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L’incapacità di guardarsi allo specchio. Rossella Valdrè e la sublimazione

30 Giu 15

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Riannodando i fili di quanto scritto nella prima parte della recensione al libro di Rossella Valdrè, continuiamo riallacciandosi al discorso sul destino della sublimazione all'interno della metapsicologia freudiana e del destino nella pratica clinica, si afferma che quando si attraversa il “Mare Magnum”di concetti psicoanalitici di valenza epistemologica analoghi, per impatto, allo spostamento della crosta terrestre (il movimento tellurico diviene fatale quando si decellera, poiché vi è un accumulo di energia), è usuale porsi interrogativi relativi all'uso che ne viene fatto di tale costruzione nella pratica clinica. Come più volte scritto, quanto di filosofico – intendendo con questo attributo la conoscenza – si rintraccia nella sublimazione non può che far insorgere nuovi interrogativi. Quando si parla di soggetti creativi, la distanza che questi mostrano dal contesto culturale in cui sono attori, permette loro una visione priva di giudizio. Nell'artista come nello scienziato, la conoscenza diventa oggetto passionale, ovvero agente erotico, dotato di Eros. Essere dotati di energia erotica significa riconoscere il potenziale energetico della psiche medesima, che diviene motore della civiltà stessa; ogni individuo creativo è un eterno fanciullo che ama la verità, che ha fame e sete di conoscenza. Tali desideri si configurano come bisogni primari (di conoscenza e quindi evolutivi) divengono espressione del corpo della madre: ancora una volta la base femminile come creante l'unità e la solidità della personalità. Tutta la psicologia kleiniana e la psicologia dell'Io (si ricordi Kohut) si è mossa intorno al ruolo esplorante dell'infante in funzione della relazione oggettuale.
La Dottoressa Valdré, denotando la differente posizione teorica non rintraccia delle analogie con la sublimazione stessa: l'importanza dell'ambiente (chi scrive vede la Madre come agente coagulante). Per poter accedere alla facoltà della sublimazione dev'esserci predisposizione ad apprendere. In un ambiente sicuro, ove ciò che conta è il raggiungimento della meta, è di sostanziale importanza la simbolizzazione che è afferente non tanto all'oggetto stesso quanto alla sua rappresentazione. Ciò vuol dire che un rapporto ricostruito con la rappresentazione simbolica della Madre (immagine interiore) si riverbera tanto sull'immaginario stesso, quanto nella relazione concreta con la madre: tutto avviene grazie ad un quantum d'energia che viene impiegata nell'azione coagulante. La psicoanalisi contemporanea più che parlare di sublimazione e/o concetti analoghi oggi disserta intorno al concetto di figurabilità psichica, come scrive Rossella Valdré: oggi la società non è più capace di figurabilità; il soddisfacimento diretto non vuole il passaggio ad un oggetto reale poiché non si dà ascolto al mondo onirico e ai suoi messaggi, importanti se adeguatamente esaminati, preferendo il ricorso anche alla distruttività , all' acting – out. D'accordo con Conrotto e Valdré, se non si è capaci di simbolizzare non si può assolutamente sublimare. Ciò comporta il ricorso a strategie di coping distruttive sia per il singolo, che per il collettivo. Ovviamente sublimazione e sessualità sono legate: il loro destino, dal punto di vista metapsicologico, è coniugare Amore e Morte, laddove gli opposti si coniugano non vi è paradosso.



Altro aspetto connesso alla sublimazione è il lutto. Quando si definisce il lutto si intende una perdita sia concreta che simbolica – si potrebbe dire anche reale ma nell'ambito dei concetti metapsicologici il termine reale equivale a ciò che ha sostanza – configurante uno stato psichico per cui il soggetto pone in dubbio i suoi stessi principi cardine. Quando ciò accade il meccanismo difensivo diviene la molla che blocca il normale flusso libidico, non permettendo l'espressione delle emozioni. Attraverso l'analisi di vissuti luttuosi e grazie al conseguente ribaltamento del trauma, l'espressione che fuoriesce dalla rielaborazione dell'evento può sortire una nuova modalità d'attraversamento della vita. Questa è la sublimazione che si ottiene attraverso il ribaltamento del trauma. Dare una definizione del termine trauma è assai arduo e comporta una digressione che vada al di là di ciò che meramente è riconducibile ad una sola teoria.
