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PERCHE’ LA GUERRA?

13 Apr 22

Di marcoguidi73
Introduzione 

 

Dal nemico invisibile pandemico (Covid 19) al nemico visibile (guerra Russia-Ucraina 2022): in comune c’è il sentimento dell’angoscia che attraversa tutti gli uomini minacciati di perdere qualcosa, da un oggetto prezioso, e affettivamente caro, alla vita. 

 La guerra è la manifestazione umana più estesa socialmente della passione dell’odio, dove sono condensati i conflitti tra le istanze della psiche (Io, Super-Io e Es) già presenti nell’apparato psichico dell’essere umano. 

La passione è ciò che l’uomo patisce perché è inscritta nel suo essere: la passione dell’odio verso l’altro è l’effetto della rabbia che è insita nel soggetto fino dalla prima infanzia come effetto emotivo della dissimmetria strutturale tra l’organismo dell’uomo e la realtà che lo circonda e a cui deve adattarsi. L’aggressività distruttiva verso l’altro è causata dal vedere l’immagine del nemico come un’immagine non sintonica e riflessa, non soddisfacente per il soggetto, perché somiglia a quella immagine d’impotenza che il soggetto vede in sé stesso e di sé stesso, riflette un pericolo, una minaccia da cui il soggetto si deve difendere: per un bambino l’altro simile può essere visto con odio quando per esempio viene minacciato nei suoi interessi di bambino (possesso di un giocattolo oppure possesso o gelosia nei confronti di un terzo affettivo o ancora invidia per ciò che l’altro ha e che prima aveva avuto lui). Ebbene, queste manifestazioni emotive e affettive sono cariche di odio perché definiscono il soggetto come un essere naturalmente eccitabile in relazione al cambiamento dell’altro in quanto possessore di un oggetto prezioso per lui. Il passaggio dall’amore all’odio è repentino quando cambia lo scenario e il contesto in cui si sviluppa la crisi tra due soggetti o tra due stati. 

 Tutte le guerre hanno questa caratteristica legata al cambiamento d’immagine dell’altro (il nemico) verso cui si scatena l’odio che minaccia la stessa esistenza del soggetto. L’amore si dissolve quando decade il narcisismo del soggetto che teneva in piedi una labile e fasulla relazione (diplomatica nel caso si tratti di stati). La guerra, dunque, ci racconta di una caduta di certe relazioni amichevoli e tanto più questa caduta è pesante tanto più l’odio porta a conseguenze distruttive e orribili. Il conflitto tra due soggetti che si odiano ha una qualificazione precisa se si tratta di guerra: “I conflitti d’interesse tra gli uomini sono dunque in linea di principio decisi mediante l’uso della violenza” (S. Freud, Perché la guerra, Bollati-Boringhieri, Torino,2003, pag 65). 

La guerra come conflitto d’interessi reali tra due nemici, attraverso la violenza apparecchia uno scenario bellico reale senza mediazioni immaginarie edulcorate o fasulle: i rivali presentano nella contesa , “bisogni” diversi e opposti che solo la violenza può risolvere, appare così una realtà senza amore. L’aggressività strutturale presente all’origine dell’essere umano non corrisponde alla violenza espressa nella guerra per risolvere interessi diversi, anche se Freud precisa che l’essere dell’uomo rimarrà sempre legato a una “inclinazione pulsionale” originaria che si trasforma nella storia con risultati diversi. Questa inclinazione pulsionale Freud, nel Disagio della civiltà, la chiamerà pulsione di morte e Lacan godimento che avrà la caratteristica di ripetere coattivamente lo stesso bisogno di soddisfarsi con un oggetto. 

  

   

Einstein all’inizio degli anni trenta interpella Freud con una lettera chiedendogli un suo parere su come prevenire la fatalità della guerra. La tesi di Einstein è questa: “la guerra è possibile prevenirla solo se gli uomini si accorderanno per costituire una autorità centrale a cui vengono deferiti tutti i conflitti e interessi.” 

Ma si chiede Freud, se sia possibile realmente e se comunque sia sufficiente. 

La guerra è la madre di tutti conflitti ma al tempo stesso è la conseguenza di conflitti interni al soggetto umano: essere in guerra con sé stessi, oppure una guerra è scoppiata dentro di me con l’altro in me, per Freud è la condizione della guerra attraverso il meccanismo estensivo della identificazione sociale che è l’incontrarsi tra tutti coloro che si si riconoscono avere gli stessi interessi da sostenere . La psicoanalisi con Freud ha messo in evidenza questo aspetto (il conflitto) all’interno del soggetto ma anche per estensione al livello della massa che costituisce la civiltà e il suo tessuto sociale. 

