Siamo nel 1921, la pubblicazione finale di quest’opera è il 1923. Era un periodo molto difficile non solo per Vienna, per la situazione successiva ad una guerra catastrofica e per il crollo dell’impero austro-ungarico, ma anche per l’inflazione e per i grandi movimenti socio-politici di tutta l’Europa. Nel ‘17 ci fu la rivoluzione bolscevica, che comportò conseguenze importanti anche per tutto il resto del continente.
In Europa c’era un ribollire di nuovi fenomeni sociali, e Freud, sospettava che le masse non si muovessero in modo autonomo ma che fossero “pilotate”. Egli si potrebbe definire politicamente reazionario per la sua scarsa fiducia nell’essere umano e nel suo destino.
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Nella sua vita privata, accadde qualcosa di molto grave: la figlia Sofie morì, e nella stessa epoca perse un nipotino, figlio di Sofie. Freud, molto attaccato alla famiglia, non si risollevò mai da questi lutti. Nel ‘21 cominciò ad accusare dolori al cavo orale. Gli fu diagnosticato un carcinoma del palato (era un accanito fumatore di sigari), e da allora fino al ’39 dovette sottoporsi a numerosi interventi chirurgici; fece una serie di viaggi a Berlino per riadattare la dentiera a queste operazioni, un vero tormento.
Eppure questo doloroso periodo è il più fecondo di scritti teorici. Quello di cui parliamo è uno degli studi di tale periodo: Freud coglie importanti aspetti del momento storico e si domanda com’è la natura delle masse, ossia la psicologia sociale. Inizialmente si chiede quali siano, tradizionalmente, quelle situazioni in cui si può evidenziare l’influenza della massa. Ne individua essenzialmente tre, due importanti, l’altra meno rilevante: le masse si rendono evidenti soprattutto nella chiesa e nell’esercito. Freud aveva in mente la chiesa cattolica, che era più massificata rispetto alle altre.
Egli fa un’introduzione su “quali sono i principi, gli elementi centrali che riguardano le masse” conosciuti fino allora. Oltre ad essere d’interesse socio-politico, il suo scritto è importante anche sul piano psicologico, essendo il primo scritto sul funzionamento mentale delle masse.
Basandoci sulla morfologia delle masse, ricordiamo che è possibile distinguere in esse tipi assai diversi e direzioni opposte di sviluppo. Esistono masse transitorie e masse estremamente stabili; masse omogenee, composte d’individui affini, e masse non omogenee; masse naturali e masse artificiali, la cui coesione richiede anche una coercizione esterna; masse primitive e masse articolate, organizzate in misura notevole. Per ragioni che per ora sono lasciate nell’ombra attribuirò particolare valore a una distinzione cui gli autori non hanno prestato sufficiente attenzione; mi riferisco alla distinzione tra le masse prive di un capo e quelle soggette a un capo. In netto contrasto con la prassi abituale, la nostra ricerca non sceglierà inoltre quale proprio punto di partenza una formazione collettiva relativamente semplice; prenderà invece l’avvio da masse altamente organizzate, durevoli, artificiali. Gli esempi più interessanti di tali formazioni sono la chiesa, la comunità dei credenti, e le forze armate, l’esercito.
Artificiali, durevoli, organizzate. Le masse che interessano il mondo moderno sono organizzate, durevoli perché amalgamate attorno ad un principio, e infine artificiali perché non legate ad un movimento di coagulazione spontanea ma legate ad un indottrinamento diffuso. Lui aveva in mente la chiesa e l’esercito; non aveva una chiara idea dell’organizzazione dei partiti, poiché allora c’era solo l’organizzazione delle masse proletarie che nascevano in seguito a movimenti religiosi; per es. i francescani, movimenti spontanei. I contadini morivano di fame, però alla fine andavano nei castelli a combattere per i loro padroni.
L’organizzazione dei grandi partiti proletari avvenne con l’industrializzazione, perché enormi masse di persone erano concentrate in un unico luogo di lavoro, ma Freud ancora le conosceva poco, mentre aveva due solide strutture organizzate e artificiose con un capo, ossia la chiesa e l’esercito.
Chiesa ed esercito sono masse artificiali, per salvaguardarle dalla disgregazione e per impedire modificazioni della loro struttura viene cioè impiegata una certa coercizione esterna. Di regola non veniamo consultati circa la nostra volontà di entrare a far parte di una massa siffatta, né la cosa resta affidata al nostro arbitrio; il tentativo di uscirne viene solitamente perseguito o severamente punito, oppure risulta vincolato a condizioni ben determinate.
Di regola non si veniva consultati, la coscrizione allora era obbligatoria. La coercizione, anche tra i credenti, dura tutta la vita: ci sono il peccato mortale, l’obbligo di andare a messa, l’inferno. Freud, anticlericale e ateo, riteneva tutto questo una forzatura.
La ricerca del perché tali associazioni richiedano garanzie così particolari, al momento presente non ci interessa affatto. C’è un’unica cosa che ci attira, ed è che in queste masse altamente organizzate e in tal modo protette dalla disgregazione sono ben riconoscibili talune relazioni che altrove risultano assai meno esplicite.
Nella chiesa – l’esempio migliore è fornito dalla chiesa cattolica – come nell’esercito, per differenti che siano sotto altri rispetti queste due istituzioni, vige la medesima finzione (illusione), in base alla quale esiste un capo supremo.
Nel primo passo de “Il futuro di un’illusione”, Freud parla del delirio “normale” degli uomini: dice “gli uomini hanno dei deliri e guai a chi li tocca, ad esempio l’immortalità dell’anima”. L’uomo si trova di fronte alla morte e alle avversità della vita, perciò crea l’anima immortale, con l’illusione che “qui c’è ingiustizia, ma domani tutto si aggiusterà”. Invece Freud era convinto che il futuro fosse quello delle magnifiche forze e progressive: riteneva che il trionfo della scienza avrebbe portato la pace, la sicurezza. Altro tipo di illusione. Lo stesso Freud, del resto, aveva dei dubbi che la psicoanalisi potesse far parte di questo progresso: la consapevolezza è sempre, in una certa misura, dissacrante. Tuttavia sosteneva che “noi dovremmo avere tutti il diritto alla nostra porzione di consapevolezza analitica”.
Freud era ben consapevole di queste illusioni a tutti i livelli. La sua concezione era diversa da quella marxista, che affermava che la religione era imposta dal potere allo scopo di controllare. Egli sosteneva che la religione nasce da un’esigenza interiore di illudersi, e soprattutto di combattere la morte. Non c’è dubbio che noi, la medicina, la psicoanalisi, abbiamo la gestione della vita, ma quando c’è la morte è tutto finito, nessuno può più gestire niente. Interviene allora la Chiesa, che ha gestione esclusiva là dove nessuno ha più competenza, e questa è la forza esclusiva di tale istituzione.
Freud aveva in mente questo inserimento dell’illusione, che aveva la massa come suo terreno naturale. Il singolo individuo non è autorizzato ad essere l’autore d’illusioni: se io da solo dicessi che “l’anima è immortale” sarei considerato un matto. Al contrario, se c’è coscienza di massa non c’è delirio. Egli qui annota questa caratteristica delle illusioni; poi scriverà, a questo proposito, un’opera negli ultimi anni della sua vita, considerati il suo “periodo depressivo”.
