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Principio di piacere e principio di realtà nella vita quotidiana

14 Set 22

Di marcoguidi73

Il conflitto tra il principio di piacere e il principio di realtà costituisce un movimento fondamentale nella struttura dell’apparato psichico del soggetto. Il principio di piacere è un principio economico che ci dice degli sforzi e delle strategie del soggetto per ottenere il piacere negli investimenti oggettuali, mentre il principio di realtà implica l’urto, cioè l’insieme degli impedimenti, delle regole e delle correzioni, in cui s’imbatte il soggetto rispetto al piacere cercato; l’urto provoca delle modificazioni sul soggetto che incidono sull’organizzazione complessiva dei suoi pensieri, dei suoi gesti e dei suoi atti.
 

Tra le conseguenze di un urto speciale, che accenderà una particolare conflittualità tra i due principi nella futura vita quotidiana, si può annoverare il fenomeno del riso e della umoralità in generale, a partire fin dalla prima infanzia nell’incontro tra la madre e il bambino. Quest’ultimo infatti si porterà con sé nella vita quotidiana futura l’incontro e l’urto che avrà avuto con il materno.

Questo momento si ripeterà nella sua vita quotidiana le cui manifestazioni saranno il segno di come il soggetto s’incontrerà con la realtà esterna e dalla natura di questo incontro si capirà come il soggetto vivrà i limiti posti dal principio di realtà alla sua economia libidica. Questi limiti troveranno una loro collocazione definitiva nell’adolescenza che è il tempo ultimo dove il soggetto completa la sua strutturazione definitiva e costituiscono per lui la linea di confine che gli permette di riconoscere ciò che appartiene alle leggi della realtà interna all’apparato psichico, da ciò che appartiene invece alla Legge della realtà esterna.

La conflittualità tra i due principi passa attraverso la ripetizione dell’atto, cioè dell’urto e dell’incontro primario, che accendono nella vita quotidiana il fenomeno del riso e i fenomeni legati all’umore ogni volta che il soggetto è spinto dalle circostanze a ridere o a emozionarsi. Faccio presente, per inciso, che la ripetizione del bisogno, senza che ci sia una reale necessità da soddisfare, si trasforma in godimento o assuefazione alla dipendenza dall’oggetto del bisogno che, come è facile capire, si inscrive totalmente in una dimensione tutt’altro che biologica ovvero, si inscrive in una dimensione che costituisce il terzo incomodo rispetto alla coppia piacere-realtà. Il fenomeno del riso e l’umore che ne deriva costituisce il reale corporeo nella costituzione del terzo polo (il godimento) tra piacere e realtà.

La convivenza del piacere con la quotidianità ripetitiva, monotona e anonima è messa a dura prova ed è facile allora che si faccia sentire il grande nemico del piacere cioè il dispiacere con il quale si allea il principio di realtà, dispiacere sentito dal soggetto quando viene ricondotto dentro i confini del mondo esterno. Questa alleanza porta di nuovo il soggetto a godere del suo bisogno di assoggettamento alle condizioni comuni del quotidiano. E l’assoggettamento interno alle condizioni del quotidiano significa che si presenta al trio piacere – al di là del principio di piacere – principio di realtà, una quarta dimensione che si chiama l’al di là del principio di realtà, il che implica che l’insieme dei fatti, imposti dal mondo esterno riconducono sempre a un modo di vivere soggettivo le imposizioni di questi stessi fatti: ovvero bisogna considerare il peso variabile che ogni singolo soggetto avverte e deve sopportare rispetto alle imposizioni della realtà. C’è in questo peso una componente energetica, chiamata da Freud libido, che è a disposizione del soggetto per essere investita nella realtà per trarre il succo del piacere e che Lacan chiarisce in relazione all’al di là del principio di realtà: “Al contrario, come concetto energetico la libido non è altro che la notazione simbolica dell’equivalenza fra i dinamismi che le immagini investono nel comportamento. È la condizione stessa dell’identificazione simbolica e l’entità essenziale dell’ordine razionale.” (“Scritti”, pag. 85) Questa relazione tra le immagini investite nel comportamento e la dimensione simbolica della Legge del Super-Io, costituisce quell’al di là della realtà che per queste caratteristiche, la pone come una dimensione oggettivamente inesistente per il soggetto perché è in preda, in modo variabile ma costante, alla ripetizione del piacere coattivo o godimento che è legato alle imposizioni della legge dell’Altro: del quartetto, costituitosi a partire dalla coppia principio di piacere-principio di realtà, si scopre la verità del godimento del soggetto che coincide con l’al di là del piacere e con l’al di là del principio di realtà, dimensioni che sono presenti nelle relazioni umane connesse con la funzione fondamentale della domanda dell’Altro: Che vuoi?

