Il sesto capitolo si occupa dei meccanismi del sogno e propriamente del lavoro del sogno. Il concetto di lavoro del sogno è preso da Freud come metafora dalla fisica. In fisica, lavoro è L = f x s, un concetto molto preciso. Il lavoro del sogno vuol dire la quantità di energia che il sogno immette, o i meccanismi che il sogno utilizza, per prendere un elemento, che è inconscio e non deve varcare la soglia della coscienza, e farvelo entrare. Un analogo ragionamento può essere applicato al motto di spirito. Il concetto di lavoro è stato definito, ma come avviene, in particolare, il lavoro del sogno? Attraverso il meccanismo della drammatizzazione. Il sogno utilizza tecniche di teatro, non può utilizzarne di diverse, poiché esso procede per rappresentazioni sensoriali, soprattutto sono visive. Tuttavia possono anche essere uditive. A questo proposito oggi vi sono varie ricerche sui sogni dei ciechi dalla nascita: essi, ovviamente, non possono avere una rappresentazione visiva della realtà; i loro sono sogni di sensazioni: percezioni uditive, presenze come sensazioni. Il sogno ha soltanto rappresentazioni, e per narrare ha la scena, l’immagine, la percezione. Così come la narrativa ha la narrazione. Per esprimere nel sogno un sentimento, si deve mettere in scena una serie di drammatizzazioni.



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C’è poi un secondo punto: la simbolizzazione. Cosa si intende per simbolo? Per metafora si intende, nella grammatica, una complessa elaborazione che significhi un contenuto di pensiero non espresso letteralmente; ad es. “E come quei che con lena affannata, / uscito fuor del pelago a la riva, / si volge a l’acqua perigliosa e guata” (Inferno, canto I, vv, 22 – 24), metafora di colui che si è salvato dalla morte per affogamento.
Questa è una metafora. Così come, nel verso del Pascoli, “le campane si rincorron coi lor gridi argentini”. Le campane non si possono rincorrere, gli squilli delle campane possono essere bronzei, di certo non argentini: le campane d’argento sono delle metafore.
I simboli sono qualcosa di più preciso: nella singola significanza verbale si sostituisce una parola con l’altra, per es. pene con “uccello”, un classico simbolo, che è fatto per difendersi da un significato pesante che ha la denominazione esplicita dell’organo. Poi però anche il simbolo finisce per essere troppo poco distante dal suo significato, per cui non può essere utilizzato allo stesso modo. Bisogna allora trovarne un altro, per es. volatile, e così via, in successione.
In origine per Freud il simbolo tendeva ad essere fisso: inizialmente tutti gli oggetti penetranti sono simboli maschili e tutti gli oggetti cavitari sono simboli femminili. Anche nel linguaggio comune quando parliamo di bottoni automatici diciamo il “maschio” e la “femmina”, lo stesso quando parliamo di una vite. Questo ci riporta ad un certo carattere confuso del sogno, perché in esso ciò non è così chiaro: manca questa fissità di relazioni, comprensibili per Freud, che aveva a che fare con la realtà dell’800, in cui era fondamentale mettere dei ‘paletti’ sulle relazioni.
Colui che sogna non può dimenticare che nella prima infanzia l’organo penetrante è il capezzolo e l’organo recettivo è la bocca. Non si può parlare di genitalità femminile facendo riferimento ad un’epoca in cui la sessualità non è ancora genitale, non si rivolge ancora al pene e alla vagina ma si rivolge alla bocca e al capezzolo, due concetti distinti dal concetto di genitalità.
Un'altra modalità utilizzata dal sogno è quella della condensazione e della dispersione: si è vista nel sogno della monografia botanica, in cui diversi elementi convergono in uno, e uno stesso elemento viene disperso in più elementi.
Vi è poi lo spostamento dell’accento, cioè talora alcuni particolari del sogno, decisamente secondari, possono diventare fondamentali. Per es. in un sogno, dopo una lunga serie di discussioni se sedersi al bar a prendere il caffè, si evidenzia un gesto che nel sogno sembra in primo piano, cioè uno dei soggetti si ravviva i capelli con la mano destra. Nella catena di associazioni questo in realtà significa che i capelli non sono più quelli di una volta, sono bianchi, cioè che dovrò morire. È chiaro che un sentimento di questo genere, che è il sentimento centrale del sogno, significa ‘tu non mi tieni, io morirò perché tu non mi accudisci’, viene in qualche modo spostato in un particolare secondario. Nel sogno non ci sono cose importanti e cose secondarie, ed uno dei meccanismi del sogno è quello di spostare su un particolare irrilevante il significato centrale.