T. Mann, grande ammiratore di Freud, fu estremamente sensibile al dolore per la morte di un bambino. Lo vediamo nel “Dottor Faustus”. Qui la trama centrale ripete quella del Faust di Goethe: il patto con il demonio. Il protagonista potrà essere autore di un grandissimo capolavoro, ma pagherà con la sua anima. Egli ha un solo rapporto sessuale con una giovane donna che incontra in una casa di tolleranza – gli amici gli avevano fatto uno scherzo – e di lei s’innamora. Costei s’allontana, ma egli la cerca ostinatamente, finché la trova. La ragazza non vuole andare con lui perché è malata; nonostante ciò egli ha un rapporto con lei e contrae la lue. Si fa curare da un medico con il bismuto, ma il medico il giorno dopo viene arrestato; così egli va da un altro curante, che poi trova morto. Capisce infine che il patto con il demonio non gli permette di curarsi, e si ammala di paralisi progressiva. Ma il vero dolore, quello che gli fa pagare il patto con il demonio, è che il suo nipotino prediletto si ammala di meningite; lui deve assistere alla sua morte, al grido strozzato del dolore del bambino. Lì è la vera punizione, l’anima ormai è del diavolo: “tu hai creato un grande capolavoro e ora mi paghi”.
Freud possedeva una grande capacità sublimatoria, nel suo dolore per la perdita del nipotino. Scrive “Mosè e il monoteismo”, “Il futuro di un’illusione”, “Il disagio della civiltà”, e alla fine “Analisi terminabile e interminabile”. In queste opere si percepisce tutto il suo pessimismo.
Tale pessimismo nasce qui, in “Psicologia delle masse e analisi dell’Io”. Osserva le masse dall’esterno, da una posizione razionalistica e disincantata.
[Riguardo all’illusione di un “capo supremo”] … nella chiesa cattolica [è] il Cristo, nell’esercito il comandante in capo che ama di amore uguale tutti i singoli componenti della massa. Tutto risulta subordinato a tale illusione; se venisse lasciata cadere, chiesa ed esercito non tarderebbero a disgregarsi, nella misura consentita dalla coercizione esterna. Tale medesimo amore viene esplicitamente enunciato dal Cristo: “…in quanto l’avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, voi l’avete fatto a me.” [Matteo, 25:40]
Freud conosce il discorso della montagna: “visitare gli infermi, dar da mangiare agli affamati”, e “quello che avete fatto a uno dei miei fratelli più piccoli lo avete fatto a me”, il che vuol dire: “qualsiasi opera di bene facciate a qualcuno, la fate per me”.
Il punto centrale del discorso della montagna non è tanto quello di fare del bene di per sé, ma fare del bene perché lo si fa a Dio. La concezione cattolica ha aspetti dogmatici precisi: far del bene alla gente perché si ama Dio, non tanto perché si ama il povero; al povero si arriva, ma indirettamente. Freud ha colto questo concetto teologico, e non sociologico.
Nei riguardi dei singoli membri della massa dei credenti il Cristo sta nel rapporto di un fratello maggiore amorevole, è per essi un sostituto paterno. Tutte le richieste imposte ai singoli discendono da tale amore del Cristo
Si ama il Cristo, poi tutte le altre cose sono secondarie, riflesso dell’amore per Lui. Freud dice: “Cristo è un sostituto paterno, tu sostituisci con Lui il tuo vecchio amore”. Qualunque prete, ovviamente, direbbe: “No, Cristo è Dio, non è il sostituto paterno, è il Padre”.
Un filone democratico percorre tutta la chiesa, appunto perché di fronte al Cristo tutti sono uguali, tutti partecipano allo stesso modo al suo amore.
Egli ha colto un aspetto democratico della chiesa; ma la chiesa, nella sua essenza, è tutto tranne che democratica: è teocratica. Di democratico c’è il “noi tutti siamo in condizione di amare gli altri perché amiamo la stessa persona che è Dio, questo ci rende tutti uguali”. La Chiesa non ha mai sostenuto differenze razziali, perché c’è Dio come riferimento comune a tutti.
Non senza una profonda ragione viene addotta la somiglianza tra la comunità cristiana e una famiglia, e non a caso i credenti danno a sé stessi il nome di fratelli in Cristo, ossia di fratelli in virtù dell’amore che il Cristo ha per loro. È indubbio che il legame che unisce ogni singolo al Cristo è anche la causa del legame che unisce i singoli tra loro. Le cose stanno in termini analoghi per quanto riguarda l’esercito; il comandante in capo è il padre che ama in misura uguale tutti i suoi soldati ed è per questo che essi si chiamano camerati. Strutturalmente l’esercito differisce dalla chiesa perché è costruito come un edificio gerarchico di raggruppamenti siffatti. Ogni capitano è a un tempo il comandante in capo e il padre del suo reparto, ogni sottufficiale lo è del suo plotone.
Quando i soldati si accorgono che non è così, è il disfacimento dell’esercito, è la fine. Il movimento rivoluzionario contro le strutture gerarchiche dell’esercito è suicida per i movimenti marxisti, perché finisce per coinvolgere anche le strutture gerarchiche del partito.
Un’analoga gerarchia si è costituita anche nella chiesa senza però svolgervi la medesima funzione economica, poiché al Cristo possano venire attribuiti, circa i singoli, un sapere e una sollecitudine più grandi che al comandante in capo umano.
Contro questa concezione della struttura libidica di un esercito si obietterà con ragione che in essa non trovano posto le idee di patria, di gloria nazionale e altre idealità rilevantissime ai fini della coesione dell’esercito. La risposta è che esse stabiliscono un caso diverso, non più così semplice, di legame collettivo e che, come dimostrano gli esempi dei grandi condottieri, Cesare, Wallenstein, Napoleone, tali idee non sono indispensabili per la sussistenza di un esercito. [O.S.F., Vol. 9, pag. 283, 284]
Tali idee non sono quelle che contano. Chiesa e esercito hanno alcuni elementi comuni, come la costituzione di un capo che personifica artificiosamente gli interessi di tutti.
Freud cita Cesare che si ferma a Rimini, viene “scomunicato” dal senato, sa che se non entra nel territorio nazionale con l’esercito non ha alcun potere, aspetta la sua legione e quando arriva procede con l’esercito. Il concetto romano è che l’esercito è del capo (“Caesar cum exercitu suo”).
Wallenstein era il grande condottiero della guerra dei trent’anni del ‘600.
Dopo che la Francia era stata sconfitta a Lipsia, Napoleone era stato deposto e confinato all’isola d’Elba; tuttavia, appena messo di nuovo piede sul terreno francese, raccolse incredibilmente attorno a sé un esercito di 300.000 uomini che andò a combattere a Waterloo.
Qui abbiamo il problema degli ideali. Bion s’interessò a questo argomento, ed elaborò il concetto di “assunti di base”. L’assunto di base dell’esercito è lo “attacco e fuga”. L’assunto di base della chiesa è l’idealizzazione del capo. L’assunto di base dell’aristocrazia è l’accoppiamento. Ci sono gli assunti di base in tutti i gruppi, e ci sono quelli prevalenti.
Freud comincia questo discorso, per arrivare a:
1) l’ideale dell’Io: è necessario che l’Io proietti qualcosa di sé, ossia un ideale non gestibile, su qualcosa di esterno
2) la pulsione gregaria (che Freud considera la pulsione dell’orda).
E dalle masse passerà ai rapporti dell’Io di ciascuno con gli altri e con il suo ideale, Dio, Cristo, Napoleone, Cesare, basta che abbia in sé delle qualità che ad ognuno piacerebbe avere ma che non possiede.
“Psicologia delle masse e analisi dell’io” divenne un libro famoso, al di là del campo psicoanalitico, in occasione dei grandi movimenti intellettuali e politici del ‘68 e del ‘70, tramite la strada che prese, attraverso Marcuse e la scuola di Francoforte. All’inizio era il tentativo di Freud di individuare delle strutture che funzionassero come un tutto unico.