Questo meccanismo di correzione che forma il principio di realtà è interiorizzato dal soggetto, ovvero egli sente che cosa l’aspetta ogni volta con questo imbattersi nell’urto del limite, anche se non sa dire di che cosa si tratta. Il soggetto se ne rende conto appena alzato al mattino: infatti, può avvertire tra le tante manifestazioni psichiche, un senso di assoggettamento ineluttabile all’Altro del bisogno: per esempio sente di non poter fare a meno di mangiare qualcosa in più rispetto al normale bisogno di fare colazione. Perché sente questo bisogno? Che cosa è successo durante la notte, forse un brutto sogno oppure un contrasto con il o con la partner, oppure ieri sera l’ultimo avvenimento è stato caratterizzato da un piacere sottratto o frustrato, si chiede il soggetto?

In quel momento della colazione, il piacere cercato è vinto dalla profonda incoscienza della propria condizione soggettiva: la natura pulsionale malefica ha preso il sopravvento, con l’incarnazione nell’oggetto del piacere, sulla ragione inconsapevole. Ormai il guasto è fatto, non si può più riparare; l’unico modo per controbilanciare questo imporsi del maleficio, è di interrompere subito l’inizio della ripetizione inconscia, cioè del suo insistere successivo nell’atto del nutrirsi di cibo dolce ogni mattina in una quantità tendente all’uno in più di cornetti, fino al limite consentito dal gonfiore intestinale: insomma l’operazione che risulta è quella di fare di quella prima colazione il prototipo dell’insistere dell’oggetto cosale nel godimento del cornetto, che contiene l’oggetto reale perduto e celato dalla stessa ripetizione dell’atto.

Al mattino prevale l’angoscia quando il soggetto, appena alzato, può sentire il peso della giornata che sta per cominciare: l’angoscia coincide appunto con questo sta per che scaraventa il tempo presente della mattina, spalmato fino alla sera, per tutto l’arco di quel giorno fino a quando l’ultimo secondo sancirà la fine della giornata lavorativa, lavoro che rappresenta per il soggetto angosciato la gabbia della realtà che lo costringe a trattenere l’emozione del proprio malessere nascondendolo agli altri.

Un giorno qualunque, di un uomo qualunque, con un lavoro consolidato, conosciuto ormai da anni: allora “perché, proprio oggi, provo un’angoscia tale che non passa nemmeno al termine della giornata lavorativa?” – si chiese un paziente. C’è dell’altro dunque, direbbe Lacan, c’è dell’Uno, il y a de l’Un, c’è un rumore che si fa sentire nella mente e nel corpo come uno sciame di api, è lo sciame rumoroso di qualcosa di antico e di primario che irrompe all’improvviso e senza apparente ragione, è lo sciame che richiama un dispiacere antico che annuncia la radicale perdita di un piacere primario unico: e il rifugio, insistente nella colazione dei cornetti, è inevitabile in questo caso.

Ma perché proprio oggi? E perché no! Oggi è ieri e domani dal punto di vista del tempo cronologico. I conti non tornano mai completamente e non c’è una specifica ragione almeno in apparenza.

Si può notare come dall’iniziale coppia piacere-dispiacere siamo passati al terzo incomodo, l’al di là del principio di piacere che ha allargato il gruppo al dispiacere alleato al principio di realtà e questa ultima alleanza ha mostrato l’altra faccia della realtà, un al di là di quel sentire del soggetto che è un misto di dispiacere, sofferenza e piacere soggettivo che si ripete. L’angoscia mattutina che prende il soggetto e lo accompagna fino a sera è un segnale di verità perché l’angoscia non mente mai, è l’ultimo stadio della soggettività ridotta a corpo, e così quest’ultimo è costretto a nutrirsi in abbondanza di cornetti. Questa forza assoggettante, sentita da Woyzeck come trascendente e implacabile da un lato e dall’altro, come ci ricorda Blanchot, forza di una inalienabile nullità del soggetto che trasforma l’essere in follia, che trascina il soggetto nell’impersonale e lo dissolve, questa forza ora è trascendente ma un trascendenza che è dentro, immanente, e dunque questo è l’inconscio della cosa (Das Ding) perché l’inconscio parla, gode, ma non sa niente. In questa impersonalità il piacere e la realtà come coppia si fondono perché il principio di realtà non corregge più niente, perché ciò che piace al soggetto in fondo si rivela coincidere proprio con questo anonimato impersonale paradossalmente fondato sul narcisismo secondario deresponsabilizzante e poi perché il principio di realtà coincide con lo stesso ordine imperativo che invita il soggetto a godere ovvero a ripetere lo stesso evento, il manifestarsi dell’angoscia, per tentare di cancellarla, di annullare gli effetti sul corpo attraverso il coincidere con i cornetti. La vita in questo riassorbimento del piacere e della realtà va alla deriva, fino a quando accade l’evento che fa salire l’angoscia alla ribalta, evento che come un lampo squarcia per la prima volta la vita del soggetto e quest’ultimo non può più fare a meno dei cornetti.

