Siamo arrivati al secondo volume dell’opera, volume che raccoglie una serie di lavori che sono contemporanei a quelli sull’isteria, pubblicati fra il 1892 e il 1897.
È un libro molto importante, nonostante sia poco conosciuto, in quanto non vi sono opere comunemente ritenute di rilievo. Nel primo volume ci sono gli studi sull’isteria, nel terzo volume c’è l’interpretazione dei sogni, mentre questo è un libro che tratta della co- struzione di una teoria molto importante. Contiene, grosso modo, tre tipi di argomenta- zione. Una serie di lavori che rientrano nel gruppo “Minute teoriche per Wilhelm Fliess”: annotazioni personali che l’editore ha tratto da lettere e da appunti. Queste minute han- no grande importanza perché costruiscono la teoria nosologica di Freud, che lascerà grandi tracce nella nosologia attuale.
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Il secondo gruppo di lavori è intitolato “Progetto di una psicologia”. È un tentativo di Freud di adeguare le sue cognizioni psicologiche e le sue innovazioni con quello che si conosceva allora sul funzionamento del sistema nervoso centrale. Si tratta di un tentativo particolare che è stato poi ripreso nel 1988-89, una ventina di anni fa, da una serie di fi- siologi, arrivati alla conclusione che in fondo Freud aveva espresso intuitivamente cose giuste. È una sorta di ancoraggio della psicologia freudiana alla biologia, ancoraggio che Freud non volle mai perdere.
Il terzo argomento è di grande interesse clinico e generale: riguarda una serie di osserva- zioni sul funzionamento della memoria. Le due più importanti opere di questo gruppo sono: “Meccanismo psichico della dimenticanza”, lavoro complesso e famoso che tratta dei meccanismi selettivi dell’oblio, e “Ricordi di copertura”, che concerne i ricordi che si sostituiscono ad altri.
Freud parla di personaggi, ma in realtà parla di sé stesso.
Cominciamo con la storia di una signora, tratta dalle “Minute a Fliess”. È noto che la storia dei rapporti con W. Fliess fu molto complicata: W Fliess era un otorinolaringoiatra di Berlino, un tipo alquanto bizzarro, che instaurò con Freud un rapporto strettissimo, tanto che Freud costituì la cosiddetta Società Psicoanalitica insieme a lui.
Queste minute sono opere che in qualche modo produssero insieme: Fliess fu molto im- portante per Freud, perché, se non ci fosse stato, Freud non avrebbe potuto parlare che con sé stesso.
Il rapporto tra i due fu molto conflittuale, quasi erotizzato. Ci sono passi nelle lettere in cui si percepisce chiaramente che il rapporto privilegiato di Freud con Fliess abbia avuto sfumature omosessuali; il che spiegherebbe anche la violenza con cui il loro legame fu reciso. I rapporti, infatti, finiscono con violenza e con astio solo se sono intensamente amorosi. Fliess indusse Freud a ragionare molto, ma soprattutto a non irrigidire la sua posizione scientifica, perché si trattava di un tipo veramente fantasioso: aveva costruito l’idea che la nevrosi nascesse dalla presenza di vegetazioni nei turbinati nasali. Fece la famosa gaffe della nobile signora di Vienna. Freud convinse costei a farsi operare da Fliess poiché soffriva di una nevrosi di vecchia data. Fliess la operò ai turbinati senza che
ne avesse bisogno. La signora iniziò a stare sempre peggio, con malessere e febbre, fin- ché un otorinolaringoiatra di Vienna, chiamato dai parenti disperati, estrasse 7-8 metri di garza che Fliess aveva dimenticato nel naso, e questa nobildonna guarì dalla febbre, ma non certo dalla nevrosi. Questo fu un episodio per Freud assai disastroso, che lo dan- neggiò molto sul piano professionale.
Il seguente è un caso che Freud manda per lettera a Fliess.
Signora P. J. Età: 27 anni
Era sposata da tre mesi. Suo marito, un viaggiatore di commercio, aveva dovuto lasciarla poche settimane dopo il matrimonio ed era assente già da alcune setti- mane. Essa sentì assai la sua mancanza ed ebbe molto desiderio di lui. Era stata cantante o, per lo meno, aveva ricevuto lezioni di canto. Sedeva un giorno al pia- noforte cantando per passare il tempo quando improvvisamente si sentì male: di- sturbi all’addome e allo stomaco, giramenti di testa, sensazioni di oppressione, angoscia e parestesia cardiaca; pensò d’impazzire. Un attimo più tardi le venne in mente che quella mattina aveva mangiato uova e funghi; si ritenne pertanto avvelenata. Il malessere tuttavia scomparve rapidamente. Il giorno seguente la ragazza di servizio le disse che una donna, la quale abitava nella stessa casa, era diventata pazza. Da allora essa non si liberò più dall’ossessione, accompagnata da angoscia, che anche lei sarebbe impazzita.
Questo è il caso. Suppongo, dapprima, che si sia trattato di un attacco d’ango- scia, una scarica sessuale trasformatasi in angoscia. Un attacco del genere, teme- vo, può aver luogo senza che vi si congiunga alcun processo psichico.
Freud non avrebbe fatto tali affermazioni in un lavoro ufficiale, lo scrive nelle lettere a Fliess, perché tratta della carica sessuale trasformata in angoscia, e si tratta di una consi- derazione confidenziale.
Non voglio, tuttavia, escludere la possibilità più favorevole che si possa andare alla ricerca di questo processo e anzi ho fissato di farne il punto di partenza del mio lavoro. Mi attendevo di trovare quanto segue. Essa aveva avuto desiderio di suo marito, cioè di relazioni sessuali con lui, imbattendosi così in un’idea che aveva eccitato l’emozione sessuale e, in un secondo tempo, una difesa contro di essa; allora si era spaventata e aveva fatto un falso nesso o sostituzione. Dappri- ma le chiedo le circostanze di contorno dell’avvenimento: qualcosa doveva averle ricordato suo marito. Cantava l’aria della Carmen: “Sugli spalti di Siviglia…” Gliela faccio ripetere ma essa non ricorda esattamente le parole…
Qui è evidente come Freud sia ancora immerso nella mentalità ottocentesca: non capisce neppure quello che i grandi scrittori e gli artisti comprendono perfettamente: deve dire “c’è una sessualità che diventa disturbo fisico saltando la psiche”, e lo dice chiaramente. Ma poi perché tira in ballo il marito? Perché mai questa donna doveva avere avuto desi- deri sessuali riguardanti necessariamente il marito? Il marito sarà stato molto probabil- mente l’ultima persona, in ordine di tempo, per cui questa donna aveva avuto desideri sessuali. Ma quanti anni ci sono voluti per capire che ciò non poi è così obbligatorio?