Il problema di Freud è che la psicoanalisi è una psicologia individuale. Essa si occupa della relazione, di quello che sta a metà strada tra me e l’altro. La psicoanalisi nasce come una scienza positiva: Freud quando parlava di libido alludeva metaforicamente ad una spinta interiore, ma era in attesa che qualcuno scoprisse a cosa essa si ancorava. Analoga questione è quella dell’immunità e del rapporto tra antigene e anticorpo. Oggi sappiamo che l’antigene è una molecola individuabile e specifica, così come anche l’anticorpo. Abbiamo, al riguardo, un ancoraggio preciso, come quando parliamo di ereditarietà: prima di Mendel era una metafora, poi tale concetto si è ancorato alla realtà materiale dei geni.
Cosa è la libido? È una differenza di potenziale, una metafora elettrica che implica uno squilibrio. Da una parte di un conduttore c’è un voltaggio più alto e dall’altra uno minore. Allora l’intensità di corrente che passa sarà il voltaggio che c’è a sinistra meno quello che c’è a destra, diviso la resistenza che incontra nel passaggio; esattamente quello che fa la libido, che è una tensione che deve equilibrarsi. “Mente di gruppo” è anch’essa una metafora, un “come se”.
Freud ricerca le situazioni in cui questa metafora è applicabile, individuandone due, forse tre: l’esercito, la chiesa e l’aristocrazia.
L’esercito e la chiesa sono le due funzioni in cui c’è identificazione con il capo, che comporta una mente di gruppo cui tutti convergono: ce ne è una che funziona per tutti. Questa intuizione permetterà di concepire l’assunto di base. Tale elemento, che accomuna chiesa ed esercito, non sarà individuato da Freud, ma da una serie di autori: Bion, Jacques ed altri. L’assunto di base è un concetto antievolutivo e pessimistico nei confronti delle masse e dei gruppi.
Reich a sua volta, partito con l’idea delle masse come elemento propulsivo, si accorse che le masse “oceaniche” erano una creazione delle grandi dittature. Le masse sono pericolose, non avendo controllo dell’Io, perché uno solo possiede tale controllo; gli altri sono tutti in preda alle pulsioni: questo fu l’avvertimento che Reich diede nel suo libro “Psicologia di massa del fascismo”. Perché situazione antievolutiva? Perché quando diciamo aristocrazia diciamo “accoppiamento”, “ci intendiamo insieme perché abbiamo dei privilegi da difendere e da tramandare di padre in figlio”, questo è il concetto. Quando diciamo esercito diciamo attacco e fuga: il nemico è fuori, dentro siamo “buoni” e fuori c’è il “cattivo”; noi dobbiamo ammazzare gli estranei, non c’interessa comprendere, da un punto di vista storico, chi ha torto o ragione. La chiesa è basata sull’idealizzazione: “tu non capisci, tu non sai; io so, perché c’è Dio dalla mia parte”. Il concetto di Freud è che questi assunti di base sono presupposti, preconcetti, pregiudizi.
La famiglia è il tipico raggruppamento umano in cui l’investimento libidico può evolversi. La famiglia, e ancora di più la scuola, sono strutture gruppali che non dovrebbero avere assunto di base; dovrebbero favorire l’evoluzione di ciascuna persona, fino a restituirle la sua autonomia individuale ed aiutarla ad inserirsi nel mondo. La famiglia, come la scuola, dovrebbe esaurire a un certo punto la sua funzione, nel senso che ciascun figlio, come ogni alunno, si crea una sua vita autonoma. Sappiamo che non sempre ciò è vero: sappiamo che la famiglia molto spesso è in realtà una chiusura verso l’esterno e non una rete di comunicazione. Sappiamo che gli assunti di base ci sono, tanto è vero che, dice il giudice, non possiamo far testimoniare la mamma verso il figlio, perché la mamma è un testimone inattendibile. La scuola dovrebbe tipicamente promuovere l’idea della libertà interiore, ma sappiamo quanto sia difficile farlo e quanto sia facile sconfinare nell’indottrinamento. Ecco il pessimismo freudiano.
A questo punto Freud parla dell’ideale dell’Io e dell’istinto gregario; tendenza gregaria che egli tratta scientificamente e con distacco, ma si sente tutto il suo ribrezzo a riguardo: egli ha un alto livello d’autonomia, d’indipendenza di giudizio: è uno scopritore.
Comunque, in base alle precedenti discussioni siamo pienamente in grado di enunciare la formula della costituzione libidica di una massa, se non altro di una massa come quella da noi fin qui considerata, tale cioè da avere un capo e da non essere riuscita ad acquistare in seconda istanza, grazie a una più elevata “organizzazione”, le caratteristiche di un individuo. Una tale massa primaria è costituita da un certo numero di individui che hanno messo un unico medesimo oggetto al posto del loro ideale dell’io e che pertanto si sono identificati gli uni con gli altri nel loro Io. [Ibidem, pag. 303, 304]
Queste persone “depongono” il loro io e lo affidano a qualcun altro, ecco il discorso della pulsione gregaria.
Solo per poco ci culleremo nell’illusione di aver risolto con questa formula l’enigma della massa. Ben presto desterà la nostra inquietudine il rammentarci che riguardo all’essenziale abbiamo rimandato a un altro enigma, a quello dell’ipnosi di cui tanti aspetti non sono ancora stati risolti.
Freud era partito in fondo dalla posizione mesmeriana: Mesmer era un famoso sperimentatore che aveva utilizzato l’ipnosi per far fare alle persone quello che voleva lui. Il concetto d’ipnosi è il più indicato per chiarire il problema dell’istinto gregario. La capacità dell’ipnotizzatore non era tanto quella di avere nel pubblico dei complici, ma di riconoscere chi, essendo suggestionabile, sarà più facilmente ipnotizzabile. L’elemento suggestivo mette in moto una serie di patologie, come la dissociazione dello stato di coscienza. L’ipnosi, perciò, può essere molto pericolosa, come accade tutte le volte che si perde il controllo dell’io. Il principio di Freud era: “dove c’è l’es ci deve essere l’io”, e se questo non accade nasce il pericolo.
E ora un'altra obiezione ci addita il cammino che ancora ci resta da percorrere.
Possiamo dire che gli stessi legami affettivi da noi individuati nella massa bastano a spiegare uno dei suoi caratteri: la mancanza di autonomia e d’iniziativa del singolo, il coincidere della reazione del singolo con quella di tutti gli altri, l’abbassamento del singolo – per così dire – a individuo massificato.
La sua opinione politica non lascia dubbi: l’abbassamento del singolo a individuo massificato. Freud ha una posizione intellettuale individualista e razionalista.
Ma, se la consideriamo come un tutto, la massa presenta anche altre caratteristiche. Segni tipici sono l’indebolimento delle facoltà intellettuali, il disinibirsi dell’affettività, l’incapacità di moderarsi o di differire, la propensione ad oltrepassare tutti i limiti nell’espressione del sentimento che tende a scaricarsi per intero nell’azione; tutto questo, e altre analoghe cose che Le Bon ha illustrato con grande efficacia, danno un quadro inequivocabile di regressione dell’attività psichica a uno stadio anteriore, affine a quello che non ci stupiremmo di trovare nei selvaggi e nei bambini.
Freud qui parla di regressione e dice: “il comportamento della massa è un comportamento regressivo; la pulsione gregaria di massa è legata alla regressione della libido agli stati anteriori dello sviluppo.” Basta andare in un campo di calcio, e lo si vede subito. Questo è l’elemento teorico su cui si può poi basare un giudizio politico.
Una regressione siffatta appartiene particolarmente alla natura delle masse ordinarie, mentre, come abbiamo visto, nelle masse altamente organizzate, artificiali, essa può venire in larga misura impedita.
