era un modo eccellente per mettere l’inconscio in evidenza: con l’ipnotismo, infatti si eliminava artificialmente il controllo superiore.
D’altro canto però non ho potuto minimamente riscontrare in Charcot una particolare preferenza per i fenomeni strani e inspiegabili, né la tendenza a sfruttarli a fini mistici. Anzi, egli considerava l’ipnotismo come un campo di fenomeni da lui scientificamente descritti, proprio come anni prima la sclerosi a placche o la distrofia muscolare. E soprattutto egli non sembrava una di quelle persone che si meravigliano più dei fenomeni strani che di quelli abituali…
Freud nota come Charcot riconduca questi fenomeni, apparentemente strani, magici, al sistema nervoso centrale.
… e tutto il suo atteggiamento mentale mi fa credere che egli non trovi pace finché non sia riuscito a ben descrivere e ordinare un fenomeno di cui s’interessi, ma che d’altronde possa dormire sonni tranquilli anche se non sia riuscito a dare una spiegazione di quel fenomeno in termini fisiologici.
In questo resoconto ho dedicato molto spazio alle osservazioni sull’isteria e sull’ipnotismo, perché dovevo occuparmi di ciò che è assolutamente nuovo e oggetto degli studi particolari di Charcot. Se mi sono dilungato meno sulle malattie organiche del sistema nervoso, non vorrei per questo dare l’impressione di essermi occupato poco o nulla di questo argomento. Del ricchissimo materiale di cui sono venuto a conoscenza, menzionerò solo alcuni casi notevoli: le forme di atrofia muscolare ereditaria recentemente descritte dal dottor Marie; queste forme, pur non venendo più annoverate nell’ambito delle malattie del sistema nervoso, sono ancora di pertinenza della neuropatologia; menzionerò inoltre casi di malattia di Menière, di sclerosi multipla, di tabe con tutte le sue complicazioni – e in particolare quella forma di tabe che si accompagna a una malattia delle articolazioni descritta da Charcot, – di epilessia parziale, e di altre forme morbose che costituiscono il materiale di una clinica e di un ambulatorio per malattie nervose. Fra le malattie funzionali (a parte l’isteria) durante il mio soggiorno erano oggetto di particolare interesse la corea e varie specie di tic (ad esempio, la malattia di Gilles de la Tourette).
Quando venni a sapere che Charcot pensava di pubblicare una nuova serie di sue lezioni, mi proposi per la loro traduzione in lingua tedesca, e questa incombenza mi diede da un lato occasione di avviare un contatto personale più stretto con il professor Charcot, e dall’altro la possibilità di prolungare il mio soggiorno a Parigi oltre il periodo coperto dalla borsa di studio. La traduzione uscirà nel prossimo maggio presso Toeplitz e Deuticke a Vienna.
Freud in realtà si mostra sempre più affascinato da un campo che Charcot cominciava allora a coltivare: Charcot, come detto più sopra, metteva in evidenza l’esistenza di livelli diversi, che forse potevano esser rivelati attraverso l’ipnosi.
L’isteria allora era una malattia poco definita, spesso difficilmente distinguibile dall’epilessia; appariva come una forma morbosa oscura, ricca di contraddizioni. In questa epoca il giovane Freud, in una enciclopedia medica, Handwörterbuch der gesamten Medizin, scrisse la voce “isteria”. Il testo è del 1888.
1. Storia
Il termine “isteria” risale ai tempi più antichi della medicina, ed è un derivato del pregiudizio, superato soltanto ai nostri giorni, che collega la nevrosi a malattie dell’apparato genitale femminile. Nel medioevo la nevrosi ha avuto una parte importante nella storia della civiltà, assumendo forme epidemiche in virtù di un contagio psichico; essa era alla radice degli elementi di realtà sussistenti nelle storie di ossessi e di stregoneria. Documenti di quell’ epoca dimostrano che la sua sintomatologia non ha subito mutamenti sino ad oggi. Una [giusta] valutazione e una migliore comprensione della malattia hanno inizio soltanto con gli studi di Charcot e della scuola della Salpêtrière, che a lui si ispira.
Fino ad allora l’isteria era rimasta la bestia nera della medicina: i poveri isterici, che nei secoli precedenti venivano bruciati o esorcizzati come ossessi, nella nostra epoca illuminata soggiacevano soltanto alla maledizione del ridicolo: il loro stato veniva considerato frutto di simulazione e di esagerazione, indegno dell’osservazione clinica.