Freud parte da questa convinzione, ma subito dopo si contraddice parlando della Car- men. La Carmen, nelle varie rappresentazioni, era certamente una donna di facili costu- mi. È una donna che ammalia e seduce tutti: il soldato, che prima diserta per lei e diventa quindi contrabbandiere, perché a lei piace così; poi conosce e si innamora del torero e abbandona il soldato, finché questi la uccide. È abbastanza chiaro che se nel canto della paziente non c’è “la passione secondo San Matteo”, ma la Carmen, ci sarà un motivo. Freud lentamente arriverà a questa conclusione, giungendo alla teoria della seduzione dei bambini, che poi abbandona, creando una polemica che si estinguerà solo nel 1990.
Ciò che c’insegna Freud è questo: se una persona parla della Carmen, bisogna pensare che cosa vuol dire Carmen. Bisogna saper individuare i riferimenti della musica (come pure della letteratura e di tutto il resto) all’individuo nello specifico periodo in cui egli sta vivendo. L’inconscio non interviene a caso: se in qualche modo interviene ci deve essere un motivo. Bisogna imparare a connettere e assemblare con un po’ di buon senso quanto ci viene riferito! Se però al primo colloquio con una donna con grave crisi di angoscia e con un profondo elemento di insoddisfazione sessuale, doveste cominciare a raccogliere l’anamnesi e a chiedere: “lei ha fatto il morbillo?”, la signora tra di sé penserà: “perché mai mi viene a chiedere queste cose? Questo non mi capirà mai!”.
Bisogna sempre rispettare la prelazione di importanza legata alla relazione che si instaura con il paziente, per cui l’anamnesi medica va messa da parte in questo tipo di rapporto. Basta considerare quante volte capita che a settantacinquenni con gravi melanconie ven- ga iniziata l’anamnesi chiedendo: lei è nato a termine? (a 75 anni, con la melanconia!), o se nato da parto eutocico o distocico. Si capisce l’immensa sproporzione che si crea nella relazione, e l’inconscio subito risponderà: “questo medico non m’interessa”.
… “A qual punto le sembra di aver avuto l’attacco?” Non lo sa. In seguito a mia pressione (sulla sua fronte), dice che era accaduto dopo che aveva finito di canta- re l’aria.
Si comincia a capire, tramite questa pressione sulla fronte, che la donna ha desideri ses- suali, che egli ha rilevato, e che vi è una qualche connessione con l’aria della Carmen (ri- cordate quel film, “Amicizie pericolose”, in cui c’era il protagonista che andava dalla fi- danzata, suonava l’aria della Carmen, al pianoforte, e sembrava una marcia funebre. Il bravo regista è riuscito ed esprimere al meglio lo stato d’animo del personaggio, facen- dogli suonare un pezzo così intensamente erotico con un ritmo da marcia funebre: ciò descriveva con precisione il rapporto tra lui e la sua fidanzata).
La mano sulla fronte oggi è facilmente interpretabile, ma Freud ci direbbe: “tu lo dici 120 anni dopo ché te l’ho raccontato io!”. Ma a Freud si potrebbe replicare: “tu hai una signora con desideri sessuali violenti e tu dici che l’oggetto è il marito, ma abbiamo capi- to tutti che il marito non c’entra: la signora parla della Carmen, quindi c’è un’istanza ses- suale trasgressiva; e tu cominci a toccarla, le metti la mano nella fronte!”. Si vede come Freud alla fine riesce a capirlo.
È possibile: può essersi trattato di una sequenza di pensieri suscitato dalle parole del canto. Asserisco che prima dell’attacco doveva aver avuto dei pensieri che for-
se non ricorda. Infatti non ricorda nulla, ma la pressione (sulla fronte) produce “marito” e “desiderio”. Continuando a insistere, quest’ultimo si precisa come un desiderio di tenerezze sessuali. “Ne sono convinto: il suo attacco non era altro che uno stato di effusione amorosa. Conosce la canzonetta del paggio?
“Voi che sapete che cosa è amor, / Donne vedete s’io l’ho nel cor…”
Ma doveva esserci stato qualcosa d’altro, una sensazione nella parte bassa del corpo, un bisogno convulso di urinare.” Essa conferma, ora; l’insincerità delle donne inizia con l’omissione dei caratteristici sintomi sessuali quando descrivono i loro stati. In realtà, dunque, era stata una polluzione.
“Vede, allora, che un tale stato di desiderio in una giovane donna abbandonata dal marito non può essere nulla di cui vergognarsi?” Al contrario, lei pensa, pro- prio così ha da essere. “Molto bene, ma allora mi manca il motivo dello spavento. ‘Marito’ e ‘desiderio’ non possono certo spaventarla, devono perciò mancare, qui, anche altri pensieri più appropriati allo spavento.” Ma essa aggiunge soltanto di aver sempre avuto paura del dolore fisico causato dal rapporto sessuale, ma che il suo desiderio era stato molto più forte del timore di quel dolore. A questo punto interrompiamo.
È davvero da sospettare che nella prima scena (al pianoforte), oltre ai pensieri nostalgici relativi al marito (da lei ricordati), sia penetrata più addentro una se- quenza di pensieri non ricordata, che conduce a una seconda scena. Ma io non so ancora dove trovare un aggancio. Oggi arriva in pianto e disperata, evidente- mente senza alcuna fiducia nel successo di questo tipo di terapia. La resistenza è perciò già all’erta e tutto riesce molto più difficile. Voglio sapere quali pensieri fossero ancora capaci di spaventarla. Essa enumera ogni genere di cose, ma sen- za importanza a questo riguardo. Che per lungo tempo non era stata deflorata (cosa che il professor Chrobak le aveva confermato); che a ciò attribuiva il suo nervosismo, e aveva quindi desiderato che la deflorazione si compisse. — Si trat- tava naturalmente di un’idea posteriore. Fino all’epoca della prima scena era sta- ta in buona salute. Finalmente ottengo l’informazione che essa ha già avuto un simile attacco con le stesse sensazioni, ma molto più debole e transitorio. (Da ciò io scorgo che il cammino che conduce nel profondo parte proprio dall’immagine mnestica della polluzione.)
Freud dice: “Certo, questa donna ha delle difficoltà sessuali, ma cosa ci sarà sotto di esse? Qualcosa connesso con la memoria”. In quel periodo Freud lavora molto sulla memoria, cercando di elaborare, in proposito, un suo concetto.
Poi passiamo a quella scena. A quel tempo — quattro anni addietro – era stata scritturata a Ratisbona; aveva cantato in una prova, la mattina, ed era piaciuta. Nel pomeriggio, in casa, aveva avuto una “visione”, come se “vi fosse stato qual- cosa” (una lite) tra lei, il tenore della compagnia e un altro uomo, e in seguito aveva l’attacco con la paura d’impazzire.