Il capo e la struttura impediscono la regressione. Quando la massa è organizzata, è il leader o è la struttura che dà il senso della regressione: impedisce la regressione totale ma induce delle regressioni precise, definite.
Per Freud il kamikaze sarebbe la completa negazione del “dove c’era l’es ci dovrebbe essere l’io". La regressione, qui, è specifica, definita, organizzata: “sono io che ti dico qual è la regressione giusta, non la puoi scegliere tu!”. Gli eserciti possono e devono distruggere tutto, ma se poi un soldato compie una violenza sessuale nel territorio di occupazione viene fucilato: si dice che quando avvengono gli stupri l’esercito non funziona, gli ufficiali non hanno in mano la situazione.
Otteniamo così l’impressione di uno stato in cui il singolo moto del sentimento individuale e l’atto individuale personale sono troppo deboli per potersi far valere da soli e devono assolutamente attendere di venire convalidati dalla ripetizione consimile ad opera degli altri.
La pulsione gregaria, l’istinto gregario deriva dalla debolezza del mondo affettivo: tanto più uno è debole, tanto più agisce la funzione gregaria: l’individuo si adegua al “gregge”.
Questo ci ricorda quanti di questi fenomeni di dipendenza appartengono alla costituzione normale della società umana, quanta poca originalità e quanto poco coraggio personale si trovino in questa, quanto ogni singolo sia dominato da quegli atteggiamenti dell’anima collettiva che si manifestano come peculiarità razziali, pregiudizi sociali, opinione pubblica eccetera.
Si sente qui la grandiosità del pensiero di Freud, che inizialmente sembrava un reazionario con scarsa fiducia nelle masse. Siamo nel 1921, in un’epoca in cui il coraggio era manifestato con i comportamenti distruttivi. Freud ha individuato come il coraggio nasca dalla non gregarietà della posizione. Il coraggio, in realtà, cessa quando la posizione è gregaria.
Il mistero dell’influenza suggestiva aumenta ai nostri occhi se ammettiamo che essa non viene esercitata unicamente dal capo, ma anche da ogni singolo su ogni altro singolo, e dobbiamo rimproverarci di unilateralità per aver dato rilievo preminente al rapporto istituito con il capo sottovalutando indebitamente l’altro fattore, quello della suggestione reciproca.
Qui Freud dice: “il capo è il primo assunto, il principio, non una persona, ma questo elemento che coglie certi punti, viene trasmesso: ognuno fa il proselitismo con la persona che ha vicino”.
Richiamati in tal modo alla modestia, saremo disposti a prestare ascolto a un’altra voce che ci permette una spiegazione su basi più semplici. Le attingo dal penetrante libro di Trotter sulla pulsione gregaria, a proposito del quale posso solo rammaricarmi che non si sia interamente sottratto alle antipatie scatenate dall’ultima guerra mondiale.
Trotter deduce i descritti fenomeni psichici riscontrabili nella massa da un istinto gregario (“gregariousness”), che negli uomini e nelle altre specie animali risulta innato. Biologicamente tale gregarietà è un’analogia e al tempo stesso una continuazione della pluricellularità; nel senso della teoria della libido, è un’ulteriore espressione della tendenza, di origine libidica, di tutti gli esseri viventi della stessa specie a riunirsi in unità sempre più ampie.
In sintesi: “noi siamo organismi pluricellulari e pertanto abbiamo la tendenza ad aggregarci e interagire”. Chi intende Freud come filosofo sbaglia, perché è uno scienziato, e va alla ricerca dell’origine non solo filogenetica in senso culturale ma anche biologica. Noi siamo organismi multicellulari. Se non avessimo la gregarietà come faremmo a risolvere l’apologo di Menenio Agrippa, che è un apologo essenzialmente biologico?
Non possiamo negare la predominanza, il primato del sistema nervoso centrale sul resto del corpo, il primato di alcune cellule su altre. Poiché siamo un organismo multicellulare, funzioniamo tutti assieme; la pulsione gregaria la troviamo dalle origini della struttura fino all’elemento individuale. Ma ciò non vuol dire che dobbiamo pretendere che l’uomo sia sempre così. Che poi noi siamo persone, che non siamo solo cellule ma anche morale, etica, religione, è un altro discorso.
Freud cita il libro di Trotter, aggiungendovi il concetto di organismo multicellulare. Dice: “per forza siamo gregari, è il destino degli animali”. Il gregge va dove vanno alcuni, c’è questa istanza gregaria, e in genere l’istanza individualistica è connessa con la ferocia. Tanto più l’animale è feroce e predatore, tanto più è individualista. Gregario non è certamente il leopardo o la tigre o il leone.
Quando è solo il singolo si sente incompiuto (“incomplete”). Già la paura del bambino piccolo sarebbe un’espressione di tale istinto gregario. L’opposizione al gregge equivale alla separazione da esso e viene pertanto ansiosamente evitata. Il gregge rifiuta però tutto ciò che è nuovo, insolito. L’istinto gregario è qualcosa di primario, di non ulteriormente scomponibile (“which cannot be split up”).
Istinto per Freud è una cosa ben precisa, un meccanismo che funziona “per i fatti suoi”. Se abbiamo l’istinto è inutile aggiungere le motivazioni etiche, religiose, sociali: l’istinto è istinto. Se un governo ha il problema di alimentare una popolazione, può escogitare mille soluzioni diverse, ma non può sopprimere la fame: ciò non è di sua competenza.
Come pulsioni (o istinti) da lui considerate primarie Trotter annovera la pulsione d’autoaffermazione, quella di nutrizione, quella sessuale e quella gregaria. Quest’ultima giunge spesso a contrapporsi alle altre. Il senso di colpa e il sentimento del dovere sarebbero le caratteristiche di un “gregarious animal”. Dall’istinto gregario Trotter fa del pari derivare le forze rimoventi che la psicoanalisi ha individuato nell’Io e conseguentemente, in maniera analoga, le resistenze in cui il medico s’imbatte durante il trattamento psicoanalitico. L’importanza della lingua sarebbe dovuta al fatto di essere essa idonea al reciproco intendersi entro il gregge, su essa poggerebbe in gran parte la vicendevole identificazione dei singoli. [Ibidem, pag. 305, 306]
Sempre citando Trotter, Freud dice: “anche il linguaggio nasce dall’istinto gregario. Che bisogno ce ne sarebbe se non ci fosse la necessità d’amalgamarsi, di farsi segnali?”. C’è questa tendenza conglomerante, che è propria dell’originaria cellula che appena si avvicina ad un’altra deve trovare un compromesso di funzionamento, deve “dare la delega” a qualche cellula più importante di “comandare”. In biologia la regola è questa: “quanto più la cellula è funzionalmente specializzata, tanto meno è capace di riprodursi; quanto meno la cellula è funzionalmente specializzata, tanto è più capace di riprodursi; la cellula della pelle si riproduce subito, la cellula del sistema nervoso centrale lo fa più lentamente, perché è proprio la cellula più organizzata, specifica, che contiene le istruzioni e non può permettersi di “distrarsi”. Questa è l’impostazione freudiana, che riporta la gregarietà, e quindi la psicologia delle masse, all’ambito cellulare.