Quando si parla di un vissuto di perdita si suole ricercare la causa. Nel caso della sublimazione il trauma attraverso il ribaltamento sortisce l'accesso alla strada infinita della memoria e delle esperienze di vita vissuta. Lutto e trauma sono due termini che in psicologia si usano in maniera interscambiabile. Il ruolo che la sublimazione gioca nel lutto è ambiguo: l'evento traumatogeno genera un elevato flusso di energia che toccano la maniacalità. Secondo quanto riportato dall'autrice la sublimazione si realizza soltanto se il rapporto con la figura materna non è ambivalente, ovvero risente di alterazioni dovute alla relazione d'attaccamento. Ovviamente ciò che slega il vissuto malinconico da una struttura malinconica dipende da come ci si rapporta con l'oggetto. Molto interessante il concetto di “traumatofilia dell'artista”. Parlando del vissuto traumatico, non si può essere d'accordo con quanto riportato da Recalcati, citato dalla Valdré: non è necessario che Thanatos sia per forza negativo. È la sua trasformazione che permette il reinvestimento che genera la creazione artistica o il rifugio in un mondo immaginale attraverso l'espressione di linguaggi diversi dall'ordinario. Certamente come è fragile l'individuo, anche l'oggetto su cui si riverbera il flusso energetico è anch'esso fragile, anch'esso esposto alla distruttività del soggetto medesimo. Si pensi a grandi artisti che volontariamente (ad esempio Holderlin che volontariamente scrive di volersi isolare in una lettera inviata ad un amico) generano opere tali da essere quelle stesse precarie e fragili. Chi scrive si trova d'accordo con Baldacci, riportato dall'autrice, che afferma quanto siano fragili le sublimazioni che hanno carattere artistico, proprio perché bisognose di riconoscimento da parte del collettivo, quel collettivo che raramente riconosce quanto viene creato.
Il capitolo dedicato al rapporto tra la sublimazione e la cura mostra compiutamente il valore inestimabile della metapsicologia freudiana. Come giustamente pone in evidenza la Dottoressa Valdrè, quando si ha la capacità di sublimare il risultato consiste nel ritenere lo stesso processo analitico interminabile. È quanto in tanti hanno criticato negli ultimi anni in riferimento alla possibilità dell'analisi didattica dello stesso analista. Il discorso che intraprendo sembrerebbe non inerente a quanto trattato dalla Valdré; in realtà, se si ritiene la sublimazione l'approdo dell'analisi stessa, avendo la convinzione che la guarigione non la si possa mai ottenere in toto, l'interminabilità di questa permette di esprimere sempre nuovi contenuti che sublimati assumono caratteristiche “artistiche”. In questo modo quanto affermato relativamente all'analisi didattica – per Freud è stata autoanalisi – da i due biografi postumi di Freud e Jung (Bjork – Jacobsen – Shamdasani) nel libro “Dossier Freud” risulta quanto meno discutibile. L'analisi didattica è importante per un solo motivo, a mio avviso: quanto di integrato è nell'analista, tanto lo sarà nel paziente, a maggior ragione se questi ha la capacità di sublimare. In fin dei conti la stessa psicoanalisi, o meglio tutta la Psicologia del Profondo null'altro è che una sublimazione. Si è d'accordo con l'autrice quando “sacralizza” la parola: ciò che viene trasformato nell'analisi è la relazione con l'oggetto perduto, sia esso simbolico o concreto. Lo strumento che l'arte analitica utilizza è la parola, mezzo attraverso cui veicolare sentimenti, emozioni potendo dare forma al proprio vissuto, trasformato grazie all'analisi. Le più grandi sublimazioni – come già è stato scritto – sono frutto di un rovesciamento del trauma  avvenuto