Qui, dunque, si ha una seconda scena, che era stata sfiorata per associazione nel- la prima. Dobbiamo riconoscere che anche qui vi sono delle lacune nella memo- ria. Altre rappresentazioni dovevano figurarvi, concorrendo a giustificare in essa la scarica sessuale e lo spavento. Domando di questi anelli intermedi, ma invece ricevo motivazioni da parte sua. La vita di teatro, nel suo insieme, non le era pia- ciuta. “Perché?” Per la rudezza del direttore e i rapporti reciproci fra gli attori. Chiedo particolari su quest’ultimo punto. C’era una vecchia attrice comica che i giovani si divertivano a canzonare chiedendole se potevano passare la notte con lei. “Avanti, qualcosa a proposito del tenore.” Egli aveva infastidito anche lei; alla prova le aveva messo una mano sul petto.
Qui sono evidenti i ruoli: il tenore è il ruolo amoroso, quello che canta all’amor suo. Qui c’è questa visione del teatro che Freud cerca di interpretare.
“Attraverso i vestiti o sulla nuda pelle?”
Qui Freud fa in un certo senso quello che oggi farebbe il confessore: “ma sotto o sopra?”
Essa conferma dapprima la seconda versione, poi si ricrede; era vestita da pas- seggio. “Bene, che c’è d’altro?” Tutto quel tipo di rapporto, quell’abbracciarsi e baciarsi fra colleghi era per lei spaventoso. “E poi?” Di nuovo la rudezza del di- rettore; del resto c’era rimasta soltanto pochi giorni. “L’assalto del tenore era av- venuto nello stesso giorno del suo attacco?” No; non sa se sia accaduto prima o dopo. Le indagini col mezzo della pressione rivelano che l’assalto era accaduto nel quarto giorno della sua permanenza e l’attacco nel sesto. Interrotto per fuga della paziente. (O.S.F., Vol. 2, da pag. 45 a pag. 48)
Qui, man mano che si procede, la figura del marito viene abbandonata: viene fuori quella del tenore. Qui c’è una condizione tipicamente ottocentesca: questi episodi nel mondo borghese non succedevano, ma nel mondo del teatro sì, nel teatro si facevano battute e scherzi. Le donne del teatro di allora erano quel che oggi sarebbero in banca, nei super- mercati, nei servizi di salute mentale: oggetto di battute, scherzi, che allora erano presenti solo nelle opere teatrali.
Questa lettera è molto interessante perché descrive il modo di procedere di Freud, e an- che la sua mancanza di consapevolezza del perché della fuga. Perché lui ha mosso troppo le mani? Possibile che non si sia accorto che lui era il tenore di oggi? Che se il tenore metteva le mani sul petto, sopra o sotto, lui metteva le mani sulla fronte, sicuramente so- pra?
Un secondo pezzo, riguardante le nevrosi di difesa, è molto famoso. S’intitola: “Favola di Natale”.
Freud nello scrivere è di una chiarezza tale che, se uno non lo comprende, è certamente colpa sua. Egli si fa sempre capire, e questo deve invitare alla lettura delle sue opere; que- ste sono completamente all’opposto di come scrivono, in modo molto complesso, gli psicoanalisti di oggi, usando terminologie spesso sganciate dal linguaggio corrente.
C’è poi un'altra minuta a Fliess, nella quale Freud prova ad impostare una nosologia delle nevrosi.
Freud analizza le nevrosi com’erano allora; nevrosi è un termine molto generico, intro- dotto da uno scozzese alla fine del 600, intendendo con questo termine tutte quelle ma- lattie che producevano disturbi somatici, funzionali, senza una causa dimostrabile. In questo periodo, nella categoria delle nevrosi erano compresi molti altri disturbi, come anche l’epilessia, fino a quando non furono scoperti i potenziali elettrici rilevabili al EEG. Poi il termine di nevrosi, rimasto nella sua accezione negativa, ha cominciato a precisarsi suddividendosi in psiconevrosi e nevrosi somatiche. Ma qui siamo già nel 1904. Ai tempi in cui Freud scriveva “Favola di Natale”, “nevrosi" era un termine gene- rico; esistevano solo il termine generale nevrosi e quello, più specifico, di isteria. Freud, a questo punto, cerca di distinguere le nevrosi suddividendole in nevrosi traumatica e ne- vrosi attuale. Quelle traumatiche sono le nevrosi legate a un evento che ha provocato spavento o paura; in quelle attuali c’è qualcosa di somatico che agisce internamente, ad esempio un eccesso di masturbazione o il coitus interruptus. Infine c’è una piccola parte: le neuropsicosi di difesa (“Abwehrneuropsychosen”). In queste esistono elementi emoti- vi, in genere sessuali profondi, che tendono a manifestarsi direttamente e “somaticamen- te”, come nella signora cantante, oppure vengono rimossi, eliminati, nascosti, ed emer- gono attraverso sintomi che stanno al posto di quello che c’era prima e che era stato ri- mosso. Questo è il principio cardinale della terapia analitica. In quell’epoca, Freud era convinto che una piccolissima parte di nevrosi fossero così, e che la maggior parte fosse- ro di altro tipo. Ancora siamo a questo punto: in questa favola di Natale, scritta nel Nata- le del 1895, troviamo una fantasia, un discorso da raccontare a Fliess come una favoletta. S’intitola “Neuropsicosi da difesa”, che nell’edizione italiana è tradotto con il termine “Nevrosi da difesa”.
Ne esistono quattro tipi e molte forme. Io posso solo mettere a confronto l’iste- ria, la nevrosi ossessiva e una forma di paranoia. Esse hanno varie cose in comu- ne.
Cominciamo a classificare, isteria, nevrosi ossessiva e paranoia. Freud cerca qui di costi- tuire una nosologia che non c’è ancora; essa andrà a far parte di quella che oggi è la no- stra nosologia, quella del DSM, che corrisponde all’indice dell’opera del trattato di Krä- pelin del ‘26: Psicosi maniaco-depressiva, Dementia Praecox (schizofrenia), Amentia (forma psico-organica acuta), Dementia (forma psico-organica cronica). Per Kräpelin, le nevrosi non erano da considerare come patologie da curare; e neppure la tossicodipen- denza, anche se quei tempi ne era affetta mezza Europa! Il laudano era usato quasi da tutti (chi ha una nonna che non ha usato il laudano?), contro il mal di pancia si usava l’oppio, i frontalieri di Francia erano “rimbambiti” dall’assenzio. Kräpelin non si sarebbe mai sognato di curare questa gente! Avrebbe detto: “se costoro sono così incapaci di vi- vere son fatti loro”. Un’altra cosa sono le psicosi. Freud comincia a farsi strada in ambito nosografico, parlando di isteria, nevrosi ossessiva e paranoia. Paranoia è un termine piut- tosto ambiguo. Paranoia e demenza sono due termini che, in questo contesto, non hanno ancora assunto la loro caratteristica convenzionale. Invece per quanto riguarda l’isteria tutti sapevano cos’era. Ma di nevrosi ossessiva nessuno aveva ancora parlato. L’unico ad
averlo fatto in quell’epoca era stato Janet, usando il termine “psicoastenia”, in quanto, in base alla sua teoria, la considerava legata al fatto che lo strato mentale superiore non controllasse più quello inferiore, che entrava così in automatismo. Questo era un termine molto usato per la nevrosi ripetitiva; termine appreso dalla psichiatria francese (Charcot, Janet ecc.) dalla quale Freud era affascinato.