Qui c’è poi un’annotazione sul senso sociale: Freud si chiede “che differenza c’è tra pulsione gregaria e senso sociale?” Al riguardo, fa un’osservazione pessimistica: non c’è tanta differenza, il senso sociale sarebbe in accordo con quanto sostiene il dostoevskiano Grande Inquisitore dei fratelli Karamazov. L’alto prelato, nel suo lungo discorso a Gesù Cristo, dice: “io so che tu hai ragione, che sei tu la Verità, ma io devo di nuovo condannarti, non ho altra scelta”. Il concetto generale è che “non esiste cosa più pressante per l’uomo che trovare a chi rimettere questo angoscioso dono della libertà che in realtà avrebbe per natura”. Il senso sociale s’identifica col senso gregario. Questo è anche ciò che sostiene Freud, che è tedesco ed ebreo, quindi appartiene a quei gruppi etnici che hanno il senso sociale più sviluppato del mondo. In realtà Freud ha rovesciato tutte le sue istanze.
Il senso sociale poggia … sul volgersi di un sentimento inizialmente ostile in un attaccamento caratterizzato in senso positivo, la cui natura è quella dell’identificazione. Nella misura in cui possiamo fin qui considerarne la provenienza, tale rovesciamento appare compiersi sotto l’influsso di un comune legame di tenerezza istituito con una persona estranea alla massa.
C’è la massa, c’è una persona che mettiamo al di fuori di essa, e c’è un’istanza amorosa verso questa persona; questa è la prima volta che viene affermato questo concetto di una verità straordinaria.
Neppure a noi la nostra analisi dell’identificazione appare esauriente ma, in vista dello scopo che qui ci proponiamo, ci basta rifarci a un solo suo aspetto, quello che esige la coerente applicazione dell’ugualitarismo. Esaminando le due masse artificiali, chiesa ed esercito, abbiamo già veduto che il loro presupposto è che tutti vengano amati alla stessa maniera da un solo individuo, il capo.
Tutti siamo amati, egli ci ama, e noi lo contraccambiamo col nostro amore. Nella chiesa cattolica, si tratta di un amore verso un personaggio che, in realtà, sembra non ci ami molto, dato che ci distrugge senza ragione. Ma il discorso viene tramutato forzatamente in “egli ci ama”, e qui c’è una forte componente di masochismo. Tuttavia il punto vero, che Freud ha colto, è: “ci ama tutti nello stesso modo”.
Così è anche nell’esercito. C’è il generale con le sue truppe, i soldati furono amati da Cesare, da Napoleone. Questo essere amati è un punto importante, decisivo.
Non dimentichiamo però che l’esigenza di uguaglianza della massa vale soltanto per i singoli membri, non per il capo. Tutti i singoli devono essere uguali tra loro, ma tutti quanti vogliono essere dominati da uno solo.
Tutti uguali. Questa è la massa
Molti uguali che possono identificarsi l’un l’altro, e uno soltanto che tutti li sovrasti: questa è la situazione che troviamo attuata nella massa capace di sopravvivere. Ci sentiamo perciò di rettificare l’affermazione di Trotter che l’uomo è un animale che vive in gregge, sostenendo che egli è piuttosto un animale che vive in orda, un essere singolo appartenente a un’orda guidata da un capo supremo. [Ibidem, pag. 309]
Freud qui “corregge il tiro” rispetto a Trotter: non gregge, ma orda che segue uno solo. Per questo ci vuole una persona intensamente amata.
Emerge un concetto nuovo. L’aspetto gregario è un aspetto probabilmente filogenetico, che nasce per assicurare il funzionamento dell’organismo, ha una certa autonomia, è una sorta di pulsione, di istinto, che sicuramente nasce dalla costituzione biologica. Esso ha anche la funzione di non perdere l’amore, di essere amati e di riferire l’amore a una persona che ha la capacità di amare tutti. Nella religione la cosa è molto evidente, uno può perdere tutto l’amore, ma alla fine si rifugia nell’amore di Dio.
In questo libro Freud non parla ancora di Es, Io e Superio, su cui scriverà alcuni anni dopo: questo che noi diamo per scontato non c’è ancora.
Freud deve fare i conti con l’ideale dell’Io che non è l’Io, ma qualcosa di molto diverso. L’Io è la sede dell’elaborazione delle percezioni, della relazione cosciente con il mondo esterno ed è anche costituito da una parte inconscia, ossia dai meccanismi di difesa. L’ideale dell’Io risponde alla domanda: “come vorrei essere io”, che diventa: “come chi vorrei essere io”.
Mentre il Superio è l’istanza del dovere: “io devo fare quel che tu mi ordini di fare”, l’ideale dell’Io è quella dell’aspirazione: “sarò come chi tu vuoi che io sia”. C’è una profonda differenza tra come tu mi obblighi a essere e come io vorrei essere per compiacere te. Io voglio sapere come tu mi vuoi e adeguarmi a come tu mi vuoi.
“Psicologia delle masse e analisi dell’Io” è un grande libro, visto a posteriori. Attraverso di esso la psicoanalisi entra in una dimensione socio-politica che non poteva mancarle. La psicoanalisi non è soltanto una teoria scientifica, è anche un modo d’interpretare il vivere umano, e inevitabilmente finisce per invadere il campo politico e religioso, cosa di cui Freud era abbastanza consapevole e di cui aveva un grande timore.
Freud era partito da alcuni paradigmi, la chiesa e l’esercito, a cui aggiungeva quello dell’aristocrazia. È, quello in cui scrive, il periodo in cui era già nato il partito socialista, fondato nei primi del ‘900, e c’era già stata la rivoluzione bolscevica; parlare di aristocrazia, perciò, era in qualche modo anacronistico. Partendo da questi parametri Freud aveva individuato degli elementi, che noi abbiamo chiamati, con Bion, “assunti di base”. Freud non ne parla; noi usiamo tale espressione per “sincretismo”, ricollegandoci alla terminologia bioniana oggi prevalente. Freud parla di elementi leganti in questi gruppi, e individua attacco e fuga nell’esercito, idealizzazione del capo nella religione.
Il secondo punto è il concetto della gregarietà, che Freud estende. Abbiamo due concezioni diverse, la politica e la concezione della gregarietà della massa. Freud aveva un grande disprezzo per le masse: anche se possedeva una grande disponibilità emozionale individuale, sul piano politico considerava gli uomini una massa di “poco di buono”, stupidi e vagamente mascalzoni; il suo sentimento era l’oraziano “odi profanum vulgus et arceo” (odio il volgo profano e lo tengo lontano: Orazio, Odi).
Freud era dalla parte degli arcigni reazionari; un po’ come Dante che, prima di entrare all’inferno, trova una massa di personaggi tutti uguali, tormentati dalle mosche, dai tafani, che corrono dietro a uno straccio, che è la bandiera che il primo che passa gli fa vedere davanti “Fama di loro il mondo esser non lassa; / misericordia e giustizia li sdegna: / non ragioniam di lor, ma guarda e passa”
In questo concetto di gregarietà c’è in realtà un disprezzo per tutte quelle posizioni politiche che in quel periodo stavano assumendo grande importanza.
A questo punto Freud introduce il concetto di ideale dell’Io. Si tratta di un concetto molto ambiguo attraverso cui si possono commettere grossi errori emotivi e storico-sociali: basti pensare a Hitler o Stalin. Nonostante la retorica del mondo moderno consideri la parola “ideale” come sinonimo di “elevato”, in realtà essa è estranea a tale concetto, ma significa “rappresentato dall’idea”, ossia al di fuori dell’esperienza e, quindi, preconcetto, pregiudiziale.
Sarebbe senz’altro concepibile che anche la differenziazione tra l’ideale dell’Io e l’Io non venisse tollerata a lungo e che temporaneamente dovesse recedere.
Nel delirio l’io e l’ideale dell’io sono assai lontani tra loro; nella realtà l’io e l’ideale dell’io dovrebbero avvicinarsi.