Per Freud infatti la psicologia dell’Io è immediatamente psicologia sociale. Ciò che si agita in ogni singolo soggetto ha degli effetti intorno e tra gli altri in contatto con quel singolo soggetto tenendo presente che, sia il contesto che tutti gli altri al di fuori di quel singolo soggetto, sono formati dalla somma di singoli individui e dunque il “contesto” e “tutti gli altri” risultano essere spazi dove ciò che si agita nel singolo individuo, in termini di conflitti e aggressività, si espande e contamina sia il “contesto” che “tutti gli altri” (terza forma di identificazione ). Questo meccanismo è paragonabile alla forza espansiva sociale per contagio e ha la stessa forza del Covid 19 (pandemia). La guerra, quella che è stata designata come prima guerra mondiale, è il risultato di una contaminazione di grandi masse che si scontrano tra loro, e perché lo fanno? Da qui la domanda. Perché la guerra? 

Freud risponde ad Einstein: “Lei si meraviglia che sia tanto facile infiammare gli uomini alla guerra e presume che in loro ci sia precisamente qualcosa, una pulsione all’odio e alla distruzione che è pronta ad accogliere una istigazione siffatta.” (Perché la guerra, op. cit pag. 73). Freud è d’ accordo naturalmente con Einstein e coglie l’occasione per spiegargli la teoria delle pulsioni della psicoanalisi che riguardano la pulsione di conservazione della vita e la pulsione di distruzione cioè di aggressività o di odio. 

Freud presenta la dialettica tra le due pulsioni che si incastrano l’una nell’altra e costituiscono il tormento che attraversa la vita di un uomo e anche la vita di Freud stesso. E Freud alla luce degli avvenimenti bellici passati (prima guerra mondiale e in preparazione alla seconda guerra mondiale) aggiunge: “Per gli scopi immediati che ci siamo proposti da quanto procede riceviamo la conclusione che non c’è speranza di poter sopprimere le tendenze aggressive degli uomini” (Perché la guerra, op. cit. pag. 76) Freud osserva il proprio tormento tra vita, desiderio di ricerca e quello di distruzione legato alla sua malattia (cancro alla mascella) osserva il tormento angoscioso che attraversa l’uomo in quegli anni di preparazione alla guerra. Freud non è pessimista, è realista, quel realismo scientifico che descrive l’inconscio per quello che è come d’altronde fa Einstein con la fisica del suo universo. 

Freud ritiene una illusione arrivare a costruire una società dove sono garantiti l’uguaglianza tra i suoi membri: la tendenza aggressiva ci sarebbe sempre, la tendenza alla crudeltà si farebbe viva. La storia dell’uomo è costellata dalle incursioni della pulsione aggressiva che dunque come afferma Lacan cessa di non scriversi nella storia. 

Lacan porta alle estreme conseguenze l’analisi di Freud sulla aggressività verso l’altro, il simile, la tendenza alla crudeltà individuata da Freud come pulsione che ritorna nel soggetto umano perché fa parte costitutiva della sua struttura, e dunque l’odio (aggressività, crudeltà) non si scatena solo a causa di contingenze storiche particolari e sociali, né per la trasformazione politica dei rapporti sociali, (queste manifestazioni storiche semmai sono dei loro effetti) l’odio è una condizione dell’essere dell’uomo, attivato e messo in moto dai bisogni sociali (primari e secondari) costruiti nella storia dell’uomo che vanno di pari passo al progresso della tecnica e della scienza per far fronte agli interessi sociali e nazionali da difendere poi con la violenza. 

Lacan in Etica della psicoanalisi (1959-1960), sviluppa la scoperta di Freud cioè la pulsione di morte con il termine godimento legandolo alla questione della guerra e della aggressività in generale in questo modo: “Quelli che preferiscono i racconti delle fate fanno orecchi da mercante quando si parla loro della tendenza nativa dell’uomo alla cattiveria, alla aggressione, alla distruzione e quindi anche alla crudeltà. E non è tutto: l’uomo cerca di soddisfare il proprio bisogno di aggredire a spese del suo prossimo, di sfruttarne la forza lavorativa senza ricompensarlo, di servirsene sessualmente senza il suo consenso, di impossessarsi dei suoi beni, di umiliarlo, di farlo soffrire, di torturarlo e di ucciderlo”. (J. Lacan, Etica della psicoanalisi, Sem. VII, Einaudi Torino, 1994, pag. 234).  

In questa concettualizzazione prevale la tendenza pulsionale dell’uomo alla distruzione dell’altro in tutte le sue manifestazioni più perverse (crudeltà, torture ecc.): nella guerra l’uomo nel distruggere il nemico (l’altro) distrugge ogni volta se stesso. e dunque deve ricominciare ogni volta da capo per ricostruirsi. 