Vediamo ora un altro sogno, di una persona che si è assai impegnata nella stesura del “Trattato italiano di psichiatria”. Il sogno è mio. Sognavo di scrivere un trattato di ortopedia, in cui parlavo di protesi. In questo sogno vedevo tutta una serie di animelle, fegatini, piccoli oggetti da cucina che raccoglievo e mettevo in una specie di condotto che doveva essere portato come ex voto alla Chiesa delle Grazie di Voltri. Lì dovevo portare e riportare questo ex voto intero. L’associazione fondamentale è quella che parte da “intero”: è chiaro che parte dallo sforzo intensissimo che io ho fatto, avendo la funzione di mediatore in questo comitato di redazione, per mettere d’accordo gli organicisti, gli psicoterapisti di diverso indirizzo e gli psicoanalisti. Cosa questa che si trova nelle diverse animelle, componenti organiche che cerco di mettere assieme, per formare un ex voto intero. Perché poi questo ‘intero’ deve essere portato alla Madonna delle Grazie? Perché mia mamma mi ci portava quando ero bambino. Tempo addietro avevo una fotografia, in cui ero piccolissimo, e la mamma mi diceva: “guarda come eri bello, la gente veniva a dire ‘quanto è bello questo bambino’”. Voleva dire un intenso amore di madre con una fantasia nel ricostituire, rielaborare, mettere d’accordo questo complesso corpo costruttivo. C’era questo “intero” che, nella mia associazione, è uno spostamento dell’accento, il desiderio di rientrare nell’utero materno, che del resto è anche dimostrato da tutti questi fegatelli. Ecco la dispersione e la condensazione dell’accento.
Naturalmente è molto importante l’elaborazione secondaria per rendere possibile l’espressione dell’inconscio, che ha una sua grammatica (il processo primario) del tutto diversa. Un esempio si può trovare nelle difficoltà insormontabili in cui si trovano gli scrittori rispetto ai registi cinematografici. Questi potrebbero, in teoria, mettere in scena un sogno più facilmente, ovviare alle maggiori difficoltà, agli aspetti in qualche modo ridicoli e abbastanza sciocchi che emergono durante il racconto di un sogno. Questo è possibile per esempio usando una musica strana, delle scene soffuse, delle ambientazioni vivacissime e coloratissime. Un esempio di questa distorsione temporo- spaziale è ‘il posto delle fragole’ di Bergman.
Un esempio di Artisti che riescono a riprodurre gli ambienti del sogno si ritrova nei pittori astratti, simbolisti, ermetici, cubisti. De Chirico riporta atmosfere del sogno tramite strani individui, personaggi mitici, cavalli, atmosfere squadrate, cubiste; Picasso invece semplicemente scompone percettivamente la realtà, per cui due occhi sono visti dalla stessa parte nelle persone di profilo.
Freud aveva difficoltà ad avvicinarsi all’arte astratta, non la capiva. Ebbe occasione di incontrare Salvador Dalì, di cui scrisse: “come mi piacerebbe capirlo questo spagnolo dagli occhi ardenti che mi ama tanto”. Molti tra i surrealisti nutrivano una profonda ammirazione per Freud, soprattutto Breton, il fondatore del surrealismo, anch’egli medico. Breton fu però molto deluso da Freud: da esteta qual era non poté accettare che Freud non mostrasse attenzione a certi elementi esteriori. A sua volta Freud diceva “non posso accettare questo tipo di arte che vuole mettere l’inconscio di fuori, se l’inconscio è di fuori non esiste più”. L’inconscio deve essere dentro: quel che si può fare, quindi, è vedere qualcosa all’esterno, cui attribuire un significato cosciente e razionale, in qualche modo connesso a ciò che è dentro.
L’elaborazione secondaria è un problema: il racconto del sogno non può semplicemente essere esposto nei termini con cui lo si è sognato. Bisogna rielaborare tutta la realtà, cambiare sintassi, cambiare grammatica, trovare le nuove connessioni e i simbolismi: nel racconto il sogno è cambiato. L’elaborazione secondaria fa parte del sogno. Esso non esiste nella coscienza vigile finché non viene narrato, innanzitutto a se stessi, e nel momento in cui lo si narra, cambia.