Questo meccanismo di riassorbimento del principio di realtà nel principio di piacere, riassorbimento che produce l’al di là del principio di piacere ovvero la realtà del godimento ripetitivo, è un fenomeno che si presenta in questa società attuale come tendenza generale di massa, tendenza come ci indica Lacan, che va a costituirsi in perversione generalizzata adorante l’oggetto esaltato come un feticcio (il cornetto).

Se invece prendiamo le cose dal punto di vista della clinica del soggetto, che viene a farsi ascoltare in analisi per un sintomo che vuole essere risolto, allora questo sintomo lo consideriamo come manifestazione di una specifica sofferenza vissuta dal soggetto come disagio e come conflitto tra l’Io e l’Es. In questo conflitto il Super-Io, osservatore e regolatore interessato, non riesce però a sostenere adeguatamente le resistenza dell’Io nei confronti della realtà del soggetto che riesce a usufruire ancora delle risorse dell’Es. Quindi da questo punto di visita si può chiamare ancora soggetto attivo e desiderante colui che ha deciso di interrompere la finzione mascherata a protezione del proprio godimento per inscriversi nel campo analitico e far parlare così l’inconscio che gode ma non sa niente, mentre il sapere lo trova in un referente (analista) a cui consegnare il materiale della sua vita quotidiana, consapevole che quest’ultima si può considerare un vero e proprio “campo di battaglia” come un paziente affermò in una seduta. E questo inscrivere nel campo analitico il campo di battaglia della vita quotidiana si può considerare come un Evento che può interrompere la ripetizione del maligno nel godimento dei cornetti.

Mi vorrei soffermare ora sulle conseguenze che produce la finzione mascherata sul versante del soggetto moderno, conseguenze riconducibili a ciò che Lacan chiama godimento fallico ovvero un godimento che fa dell’immaginario narcisistico dell’Io, che comunica solo con sé stesso e che fa della cultura dell’immagine e della finzione su cui si fonda il sapere detenuto dall’Altro sociale, i fondamenti del reale del godimento che si fanno sentire sul corpo e su cui si fondano i legami affettivi tra soggetti: tutto ciò scorre all’insegna della farsa incarnata per esempio da Babbo Natale, come ci ricorda Žižek: tutti sanno che Babbo Natale non esiste, ma tutti fanno finta che esista incarnandolo in una festa per godere dei suoi regali.

C’è da ridere, forse, ma non tutti lo fanno e non tutto viene capito!

 

 

Conseguenze della finzione mascherata.

 

1) La prima conseguenza molto diffusa sia nel senso comune, e dunque nella vita quotidiana, sia nella cultura psicologica nonché nella pratica delle relazioni di aiuto, è l’importanza data al termine empatia, importanza eccessiva proprio perché permette alla finzione affettiva, presa come reale, ovvero presa sul versante del sentire, di eliminare, nelle azioni e nei comportamenti della vita quotidiana, la rettificazione del principio di piacere attraverso il lavoro svolto dal principio di realtà, in questo modo il principio di piacere può debordare nell’eccesso immaginario di una fusione tra l’io e l’altro. C’è la convinzione che l’aiuto empatico sia un aiuto reale che porti la tensione sofferta del soggetto verso una fusione con altro, ma in realtà il soggetto empatico non riesce a muoversi dal proprio immaginario e dunque non va mai oltre l’orizzonte del proprio Io e del proprio piacere, che risulta per il soggetto soddisfacente perché si è illusoriamente immedesimato nell’altro attraverso il proprio immaginario proiettivo: questo meccanismo si può anche definire come solitudine mascherata dalla alterità fenomenologica dell’Io. Lacan parla “di torta alla crema” facendo riferimento ai metodi tecnici della psicologia: “Questa torta alla crema, della psicologia intuizionistica e fenomenologica, ha assunto nell’uso contemporaneo un’estensione che è un chiaro sintomo del rarefarsi degli effetti della parola nel presente contesto sociale” (Scritti, pag. 246). E il rarefarsi della parola corrisponde alla parola vuota parlata dal soggetto moderno sopraffatto dalle immagini nella comunicazione con l’altro.

