Di Lorenzo Calvi mi sento di dire tre cose che lo segnalino ai giovani appassionati alla psichiatria fenomenologica della quale è stato un pioniere e una delle maggiori espressioni in Italia.
La strada che ha aperta insieme ai pochi altri psichiatri fenomenologi italiani (due gruppi sparuti, quello lombardo-veneto e quello romano) non è certo diventata l’autostrada della psichiatria ufficiale con le Stazioni di Servizio psicofarmacologico ma è piuttosto uno di quei viali alberati dove si passeggia, si conversa, si incontra degli amici magari all’ombra di una chiesa romanica o di un Palazzo Comunale del ‘300. Ma quando Calvi cominciò a incamminarcisi era poco più che un sentiero di montagna o, piuttosto, un Holzweg alla Heidegger, uno dei sentieri “qui mènent nulle part”, che non portava in particolare ad una carriera nella psichiatria. E questo per la sostanziale incomprensione della neuro-psichiatria di allora che “costituiva “ il malato, come diceva Cargnello, come qualcosa che si ha davanti e non come qualcuno con cui ci si incontra. E questo per la sua persistente adesione al vecchio paradigma demenzialista di Morel divenuto per giunta dogmatico per distrazione epistemologica e lungi quindi kilometri dal poter far capire, e apprezzare, gente che vedeva il delirio come espressione della “intenzionalità” della coscienza husserliana, vale a dire come una struttura di senso.
Lorenzo Calvi ha avuto però questo di diverso da molti suoi colleghi fenomenologi, di non essersi cioè rassegnato alla incomprensione della neuro-psichiatria ufficiale e di non essersi compiaciuto nell’isolamento con l’amara consolazione della propria superiorità culturale. Ha invece cercato contatti e ha ricevuto riconoscimenti specie nell’ambiente francese, in quello della Evolution psychiatrique in particolare, tramite specialmente il mio amico e maestro Georges Lanteri-Laura.
In quel torno di tempo in cui lui circolava in cerca di un riconoscimento, io giravo in cerca di un insegnamento e i nostri cammini si sono spesso incrociati, quasi sempre in modo inatteso, fortuito, sempre con piacevole sorpresa e all’insegna di una conversazione che andava prendendo nel tempo spessore e calore d’intesa.
Una sera, che mi trovavo dai Lanteri per una delle mie periodiche “discese” da loro, suona il campanello e nel vano della porta che vado ad aprire appare il Lorenzo Calvi con signora a con tre o quattro amici di Lecco. “Sono venuto ad invitare Lanteri a cena”. “Guarda” gli rispondo “la tavola è già apparecchiata, si tratta solo di aggiungere quattro, cinque sedie … quanti siete?”
Un’altra volta ci incrociammo invece nei pressi della Clinica di Losanna che dirigeva allora Pierre Bernard Schneider, ulteriore occasione di scambi piacevoli.
Ma non sempre c’è stato il piacere nei nostri incontri, e non è dipeso certo da noi.
Una volta, alla Evolution, gli feci le condoglianze per il fratello che aveva appena perduto. “E sai” mi disse “è toccato proprio a me andarlo a riconoscere”. Ricordo ancora l’espressione, il contegno, il tono della voce: nessuno sforzo per reprimersi che trapelasse forse perché anche quell’evento lo stava rimeditando e sussumendo in una prospettiva eidetica secondo il suo costume mentale. Un modo da filosofo per farsene una ragione.
Nell’altra occasione, il dolore era invece mio. A Roma, nel ’69, ci trovammo per la docenza. Lui ebbe la seconda, in psichiatria pura; io avrei dovuto avere la mia ma non la ebbi. Non era una questione di fraintendimenti, ma di risentimenti: la Commissione non voleva l’allievo di Basaglia che invece Visintini presentava insieme ai due suoi di Parma. Ma di mezzo c’erano state le manifestazioni studentesche, alcune anche col classico lancio delle monetine. La liquidazione di “quelli di Parma” ebbe dunque regolarmente luogo, però riuscì solo per due terzi, Basaglia essendo piombato al Ministero (allora c’era Mariotti, il ministro della “431”) come un falco. Di quel giorno ricordo un dolore cocente e un consolante Lorenzo Calvi che mi invitò a pranzo dandomi “conforto e cibo di speranza bona”.
Ma forse è stata l’idea di “Comprendre”la via attraverso cui Lorenzo Calvi ha creato e trovato contatti; e non solo per sé. Un’eredità capitale, un luogo di incontro e di formazione.