Riguardo a tutte le rinunce e limitazioni che vengono imposte all’Io, la trasgressione periodica dei divieti è la regola, com’è dimostrato dall’istituzione delle feste, le quali in origine non sono altro che eccessi prescritti dalla legge che infatti devono a tale effetto liberatorio il loro carattere gioioso.
Ogni tanto l’io “perde le staffe”, e in fondo è ciò cui mira. Bisogna, però, istituzionalizzare queste trasgressioni perché se l’eccesso diventa individuale, non limitato da regole, non è più ammissibile. Ad esempio, io non posso mettermi a gridare “rompigli la testa!” se sono solo, ma se sono in un campo di calcio lo posso fare. L’Io costruisce l’ideale ma ha bisogno di prendersi la sua parte d’importanza e poter dire ogni tanto: “lei non sa chi sono io!”, che è il tipico desiderio dell’espansione dell’Io.
Sotto quest’aspetto essenziale i Saturnali dei Romani e il nostro odierno carnevale coincidono con le feste dei primitivi, che sogliono sfociare in sfrenatezze d’ogni sorta cui s’accompagna la trasgressione dei comandamenti altrimenti più sacri.
Il carnevale è il contrario del digiuno della Quaresima. Questa e il Ramadan sono due facce della stessa medaglia.
L’ideale dell’Io include d’altronde tutte le limitazioni cui l’Io deve conformarsi, e per questa ragione l’abrogazione dell’ideale dovrebbe essere una festa grandiosa per l’io, il quale avrebbe di nuovo la possibilità di essere soddisfatto di se medesimo.
Le limitazioni dell’Io provengono dall’ideale dell’Io. Se questo viene (temporaneamente) abolito, l’Io si riprende le sue possibilità di espansione, perché in fondo l’ideale dell’Io è un modo per accettare d’essere il più possibile compressi.
Il tipico ideale dell’Io ottocentesco era la nascita nobiliare. In quel secolo, c’era molta letteratura che descriveva il “romanzo familiare” del nevrotico: un individuo era orfano, o appartenente a una famiglia di povera gente, e ad un certo punto scopriva di essere figlio di un milord. Vedi “Il piccolo lord”, “Senza famiglia” ed altri romanzi di quell’epoca.
Quando qualcosa dell’Io coincide con l’ideale dell’Io si determina sempre una sensazione di trionfo. Anche il senso di colpa e il senso di inferiorità possono essere intesi come espressione della tensione tra l’Io e l’ideale.
Esistono come è noto degli individui il cui stato d’animo generale oscilla periodicamente, passando attraverso un certo stadio intermedio, da una depressione eccessiva a una grande sensazione di benessere; tali oscillazioni comportano ampiezze assai diverse, da quelle appena percettibili a quelle estreme che, sotto forma di melanconia e mania, incidono in modo assai tormentoso o disturbante nella vita delle persone che ne sono affette.
Freud sa benissimo che l’eccitazione è un aspetto della mania di Kräpelin, ma lo inserisce in qualcosa di empaticamente comprensibile, collegando le oscillazioni dell’umore al concetto di distanza dall’ideale dell’Io. Nella mania c’è un avvicinamento all’ideale dell’Io, ma nello stesso tempo esso perde la sua differenza dall’Io. L’Io si comporta come l‘ideale dell’Io nella fase florida espansiva finché ad un certo punto l’Io viene come “osservato” dal Super Io, che gli dice: “tu credi di essere come il tuo modello ideale, ma ne sei lontano mille miglia”; e allora l’individuo diventa melanconico. Il problema è quanto l’Io si avvicini e quanto si distanzi dall’ideale dell’Io. L’ideale dell’Io mi dice come io vorrei essere e il Super Io mi dice come io devo essere. Tutte e due sono istanze inconsce, non consapevoli.
Freud direbbe: “se tu vuoi diventare il centrattacco della nazionale, questo è il tuo preconscio che ti ha sostituito l’ideale dell’Io; il tuo ideale originario, se osserviamo bene, è quello di dominare la madre, un ideale incestuoso. Così come vuoi fare gol nel campo sportivo di fronte ad 80.000 persone, così vuoi dominare e tenere in pugno la madre nel mondo antico”.
Nei casi tipici di questa depressione ciclica le cause immediate esterne non sembrano svolgere alcuna parte decisiva; quanto ai motivi interni non troviamo in questi malati nulla di più o nulla di diverso che in tutti gli altri. È pertanto invalsa l’abitudine di considerare non psicogeni tali casi. Di altri casi di depressioni cicliche, in tutto simili a queste, ma facilmente riconducibili a traumi psichici, parleremo tra breve.
La vera causa di tali oscillazioni spontanee dello stato d’animo è quindi sconosciuta; non siamo in grado di penetrare nel meccanismo per cui una melanconia trapassa in una mania. Che siano questi i malati riguardo ai quali potrebbe valere la nostra supposizione che il loro ideale dell’Io si è temporaneamente dissolto nell’Io, dopo averlo in precedenza governato con particolare severità?
Atteniamoci al principio di evitare le oscurità: in base alla nostra analisi dell’Io è fuori discussione che nel maniaco l’Io e l’ideale dell’Io sono confluiti insieme, per modo che, in uno stato d’animo di trionfo e di contentezza di sé non turbato da alcuna autocritica, la persona può rallegrarsi della mancanza di inibizioni, riguardi e autorimproveri.
Freud molto acutamente parla di teoria: non sappiamo il perché, ma ipotizziamo ciò che è alla base della mania tramite questa teoria, non con l’esperienza. “Supponiamo che nel maniaco l’ideale dell’Io diventi l’Io”: questa è una grande intuizione. Come si fa a far coincidere l’Io con l’ideale dell’Io senza diventare maniacali? Nelle masse, si prende l’ideale dell’Io e lo si trasferisce sul capo, sul leader: “tu si sei tutti noi!". “Duce sei tutti noi!” si vedeva scritto ovunque. Nei maniaci l’ideale dell’Io diventa l’Io di “tutti noi”.
È meno evidente, e pur tuttavia assai verosimile, che l’infelicità del melanconico sia l’espressione di un violento dissidio tra le due istanze dell’Io; dissidio nel quale l’ideale ipersensibile dichiara, implacabile, la propria condanna dell’Io sotto forma di delirio di piccolezza e di autodenigrazione.
Nel melanconico la distanza è enorme. Un ideale dell’io a cui l’Io si avvicina è la mania, la grandiosità. Nel melanconico l’ideale dell’Io è troppo lontano dall’Io, “guarda come dovrei essere e come invece io sono”. Il Poeta dice: “Ah, fu una nota del poema eterno quel ch’io sentiva, e picciol verso or è”.
Delirio di grandezza e di autodenigrazione convivono nel delirio di Cotard, tipico degli stati misti; qui c’è il massimo della commistione tra mania e melanconia: l’ideale dell’Io è appagato nella sua grandiosità, e nello stesso tempo il delirio di piccolezza compare. “Non esiste più nulla, non ho più niente, non ho più gli organi, non esiste più la città, esisto solo io nel mio eterno dolore”. La coincidenza tra ideale dell’Io e Io è sublimata nella Divina Commedia: Dante è l’unico vivo tra tutti i morti, e i santi, gli angeli, Dio, sono tutti là ad aspettarlo.
La lettura di Freud ci permette di capire di più, di estendere la nostra visuale in due direzioni; è una lettura “strabica”: gli occhi da un lato vanno alla realtà sociale, dall’altro vanno alla realtà clinica individuale. Qui, poi, abbiamo aggiunte riguardo alla comprensione della psicosi maniaco-depressiva ed altre ancora che riguardano comportamento sociale.