per la potenza erotica del transfert. La Dottoressa Valdré in evidenza che la sublimazione di un paziente è slegata dalla persona dell'analista perché è l'analisi stessa a mostrare la dinamica transfert/controtransfert. In sostanza l'autrice mette in evidenza che l'interminabilità dell'analisi gioca un ruolo importante nell' adattamento del paziente alla società in cui è inserito. Accanto all'alto valore della parola, si pone l'arte dell'analista: anch'esso è artista poiché ogni atto analitico agito dalla coppia risultante essere un tassello che edifica rafforzando la base preesistente. Osservando i pazienti nel dopo analisi, l'autrice riesce a mostrare la profondità del lavoro svolto e la compenetrazione che la sublimazione ha in soggetti dotati di capacità artistiche. Allo stesso modo pazienti forieri di sublimazioni minori riescono allo stesso a muoversi nella vita quotidiana avendo più resilienza dinanzi agli ostacoli. Come negli artisti i pensieri si trasformano in azione attraverso la realizzazione di un' opera, così il soggetto nevrotico – pur persistendo una sostanziale presenza del vissuto malinconico – riesce a vivere adeguatamente. Solitamente l'analisi ha un termine deciso da uno dei due membri della coppia: chi sublima ritiene l'analisi importante. Ciò comporta ritenere il processo analitico e la lettura del proprio inconscio, con il Virgilio della della situazione che si fa accompagnatore nei meandri della psiche, loro stessi motivi di ulteriori fasi di adattamento, che nel contempo potrebbero presentare altre cadute. Con quanto scritto si vuole affermare che l'analisi permette di acquisire sicurezza, quella sicurezza che nei creativi è frutto di un ribaltamento del trauma che distanzia dalla società, dalla Kultur della stessa, favorendo sia l'allontanamento che una nuova modalità di partecipazione attiva nella stessa, attraverso la produzione artistica.
Rintracciare il legame esistente tra la creatività e la psicoanalisi tutta è semplice ma – come afferma la studiosa genovese – affascinante e misterioso: ogni analista è un'artista e il contatto che si ha con l'inconscio del paziente dovrebbe porre in essere il contatto con l'inconscio dell'analista. Come solitamente fa chi sta scrivendo la recensione, da un' ottica diversa da quella freudiana, si potrebbe parlare di partecipation mistique, intendendo con ciò la comunicazione che si ha tra due modalità d'espressione del Sè: del paziente e dell'analista. Con questa affermazione si torna al nodo precedente relativo alla relazione analitica. L'analista “artista” ama l'arte, la letteratura e ogni manifestazione della cultura corrente. Per poter essere analista, a mio avviso, vi deve essere amore per il sapere, in ogni sua forma, anche semplicemente apportando critiche a quel che si apprende. Si  è scritto di fame e sete di sapere: anche l'analista deve possedere queste caratteristiche.
Ogni artista vorrebbe che si possa avere il plauso per quel che è raggiunto attraverso l'opera frutto di sublimazione, ben sapendo che non può esservi sempre.ciò accade perché la sublimazione non è soltanto personale: non si tratta di una facoltà di simbolizzazione del singolo individuo bensì della collettività. Quando non vi è riconoscimento da parte della società, la pulsione mortifera si manifesta favorendo il ritorno all'ambivalenza. Molto interessante al riguardo la distinzione operata dalla Segal, citata dalla Valdré, che pone in essere la differenza tra equazione simbolica e simbolo. La prima fa si che l'oggetto simbolico sia un sostituto dell'oggetto ideale; il simbolo che permette la sublimazione diviene mezzo attraverso cui superare la perdita.