Sono aberrazioni patologiche di normali stati affettivi psichici: di conflitto (iste- ria), di autoaccusa (nevrosi ossessiva), di mortificazione (paranoia) e di lutto (amenza allucinatoria acuta). Esse differiscono da questi affetti perché non con- ducono ad alcuna eliminazione ma a un’offesa permanente dell’Io. Sono causate dagli stessi motivi dei loro prototipi affettivi, quando per il motivo si adempiano due altre condizioni, che esso sia di natura sessuale e che si verifichi in un perio- do anteriore alla maturità sessuale (condizioni della sessualità e dell’infantilismo). Sulle condizioni della persona non mi è noto nulla di nuovo; direi in generale che l’ereditarietà è un’ulteriore condizione, in quanto facilita e aumenta l’affetto patologico; è cioè quella condizione che soprattutto rende pos- sibili le gradazioni tra la normalità e gli estremi. Non credo che l’ereditarietà de- termini la scelta della nevrosi da difesa. Vi è una normale tendenza alla difesa, cioè un’avversione a dirigere l’energia psichica in modo da produrre dispiacere. Questa tendenza, connessa coi più fondamentali attributi del meccanismo psi- chico (la legge della costanza), non può essere diretta contro le percezioni, poi- ché queste sono capaci di svegliare l’attenzione (come è dimostrato dal fatto che sono consce); essa agisce solamente nei riguardi dei ricordi e delle rappresenta- zioni mentali. È innocua ove si tratti di rappresentazioni alle quali un tempo era legato dispiacere, ma incapaci, di suscitare dispiacere attuale (altro dal dispiace- re ricordato); anche in tali casi, essa può essere sopraffatta dall’interesse psichi- co.
La tendenza alla difesa è però dannosa se è diretta verso rappresentazioni capaci, come ricordi, di liberare nuovo dispiacere, com’è il caso delle rappresentazioni sessuali…
Freud afferma che c’è una carica di energia psichica che porterebbe al piacere, ma questo risveglia alcune rappresentazioni come elementi inaccettabili che non si sa bene quali sia- no. Non si può combattere la percezione, si può invece combattere la rappresentazione e la memoria. La rappresentazione e la memoria vengono poi allontanate con modalità di- fensive, e al loro posto emerge questo quadro nevrotico.
… Qui, in realtà, si realizza l’unica possibilità di un ricordo che abbia successi- vamente una capacità liberante maggiore di quella prodotta dall’esperienza a esso corrispondente. È solo necessario, per questo, che tra l’esperienza e la sua ripetizione nella memoria si inserisca la pubertà, la quale intensifica di molto l’effetto del risvegliarsi mnemonico. Il meccanismo psichico sembra impreparato a questa eccezione, ed è di conseguenza condizione indispensabile, per non in- correre nelle nevrosi da difesa, che non si sia verificata prima della pubertà una considerevole irritazione sessuale, l’effetto della quale tuttavia, per giungere a li- vello patologico, deve essere accresciuto da una predisposizione ereditaria.
(A questo punto si apre un problema collaterale: come accade che in condizioni analoghe insorgano, invece della nevrosi, perversione o semplice immoralità?)
Ben addentro agli enigmi psicologici conduce l’indagine sull’origine del dispia- cere, che sembra venir liberato dalla stimolazione sessuale precoce e senza il quale, d’altronde, non si può spiegare una rimozione. La risposta più plausibile si rifà alla constatazione che la vergogna e la moralità sono le forze rimoventi, e che la prossimità in cui si trovano per natura gli organi sessuali non può non destare, al momento delle esperienze sessuali, anche il disgusto…
Si percepisce la radice della grande affermazione freudiana di qualche anno dopo, e cioè che noi paghiamo un tributo altissimo, in termini di vivere civile, alla nostra struttura biologica, con la vergogna e la moralità – vedete come ancora il senso biologico non è venuto fuori — Qui si vede come Freud non sia ancora abbastanza darwiniano. Darwin avrebbe detto: “tu stai parlando di un finalismo, non esiste fine nell’evoluzione”. Darwin enuncia, come primo concetto, l’assenza di un fine. Resta chi trova le strutture di soprav- vivenza adeguate. La monogamia, ad esempio, sarebbe, in una prospettiva darwiniana, una struttura di sopravvivenza. Sarebbe “un elemento che le classi dominanti impongo- no per dominare sulle classi inferiori”, sosterrebbe una certa posizione marxista. Se non ci fossero gli interessi delle classi dominanti, la vergogna e la moralità non esisterebbero. “I preti predicano ai poveri, ma poi dopo con i ricchi fanno i bagordi” avrebbe detto Rilke, e l’avrebbe detto senza nessun intento morale, poiché è naturale che sia così! La fortuna di Freud è stata quella di essere molto intuitivo ma di non superare le cose in modo brusco e rivoluzionario (non faceva come i nostri sessantottini!). Egli aveva uno spirito rivoluzionario d’innovazione, ma non era un rivoluzionario alla Robespierre!
… Dove non esiste vergogna (come nelle persone di sesso maschile) o non c’è moralità (come nelle classi popolari più basse), …
Qui Freud afferma che non esiste vergogna nelle persone di sesso maschile (questo non è di certo un pregiudizio suo!), e che non esiste moralità nelle classi più basse. Questa affermazione, allora corrispondeva al vero: la moralità era tutta borghese; essa faceva sì che se un uomo porgeva il braccio ad una signora e andava con lei alla prima dell’opera, ciò voleva dire un rapporto ‘da gossip’. La signora non usciva mai di casa (e però si con- cedeva a tutti gli autisti di carrozza). Freud è immerso dentro la sua epoca, e se ne scio- glie lentamente con passaggi graduali e quasi naturali.
Si potrebbe pensare "Ecco, Freud era un reazionario", ma questo sarebbe fuori dal con- testo, sarebbe come accusare Giulio Cesare o Federico Barbarossa di non avere conside- razione per il suffragio universale: il secondo avrebbe detto: “Io ho il suffragio universa- le, tutti i principi palatini di Baviera votano”, e il primo: “I senatori votano tutti”.
… dove il disgusto è smussato dalle condizioni di esistenza (come in campagna), …
In campagna l’esperienza era diversa, ad es. l’esperienza sessuale in campagna era diversa da quella in città, solo per il fatto che tra un filare di vite e l’altro è più facile infrattarsi che in una strada di città.