Freud descrive questi meccanismi, ma per far ciò porta un nuovo esempio, molto famoso, che è quello del “non vixit”, sogno di Freud stesso, parte portante del sesto capitolo.
Egli analizza, in questi passaggi, come vengono riportati i discorsi diretti nel sogno, ed inoltre descrive come vengono rappresentati gli affetti all’interno del sogno stesso. Freud sostiene che tutti i discorsi che vengono percepiti come diretti, sono in realtà discorsi uditi o visti, inscritti nella vita reale, che poi vengono frammentati, estrapolati dal loro contesto e inseriti nel sogno.
Una persona può sognare di sognare, e racconta il sogno nel sogno: quel sognare di sognare è un elemento di realtà. Se ci sono discorsi diretti, questi vengono inclusi, messi nel sogno come tali. Nell’Iliade si nota che Aiace ha un modo strano di combattere, andava infatti avanti tenendo lo scudo come torre. Si scopre che questo era un grande scudo rettangolare, che si posava per terra, da cui faceva uscire la lancia, e dietro il suo scudo Teuco, fratello di Aiace, si nascondeva e lanciava le frecce. Nel medioevo ellenico un tal racconto non ha però senso: i greci infatti, nel medioevo ellenico, epoca in cui scrisse Omero, combattevano con un piccolo scudo rotondo che serviva loro per rendere agevoli i movimenti. Si scoprì però che assai prima che Omero scrivesse, forse 500-600 anni prima, nei vasi che si ritrovano a Micene, è rappresentato uno scudo come quello descritto da Omero. È un incluso: nella poesia orale rimanevano dei pezzi di versi, introdotti in ragione della tradizione orale delle poesie. Allo stesso modo, nell’Iliade, quando Odisseo compie la sua azione di commando, va a spiare Troia. Nestore gli fornisce un elmo formato da denti di cinghiale, raccomandandosi: “attento, perché con lo scudo di bronzo si riflettono le luci e ti vedono subito, invece con denti di cinghiale no”. Fino al 1912 si credeva che questa fosse un’invenzione di Omero. Invece dagli scavi fatti a Piro è stato ritrovato l’elmo. Lo stesso fa il sogno, dice Freud: il sogno, per costruire, utilizza pezzi di ricordi, pezzi di cose che si sono viste. Egli sostiene che il discorso diretto è sempre qualcosa che è già stato detto nella realtà.
A proposito delle emozioni legate al sogno, lo stato affettivo è sì presente, ma viene generalmente staccato dalle sue rappresentazioni, proprio come nelle nevrosi; altre volte invece viene rappresentato nel sogno con il suo contrario, oppure, come nel caso del non vixit, lo stato affettivo è presente, e se ne dà una prima interpretazione più superficiale, viene prima giustificato in un certo modo, ma poi emergono più fattori che ne sono alla base, come un fiume in piena in cui affluiscono diverse acque che ne determinano l’effetto. Il sogno del non vixit è costituito in realtà da due sogni: il primo, molto breve, in cui Freud racconta di trovarsi nel laboratorio di fisiologia di Brücke, dove aveva lavorato dal 76 all’82. All’interno di questo laboratorio sente bussare leggermente alla porta, va ad aprire, ed entrano il (defunto) professor Fleischl ed alcuni sconosciuti, che quindi si siedono. Qui il primo sogno finisce e comincia il secondo, in cui Freud racconta che il suo amico Fliess è venuto a Vienna nel mese di luglio, ma senza che lui ne sapesse niente, senza farsi notare. Casualmente egli lo incontra per strada, mentre sta parlando con un amico, Paneth, che nella realtà è già defunto. Vanno insieme in qualche posto, entrano in una stanza, e Fliess e Paneth si siedono come se tra loro ci fosse un tavolino, uno di fronte all’altro, mentre Freud si siede nella parte più stretta. Fliess inizia a raccontare che sua sorella è morta nel giro di tre quarti d’ora e dice qualcosa come: “Questa è la soglia”. Visto che Paneth sembra non capire, Fliess si rivolge a Freud per sapere se avesse parlato o detto qualcosa a Paneth. Freud vorrebbe dire che Paneth non può sapere niente, soprattutto perché è già morto, ma le parole che gli escono dalla bocca, notando egli stesso lo sbaglio, sono: “non vixit”. Freud guarda allora in modo penetrante Paneth, che impallidisce di fronte al suo sguardo, gli occhi diventano morbosamente azzurri, e poi Paneth svanisce. Freud è inspiegabilmente contento del fatto che queste persone, Paneth o Fleischl, entrambi amici e già morti, possano vivere o scomparire a suo piacimento; si accorge che non erano altro che ombre del passato che potevano scomparire.
