La “Proposta del 9 ottobre 1967 sullo psicoanalista della Scuola”[1] è uno dei testi fondamentali della Scuola di Lacan, con l’ ”Atto di fondazione”[2] e con la “Nota italiana”[3], costituisce una trilogia essenziale.[4]
Il testo può essere suddiviso in sette paragrafi: il primo riguarda le strutture in atto nella psicoanalisi e che devono essere reperibili nello psicoanalista. Per tale effettuazione, vengono presi in esame i momenti di inizio e di fine analisi. E abbiamo così il secondo e il terzo paragrafo. Il quarto riguarda questioni circa il passaggio da analizzante ad analista. Il quinto affronta più direttamente la passe. Il sesto offre tre punti di fuga in prospettiva della struttura nel sociale: simbolico, il mito di Edipo, immaginario, la società di psicoanalisi, e il reale, il campo di concentramento. Il settimo paragrafo è costituito dal finale.
Ci interesseremo quindi del secondo paragrafo.
Il tono è già offerto dal finale del primo paragrafo. Con brevi tratti, secondo lo stile di questo testo, Lacan distingue la psicoanalisi dalla psicoterapia. Quest’ultima è definita come la restituzione a uno stato anteriore. Definizione impossibile per la psicoanalisi. E tuttavia la psicoterapia si fonda su una logica indecidibile, mentre la psicoanalisi si fonda su una logica decidibile. In altre parole solo la psicoanalisi si basa su un procedimento che accerti in un numero finito di passi se una cura in corso risponda alla teoria psicoanalitica oppure no. E per sottolineare l’iscrizione dell’analisi nel campo della logica, Lacan riprende da Freud l’esempio degli scacchi.
“All’inizio della psicoanalisi è il transfert”[5]. Lacan esordisce così il paragrafo sull’inizio della cura. Notiamo il duplice rimando biblico, al Berescith della Genesi e al En arché o Logos giovanneo. Nel primo è messo in evidenza il potere creatore e nel secondo che tale potere è la Parola. Lacan situa l’inizio della psicoanalisi nella costituzione dell’Altro del transfert, come effetto del linguaggio. E prosegue “per la grazia di colui che chiameremo (…) psicoanalizzante”[6]. Il tono, vagamente liturgico, è smorzato nella prima versione della “Proposta”[7], dove Lacan lo indica con un nome proprio: si tratta di Sigmund Freud.
La psicoanalisi si basa dunque sul transfert. Ma il transfert non è il rapporto intersoggettivo, sebbene l’uso della parola implichi una certa intersoggettività. Il transfert infatti fa obiezione al rapporto tra soggetto e soggetto. Nel transfert c’è dissimmetria e ogni relazione terapeutica che si basi sull’intersoggettività si riduce in fondo a un puro esercizio dell’immaginario, sebbene, ironizza Lacan, il termine sia servito a un certo mondo universitario per produrre effetti di levitazione.
Partendo da due premesse: l’aver situato ciò che l’inconscio ci svela rispetto al soggetto del cogito e l’aver stabilito la distinzione tra l’altro immaginario e l’Altro simbolico, si arriva alla conclusione che nessun soggetto è supponibile tramite un altro soggetto. Lacan ricorre qui a due presupposti: al suo schema L per distinguere il simbolico dall’immaginario e al cogito cartesiano. In un certo senso il ricorso al cogito cartesiano è paradossale, poiché il soggetto dell’inconscio è esattamente all’opposto del soggetto filosofico. Eppure è del cogito cartesiano che, a partire da un certo momento del suo insegnamento, Lacan si serve per parlare del soggetto dell’inconscio.
In questo testo mi sembra che Lacan riprenda tutta la sequenza cartesiana che va dal cogito al Dio come garante del cogito e infine al Volere di Dio, per stabilire un’equivalenza con la sequenza che va dal soggetto dell’inconscio al soggetto supposto sapere e infine al desiderio dell’analista.
Così, come da un lato il soggetto cartesiano non riceve la garanzia del suo essere da un altro soggetto ma riceve la certezza del suo essere tramite l’affermazione della prima verità che è il suo essere pensante o dubitante – tutto questo sulla base di un garante, Dio, che è Verità per essenza e che giustifica il passaggio dal piano psicologico del sentimento di evidenza al piano ontologico della verità, verità che sono tali solo perché la Volontà di Dio le attualizza -, così, da un altro lato, il soggetto dell’inconscio non è supponibile da un altro soggetto ma pensa di essere colui che è questo o quest’altra cosa che è poi il testo del suo proprio fantasma – tutto questo sulla base di una funzione che è il soggetto supposto sapere, articolato a sua volta alla funzione che Lacan chiama desiderio dell’analista -.