… non ci sarà alcuna rimozione, e quindi nessuna nevrosi risulterà dalla stimola- zione sessuale infantile. Nondimeno io temo che questa spiegazione non regga a un esame più profondo. Non credo che la liberazione di dispiacere durante le esperienze sessuali sia il risultato di una fortuita mescolanza di certi fattori spia- cevoli. L’esperienza di ogni giorno ci insegna che se la libido è sufficientemente grande non si prova disgusto e la morale viene superata, e ritengo che l’insorgere della vergogna sia connesso con l’esperienza sessuale mediante legami più pro- fondi. La mia opinione è che vi debba essere una fonte indipendente che libera dispiacere nella vita sessuale: …
Qui Freud si sta avvicinando all’idea dell’Edipo, all’idea della sessualità infantile. Si sta gradualmente liberando di questi concetti di moralismo legato alle classi sociali. C’è qual- cos’altro che è comune a tutti. Sicuramente Darwin gli avrebbe detto: “ma chi ti credi essere tu, un borghese biologicamente diverso dagli appartenenti alle altre classi sociali?”. Freud si sta liberando di questa presunzione.
… se questa fonte è presente, essa può attivare sensazioni di disgusto, rafforzare la moralità e così via. Mi riferisco al modello della nevrosi d’angoscia negli adulti, dove parimenti una quantità proveniente dalla vita sessuale che, altrimenti, avrebbe trovato altra utilizzazione nel processo sessuale provoca un disturbo nel- la sfera psichica. Fintantoché non possederemo una teoria esatta del processo sessuale, la questione dell’origine del dispiacere, attivo nella rimozione, rimarrà irrisolta.
Il corso della malattia nelle nevrosi da difesa è in generale sempre lo stesso: 1) l’esperienza sessuale (oppure la serie di esperienze) traumatica, prematura, che è da rimuovere; 2) la rimozione di questa esperienza in un’occasione posteriore che ne ridesta il ricordo, e nello stesso tempo la formazione di un sintomo primario; 3) una fase di difesa riuscita, che assomiglia alla salute, eccetto per l’esistenza del sintomo primario; 4) la fase in cui le rappresentazioni rimosse ritornano, ove du- rante la lotta tra queste e l’Io si formano nuovi sintomi, quelli della vera malattia, cioè una fase di adeguamento, di sopraffazione o di guarigione che reca in sé un difetto.
Le principali differenze tra le singole nevrosi si rivelano nel modo in cui ritorna- no le rappresentazioni rimosse, altre si mostrano nella formazione dei sintomi e nel decorso della malattia. Ma il carattere specifico delle diverse nevrosi risiede nelle modalità di esecuzione della rimozione.
Il procedimento più chiaro per me è quello della nevrosi ossessiva, poiché è la nevrosi che ho imparato a conoscere meglio. [Ibidem, pag. 49, 50, 51]
Fino a questo punto Freud ha parlato di nevrosi, descrivendo l’isteria, la nevrosi ossessi- va, la paranoia e la nevrosi d’angoscia. In seguito preciserà questa suddivisione classifi- cando le nevrosi in: isteria di conversione, nevrosi d’angoscia, nevrosi ossessiva, nevrosi fobica, classificazione che corrisponde a quella che usiamo ancora oggi. La differenza tra queste forme sta nel tipo di trauma che ne sta alla base, che deve essere sempre sessuale,
nel tipo di rimozione o di difesa. Qui Freud comincia a delineare l’idea del meccanismo di difesa. Ad esempio la difesa dell’isteria è la conversione, la difesa della nevrosi ossessi- va consiste nella formazione reattiva. Questo verrà elaborato successivamente, ma, già in questa favola di Natale, Freud fantastica la possibilità di capire come nascono le nevrosi e come possono essere classificate.
Più avanti sentirà il bisogno di cercare una relazione tra il funzionamento della psiche e quello del sistema nervoso.
Il pensiero di Freud ha un iter preciso: il primo punto è quello nosologico, in cui Freud tenta di classificare, di sistemare le nevrosi; nel secondo egli è immerso nella fantasia di costruire un progetto neurofisiologico-psicofisiologico della mente, il primo che sia stato pensato, con l’intento di creare una psicologia per neurologi, ossia una psicologia che te- nesse conto del sistema nervoso centrale; progetto che per il 1800 era certamente ante litteram, anche se è vero che nel 1895 fiorivano queste ricerche. Per fare alcuni nomi Broca, Wernicke, lo stesso Von Brücke, il suo maestro, gli studi sulle afasie (l’indagine sul linguaggio era allora fondamentale). Si stava scoprendo che lesioni a certe aree del cer- vello corrispondevano a specifiche alterazioni funzionali. Il terzo punto, forse quello che a noi interessa di più, comprende annotazioni su almeno tre capisaldi: il primo riguarda la natura sessuale delle nevrosi (qui Freud torna al suo vecchio concetto e lo stabilizza), il secondo è quello che riguarda il meccanismo della dimenticanza e il terzo è quello che riguarda i ricordi di copertura.
Freud comincia ad interessarsi a questi strani meccanismi a partire dall’isteria: l’isteria è una malattia della memoria, in cui gli elementi mnesici prendono vie particolari, emer- gendo in un certo modo.
Nella prima parte Freud aveva questa posizione: riteneva che le nevrosi potessero essere distinte nei seguenti tre sottotipi: nevrosi attuali, che erano le nevrosi legate ad alterazioni fisiche, che potevano derivare dal coitus interruptus e dalla masturbazione. – Questa ve- niva allora indicata come una malattia in base ad una strana commistione, che esisteva nell’800, tra posizioni moraliste, bigotte e laiche. L’800 era un mondo strano! Non di- mentichiamo che questa, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, era un’epoca di grandi e fe- condi fermenti, in cui furono fatte le più grandi scoperte: dalla radio, alla radioattività. Nel 1870 Helmut indicava la teoria fisica della luce come lunghezze d’onde e nello stesso anno il papa Pio IX proclamava il dogma dell’Immacolata Concezione. Un mondo di contrasti. – Poi c’erano per Freud le nevrosi traumatiche, legate al trauma, e infine le ne- vrosi di difesa (Abwehrneuropsychosen), che per Freud erano una piccola parte di tutte le nevrosi, ma su cui concentrò tutto il suo interesse, cominciando dalla minuta a Fliess: “Favola di Natale”.
Il racconto di Natale è indirizzato a Fliess, che insieme a lui rappresentava la “società psicoanalitica”. Fliess, come ho detto poc’anzi, era un otorinolaringoiatra di Berlino, che aveva elaborato l’idea che le nevrosi fossero legate a disturbi dei turbinati, delle adenoidi, delle tonsille. Oggi intuiamo facilmente come l’eliminazione chirurgica delle tonsille sia un equivalente della castrazione. Fliess aveva questa idea, ed è singolare che una persona così ingenua, così paranoica come Fliess avesse avuto tutto quel fascino su Freud. La re-
lazione finirà con una lite, come può esserci fra amanti, non tra colleghi. Sicuramente sotto, inconsciamente c’era una relazione profonda che finì quando ci fu l’incidente della nobildonna operata da Fliess.