Per quanto attiene alla perversione legata all fare artistico, la natura del rapporto è altrettanto enigmatica di tutti i concetti fino ad ora esaminati. Sia nella perversione che nella sublimazione vi è il ricorso ad energia primordiale (la Valdré, prendendo in prestito il pensiero di J. Chasseguet – Smirgel riportandone un passo importante – a mio avviso –, definisce queste forze pulsioni pregenitali) tanto da poter affermare che la fonte della perversione è la medesima da cui si attingono energie che permettono la sublimazione. Ovviamente per l'artista il rischio di attraversare momentanneamente la perversione c'è: sono in molti tra gli artisti e gli scienziati ad aver vissuto tale condizione. I contenuti perversi sarebbero afferenti, secondo l'autrice francese, a 3 diverse aree cui la stazione d'arrivo è la sublimazione. Anche leggendo a pag. 95 leggendo il pensiero della psicoanalista francese si rafforza l'idea che la perversione sia generata dall'onnipotenza del bambino, causata dalla madre, o meglio dal vissuto del materno del soggetto (si parla di materno in ottica junghiana), generando confusione che conduce poi ad uno stallo nell'evoluzione della stessa personalità. Il perverso idealizza ponendo in essere una costante fonte d'energia primordiale che è correlata allo stadio di sviluppo sadico – anale. Sostanzialmente l'uomo creativo frutto di perversione, de – formato da questa, sostantivo che etimologicamente sta ad indicare “rovesciamento”, risente della madre. L'uomo creativo e perverso nell'opera d'arte riversa il suo potenziale distruttivo. Infatti l'onnipotenza è mera illusione poiché ci si avverte, qualora si fosse artisti, impotenti come artisti e scienziati che hanno lasciato prevalere la pulsione di Morte; chi scrive si trova d'accordo con l'autrice del testo e gli studiosi da Lei citati. Il perverso non sublima; al più si rende agente di una sorta di estetismo. Allo stesso modo ogni opera d'arte risente di uno stato di malinconia che lascia fluire i sentimenti ad ad essa legati. Gli interrogativi che l'autrice del libro “Sulla sublimazione …” si pone sono di notevole importanza. L'atto riparativo sortisce modificazione sia dell'assetto interno sia nelle/delle relazioni che si caratterizzano  come sostituti della relazione con la madre. È il soggetto stesso, come affermano la Valdré e la Smirgel, che creando compie un atto riparativo: un dipinto, una poesia una analisi statistica di un fenomeno sono loro stessi che decidono di agire un fare riparativo. Il Sè si manifesta compiutamente nell'oggetto creato. Chi crea, in età infantile, non ha avuto una buona dose di forze libidiche narcisistiche: creando rimodella sé stesso sia simbolicamente – accettandosi – che nelle relazioni che intraprende. Attraverso, quindi, un bilanciamento della spinta libidica le forze narcisistiche si distribuiscono ridefinendo i passaggi evolutivi fondamentali.
La cultura oggi ha il compito di fornire l'imprimatur che spinga a fissare il Telos stesso che la vita mostra, come giustamente riportato dalla Valdré attraverso le parole di J. Lear. Saper differenziare tra bene e male, sapere quali sono i limiti entro cui la stessa libertà diviene coercizione poiché ogni massimalismo si risolve nel mostrare il suo opposto in cui si riversa. L'attraversamento dell'Oggi è garantito dagli elementi che si trasmettono di generazione in generazione. Oggi tutto pretende di essere soddisfatto  nell'immediato: questa bulimia  di desiderio insoddisfatto, provoca la perdita dei punti di riferimento che generano confusione nell'individuo. La corsa sfrenata al soddisfacimento estranea dalla realtà, che rendendo ancora più libero l'individuo ne aumenta le responsabilità, gli obblighi e le regole che ne conseguono, afferenti al diritto generante democrazia e/o libertà. Oggi si è liberi di sperimentare ogni oggetto, ogni cosa: la libertà diviene illusione e anche il dover appagare ogni desiderio. È possibile appagare ogni desiderio? La risposta è nella possibilità di sublimare , come sono soliti gli artisti, gli intellettuali e gli scienziati. Se la società vuole individui che socializzano in modalità standardizzata, l'individuo