Abbiamo, dunque, un’equivalenza tra le due sequenze, quella di Cartesio e quella di Lacan[8], in cui: primo, il soggetto cartesiano si trova in parallelo con il soggetto dell’inconscio, ambedue privi della certezza dell’essere soggettivo; secondo, il Dio del filosofo si trova in parallelo con il soggetto supposto sapere, ambedue garanti universali per il soggetto; e terzo, il Volere di Dio si trova in parallelo con il desiderio dell’analista, ambedue artefici di quella particolarità propria della decisione che presiede l’atto, atto creativo nel primo caso, atto psicoanalitico nel secondo. E’ da sottolineare però una differenza essenziale: il Dio del filosofo e il suo Volere sono creatori del linguaggio, mentre il soggetto supposto sapere e il desiderio dell’analista sono funzioni del linguaggio. Tale differenza dà la misura della distanza tra la concezione filosofica della religione e la psicoanalisi.
“Il soggetto supposto sapere è per noi il perno a partire da cui si articola tutto ciò che riguarda il transfert”[9].
Soggetto: opponendosi alla tendenza che vorrebbe ripristinare l’intersoggettività, Lacan fa appello ad Aristotele per differenziare il soggetto dal soggettivo. Il soggetto è l’hypokéimenon, quello che sta sotto, materia fatta di linguaggio, e ciò che è supposto. Il soggettivo invece è ciò che designa l’esistenza reale, e ciò che suppone. Notiamo come Lacan riprenda quest’ultima definizione non da Aristotele, ma dagli scolastici, a cui si devono altri termini usati nel testo, come supposizione[10] e attinenza.
“Supposto, insegniamo noi, dal significante che lo rappresenta per un altro significante”[11]. Mi sembra che anche qui si possa stabilire un’equivalenza: come per Aristotele la materia sta alla forma, così per Lacan il soggetto supposto sta al concatenamento significante. Per questo Lacan scrive il soggetto come “il significato della pura relazione significante”[12] a cui, al posto di attinenza, pone il sapere.
Lacan dunque scrive l’algoritmo del transfert a partire dall’algoritmo saussuriano modificandolo: sopra la barra il significante da solo diventa un significante che implica un altro significante, e sotto la barra il significato da solo diventa il soggetto supposto a cui si aggiunge il sapere, che “non è meno supposto del soggetto”[13]. Da qui se ne deduce che il soggetto dell’inconscio è il soggetto supposto sapere.
S ——–à S q
_____________
s ( S1, S2, … Sn )
“Sulla prima riga si riconosce il significante S del transfert, ossia di un soggetto con la sua implicazione di un significante che diremo qualunque, il quale cioè non suppone niente se non la particolarità nel senso di Aristotele (sempre benvenuto), e di conseguenza suppone altre cose ancora”[14].
Sulla prima riga il significante del transfert, in altre parole il significante della questione che è il soggetto stesso e che si indirizza all’Altro. Nonostante il significante della questione del soggetto tenda al sapere, non è il significante del sapere che egli trova, ma un significante indicizzato con la lettera q, un significante qualunque. Questo significante qualunque suppone il particolare. Non suppone l’universale, per esempio l’universale del sapere, né il singolare, per esempio il singolare dello stile, ma suppone il particolare. Particolare che è incarnato non già nell’uomo saggio, colui che possiede la conoscenza perfetta, universale, la sofia, ma nell’uomo prudente, e cioè colui che possiede la prudenza, la frònesis, la recta ratio che presiede la decisione dell’atto. Particolare che sarà poi incarnato dalla figura del santo in “Televisione”[15].
“Se è nominabile con un nome proprio, non per questo si distingue tramite il sapere, come vedremo”[16].
Il significante qualunque è dunque nominabile con un nome proprio, ma il nome proprio, di per sé, non è collegato con il sapere. Nella prima versione Lacan si serve del nome proprio di Freud per indicare lo psicoanalizzante che inaugura la psicoanalisi e si serve del nome proprio di Fliess per indicare lo psicoanalista che, com’egli nota, non è particolarmente adatto a rispondere al sapere fondato sulla scienza.
E’ in questo posto, al posto del significante qualunque, che si trova un analista, con un nome proprio. Ma non è da lì che opera.