In questa favola di Natale Freud sosteneva che le neuropsicosi devono essere quelle in cui qualche profondo disturbo della memoria induce la formazione del sintomo.
Sono almeno di tre tipi: -l’isteria
-le ossessioni
-le fobie
Qui le fobie sono ancora incluse nell’isteria di angoscia, poiché allora erano vissute come qualche cosa di secondario all’angoscia.
In seguito Freud dividerà l’isteria dall’angoscia, suddividendo isteria d’angoscia e isteria di conversione, ossessioni e fobie.
Ci avviamo al concetto di neuropsicosi di difesa. Freud non poteva fare a meno di avere a che fare con Janet, che era stato il primo a parlare della teoria degli strati mentali.
Janet affermava che l’apparato psichico è fatto a strati, basandosi sulla teoria Jacksoniana, secondo la quale l’apparato neurologico è fatto a strati, e questo è facilmente dimostrabi- le; i neuroni di primo ordine, quelli corticali, agiscono con modalità inibitoria su quelli di secondo ordine. Janet allo stesso modo sosteneva che esiste una funzione inibitoria supe- riore che impedisce alla parte inferiore di mettersi in funzionamento. La nevrosi ossessi- va si evidenzia, così come l’ipertonia neurologica, quando il controllo superiore viene a mancare. Per questo ancora qualcuno chiama la nevrosi ossessiva “psicoastenia”, proprio perché c’è questo concetto di insufficienza di controllo. Non è chi non veda l’imposta- zione analogica, di Janet, in cui la malattia mentale è una metafora di quella neurologica.
In questo concetto di neuropsicosi Freud parla di Janet, quasi obbligatoriamente, visto che costui rappresentava la teoria di nevrosi più diffusa e più accettata.
Secondo la dottrina di Janet, la scissione della coscienza costituisce un carattere distintivo primario dell’alterazione isterica
Scissione della coscienza è un termine che è rimasto nella psichiatria francese come di- stintivo dell’impostazione prevalente in quel paese. Questa teoria si basa sulla dissocia- zione della coscienza e sugli stati diversi di coscienza dell’Io che si sovrappongono, come nella bouffée delirante, termine che deriva anch’esso dalla psichiatria francese, proprio perché questo potere inibitorio di controllo viene meno e si instaurano degli automatismi non soltanto di ripetitività di pensiero ma anche automatismi percettivi, come ad esem- pio allucinazioni.
Essa si basa su una deficienza costituzionale della capacità di sintetizzare gli elementi della vita psichica, su di una limitazione del “campo di
coscienza” (champ de conscience) che, in qualità di stigma psichico, attesta la degenerazione del soggetto isterico.
In netto contrasto con la concezione di Janet, la quale, a mio parere, dà adito alle più disparate obiezioni, si trova quella sostenuta da Breuer nella nostra comuni- cazione congiunta. Secondo Breuer, “base e condizione” dell’isteria è la presenza di particolari stati di coscienza di tipo traumatico con limitata capacità di asso- ciazione, stati per i quali Breuer propone il nome di “stati ipnoidi”. La scissione della coscienza è dunque secondaria, acquisita, e può avere luogo solo in quanto le rappresentazioni affioranti negli stati ipnoidi sono tagliate fuori dai rapporti associativi con il rimanente contenuto della coscienza.
Mi è ora possibile apportare le prove di quanto sostenuto esponendo due casi di altre forme estreme di isteria, casi in cui la scissione della coscienza non può as- solutamente essere considerata primaria nel senso di Janet. Nella prima di queste forme mi è più volte riuscito di dimostrare che la scissione del contenuto di co- scienza è conseguenza di un atto di volontà del malato, e che cioè essa è indotta da uno sforzo di volontà la cui motivazione è comunque individuabile. Con ciò non intendo naturalmente affermare che il malato si proponga intenzionalmente di determinare la scissione della sua coscienza; l’intenzione del malato è un’altra, ma essa non raggiunge il suo scopo e perciò provoca una scissione della coscien- za. In una terza forma di isteria, da noi individuata mediante l’analisi psichica di malati intelligenti, la scissione della coscienza riveste un ruolo insignificante, o forse nullo. Sono questi i casi in cui non si ha che il perdurare della reazione di fronte allo stimolo traumatico, reazione che però non può essere liquidata e gua- rita per “abreazione”; si tratta insomma di casi di vera isteria da ritenzione.
Per quanto si riferisce alle fobie e alle ossessioni, ci interessa solo quella seconda forma di isteria che io, per motivi che tra non molto appariranno ovvi, ho chiama- to isteria da difesa, volendo con tale nome distinguerla dalla isteria ipnoide e dal- la isteria da ritenzione. I miei casi di isteria da difesa potrei anche presentarli, per il momento, come casi di isteria “acquisita”, dato che per essi non si può parlare né di gravi tare ereditarie, né di deficit degenerativo costituzionale.
Infatti, nei pazienti da me analizzati vi era stata sanità psichica fino al momento in cui nella loro vita ideativa si era presentato un caso di incompatibilità, ossia fino a quando al loro Io non si era presentata un’esperienza, una rappresentazio- ne, una sensazione che aveva suscitato un affetto talmente penoso, che il sogget- to aveva deciso di dimenticarla, convinto di non avere la forza necessaria a risol- vere, per lavoro mentale, il contrasto esistente tra questa rappresentazione in- compatibile e il proprio Io.
Nei soggetti di sesso femminile, simili rappresentazioni incompatibili si svilup- pano per lo più sul terreno delle esperienze e della sensibilità sessuali; le amma- late ricordano anzi con la più auspicabile precisione gli sforzi compiuti per di- fendersene e i propri propositi di “scacciare” la cosa, di non pensarci, di repri- merla. [Ibidem, pag. 122, 123]
Qui il discorso è sottile; si tratta del seguente concetto: la scissione della coscienza c’è in tutti e due i casi e per entrambi si parla di inconscio. C’è una parte di coscienza conosciu- ta e una parte non conosciuta; la parte non conosciuta è inconscia. La differenza tra Freud e Janet è che per Janet la posizione è statica; esiste qualche fenomeno degenerati- vo, organico, patologico, ereditario che conduce alla scissione (e questa posizione rimane ancora nella psichiatria francese). Janet fa un esempio straordinario preso da Tolstoj. Qui c’è la figura del generale che vince le guerre perché psicoastenico. C’è la descrizione di quest’uomo quando Napoleone invade la Russia, e lui deve opporsi. Lo fa con tutta la sua ottusità: descrizione che fa Tolstoj, e che Janet riporta, è quella del generale, in una dacia russa, seduto vicino alla stufa (erano enormi apparati di maiolica e di mattoni) che stava accarezzando la testa ad un bambinetto, durante il consiglio di guerra. Tutti diceva- no la loro, mentre lui si assopiva. Ad un certo punto si svegliava di colpo, prendeva l’ul- tima opinione che aveva sentito e quella era la decisione. Così fa l’ossessivo, prende le decisioni per stanchezza, per esaurimento. Così si libera del problema.