Vi è una serie di correlazioni. Molto bella è l’immagine degli occhi azzurri di Paneth che impallidisce. Già con Virgilio, nell’Eneide, la caratteristica dei morti è quella di non riuscire ad avere densità. I morti non avevano più la consistenza carnale; si utilizza quindi questa immagine dell’impallidire, degli occhi che divengono morbosamente azzurri. Nascere e morire: egli tiene in mano la vita degli altri. Non sfugge una notevole componente di aggressività in questo tenere in mano la vita degli altri.
Il sogno finisce così. Freud si accorge immediatamente dell’errore di aver detto ‘non vixit’ al posto del ‘non vivit’, si meraviglia di poter parlare con queste persone non più in vita, e accenna anche alla sua tendenza di riuscire a esplicitare l’affetto per le persone a lui care; ma, quello che immediatamente colpisce Freud, è l’immagine degli occhi azzurri che lo riporta ad un episodio che avvenne negli anni del laboratorio di Brücke. Ecco la descrizione di Freud:
Il centro del sogno è costituito da una scena in cui anniento Paneth con uno sguardo. I suoi occhi diventano stranamente e paurosamente azzurri e poi egli si dissolve. Questa è l’evidente imitazione di un’altra scena realmente vissuta. Ero dimostratore all’istituto di fisiologia, prestavo servizio nelle ore del mattino e Brücke aveva saputo che alcune volte ero arrivato tardi nel laboratorio degli studenti. Allora un giorno egli venne puntuale all’apertura e mi aspettò. Le parole che mi disse furono poche e decise; ma non furono tanto le parole a sconvolgermi quanto i terribili occhi azzurri che mi guardavano e dinanzi ai quali venni meno, come Paneth nel sogno, che per mio sollievo ha scambiato le parti. Chi sia in grado di ricordare i meravigliosi occhi – rimasti tali fino alla tarda età – del grande maestro e lo abbia mai visto adirato, riuscirà facilmente a immedesimarsi nelle emozioni del giovane peccatore di allora. [O.S.F., Vol. 3, pag. 386]
Una delle associazioni di Freud riguarda anche ad un altro episodio, perché il sogno era stato fatto proprio nel periodo in cui Fliess, ricoverato, era stato sottoposto ad un’operazione, e lui non aveva potuto andare a trovarlo. Egli pensa che questo rimprovero per il ritardo sia dovuto alla paura di non farcela a salutare l’amico, di non arrivare in tempo per salutarlo. Si può ipotizzare inoltre che nel sogno ci possa essere l’elemento del racconto della sorella morta. Il sogno fa anche pensare ai rapporti dopo un’offesa: i familiari di Fliess si erano raccomandati con Freud di non parlare della salute del loro congiunto. Freud aveva allora sentito ‘messa in forse’ la fiducia in lui. Un’altra volta era avvenuto un caso simile, in cui aveva svelato alcune cose, e questo era stato causa di un litigio tra due suoi amici che lavoravano in laboratorio. Freud vede in questa scena del ritardo e del rimprovero la condensazione di più elementi: il rimprovero per il ritardo all’arrivo nel laboratorio, nello stesso tempo la paura di arrivare troppo tardi per salutare Fliess, ma anche il rimprovero per aver parlato.
Non c’è dunque solo un’indagine sulla tecnica del sogno, ma c’è anche una nuova visione nell’ambito psicologico della complessità della vita psichica. Quest’analisi sul sogno illustra come le cose siano costituite da mille fattori; l’impostazione della ricerca biologica, che a Freud piaceva molto, offre uno schema che coglie l’elemento genetico.
Infine, nel sogno “non vixit”, compare anche la soddisfazione del desiderio: in questo caso è lui che fissa l’amico Paneth, rovesciando le carte in tavola.