è sì unico ma nel contempo appartenente ad una comunità di cui accetta le regole. L'individuo è sia artefice del suo destino, compiutamente realizzato, che del possibile fallimento, come si evince dalle parole di De Gaulejac. Oggi all'individuo arrivano messaggi contraddittori:”che tu sia autonomo, ma anche in linea con la società pretende”; questo è il monito che giunge dalla Kultur attuale. Soltanto il poeta, l'artista in genere riflettono sul fatto che la libertà sia apparente. Ogni individuo che realizza sé stesso, dando adito al proprio mondo interiore, non trova adeguato supporto nella società che si pone come ostacolo, costante muro che non permette nuove acquisizioni, perché fa Non – cultura che non permette evasione, se non quella dettata da chi dispensa vacuità. La Kultura vigente oggi teme chi pone in essere distinzioni  unendo. La società iper – moderna  fagocita la diversità mostrata dagli artisti. Gli artisti di tutti i giorni, capaci di rialzarsi trasformando la distruttività in energia progettuale, creatrice. Chi realizza sé stesso  tanto nella vita, quanto dipingendo un quadro come Modigliani sta sublimando. Cos'è quindi la sublimazione? È vita per chi recensisce il libro della Dottoressa Rossella Valdré. L'individuo è figlio dell'immaginazione creatrice di Corbin che possiede un sostrato mistico in quanto creare è “divino”. Da quanto scritto si evince che la Kultur non è in grado di supportare – oggi – la volontà creativa dell'individuo; dal canto suo l'individuo si estranea, non perché non sia capace di sublimare, bensì per timore e vissuto di colpa. Essendosi attivato il senso di colpa, vuol dire che la strada per la sublimazione è intrapresa, non essendovi però piena consapevolezza dell'individuo che vive nella ipermodernità. Questo accade poiché l'individuo è incapace di trovare soddisfacimento a causa dello sfrenato consumismo che impera al giorno d'oggi: si pensi alla modificazione dei modelli di famiglia che si sfaldano per crearne dei nuovi che hanno radici in mutamenti della società, creando un filo immaginario tra le tipologie d'insoddisfazione riempiendo in nulla caratterizzante in Non – luoghi. Chi non riesce a sublimare non vi riesce totalmente poiché la società manca di offrire il riconoscimento come fosse un “premio”: la vita è il premio stesso perché si è trasformato il dolore in gioia anche nell'opera d'arte. La cultura stessa quella vera nutre e questo è un premio per una vita nata due volte grazie al superamento del trauma. Ovviamente l'impatto del trauma – in senso strettamente psicoanalitico – rende possibile la possibilità di trasformazione collegata alla resilienza del soggetto stesso. D'accordo con la Valdrè si afferma che è misterioso il meccanismo che conduce alla sublimazione e come questa possa essere tangenziale alla follia stessa da cui si discosta per quanto riesce a donare, anche se la possibilità di cadere, essendo “artisti”, aumenta. L'artista nasce dalla fantasia riparativa  sottesa al Complesso d'Edipo.: l'opera d'arte è la rappresentazione reale, è la cosa reale di cui parla Lacan. Altro punto nodale su cui verte la capacità di sublimare è l'affrancamento dal collettivo. Questo apparente allontanamento è in realtà una più adeguata immersione in esso. Sussistendo un trauma ciò che si costella nei pazienti in analisi – sia che si tratti di traumi simbolici o realmente accaduti, conta la percezione del paziente in riferimento alla perdita -è in ribaltamento del trauma attraverso il “fare” della coppia analitica, diade analista/paziente sostituta della relazione oggettuale primaria, facilitando la trasformazione in contenuto ri – elaborato che lascia spazio alla sublimazione. 
Nella società attuale non si è più capaci di sublimare poiché incapaci di trasformare in positiva la pulsione distruttiva, non essendo capaci di ribaltare il trauma o più semplicemente trasformare Thanatos e l'inferiorità d'organo in un flusso magmatico, come insegnano Fromm e Adler. Non vi è più nella società attuale coscienza della Storia e di quelli che sono valori civili. In tal modo si struttura nuovamente il Super Ego, afferente però alla Kultur, alla cultura.