L’isteria è una nevrosi nel più stretto senso del termine; non soltanto, cioè, in questa malattia non si è riscontrata alcuna alterazione percepibile del sistema nervoso, ma neppure ci si deve aspettare che tali alterazioni possano essere dimostrate grazie ad un raffinamento delle tecniche anatomiche.
Come si vede, qui Freud fa una precisa affermazione. Nevrosi era una definizione negativa, una di quelle forme che pur presentando un quadro clinico ben definito non hanno cause anatomiche o fisiologiche note. Quando veniva individuata la causa anatomo-fisiologica per un dato quadro sintomatologico, la malattia non rientrava più tra le nevrosi. Egli, al contrario, sostiene che per la nevrosi la ricerca di una causa non porterà ad alcun risultato.
L’isteria si fonda esclusivamente su modificazioni fisiologiche del sistema nervoso, o se ne dovrebbe definire l’essenza con una formula che tenesse conto delle condizioni di eccitabilità nelle diverse parti del sistema nervoso stesso. Ma finora non si è trovata una formula fisiopatologia di questo genere, e bisogna quindi nel frattempo limitarsi a definire la nevrosi in senso puramente nosografico mediante l’insieme dei sintomi che in essa ricorrono, così come, ad esempio, si caratterizza il morbo di Basedow attraverso un gruppo di sintomi: esoftalmo, struma, tremori, accelerazione del polso e alterazioni fisiche, prescindendo da un più stretto rapporto fra questi fenomeni. [Ibidem, pag. 43, 44]
Freud è convinto che qualunque manifestazione morbosa sia necessariamente veicolata attraverso il corpo e nient’altro. Tuttavia, in mancanza di conoscenze di fisioneuropatologia si ricorre all’uso di formule astratte. Ciò si potrebbe paragonare alla formulazione del concetto di allergia prima della conoscenza delle proteine connesse; l’idea di antigene e di anticorpo precede di parecchio tempo la conoscenza delle proteine. Questi concetti erano dunque due metafore, solo successivamente sono stati ancorati alla loro realtà: proteina a e proteina b.
In un passaggio successivo Freud affronta il tema del trattamento.
Il trattamento dei singoli sintomi isterici non offre alcuna speranza di successo fin quando permane una isteria acuta; i sintomi eliminati ritornano, o sono sostituiti da altri nuovi, e sia il medico, sia il paziente, finiscono per stancarsi. La cosa è però diversa se i sintomi isterici rappresentano i resti di un’isteria acuta pregressa, oppure compaiono in un’isteria cronica, in virtù di qualche causa particolare, come localizzazione della nevrosi. Innanzitutto bisogna in questo caso sconsigliare la somministrazione di farmaci per via interna e di narcotici: la prescrizione di un narcotico in un’isteria acuta non è altro che un grave errore tecnico. Nel caso di un’isteria acuta e resistente non sempre si possono evitare farmaci interni; il loro effetto è però incerto: a volte si ha un successo miracoloso e immediato, a volte l’effetto è nullo: tutto sembra dipendere dall’autosuggestione del paziente, o della sua fiducia nell’efficacia del medicamento.
Di quali farmaci si poteva disporre allora? I barbiturici ancora non esistevano e si usavano l’idrato di cloralio, la morfina, il laudano ed alcuni estratti.
A parte questo, si può scegliere se iniziare un trattamento diretto o indiretto dell’affezione isterica. Quest’ultimo consiste nel trascurare i sintomi locali, mirando invece a un salutare influsso generico sul sistema nervoso, mediante l’esposizione all’aria aperta, l’idroterapia, l’elettricità (soprattutto la franklinizzazione), e curando il sangue con somministrazione di arsenico e di ferro.
La franklinizzazione era semplicemente la scossa data con corrente continua, una sorta di “condizionamento avversativo” molto doloroso che ci rimanda alla pratica delle torture.
Inoltre, nel trattamento indiretto bisogna rimuovere, se ve ne sono, le fonti d’irritazione di natura fisica. Così, per esempio, i crampi gastrici isterici possono fondarsi su di una lieve gastrite catarrale, e un arrossamento della laringe, una tumefazione delle mucose nasali possono provocare un’incessante tussis hysterica. In realtà è dubbio se alterazioni dei genitali costituiscano realmente così spesso lo stimolo per sintomi isterici.