Per Freud non è così: egli dice chiaramente che il nostro inconscio è dinamico. Ci sono elementi per i quali la coscienza è paragonabile ad un pallone messo nell’acqua. Il pallone è soggetto al colpo dell’onda che lo tira su, ma se lo si vuole tenere allo stesso livello bi- sogna variare la forza della mano, oppure si può usare l’immagine del pallone gonfiato. Se aumenta la pressione esterna si deve necessariamente aumentare anche quella interna, se invece la pressione esterna diminuisce bisogna diminuire quella interna, perché altri- menti nel primo caso il pallone si affloscia, nel secondo si rompe. Freud fa capire che c’è un certo intervento della coscienza in questi meccanismi, affermando che c’è un certo interesse a nascondere, alterare, modificare. La situazione è dinamica. Si sa che nell’isteria individuare la parte consapevole e la parte non consapevole è sempre molto difficile. C’è una certa mescolanza, per cui qui il rapporto tra coscienza e inconscio è assai sottile. Questa è la differenza che Freud fa sul piano nosologico: l’isteria è a metà tra la menzo- gna totale e quella parziale. C’è un continuum di menzogna che nasconde, e questa è una esperienza che tutti noi abbiamo, per cui bisogna dare atto a Freud che, oltre a darci un quadro nosologico della nevrosi ci offre un quadro di tutti noi. Quante volte noi non ab- biamo chiaro se la nostra è una menzogna o se una realtà oggettiva; quante volte ci con- vinciamo della veridicità di un’affermazione in realtà menzognera che poi diventa parte di noi!
Qui si comprende il carattere dinamico della concezione di Freud rispetto a quella di Ja- net, come si vede anche la innovatività della sua impostazione: “l’Io non è padrone in casa propria, però è in grado di cambiare le carte in tavola”. La mente è plastica, il che vuol dire: “non fidatevi di quel che vedete, non fidatevi di quel che pensate, state attenti, perché vi sembra di aver ragione ma non l’avete, perché state portando il vostro ragio- namento da un'altra parte”. Per merito di Freud oggi sappiamo bene tutte queste cose. Sappiamo bene che se una persona cambia idea, c’è un interesse, un elemento emotivo dietro, altrimenti non lo farebbe! La vischiosità della mente è attaccata a certi interessi. L’interesse emotivo fa agio sull’interesse di conoscenza razionale. Sapere le cose, vederle chiare, non serve a niente, perché se io voglio sapere le cose in un altro modo non c’è niente da fare. Questo è quello che dice Freud a questo punto, riportando casi con qua- dri diversi. Sta perfezionando la sua nosologia.
Leggiamo alcune tranche di osservazioni cliniche che lui riporta in un lavoro subito dopo questo, che non a caso si intitola “Ossessioni e fobie”. Freud sta qui costruendo la noso- logia: c’è l’isteria da una parte e dall’altra ossessioni e fobie.
Osservazione 5
Ragazza che si era quasi completamente isolata per paura ossessiva dell’inconti- nenza di urina. Non riusciva più a lasciare la sua camera o a ricevere visite, senza aver prima urinato un gran numero di volte.
Sovente ci sono persone che vanno spesso alla toilette, ma in questi casi non c’entrano problemi alla prostata, qui si tratta di gente giovane che ha bisogno di andare a fare una piccola quantità di urine, poi si va a sdraiare e poi deve ritornare ad urinare. Si tratta di un comportamento piuttosto comune, che però può diventare di entità tale da costituire una patologia conclamata. Io ho avuto modo di seguire una paziente che non poteva es- sere trasferita di posto di lavoro se non in un luogo raggiungibile coi treni perché, dove non si poteva spostare in quel modo, c’era il problema dell’autobus, e lei, con tale mezzo, non poteva avere la garanzia di urinare quando voleva. La paziente era capoufficio di un’azienda pubblica; ne venne fuori un’enorme questione legale presso il tribunale del lavoro e la signora ebbe riconosciuta la sua ragione. Come perito mi bastò dire che non lo faceva apposta e il giudice mi diede ragione. Ho portato questo esempio per mostrare la struttura che aveva questa persona. Costei aveva usato l’espressione “mi hanno messo in croce”. Ebbene, quando venne da me notai una lesione circolare emorragica e necro- tica a entrambe le palme delle mani; la mandai da un dermatologo che fece diagnosi di “stigmate”. Non si trattava di stigmate religiose: era la vita che la “metteva in croce”.
In questa osservazione si vede come Freud sia un clinico abilissimo. Questa è ossessività, non isteria. Freud capisce subito che non si tratta di un quadro di conversione, poiché qui c’è la ripetitività, il bisogno di rassicurarsi.
A casa sua e in riposo assoluto, la sua paura scompariva.
Rettifica
Rettifica vuol dire epicrisi. Qui Freud cerca di vedere le cose da un altro punto di vista.
Si trattava di un’ossessione di tentazione o sfiducia. Più che della sua vescica, la paziente non si fidava della sua capacità di resistere a un impulso amoroso.
Freud a questo punto cambia le carte in tavola. Qui per la prima volta nella storia della psichiatria c’è una visione innovativa dell’ossessione: “ma come, lei deve urinare tutte le volte, ma non sarà mica che ha paura delle sue istanze di offrirsi?”.
L’origine dell’ossessione lo mostra chiaramente. Una volta, a teatro, alla vista di un uomo che le piaceva molto la ragazza aveva provato un intenso desiderio ero- tico, accompagnato (come sempre avviene nella polluzione spontanea delle don- ne) dal desiderio di urinare.
Qui Freud dice cose che allora apparivano al limite del ridicolo. Sono cose vere, ma ci volevano Masters e Johnson nel ‘46 per fare delle indagini statistiche che hanno dimo- strato come tali affermazioni siano vere. Freud era fermamente convinto di ciò che dice- va, che spesso questa stimolazione urinaria può corrispondere ad una polluzione, ma il termine stesso di polluzione nelle donne allora era sconcertante.
La paziente si vide obbligata a lasciare la sala e, da quel momento, cadde in pre- da alla paura di provare nuovamente quella sensazione, ma al desiderio erotico si era sostituito il desiderio di urinare. Guarì completamente.
A questo punto si vede la sostituzione, la conversione.
Pur mostrando un diverso grado di complessità, tutte le osservazioni riportate hanno in comune il fatto che la rappresentazione originaria (incompatibile) è sta- ta sostituita da un’altra rappresentazione sostitutiva. Nelle osservazioni che sto per riportare, la rappresentazione originaria è stata sì rimpiazzata, ma non da un’altra; essa risulta sostituita da azioni o impulsi che, in origine, hanno servito come elementi di sollievo o come procedimenti protettivi, e che ora si trovano grottescamente associati a uno stato emotivo che non si adatta a essi, ma che è rimasto immutato e altrettanto giustificato di quanto lo fosse all’origine.