È lecito porsi un interrogativo: la sublimazione  è veramente una rinuncia pulsionale? No, a mio avviso è un re- investimento che avvicina alla società stessa grazie alla rinnovata  carica erotica. Thanatos se ribaltato è il volano. La società è timorosa e relega la sublimazione al confino, perché ritenuta di poco valore. Il genio creativo rinuncia a “creare”, così come l'artista della vita.
La libertà oggi si declina come attacco al Sé perché incapaci di trasformazione, creando nuove forme di coercizione che si riversano sul corpo, che diviene sistema complesso da  tenere sotto controllo, addirittura ridimensionandolo. Nasce il conflitto nei soggetti fragili tra l'Io e l'ideale dell'Io, che ha creato il divario incolmabile causato dalla società che si configura come l'Ideale di ogni individuo inserito nei Non – luoghi che oggi sono la consuetudine nelle nostre città: nasce così il senso di colpa e di vergogna, alla base sia delle nevrosi ma anche di disturbi più strutturati. Oggi la società è tossica, come afferma Kilborne citato dall'autrice. Vi è necessità di rinforzare l'asse narcisistico, evitando che diventi patologico; la società dell'Oggi e del Domani risente dell'alterazione dell'asse della vergogna, afferente ai disturbo nevrotici e della personalità. Oggi la società è sofferenza come dice giustamente Assoun; sembra che la sofferenza sia o stato cui ogni individuo debba vivere e sopravvivere. Sostanzialmente nella società ipermoderna è cambiato il rapporto tra l'Io e il Super – Io: ciò comporta la rincorsa al soddisfacimento immediato, al godimento mordi e fuggi persistendo – però – l'imposizione delle regole: nasce così il conflitto che non permette di sublimare. Il senso di colpa sparisce e prende vita una società che poggia su di una psicopatia, ovvero un pervertimento del rapporto tra l'Io e il Super – Io. Il senso di colpa è il motore della trasformazione che si evince anche dalla capacità di un poeta di mettere in una lirica sia la sofferenza che la risalita dai meandri della psiche. Come scrive la Valdré, oggi la società vive enza senso di colpa. Più che parlare di Follia è lecito – si è d'accordo con l'autrice – definire le problematiche della società come quelle di una cultura sociale poggiante sulla psicopatia. L'umanità supera la sua perversione soltanto attraverso la Via Longa della Sublimazione, capace di evitare il cortocircuito che crea il crollo, sia individuale che collettivo.
La società postmoderna, o ipermoderna che dir si voglia, non si riesce a coniugare con la psicoanalisi in quanto il relativismo culturale e la fluidità poco chiara dei rapporti trasformati in simulacri di relazione. L'epoca post moderna non vuole la verità, perché ogni conoscenza, come ogni rapporto sono relativi; la verità è molto più di un paradosso, tanto che si arriva a porre in dubbio lo stesso sostantivo “verità”. Oggi tutto è confuso. La nuova è: essere in confusione! Si pensi ad ogni forma di assolutismo e fondamentalismo politico e/o religioso, come mostrano il fenomeno dell'Isis e l'intransigenza delle regole nella politica europea rispetto all'austerità.
La sublimazione nell'era post – moderna diviene impossibile, viene ostacolata dallo stato di psicopatia, causato dal blocco pulsionale.
Riconoscere se stessi – anche attraverso la sublimazione, che sia artistica o di minore entità ha poca importanza – vuol dire possedere la volontà di vivere una densa esperienza emozionale, che connota il vissuto della policromia declinante la sfera emotiva. La sublimazione è emozione trasposta in agito. Oggi sia nella clinica che nella società tale apporto viene relegato altrove, addirittura bistrattato.
Oggi l'uomo moderno ritiene di essere libero. In realtà è veramente libero? A mio avviso è rinchiuso in una gabbia di vetro che si mostra simbolicamente nella sfrenata corsa all'appagamento di ogni desiderio.
Ogni tentativo di sublimazione, nella ipermodernità, se non adeguatamente supportato da consapevolezza dei propri limiti, è destinato al fallimento tanto nella vita, quanto nella clinica.

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