E allora il comandamento biblico “ama il prossimo tuo come te stesso” si rivela e si rovescia in “Odia il prossimo tuo come te stesso”, ovvero come l’immagine che tu odi in te stesso. La guerra come madre di tutti conflitti accoglie il paradosso dell’amore/odio, binomio inscindibile nella condotta umana su scala sociale. 

E distruggere l’altro per distruggere sé stesso è un sottolineare come la pulsione di morte sia quella tendenza che, nella storia privata e pubblica dell’uomo corrisponde al paradosso del godimento. 

Nel Disagio della civiltà Freud parla di una forma di identificazione per contagio sociale, che significa che l’uomo ha trovato il modo per risolvere il proprio conflitto individuale tra colpa e Legge senza che questo conflitto sia però elaborato. Infatti si è risolto nella storia in modo forzato, cioè viene agito con il trovare alleati al di fuori di sé su cui appoggiarsi oppure nemici su cui scagliarsi: questo guardare al di fuori di sé, guardare nel contesto o negli altri, riguarda qualcosa che ha che fare con l’invidia per l’altro, per ciò che l’altro possiede fino ad arrivare alle estreme conseguenze dell’imitazione e dell’impossessamento dell’oggetto desiderato: ed è la guerra. 

È così che Freud dunque, attraverso la sua riflessione sociale sulla guerra e sul perché del suo scatenamento, arriverà intorno al 1920 a scoprire, come ho già detto, la pulsione di morte, accanto e in correlazione a quella di vita, che è l’aggressività agita sull’altro, sul simile come scaricamento del conflitto interiore presente nel soggetto. 

La guerra ha portato Freud a modificare il suo pensiero sull’uomo, ha aperto una breccia nel soggetto, una ferita, una caduta dell’Ideale d’amore perché la guerra mondiale, rispetto alle altre guerre della storia ha una portata estesa e la carica è talmente aggressiva per le armi impiegate che gli effetti sull’uomo sono devastanti. Freud riflette con amarezza anche sulla contraddizione tra questa carica aggressiva e le doti culturali che la cultura tedesca ha portato in dote insieme allo stesso popolo responsabile del conflitto bellico con una aggressività mortifera. Prima del culturale, prima della cultura che è una costruzione e una trasformazione delle pulsioni primarie (processo di sublimazione) vi sono per Freud dei bisogni primari e originari che non sono né buoni né cattivi e insieme a questi bisogni (il corpo animale costitutivo dell’uomo) vi è una tendenza verso ciò che deve essere soddisfatto primariamente e che nell’uomo, visto gli effetti storici, viene classificato e pensato come tendenza malefica mutevole. Ma questa tendenza originaria malevola è innata? 

 

Ultimo atto: la funzione del bene 

 

Freud se lo chiede e nel 1915 in Considerazioni sulla guerra e sulla morte, risponde che questa tendenza è un fattore innato, ovvero c’è qualcosa di biologico nell’uomo. 

Questa posizione Freud la modificherà nel corso degli anni e dal 1920 in poi Freud elaborerà appunto la nozione di pulsione di morte intesa come un fattore umano che caratterizza la struttura inconscia insieme alla pulsione erotica. Per cui la guerra diviene quell’atto sociale sorretto da costruzioni intellettuali e umane, come la religione o da ideologie, come il primato della razza, oppure sorrette da qualcosa di più raffinato come le teorie economiche di Bentham cioè dall’utilitarismo che è un tentativo, ci dice Lacan, di armonizzare il bisogno e la ragione: ciò di cui ho bisogno trova nella ragione speculare dell’altro il motivo della ragione del mio altruismo in quanto quest’ultimo è la radice(soddisfazione ) del mio egoismo. 

L’ultimo atto riguarda la questione del bene e la conseguente guerra per il bene supremo: la conquista dello spazio vitale per garantirsi il potere sui bene necessari per sottomettere il nemico. 

Ogni guerra ha il suo spazio vitale da conquistare e i suoi beni di consumo da privare all’altro. E su questa base utilitaristica ogni guerra sbandiera la propria ideologia e la propria strategia politica insieme alle strategie diplomatiche per trovare una soluzione finale che soddisfi tutti. Allora che cosa è la funzione del bene in relazione alla guerra? Ce lo dice Lacan, come al solito in modo molto secco e determinato: “L’ambito del bene è la nascita del potere” (Lacan, Etica della psicoanalisi, pag. 290). La conquista di un bene è la garanzia di avere il potere sull’altro perché posso utilizzare a mio vantaggio la sua privazione ovvero il fatto di non averlo. E se non ho questo bene che mi necessita cerco di prenderlo oppure se attaccato di difenderlo: la guerra è un atto concreto e violento oltre ogni diritto di possederlo perché: “disporre dei propri beni è avere il diritto di privarne gli altri” (Etica della psicoanalisi, op. cit. pag. 291). 