Freud si interroga su questo “non vixit”, da dove scaturisca: ricorda che questa scritta compare sotto un monumento all’imperatore Giuseppe. Riporta Freud:
Saluti patriae vixit
Non diu sed totus.
Cioè: ‘per il bene della patria visse non a lungo ma interamente’. Ma in realtà la scritta è:
Saluti publicae vixit
Non diu sed totus
Questa è l’interpretazione di Freud: c’è un errore, perché ‘publica’ (sottinteso: puella) è la pubblica donna, la prostituta
Freud cita questa targa che aveva modo di vedere tutti i giorni in un monumento di Vienna: l’ha inserita nel sogno come discorso diretto, “non vixit”, ma sbagliando la frase cruciale: anche lì c’è lo spostamento dell’accento. Si potrebbe dire che tutto il sogno è costruito su questo.
Viene infatti sostituita la “patria” (il padre) con la ‘donna di malaffare’. C’è il riferimento di Brücke: “tu volevi ammazzare il padre per accedere alla donna del padre”, ma questo Freud non lo può ancora dire.
La statua lo riporta ai giorni in cui fece questo sogno, in cui è rappresentata l’inaugurazione di una statua in onore di Fleischl.
Fleischl era diventato una persona importante, e, pur avendo iniziato la carriera insieme a Freud, è stata una competizione perduta. Il monumento vuol qui significare qualcosa, monumento vuol dire che lui è morto.
Vedendo quello per Brücke, Freud aveva pensato che fosse stata un’ingiustizia il fatto che la morte prematura di Paneth gli avesse impedito di avere un monumento. Egli pensava infatti che anche Paneth ne avesse diritto.
Però nel sogno Paneth viene eliminato subito: c’è una sorta di gioco di competizione tra fratelli, il “non vixit” è stato messo sulla statua dell’imperatore Joseph.
Freud mostra da un lato un sentimento d’affetto nei confronti di Paneth, dall’altro emergono elementi di grande ostilità. Queste emozioni lo riportano immediatamente al Giulio Cesare di Shakespeare: viene evocata l’immagine di Bruto, che stimava molto Cesare, e nello stesso tempo affermava: ‘Cesare è ambizioso, e io lo ho ucciso’. Freud si vede in questo ruolo di giustiziere, di chi punisce questa ambizione.
Le parole che Bruto pronuncia al foro [atto 3, scena 2]: “Poiché Cesare mi amava, io lo piango; poiché era felice, io gioisco; poiché era valoroso, io lo onoro; ma poiché era avido di dominio, io l’ho ucciso” è un non comune esempio non solo di ambivalenza, ma anche di straordinaria eloquenza: questo brano esprime questo concetto con una velocità ed un’efficacia fulminea. Antonio però lo smaschera, confutando l’accusa di avidità: “Se solo il popolo udisse questo testamento [quello di Cesare, in cui egli assegna un generoso lascito al popolo] / … tutti andrebbero a baciare le ferite di Cesare morto…”. Egli afferma pungentemente: “Non è che amassi di meno Cesare e che amassi l’uomo di più”. Bruto abilmente ribatte: “È sempre oscuro che di noi dentro ami di più o meno”.
Tornando al sogno di Freud: Paneth era molto impaziente di ottenere il posto di un altro assistente, di fare carriera. Freud si accorge che queste erano state in realtà sue ambizioni. Si sofferma inoltre sulla felicità provata per essere una sorta di superstite, dato che tutti i suoi amici erano mancati, mentre lui era ancora vivo.
In più il Giulio Cesare lo riporta ad un ricordo dell’infanzia: quello di aver recitato la parte di Bruto nella versione di Schiller, insieme a suo nipote John, più grande di un anno, con cui aveva avuto un rapporto importante, che ha segnato poi tutti i suoi rapporti successivi. C’era stata una grande amicizia, poi però avevano litigato e si erano distaccati. Freud racconta un particolare episodio in cui si scontrò con questo parente, che gli aveva sottratto un oggetto e, che pur sapendo di aver torto, aveva cominciato a picchiarlo, e Freud aveva poi reagito picchiandolo pure lui. Quando il padre gli chiese perché lo avesse fatto, Freud rispose “perché anche lui mi ha picchiato”. Questa scena infantile costituisce in realtà la parte più importante del sogno, più della questione delle ambizioni di carriera. Sono stati evocati Giulio Cesare e la competizione tra fratelli, altra cosa rispetto alla competizione col padre. Giulio Cesare è ambiziosissimo: quando Bruto parla di ambizione, non si riferiva all’ambizione rispetto al posto o rispetto alla repubblica. Giulio Cesare diceva di voler diventare padrone di tutto, e questa ambizione secondo Bruto non poteva essere neutralizzata se non con l’omicidio. Shakespeare fa dire a Cassio: “Tu sapevi che non potevi al cor piacere”, non avevi nessuna speranza finché esisteva Cesare, troppo grande era questo fratello, l’unico modo era spegnerlo: e questo crea sensi di colpa a Bruto.