“Sotto la barra, ridotta però alla spanna di supposizione del primo significante: la s rappresenta il soggetto che ne risulta implicando nella parentesi il sapere, supposto presente, dei significanti nell’inconscio, significazione che detiene il posto del referente ancora latente in questo rapporto terzo che lo aggiunge alla coppia significante-significato.”[17]
Dunque sotto la barra abbiamo la s che rappresenta il soggetto, nella parentesi i significanti rimossi del soggetto e che costituiscono il sapere inconscio. A cui però Lacan aggiunge inaspettatamente il referente, normalmente escluso dall’algoritmo saussuriano. Di che si tratta? Si tratta del godimento, il referente della significazione che è il sapere dell’inconscio. In questo modo Lacan tiene disgiunto il significato, che è il soggetto, dalla significazione del sapere inconscio, che tiene il posto del referente che è il godimento latente.
“Qui si vede che la psicoanalisi, se consiste nel mantenere una situazione convenuta tra due partner che vi si pongono come psicoanalizzante e psicoanalista, non potrebbe svilupparsi se non in virtù del costituente ternario che è il significante introdotto nel discorso che si instaura, quello che ha per nome: soggetto supposto sapere. Formazione, quest’ultima, che non è di artificio ma di vena, come distaccata dallo psicoanalizzante.”[18]
Ecco dunque in che modo Lacan costituisce il triangolo della relazione analitica: non più mettendo come terzo la Parola. Ora è il soggetto supposto sapere a essere terzo tra l’analizzante e l’analista. E diremmo, anzi, avendo già come quarto il godimento ormai non più latente in un’analisi in corso.
Lacan oppone qui le formazioni di artificio e quelle de veine (di vena). Potrebbe forse trattarsi dell’opposizione tra tecne e tuke. La prima riguarda il saperci fare, la seconda è dell’ordine dell’incontro, come è indicato qualche linea più avanti nella relazione tra Sq e le S in catena.
Per quanto riguarda l’analizzante, egli si troverà in ognuno dei termini in gioco: nel significante del transfert che è il suo significante “questione”, interrogativo che si indirizza all’Altro, nel significante qualunque che gli diventa proprio perché attiva ciò che è sotto la barra, nel soggetto supposto sapere, che è il soggetto dell’inconscio, e infine nel referente che è il godimento che lo causa come desiderante.
Per quanto riguarda l’analista, dal posto del significante qualunque, è sotto la barra che deve scivolare per poter operare: “l’analista non ha altra risorsa che quella di porsi al livello della s della pura significazione del sapere, cioè del soggetto che non è ancora determinabile se non per uno slittamento che è desiderio, ovvero di farsi desiderio dell’Altro, nella forma pura che si isola come desiderio di sapere”[19].
Nella struttura si opera dunque uno spostamento da Sq fin sotto la barra al posto del soggetto supposto sapere. Mentre dal punto di vista della fenomenologia avviene il contrario: il soggetto supposto sapere, sapere inconscio e quindi rimosso, si trova spostato da sotto la barra e proiettato sullo schermo vuoto indicizzato dal significante qualunque. Tocca all’analista di non agghindarsi troppo del sapere supposto, visto che “non coinvolge la sua persona”[20] sebbene tocchi allo psicoanalista risponderne.
Ma qual è il rapporto tra l’analista e il sapere? Esso non è secondo, ma diretto, dice Lacan. “E’ chiaro che del sapere supposto egli non sa nulla. La Sq della prima riga non ha niente a che vedere con la catena di S della seconda e vi si può trovare unicamente per incontro.”[21] Per questo Freud raccomanda di considerare ogni caso come se fosse il primo. Questo non sapere non autorizza l’analista ad accontentarsi che non sa niente “poiché quello che importa è ciò che egli è tenuto a sapere”[22]. E deve sapere che è depositario di una significazione “in riserva”[23] che tramite il sapere concerne il godimento del soggetto in questione: esso “si articola in una catena di lettere così rigorose che, a condizione di non mancarne neppure una, il non-saputo si ordina come il quadro del sapere.”[24]
E per tale operazione, è meglio che l’analista non si occupi troppo del sapere referenziale, poiché su tanti oggetti, che sono poi oggetti di godimento, “non si può certo dire che l’analista sia un esperto”[25] o che ne “sappia granché”[26]. Il suo interesse deve portare sul sapere testuale: “una catena significante – è questa la forma radicale del cosiddetto sapere testuale. E ciò che il soggetto del transfert è supposto sapere, ma lo psicoanalizzante ancora non lo sa, è un testo, se è vero che l’inconscio è quello che noi sappiamo: strutturato come un linguaggio”[27].