La storia comprende il potere del padrone e del suo discorso e il momento della sua nascita ci fa sempre dire che sia un momento storico, perché qualcosa di nuovo è nato, un nuovo potere, un nuovo (padrone) da cui dipenderanno le sorti dei popoli e degli stati (pensiamo al petrolio che si sostituisce nella storia al carbone); ma la storia comprende anche la tendenza alla privazione di quel bene che con la sua nascita ha inaugurato la tendenza a privare l’altro del bene dominante mediante la guerra che è l’esercizio della forza (violenza): il diritto della forza si impone nella storia per giustificare la necessità di un popolo di prendersi un bene dell’altro. Questo accade perché non c’è un Terzo super partes che abbia la capacità e la forza politica riconosciuta di usare il diritto appoggiandosi sulla semplicità distributiva delle risorse.  

È la tesi di Einstein (l’Onu come terzo) che Freud auspica ma che si rende conto della difficoltà che ciò avvenga perché l’insieme degli Stati (Onu) non ha un potere e i mezzi all’interno degli Stati nazionali tanto da far cambiare posizione politica su provvedimenti interni al singolo stato che abbiano però ripercussioni internazionali su stati membri dell’Onu. E la diffidenza sta nel considerare sempre la forza tendenziale delle pulsioni aggressive e distruttive che contro ogni logica si fanno sentire anche in un contesto altamente organizzato politicamente che dovrebbe essere guidato dalla logica e dalla ragione.  

Dunque la storia comprende in ogni caso e circostanza anche la tendenza pulsionale alla distruzione (pulsione di morte) dell’altro per la conquista di un bene e implicitamente bisogna tenere di conto che la storia comprende anche l’autodistruzione dell’uomo: questa doppia presenza pulsionale nella storia umana si può riassumere con questo concetto paradossale: l’uomo ama farsi del male e la guerra è l’esempio storico diretto più devastante. 

Allora la domanda Il perché la guerra? si può far coincidere essenzialmente proprio con questo paradossale amore del l’uomo, che si lascia andare alla sua tendenza inconscia presente nell’Es, per infliggere il male sul corpo e la storia è l’insieme che raccoglie in ogni forma la coazione a ripetere di questo male e di questa operazione masochistica. 

In questa lettera di Freud ad Einstein è presente, in maniera non esplicita, una terza passione presente nell’essere umano che Lacan chiama ignoranza che si può leggere come un patire ciò che manca all’uomo e a partire da questa mancanza (ciò che ignoro) si costruiscono le due altre passioni: l’amore, come invenzione immaginaria che colma ciò che manca al soggetto, e l’odio che è la persistenza della fine di un’illusione di poter avere ciò che manca e questa persistenza scatena nel soggetto rabbia e aggressività mortale. C’è una altra lettura che riguarda la passione della ignoranza, quella che è tracciata, tra le righe, nella lettera di Freud: la passione dell’indagare, che l’uomo ignora, corrisponde in sostanza alla passione dell’ignorare ciò che l’uomo è nella sua crudeltà e nella sua pulsione mortifera. Dunque Freud nella indagine sulle cause della guerra dimostra una passione per sapere cosa sia l’inconscio, come luogo dove ci sono le cause che scatenano l’aggressività bellica. Arriva alla conclusione che in queste cause c’è qualcosa che rimane oscuro: una parte che Freud non riesce a leggere o che si sottrae alla lettura . 

La scienza e il suo metodo di indagine non sono sufficienti a leggere questa parte oscura dell’uomo, una parte che lo spinge a commettere atti senza senso e ad agire con crudeltà e cattiveria. 

Questo mistero e questa incredulità, Freud la esprime bene nel 1915: “Perché poi i popoli e le nazioni si disprezzino, si odino, si detestino reciprocamente – e, per la verità anche in tempo di pace – è davvero un mistero. Io non so veramente che dire. È come se, allorché una massa o addirittura milioni di uomini si riuniscono, tutte le conquiste morali dei singoli fossero cancellate, sicché rimangono solo gli atteggiamenti psichici più primitivi più antichi e rozzi” (Sigmund Freud, Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte, Bollati Boringhieri, Torino, 1989 pagg. 135-136).  

E per concludere si può dire che le considerazioni attuali (1915) sostenute da Freud, dopo un secolo, hanno lo stesso valore analitico: ciò che si ripete nell’inconscio dell’uomo è in fin dei conti questo buco nero, questo luogo oscuro autodistruttivo di difficile lettura ma che la passione dell’ignoranza del soggetto lo spinge a non considerare. 

Questo agire etico dell’uomo (l’ignorare) lo porta a varcare ogni suo limite nell’agire e così a ignorare la sua stessa passione dell’ignoranza, lasciando, nella storia, alla dialettica dell’amore e dell’odio le sorti dell’uomo stesso. 

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