Freud si pone una domanda, si chiede quale sia il motivo per cui spendere tanta energia per costruire un sogno così ovvio, che esprime il desiderio di eliminare Paneth in quanto rivale. Ci dev’essere qualcosa di più profondo. Vengono associati l’imperatore, Cesare, rapporti che non si possono filtrare, elementi che emergono anche in episodi di cronaca, dove i genitori ammazzano i figli e viceversa. Il sogno serve allora per nominare l’innominabile, per mettere in evidenza perversioni inaccettabili non solo per gli altri ma anche per se stessi.
Quella di Freud è una grande opera, assai originale, non tanto per quello che afferma sulla teoria del sogno e sulla sua modalità di procedere, che è anzi la parte più debole, ma per il fatto di modificare la cultura.
I libri che hanno in un certo senso portato a cambiamenti culturali moderna sono pochi: uno è sicuramente “L’origine delle specie" di Darwin del 1889, un altro è “L’interpretazione dei sogni”, un altro è “Nuovo approccio alla teoria della fisica” di Lord Kelvin, che espone il concetto che la fisica non è continua ma discontinua, e certamente l’edizione inglese – non quella russa – della “Tavola degli elementi” di Mendeleev.
Il cambiamento culturale apportato da Freud sta nel concetto che l’Io cosciente non è padrone in casa propria: ciò che vediamo, sentiamo, capiamo coscientemente non è tutto: c’è un’enorme quantità di cose che restano sotto il livello della coscienza e che condizionano continuamente la nostra vita. Qui, con la sua caratteristica facilità di espressione, con il continuo riferirsi all’esperienza, Freud introduce, senza farcene accorgere, un cambiamento, portando ad un modo diverso di intendere la vita, indipendentemente dalla teoria psicoanalitica. Questa infatti può essere accettata o meno, si può mettere in dubbio il meccanismo del sogno, il suo modo di procedere, ma di certo non si può controbattere il fatto che dentro di noi vi è un mondo che non è per nulla sovrapponibile a quello esteriore. Basti pensare alla sessualità: nel mondo interno di ciascuno di noi esistono molteplici elementi perversi, oscuri, che ci condizionano fortemente, che condizionano il nostro mondo e la nostra vita sessuale.
Questa consapevolezza non serve per rovesciare sadicamente le posizioni precedentemente sostenute, quanto piuttosto per ampliare il modo di vedere se stessi, come è stato illustrato con l’esempio di Bruto e Cesare.
Antonio, nella sua orazione sul cadavere di Cesare dice che Bruto è un “uomo d’onore” che ha ucciso il padre: è un’enorme contraddizione, eppure, a ben osservare questa vicenda, si riconosce che Bruto è un uomo d’onore. È vero tutto e il contrario di tutto.
Freud, attraverso varie associazioni, arriva al ricordo dell’infanzia della sua amicizia, durata almeno fino ai tre anni, con il nipote John, facendo riferimento in particolare all’episodio del litigio per un oggetto, avvenuto nei primi tre anni.
Consideriamo Paneth, Fliess, il monumento a Fleischl, il monumento a Giuseppe II, il Paneth con gli occhi azzurri che si dissolvono, la gelosia, il desiderio di morte del fratello, del nipote John, che aveva un anno più di lui. Freud aveva recitato con questo cugino in Giulio Cesare, nella parte di Bruto. Aveva inoltre precisato che tutti i suoi successivi rapporti di amicizia con coetanei erano stati segnati da questa amicizia con il nipote di lui più anziano.