È incerto soltanto se occorra cercare la causa del modificarsi delle relazioni tra Io e ideale dell’Io nelle periodiche ribellioni che abbiamo testé postulato contro la nuova istituzione, o se invece occorra renderne responsabili altre circostanze.
L’improvvisa trasformazione in mania non è una caratteristica necessaria nel quadro clinico della depressione melanconica. Esistono melanconie semplici, che insorgono una sola volta o anche si ripetono periodicamente, le quali non incorrono mai in questo destino
Freud sa già che sul piano clinico il disturbo dell’umore può essere bipolare o monopolare.
Esistono d’altra parte melanconie nelle quali svolge manifestamente una funzione etiologica l’occasione che le ha determinate. Sono le melanconie che insorgono dopo la perdita di un oggetto amato, per la sua morte o per circostanze che hanno reso necessario il ritiro della libido dall’oggetto. Una siffatta melanconia psicogena può sfociare nella mania, e tale ciclo può ripetersi più volte come nel caso di una melanconia che sembrerebbe spontanea. La situazione è quindi abbastanza oscura, anche perché finora sono state sottoposte all’esame psicoanalitico soltanto poche forme e casi di melanconia. Comprendiamo finora soltanto quei casi in cui l’oggetto è stato abbandonato perché si è dimostrato indegno d’amore. Esso viene allora ricostruito nell’Io mediante identificazione e severamente condannato dall’ideale dell’Io. I rimproveri e le aggressioni contro l’oggetto si manifestano sotto forma di autorimproveri melanconici.
Per Freud dunque l’oggetto perduto è deteriorato, attaccato, per lo stesso fatto che è perduto, il caro estinto è un cadavere e bisogna liberarsene. Deve in qualche modo essere introiettato mentalmente, con tutto il deterioramento del cadavere, e a questo modo tutta la rabbia per l’abbandono viene introiettata. Questo fa sì che l’Io si allontani massimamente dall’ideale dell’Io che ha un oggetto fortemente amato. Ecco perché quanto più una persona era attaccata all’oggetto perduto, tanto meno è depresso, tanto più odiava la persona perduta, tanto più è depresso. Naturalmente ciò comporta una maggiore divergenza tra l’ideale contenuto nell’oggetto e la realtà dell’oggetto introiettato e deteriorato. Il grave depresso, alla morte della moglie, tanto più soffre quanto la moglie è stata odiata, non quando è stata amata.
Anche una melanconia siffatta può improvvisamente trasformarsi in mania; tale possibilità, quindi, rappresenta un aspetto indipendente delle altre caratteristiche del quadro clinico.
Non vedo comunque alcuna difficoltà a prendere in considerazione per entrambi i tipi di melanconie, quelle psicogene e quelle spontanee, il fattore della ribellione periodica dell’Io contro l’ideale dell’Io. Nelle melanconie spontanee possiamo supporre che l’ideale dell’Io tenda a sviluppare una particolare severità, che poi automaticamente conduce alla revoca temporanea dell’ideale stesso. In quelle psicogene l’Io verrebbe stimolato alla ribellione dal maltrattamento subìto ad opera del suo ideale, maltrattamento cui l’Io è sottoposto quando si identifica con un oggetto ripudiato. [Ibidem, da pag. 318 a pag. 320]
Nelle depressioni spontanee la distanza tra Io e ideale dell’Io era troppo grossa, e ciò porta ad uno scollamento ed alla ribellione, mentre in quelle psicogene la persona ideale, ripudiata ed interiorizzata, maltratta l’Io. L’ideale dell’io può essere mantenuto anche senza arrivare alla pazzia, in cui una persona diventa illimitatamente grandiosa. Ciò avviene attraverso l’investimento idealizzante di un oggetto; e quanto più un oggetto è considerato ideale da più persone tanto più sarà facile rafforzare l’investimento affettivo sull’ideale dell’Io, salvaguardando, così, la propria salute mentale.
Freud viveva in un’epoca complessa, con imponenti fenomeni collettivi; era l’epoca della guerra mondiale, in cui milioni di persone andavano a farsi ammazzare per motivi che non conoscevano. Freud aveva visto la grande rivoluzione russa, dove gli ideali grandiosi lo avevano colpito, e alcuni suoi allievi c’erano caduti; inoltre in quel tempo stava già insediandosi il fascismo in Italia. Egli vedeva grandi masse oceaniche intorno a sé che si identificavano con i loro leader, e che potevano mettere in grave pericolo tutto il mondo, grazie alla perdita della coscienza dell’Io.
Qui dice una cosa di estremo interesse, anche valutando il problema in generale.
Già in virtù delle due ultime osservazioni siamo preparati a rilevare che le tendenze sessuali dirette [non inibite nella meta] sono sfavorevoli alla formazione di una collettività.
Il sesso e la massa sono in contrasto. Si può investire sulla massa, sul gruppo, sul partito, ma bisogna disinvestire dal corpo, dalla sensualità. Tendenze sessuali dirette e massa sono in contrasto. È lì che “son caduti” i ragazzini nel ‘68, che volevano la mobilitazione delle masse e la libertà sessuale. La libertà sessuale è un fatto di élite, non élite sociale ma personale; il sesso è una cosa che non “fa massa”, non è socializzabile; se lo fa, è perduto. Freud aveva capito che entrando nella massa bisognava fare una rinuncia pulsionale.
Anche nella storia evolutiva della famiglia si sono invero avute relazioni collettive di amore sessuale (il matrimonio di gruppo) ma, quanto più importante per l’Io diventa l’amore sessuale, quanto più l’amore sessuale produceva innamoramento, tanto più imperiosamente esso esigeva che il rapporto fosse limitato a due persone — una cum uno — limitazione prescritta dalla natura stessa della meta genitale.
Il mondo del ‘68 si basava sulle comuni, e Freud aveva già capito molto prima che questo non poteva funzionare. La dimostrazione sperimentale fu che tutte le comuni crollarono per questi elementi affettivi che non tollerano la condivisione. Più di uno nella vagina non si può stare, a volte si sta in due ma è un problema…
Le inclinazioni poligamiche vennero indirizzate a trovar soddisfacimento nel succedersi e nel mutare degli oggetti sessuali.
I poligami cercano di fare scissioni, di cambiare oggetto; l’harem è possibile solo se c’è un sultano, non è possibile nella comune.
Le due persone che si incontrano allo scopo del soddisfacimento sessuale, per il solo fatto che cercano la solitudine, costituiscono una testimonianza a sfavore della pulsione gregaria, del sentimento collettivo.
Nel ’68 si diceva: “noi l’amore lo facciamo in pubblico”. Freud è un borghese dell’800: neanche un bacino sulla guancia si dava in pubblico!
Quanto più sono innamorate, tanto più perfettamente bastano l’una all’altra. Il rifiuto dell’influenza della massa si manifesta come senso di pudore. Le più violente commozioni della gelosia vengono chiamate a raccolta per proteggere la scelta oggettuale dal pregiudizio che potrebbe derivarle da un legame collettivo.
Il pudore è in contrasto con la massa.
Solo allorquando la componente tenera, e pertanto personale, di una relazione amorosa scompare per intero dietro quella sensuale, diventano possibili l’amplesso di una coppia in presenza di altre coppie, o atti sessuali simultanei all’interno di un gruppo, come nel caso dell’orgia. In tal modo si ha però una regressione a uno stadio primitivo delle relazioni sessuali, stadio nel quale l’innamoramento non svolgeva ancora alcuna funzione e gli oggetti sessuali venivano ritenuti tutti equivalenti, più o meno nel senso della feroce battuta di Bernard Shaw secondo la quale essere innamorati significa esagerare indebitamente la differenza tra una donna e un'altra.