Osservazione 6
Aritmomania ossessiva. Una donna si riteneva obbligata a contare le assicelle del pavimento, i gradini delle scale ecc., e che faceva ciò in preda a un ridicolo stato d’angoscia.
Rettifica. La paziente aveva cominciato a contare per distrarsi dalle sue idee os- sessive (di tentazione). Era riuscita nel suo intento ma, all’ossessione primitiva, si era sostituito l’impulso a contare. [Ibidem, pag. 142, 143]
Queste sono le cosiddette “tentazioni di Sant’Antonio”. Una volta, quando ero ragazzi- no, il prete diceva: “Quando vi vengono in testa certe idee, pensate agli alberi, contate fino a 100”, cercando di far sostituire al desiderio sessuale la aritmomania; e invece poi qualcuno stava a contare le donne. Qui abbiamo una sostituzione della realtà.
C’è un altro lavoro in cui si vede bene che Freud sta costruendo la nosologia, e siamo alla nevrosi di angoscia. Esso s’intitola “Legittimità di separare dalla nevrastenia un pre- ciso complesso di sintomi come nevrosi d’angoscia"; siamo sempre nel 1894.
Con questo concludiamo questa carrellata di Freud sulla nosologia delle nevrosi.
Per quanto riguarda la sua essenza intima, la nevrosi d’angoscia dimostra di pos- sedere le più interessanti coincidenze e discordanze con le altre grandi nevrosi, specialmente con la nevrastenia e l’isteria.
La differenza tra nevrosi di conversione e nevrosi di angoscia è la seguente. Nella nevrosi di conversione c’è una situazione complessiva di paralisi, rigidità ecc., accompagnata da uno stato d’animo discordante che arriva addirittura alla “belle indifference”, mentre nel-
la nevrosi di angoscia c’è un’intensa paura: l’angoscia mortale che non ha più un conte- nuto specifico; ciò che oggi definiremmo panico.
Con la nevrastenia essa condivide un carattere fondamentale: il fatto cioè che la fonte dell’eccitamento, causa del disturbo, è di natura somatica, mentre nell’iste- ria e nella nevrosi ossessiva essa è di natura psichica.
Nevrastenia è un termine comparso da poco; sono passati pochi anni dal 1881, quando l’americano Beard scrisse l’opera intitolata “American nervousness”, nervosità america- na, un tipo di nevrosi che oggi chiameremmo disturbo somatoforme, o forma cenesto- patica, o stato d’allarme ipocondriaco, dovuto alla particolare modalità di vita della socie- tà americana. Beard lavorava a New York, e diceva: “qui ci sono molte pressioni, conti- nuamente bisogna stare attenti, ci sono mille responsabilità, c’è il traffico”. Quindi que- sto mondo di tensione era legato ad una sorta di usura.
Del resto, è facilmente rilevabile una sorta contrasto tra i sintomi della nevrosi d’angoscia e quelli della nevrastenia, contrasto che potrebbe essere espresso in termini quali: accumulo — impoverimento di eccitamento.
Non è la stessa cosa: la neurastenia è una astenia nervosa. In seguito si è dimostrato che molti casi di neurastenia erano all’inizio del 900 neurastenia con materia, che molto spes- so i neurastenici erano in realtà affetti da paralisi progressive agli stadi iniziali, corea di Huntington, tubercolosi…
Questo contrasto non impedisce che le due nevrosi si mescolino l’una all’altra, ma si rivela nel fatto che, in ambedue le nevrosi, le forme estreme sono anche le più pure.
Con l’isteria, la nevrosi d’angoscia mostra subito tutta una serie di coincidenze sintomatologiche non ancora adeguatamente valutate.
Freud sta qui cercando di mettere la nevrosi di angoscia, come anche le ossessioni, nello stesso gruppo in cui elementi profondi, emotivi, di tipo “conflitto sessuale” vengono espressi o in un modo o nell’altro. Così si è visto nelle isterie e nelle ossessioni, e adesso Freud sta cercando di inserire la nevrosi d’angoscia in questo gruppo, cercando di fare una distinzione dalla neurastenia che era quella di Beard, legata più ad elementi somatici.
La comparsa delle manifestazioni sia quali sintomi duraturi sia in forma d’attac- co, le parestesie raggruppate a mo’ di aura, le iperestesie e i punti di pressione presenti in determinati surrogati dell’attacco d’angoscia (nella dispnea e nell’at- tacco cardiaco), l’intensificarsi (mediante conversione) di dolori che offrono la possibilità di una giustificazione organica: questi e altri tratti in comune fanno perfino supporre che parte di ciò che viene attribuito all’isteria potrebbe a miglior diritto essere attribuito alla nevrosi d’angoscia.
Freud qui parla di isteria d’angoscia e isteria di conversione.
Esaminando più attentamente il meccanismo delle due nevrosi (anche se entro i limiti di quanto per il momento è reso comprensibile), si ottengono alcuni criteri,
in base ai quali la nevrosi d’angoscia potrebbe perfino essere considerata la con- tropartita somatica dell’isteria. Sia nell’una che nell’altra, si ha un accumulo di eccitamento (fatto su cui è probabilmente basata la somiglianza dei sintomi, pre- cedentemente descritta). Sia nell’una che nell’altra si ha un’insufficienza psichi- ca, in conseguenza della quale si verificano processi somatici abnormi. Sia nel- l’una che nell’altra, l’eccitamento si sottrae alla rielaborazione psichica e devia nel somatico; la differenza sta soltanto nel fatto che nella nevrosi d’angoscia l’ec- citamento, nel cui spostamento si esprime la nevrosi, è puramente somatico (ec- citamento sessuale somatico), mentre nell’isteria è psichico (provocato da un conflitto)
Quindi l’isteria d’angoscia corrisponde ad un quadro più generico, provocato dallo sca- tenamento dell’elemento orgasmico, mentre nell’isteria di conversione il conflitto è più mentale, del tipo “posso fare questo, o non posso farlo…”
Non ci si deve quindi meravigliare se l’isteria e la nevrosi d’angoscia si combina- no regolarmente l’una con l’altra, come nell’“angoscia virginale” o nell’“isteria sessuale”, e che l’isteria prenda semplicemente a prestito dalla nevrosi d’ango- scia una quantità di sintomi, e così via. Queste intime relazioni tra nevrosi d’an- goscia e isteria forniscono inoltre una nuova argomentazione a favore della ne- cessità di separare la nevrosi d’angoscia dalla nevrastenia, dato che, se non si ef- fettuasse una tale separazione, non sarebbe neppure possibili continuare a man- tenere valida quella distinzione tra nevrastenia e isteria che è stata ottenuta tanto faticosamente e che è veramente indispensabile per la teoria delle nevrosi. [Ibi- dem, pag. 175, 176]