Ho già raccontato che le mie vive amicizie e inimicizie con coetanei risalgono al mio rapporto infantile con un nipote che aveva un anno più di me. Egli mi era superiore, io però imparai presto a difendermi. Eravamo inseparabili, ci amavamo e ogni tanto, come testimoniano persone più anziane, litigavamo e ci accusavamo a vicenda. Tutti i miei amici sono in un certo senso incarnazioni di questa prima figura che “presto si mostrò al torbido sguardo, sono dei revenants.
Presenta il concetto di revenants, concetto di grande importanza nel mondo psichico, al di là della teoria psicoanalitica. Tutte le persone fondamentali, centrali della vita psichica di un individuo, in qualche modo sono fantasmi che ritornano: la questione non sarà allora quella di trovare cose nuove, ma di ritrovare quelle passate. Come scrisse T. Eliot: “Ritornare nell’antico e rivedere cose”.
Fornari sostiene che il concetto di Paradiso è il ritornare nell’utero, che la luce è il momento di passaggio, in cui il bambino ha gli occhi chiusi, offeso dalla luminosità che passa attraverso la palpebra.
Ancora: Dante, quando arriva davanti a Dio, nonostante abbia mantenuto per tutto il poema un grande realismo, si esprime con una metafora: "E come fantolin che n’ver la mamma tende le braccia”, un’immagine in profondo contrasto con il precedente trionfalismo escatologico: Dante evidentemente descrive questa tendenza al ritorno. Tutti i personaggi importanti nella storia di ciascuno sono dei revenants.
Revenants sono i fantasmi che ritornano, sono i morti che ritornano, la figura ambivalente che tutti amano perdutamente, ma che sarebbe terribile se ritornasse: quando qualcuno è morto non deve più tornare, perché ciò fa paura. Il morto torna però, con tutta l’ambivalenza connessa, attraverso il passaggio su altre figure: abbiamo qui il concetto di transfert, che vuol dire trasferimento di istanze emozionali affettive su persone significative della vita attuale. Quello di transfert è un concetto di fondo di revenants.
Nel sogno del “non vixit” Freud vede come in realtà questo antico nipote e compagno, attraverso Giulio cesare, attraverso Paneth, attraverso Fliess, rappresenti sempre il ritorno di un vecchio problema, la mamma, o chi per lei, che non ama sempre me, soltanto me, esclusivamente me.
(…) Un amico intimo e un nemico odiato sono sempre state esigenze indispensabili della mia vita sentimentale; ho sempre saputo procurarmene di nuovi e non di rado l’ideale infantile si è ricostituito al punto di far coincidere nella stessa persona amico e nemico, naturalmente non più nello stesso tempo o in varie alternative ripetute, come può essersi verificato nei primi anni dell’infanzia. [Ibidem, pag. 442]
Freud è molto chiaro e preciso in questa affermazione: esigenze interiori che talora coincidono, talora si separano.
Anche successivamente, nel capitolo 7, affermerà che il sogno si presenta come un surrogato della scena infantile, alterato dal materiale recente.
A conclusione delle associazioni esposte, Freud sintetizza il pensiero di questo sogno:
“E’ proprio vero, nessuno è insostituibile; quanti ne ho già accompagnati nella tomba; io però vivo ancora, sono sopravvissuto a tutti, sono padrone del campo”. Un pensiero di questo genere, nel momento in cui temo di non trovare più tra i viventi il mio amico, recandomi da lui, ammette soltanto uno svolgimento: io mi rallegro di sopravvivere ancora una volta a qualcuno, non io sono morto, ma lui, io sono padrone del campo, come allora nella fantastica scena infantile. [Ibidem, pag. 444]
Occorre partire dalla rimozione del desiderio: il desiderio è deformato, ecco come il sogno realizza un desiderio. Questo non è banalmente il desiderio di ciò che non ho potuto avere, a meno che l’oggetto del desiderio non abbia un significato preciso, cioè quella particolare cosa grandiosa che non si è potuta avere tutta per sé che è l’oggetto d’amore nell’infanzia: solo allora quell’oggetto diventa importante.
L’analisi dei propri sogni è certamente un’operazione difficile, in cui si mette a nudo un Sé “malvagio”. Nel caso di Freud, se la soddisfazione di essere riuscito a sostituire gli amici e di esser loro sopravvissuto è ancora qualcosa che può passare, quello su cui dovrà agire la censura del sogno sono proprio i sentimenti dell’infanzia, il ricordo infantile associato a questa scena.