Bernard Shaw è l’espressione culturale teatrale di quello che è il totale controllo degli impulsi e lo spegnimento britannico dell’entusiasmo.
Esistono numerosi indizi del fatto che solo tardi l’innamoramento fece il suo ingresso nelle relazioni sessuali tra uomo e donna, di modo che anche l’avversione tra amore sessuale e legame collettivo fu qualcosa che si sviluppò tardi. Ora può sembrare che tale ipotesi sia incompatibile con il nostro mito della famiglia originaria. La schiera dei fratelli deve essere stata spinta all’uccisione del padre dall’amore per le madri e le sorelle, ed è difficile rappresentarsi tale amore come qualcosa di diverso da una commistione indissolubile, primitiva e perciò profondissima, tra amore tenero e amore sensuale.
In “Totem e tabù” Freud dice: “i fratelli messi assieme uccidono il padre e in seguito istituiscono il totem e la legge sociale”: l’influenza del padre, morto ucciso, diventa legge sociale.
Ad una considerazione ulteriore tale obiezione si risolve però in una conferma. Una delle reazioni all’uccisione del padre fu dopo tutto l’istituzione dell’esogamia totemistica, il divieto di qualsiasi relazione sessuale con le donne della famiglia amate teneramente fin dall’infanzia.
Prima legge: il totem. Il padre viene ucciso perché impedisce i rapporti con la madre e con le sorelle. Ucciso il padre, si verrebbe a creare una società disordinata, pantogamica e incestuosa. Si costruisce allora il totem, che tramuta in leggi i precedenti divieti del padre. La prima legge: no all’incesto
Cosi tra i modi teneri e quelli sensuali del maschio venne frapposto il cuneo che ancor oggi rimane saldo nella sua vita amorosa. A causa di tale esogamia i bisogni sessuali dei maschi dovettero accontentarsi di donne estranee e non amate.
Se si è amata la mamma, il totem impone di cercare una donna che non sia la mamma: un cambiamento che, all’inizio, non si farebbe volentieri. Il bambino passa dalla mamma a un'altra donna in modo molto complicato, con difficoltà. Gli omosessuali hanno un grande innamoramento per la mamma, e quando c’entra la mamma un uomo è poco valido per le altre donne. È un dato di fatto clinico.
Nelle grandi masse artificiali, chiesa ed esercito, non c’ è posto per la donna in quanto oggetto sessuale. La relazione amorosa tra uomo e donna rimane estranea a tali organizzazioni.
Per la chiesa la donna è il demonio. Per l’esercito la donna è sempre un po’ una prostituta: la donna non ha spazio se non come oggetto svalutato, magari ricercato ma in modo svilito. In questo senso la donna è spesso oggetto di apprezzamenti e commenti salaci da parte dei commilitoni.
Anche laddove si formano masse composte sia di uomini che di donne, la differenza tra i sessi non svolge alcuna funzione. È praticamente privo di senso domandarsi se la libido che tiene unite le masse sia di natura omosessuale o eterosessuale, …
Quello che tiene uniti i tifosi di una squadra, o i componenti di un partito non è omosessualità. Così come non è omosessualità quello che vediamo nelle palestre dove pure ci sono culturisti, che si ungono con l’olio, ed uno sale sulle spalle dell’altro: è un fenomeno legato alla comunanza dell’ideale dell’Io, che qui è povero e deteriorato ma è pur sempre un ideale dell’Io. L’ideale dell’Io è sistemato a vari livelli, dall’esistenza di Dio, alla legge morale, all’attacco contro il nemico, ai muscoli che uno ha.
… essa non risulta infatti differenziata in base ai sessi, e, in particolare, prescinde per intero dalle mete dell’organizzazione genitale della libido.
La sessualità genitale non c’entra, le mete genitali della libido non c’entrano.
Gli impulsi sessuali diretti serbano anche nell’essere singolo altrimenti assorbito nella massa una certa attività individuale.
Il grande problema del gruppo è che al suo interno è difficile parlare di sessualità.
Dove diventano troppo forti, disgregano qualsiasi formazione collettiva. La chiesa cattolica ha avuto degli ottimi motivi per raccomandare ai suoi credenti l’astensione dal matrimonio e per imporre il celibato ai suoi sacerdoti, ma ciò non ha evitato l’uscita frequente dalla chiesa di ecclesiastici che si erano innamorati.
Se i preti si potessero sposare, la chiesa cattolica diventerebbe una sorta di grande comunità, perderebbe in gran parte il suo rituale: ha bisogno pertanto di eliminare il sesso per poi riprenderlo per vie trasgressive. Di sesso nel Vangelo non si sente parlare.
In maniera analoga l’amore per la donna spezza i legami collettivi della razza, della separazione nazionale e dell’ordinamento sociale basato sulle classi, con effetti importanti per la civiltà.
Prima ingiunzione che il nazismo doveva imporre ai tedeschi era: “Tu; ariano, di un’ebrea non ti puoi innamorare”, cosa che non ha proprio senso comune. Per fare questo bisognerebbe sopprimere la spontanea tendenza ad idealizzare, perché se no io che ci posso fare se m’innamoro di un’ebrea?
Sembra assodato che invece l’amore omosessuale tollera assai meglio i legami collettivi, anche laddove compare come impulso sessuale non inibito; è questo un fatto degno di nota, la cui spiegazione potrebbe portarci lontano.
L’indagine psicoanalitica delle psiconevrosi ci ha insegnato che occorre derivare i sintomi di queste da impulsi sessuali diretti rimossi, ma rimasti attivi. Possiamo completare questa formula aggiungendo: o da impulsi sessuali inibiti nella meta la cui inibizione non sia riuscita del tutto o abbia dato la possibilità di un ritorno alla meta sessuale rimossa.
A tale stato di cose corrisponde il fatto che la nevrosi rende asociali, fa uscire la persona che ne è colpita dalle formazioni collettive che le sono abituali. Si può dire che la nevrosi produca sulla massa un effetto di disgregazione analogo a quello prodotto dall’innamoramento.
La nevrosi è legata a un elemento di modificazione delle istanze sessuali, e l’istanza sessuale cambiata, edulcorata, produce un effetto disgregativo nella massa. La nevrosi è individuale, e un agorafobico non partecipa alle masse.
Per contro si può osservare che laddove si è avuta una potente spinta alla formazione collettiva le nevrosi recedono e, per un certo periodo almeno, possono scomparire. È stato anche effettuato il legittimo tentativo di utilizzare terapeuticamente tale antagonismo tra nevrosi e formazione collettiva. Anche colui che non rimpiange la scomparsa delle illusioni religiose nell’odierno mondo civile ammetterà che, fin quando furono in vigore, esse offrirono a coloro che vi erano soggetti la più forte protezione contro il pericolo della nevrosi. Non è neanche difficile riconoscere in tutti i legami che vincolano a sètte e comunità mistico-religiose o filosofico-mistiche un modo distorto di curare nevrosi di ogni genere. Tutto ciò si connette alla contrapposizione tra impulsi sessuali diretti e impulsi sessuali inibiti nella meta.
Abbandonato a sé stesso, il nevrotico è costretto a rimpiazzare con le sue strutture sintomatiche le grandi formazioni collettive da cui è escluso. Egli si crea il proprio mondo fantastico, la propria religione, il proprio sistema delirante, e reitera in tal modo le istituzioni dell’umanità in una forma contorta che attesta chiaramente l’apporto preponderante degli impulsi sessuali diretti.
Sembra che Freud dica: “né la persona sana, né il nevrotico sono adatti alle grandi masse”. Ci vuole una costituzione particolare. Esistono elementi aggreganti, nelle grandi masse, legati allo spirito gregario, con perdita dell’autonomia dell’io.