La seconda cosa che voglio dire riguarda il metodo che Calvi ha scelto nella sua psicopatologia che tiene più della riduzione eidetica husserliana che della Daseinsanalyse a cui si è invece attenuto il suo Maestro e amico Cargnello. Cargnello era rimasto molto vicino a Binswanger con lo stesso limite della “antropologia a priori” che si cala poi sul caso clinico e che in un certo modo gli si può rimproverare; il Lorenzo aveva invece un atteggiamento vicino a quello di Minkowski, partiva dal malato addentrandosi con lui in una ricerca di eidos che era sempre qualcosa di inaspettato, che riservava spesso l’Erstaunung, la sorpresa illuminante.
Terzo punto, i due temi principali della sua ricerca eidetica: il corpo e la spontaneità di codesta ricerca.
Il corpo appare subito evidente nella sua opera dove compare soprattutto nella sua determinazione di “carne” con le sue ovvie connotazioni: da un lato la consistenza calda, viva, sanguigna che attira non solo lo sguardo ma anche il tatto, dall’altra il suo insanabile disfacimento, il cadavere col suo fetore che questo corpo di carne “implica”. Su questo corpo-di carne ha fatto un inesauribile esercizio eidetico che lo portasse dal suo inveschiamento opaco nella carne alla trasparenza luminosa e incorrotta dell’idea. Un rassicurarsi – e anche un consolarsi – finemente intellettuale che culmina nella gioia del capire.
L’altro risvolto della sua ricerca eidetica e d’avere ricordato, e illustrato con esempi, come questa ricerca appartenga all’attività spontanea dello spirito umano. In merito l’esempio che più volentieri ricordo è quello degli epiteti che si affibbiano gli uni gli altri gli studentelli che incontrava sul treno di Milano. Il “dritto”, i l “duro”, lo “svelto”, gettano una luce di senso sul tipo in questione dando anche l’indicazione di come regolarsi nei suoi confronti; specie se è uno “stronzo”.
Per Lorenzo Calvi la riduzione eidetica era, come ben si vede, qualcosa di ben lontano dal faticoso e oscuro arrancar fra concetti e intuizioni di tanti sedicenti fenomenologi-psichiatri attualmente in circolazione: ma era lo spontaneo movimento di un’intelligenza e di un’anima di guardare alla vita, al suo nascosto significato e consolarsene cercando di capirlo.
La strada che ha aperta insieme ai pochi altri psichiatri fenomenologi italiani (due gruppi sparuti, quello lombardo-veneto e quello romano) non è certo diventata l’autostrada della psichiatria ufficiale con le Stazioni di Servizio psicofarmacologico ma è piuttosto uno di quei viali alberati dove si passeggia, si conversa, si incontra degli amici magari all’ombra di una chiesa romanica o di un Palazzo Comunale del ‘300. Ma quando Calvi cominciò a incamminarcisi era poco più che un sentiero di montagna o, piuttosto, un Holzweg alla Heidegger, uno dei sentieri “qui mènent nulle part”, che non portava in particolare ad una carriera nella psichiatria. E questo per la sostanziale incomprensione della neuro-psichiatria di allora che “costituiva “ il malato, come diceva Cargnello, come qualcosa che si ha davanti e non come qualcuno con cui ci si incontra. E questo per la sua persistente adesione al vecchio paradigma demenzialista di Morel divenuto per giunta dogmatico per distrazione epistemologica e lungi quindi kilometri dal poter far capire, e apprezzare, gente che vedeva il delirio come espressione della “intenzionalità” della coscienza husserliana, vale a dire come una struttura di senso.
Lorenzo Calvi ha avuto però questo di diverso da molti suoi colleghi fenomenologi, di non essersi cioè rassegnato alla incomprensione della neuro-psichiatria ufficiale e di non essersi compiaciuto nell’isolamento con l’amara consolazione della propria superiorità culturale. Ha invece cercato contatti e ha ricevuto riconoscimenti specie nell’ambiente francese, in quello della Evolution psychiatrique in particolare, tramite specialmente il mio amico e maestro Georges Lanteri-Laura.
In quel torno di tempo in cui lui circolava in cerca di un riconoscimento, io giravo in cerca di un insegnamento e i nostri cammini si sono spesso incrociati, quasi sempre in modo inatteso, fortuito, sempre con piacevole sorpresa e all’insegna di una conversazione che andava prendendo nel tempo spessore e calore d’intesa.