Questo concetto è fondamentale: difficilmente si potrebbe pensare che il sogno metta in funzione questo pesante, complicato apparato solo per evitare la conoscenza di un sentimento quale il desiderio di morte verso un altro.
Il problema centrale è un altro: la presenza di tutto un mondo dietro questo, coperto dall’amnesia infantile, che non può più emergere, ed è proprio ciò di cui il sogno si occupa, questo immenso edificio costruito tramite rimozioni, simbolizzazioni, condensazioni, spostamenti, dispersioni dell’accento, rielaborazione secondaria, tutti i meccanismi che servono a questo scopo.
Occorre domandarsi quale destino abbiano nel sogno i sentimenti e le emozioni. Si è vista finora l’aspetto intellettivo della rappresentazione. Può anche succedere che un sentimento venga cambiato. Questo passaggio è una sorta di premessa a quello che seguirà, che riguarda la psicopatologia della vita quotidiana.
Abbiamo un esempio nel famoso sogno “perché ridi”, che non è un sogno di Freud ma di un paziente di Ferenczi.
Un ottimo esempio di codesta inversione affettiva è fornito da un sogno comunicato da Ferenczi: “Un signore piuttosto anziano viene svegliato di notte da sua moglie, che si è spaventata perché nel sonno egli ride fragorosamente, senza potersi fermare. L’uomo racconta in seguito di aver avuto il sogno seguente: ‘Io ero a letto, entrava un conoscente, io volevo accendere la luce ma non riuscivo, tentavo e ritentavo ma invano. Allora mia moglie scese dal letto per aiutarmi, ma anche lei non riusciva a combinare nulla. Alla fine, in imbarazzo di fronte al signore per il suo négligé, rinunciò e tornò a letto. Tutto questo era così comico che alla fine fui costretto a riderne terribilmente. Mia moglie disse: ‘Perché ridi, perché ridi?’. Ma io continuavo a ridere, sinché mi svegliai’. Il giorno dopo il signore era estremamente abbattuto, aveva mal di capo ‘per il troppo ridere che mi ha scosso’, diceva.
Considerato da un punto di vista analitico, il sogno appare meno allegro. Il ‘conoscente’ che entra è, nei pensieri latenti del sogno, l’immagine, destata il giorno prima, della morte come ‘grande sconosciuta’. L’anziano signore, che soffre di arteriosclerosi, ha avuto motivo il giorno prima di pensare alla morte. Il riso sfrenato sostituisce il pianto e il singhiozzo connessi all’idea di dover morire. È il lume della vita che egli non riesce più ad accendere. Questo triste pensiero può essersi allacciato ai tentativi di coito avvenuti poco prima, ma falliti, nei quali nemmeno l’aiuto di sua moglie in négligé gli è servito; si è accorto di stare scendendo la china, ormai. Il lavoro onirico ha saputo trasformare la triste idea dell’impotenza e della morte in una scena comica e il singhiozzo in riso.” [Ibidem, pag. 432, 433]
La moglie in déshabillé, un signore, la moglie che guarda costui, la sua risata, e lei dice che non c’è niente di cui ridere. Sembra chiaro che questi sta parlando di un problema di impotenza: la moglie si mostra in déshabillé, le sue qualità non sono eccelse, la donna lo guarda, e tutto si cela in un grande imbarazzo. Il fatto però è che questo momento di défaillance sessuale corrisponde alla fantasia della morte, “morte e castrazione”; qui siamo di fronte a un “ménage à trois”, con lui, la moglie e il signore (la morte).
Questo meccanismo è lo stesso della regola del teatro: se si pensa all’Anfitrione di Plauto, tutto è trasformato in una scena comica, tutto fa ridere, ma che cosa è che scatena la comicità? Il fatto che Giove iperpotente si sostituisce nel letto al posto di Anfitrione, in realtà rappresenta una fantasia grandiosa, onnipotente, legata al fatto che da questo incontro nascerà Ercole. Non è certo un avvenimento che dovrebbe suscitare il riso, non solo nel sogno, ma nemmeno nella vita di tutti i giorni. Queste ed analoghe situazioni saranno poi esaminate nella “Psicopatologia della vita quotidiana”.


 

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