Tali casi devono essere esaminati più criticamente. Il trattamento diretto consiste nell’eliminazione delle sorgenti psichiche che forniscono lo stimolo ai sintomi isterici, cosa comprensibile se cerchiamo la causa dell’isteria nell’attività ideativa inconscia.
Freud in questo passaggio risente dell’approccio a lui contemporaneo: la ricerca di elementi irritativi locali. Se esiste la sorgente fisica, occorre cercarla.
Ancora è grande l’influenza di Charcot, per quanto già emergano elementi distintivi del pensiero freudiano, quando, pur analizzando le differenti cause di un disturbo, riesce a compiere un ulteriore passo: intuisce l’esistenza di una base generale dei singoli sintomi, la possibilità cioè che questi siano stimolati dall’attività ideativa inconscia.
Esso consiste nell’imporre al paziente sotto ipnosi una suggestione che lo induca a sbarazzarsi del disturbo in questione. Così, per esempio, si cura una tussis nervosa hysterica esercitando una pressione sulla laringe del paziente in ipnosi e assicurandolo che ora è stato eliminato lo stimolo che lo faceva tossire; …
Qui il concetto di intervento sull’inconscio semplicemente si riduce allo sforzo di convincere il paziente di non aver alcun motivo plausibile di tossire, è ancora un inconscio janetiano, charcotiano, non freudiano.
… oppure si cura una paralisi isterica del braccio costringendolo, sempre sotto ipnosi, a muovere pezzo per pezzo l’arto paralizzato. È ancora più efficace un metodo praticato per la prima volta da J. Breuer a Vienna…
Freud, in questo periodo, subisce il fascino della figura di Breuer. Di poco successivo, nel 1888, è il tempo in cui Breuer prenderà in cura Anna O.
… e consistente nel ricondurre il paziente sotto ipnosi alla preistoria psichica del suo disturbo, costringendolo a riconoscere l’occasione psichica che ha scatenato il disturbo in questione. Si tratta di un metodo terapeutico ancora giovane, ma col quale si ottengono guarigioni altrimenti irraggiungibili. È il metodo più appropriato per l’isteria, in quanto imita proprio il meccanismo dell’insorgenza e della scomparsa di tali sintomi isterici. Molti sintomi isterici che avevano resistito a ogni forma di terapia, scompaiono infatti spontaneamente sotto l’influsso di una motivazione psichica sufficientemente forte: …
Compare, in questo passaggio, un ulteriore elemento di innovazione: l’importanza attribuita alla necessità di ricostruire una narrativa. Egli aveva capito che mentre Charcot faceva teatro, Breuer faceva narrativa. Tuttavia, naturalmente, ancora è incerto tra il convincimento tramite ipnosi o la suggestione e la ricostruzione della storia interiore. Siamo in un momento di passaggio.
… ad esempio, una paralisi della mano destra scompare se il paziente nel corso di una lite sente l’impulso di dare un ceffone al suo avversario; …
Compaiono, qui, elementi distintivi, e c’è già Freud e la psicoanalisi. Abbiamo un gioco di forze e controforze, l’impulso profondo e un principio esterno che in qualche modo lega la mano che dovrebbe fare del male.
… oppure sotto l’influsso di una qualche eccitazione morale, o di uno spavento, o di un’attesa, come per esempio nel pellegrinaggio a un santuario, o infine se un accesso convulso ha provocato un avvertimento dell’eccitamento del sistema nervoso.
Ancora manca il riferimento al sesso. Finora c’è lo schiaffo, c’è il santuario: si avvicina ad un ulteriore progresso; è chiaro quanto sia faticoso questo travalicamento, questo passaggio “all’interno”.
Il trattamento psichico diretto dei sintomi isterici sarà considerato il migliore quando un giorno nei circoli medici si sarà compresa più a fondo la natura della suggestione (Bernheim, a Nancy).
A tutt’oggi non si può sapere con sicurezza quale parte svolga l’influenza psichica in certe forme di trattamento apparentemente fisico. Così, ad esempio, le contratture possono guarire se si riesce a produrre in esse un transfert con un magnete. Dopo transfert ripetuti la contrattura si attenua e alla fine scompare. [Ibidem, da pag. 58 a pag. 60]
Questa è la prima volta che nell’opera di Freud compare il termine “transfert”, utilizzato ancora in senso charcotiano: il trasferimento di elementi pulsionali da una parte all’altra del corpo. Occorre attendere Jung per vedere il concetto di transfert come oggi lo intendiamo.


 

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