Una sera, che mi trovavo dai Lanteri per una delle mie periodiche “discese” da loro, suona il campanello e nel vano della porta che vado ad aprire appare il Lorenzo Calvi con signora a con tre o quattro amici di Lecco. “Sono venuto ad invitare Lanteri a cena”. “Guarda” gli rispondo “la tavola è già apparecchiata, si tratta solo di aggiungere quattro, cinque sedie … quanti siete?”
Un’altra volta ci incrociammo invece nei pressi della Clinica di Losanna che dirigeva allora Pierre Bernard Schneider, ulteriore occasione di scambi piacevoli.
Ma non sempre c’è stato il piacere nei nostri incontri, e non è dipeso certo da noi.
Una volta, alla Evolution, gli feci le condoglianze per il fratello che aveva appena perduto. “E sai” mi disse “è toccato proprio a me andarlo a riconoscere”. Ricordo ancora l’espressione, il contegno, il tono della voce: nessuno sforzo per reprimersi che trapelasse forse perché anche quell’evento lo stava rimeditando e sussumendo in una prospettiva eidetica secondo il suo costume mentale. Un modo da filosofo per farsene una ragione.
Nell’altra occasione, il dolore era invece mio. A Roma, nel ’69, ci trovammo per la docenza. Lui ebbe la seconda, in psichiatria pura; io avrei dovuto avere la mia ma non la ebbi. Non era una questione di fraintendimenti, ma di risentimenti: la Commissione non voleva l’allievo di Basaglia che invece Visintini presentava insieme ai due suoi di Parma. Ma di mezzo c’erano state le manifestazioni studentesche, alcune anche col classico lancio delle monetine. La liquidazione di “quelli di Parma” ebbe dunque regolarmente luogo, però riuscì solo per due terzi, Basaglia essendo piombato al Ministero (allora c’era Mariotti, il ministro della “431”) come un falco. Di quel giorno ricordo un dolore cocente e un consolante Lorenzo Calvi che mi invitò a pranzo dandomi “conforto e cibo di speranza bona”.
Ma forse è stata l’idea di “Comprendre”la via attraverso cui Lorenzo Calvi ha creato e trovato contatti; e non solo per sé. Un’eredità capitale, un luogo di incontro e di formazione.
La seconda cosa che voglio dire riguarda il metodo che Calvi ha scelto nella sua psicopatologia che tiene più della riduzione eidetica husserliana che della Daseinsanalyse a cui si è invece attenuto il suo Maestro e amico Cargnello. Cargnello era rimasto molto vicino a Binswanger con lo stesso limite della “antropologia a priori” che si cala poi sul caso clinico e che in un certo modo gli si può rimproverare; il Lorenzo aveva invece un atteggiamento vicino a quello di Minkowski, partiva dal malato addentrandosi con lui in una ricerca di eidos che era sempre qualcosa di inaspettato, che riservava spesso l’Erstaunung, la sorpresa illuminante.
Terzo punto, i due temi principali della sua ricerca eidetica: il corpo e la spontaneità di codesta ricerca.
Il corpo appare subito evidente nella sua opera dove compare soprattutto nella sua determinazione di “carne” con le sue ovvie connotazioni: da un lato la consistenza calda, viva, sanguigna che attira non solo lo sguardo ma anche il tatto, dall’altra il suo insanabile disfacimento, il cadavere col suo fetore che questo corpo di carne “implica”. Su questo corpo-di carne ha fatto un inesauribile esercizio eidetico che lo portasse dal suo inveschiamento opaco nella carne alla trasparenza luminosa e incorrotta dell’idea. Un rassicurarsi – e anche un consolarsi – finemente intellettuale che culmina nella gioia del capire.
L’altro risvolto della sua ricerca eidetica e d’avere ricordato, e illustrato con esempi, come questa ricerca appartenga all’attività spontanea dello spirito umano. In merito l’esempio che più volentieri ricordo è quello degli epiteti che si affibbiano gli uni gli altri gli studentelli che incontrava sul treno di Milano. Il “dritto”, i l “duro”, lo “svelto”, gettano una luce di senso sul tipo in questione dando anche l’indicazione di come regolarsi nei suoi confronti; specie se è uno “stronzo”.
Per Lorenzo Calvi la riduzione eidetica era, come ben si vede, qualcosa di ben lontano dal faticoso e oscuro arrancar fra concetti e intuizioni di tanti sedicenti fenomenologi-psichiatri attualmente in circolazione: ma era lo spontaneo movimento di un’intelligenza e di un’anima di guardare alla vita, al suo nascosto significato e consolarsene cercando di capirlo.
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