 

2) La seconda conseguenza è il consolidamento della parola vuota dove predomina la chiacchiera che riempie tale parola del pettegolezzo ovvero la riempie ancora in una prospettiva empatica, ma, spostando un poco il tiro, non più per immedesimarsi o mettersi nei panni dell’altro, ma per farsi gli affari dell’altro ovvero per penetrare in modo immaginario nel mondo delle relazioni dell’altro per nutrirsi delle cose amorose e affettive dell’altro. Anche in questo caso il principio di piacere trova una realtà cedevole che eccede e inclina al godimento invasivo immaginario dell’altro. Per esempio i pazienti che abusano della loro parola, producono immediatamente un chiacchiericcio composto da una girandola di voci confuse e indistinte che si fa talmente assordante che può essere paragonato al forte brusio proveniente dall’orecchio del protagonista all’inizio del film di Lynch Velluto Blu. È la porta di entrata di un inferno vocale dove a poco a poco il paziente entra in una confusione simbolica che è la stessa confusione che il paziente medesimo ritrova nella sua vita quotidiana: la confusione simbolica è data dal fatto che in sostanza sparisce la dimensione dell’ alternanza tra presenza e assenza dell’altro perché tutto diventa presente senza distinzione alcuna e in un deserto piatto si perde facilmente l’orientamento.

 

3) La terza conseguenza riguarda il lavoro clinico quotidiano che svela ciò che non funziona, ciò che non risponde al programma. Si potrebbe persino dire che rende manifesti i diversi modi in cui il soggetto patisce la sua condizione umana. Non rispondere al programma significa che nella vita quotidiana non c’è nessuna garanzia che il piacere si incontri con una realtà dove il bene del soggetto è garantito da qualcosa di certo e sicuro:

 

Quale è la figura nuova che Freud introduce nell’opposizione principio di realtà/principio di piacere? È certamente una figura problematica, Freud non si sogna neanche per un istante di identificare l’adeguamento alla realtà ad un bene qualsiasi. Nel Disagio della civiltà, egli ci dice, la civiltà, la cultura, chiedono sicuramente troppo al soggetto. Se c’è qualcosa che si chiama il suo bene, la sua felicità, non c’è nulla che possa aspettarsi, in proposito, né dal microcosmo, cioè da sé stesso, né dal macrocosmo.” (J. Lacan, “Etica della psicoanalisi”, pag. 40).

Si tratta dunque di leggere la vita quotidiana alla luce dell’Etica del soggetto su cui si fonda il lavoro e il campo analitico che esclude un lavoro invece fondato sulla tecnica psicologica. La psicoanalisi che fonda la propria scientificità clinica sull’Etica del desiderio e del godimento, ha come luogo di osservazione e ascolto la vita quotidiana attraverso ciò che i pazienti dicono nelle sedute o nei gruppi; in questo caso la parola vuota corrente si fa portatrice di quel dissidio strutturale che nella parola di ciascuno passa come proveniente dal sostenere il disagio collettivo insieme al proprio disagio individuale, collegati in una continuità mostrata molto bene dalla figura topologica del Nastro di Moebius.

La vita quotidiana, nelle manifestazioni affettive, familiari, amorose, nelle dinamiche tra colleghi di lavoro, nella conflittualità interna con il proprio corpo è sempre doppia esterna e interna, e va dal Super-Io esterno della realtà sociale a quello interno psichico che indica il dissidio nel soggetto con l’Io per la gestione delle pulsioni dell’Es. Questo dissidio esterno-interno non risulta essere, nella parola dei pazienti così chiaro perché è vissuto come una lotta tra il male che sta fuori, nei pericoli della vita e il bene che sta dentro il soggetto parlante. Risulta invece esserci nella parola piena del soggetto, che è la parola che scava per toccare la verità del suo proprio malessere, una volontà soggettiva che partecipa, contro il proprio bene, a costruire il proprio male, attraverso il persistere delle trappole che il soggetto si tende da solo nel quotidiano dei suoi amori e dei suoi comportamenti anti-salutari. I pazienti riportano nella parola l’esigenza di ripetere questi comportamenti, che corrispondono alla coazione a ripetere azioni ripetute da loro nella vita quotidiana; questa coazione si spinge fino a quando il paziente si rende conto del paradosso in cui è abitato senza però riuscire facilmente a scioglierlo, anzi dimostra anche una certa creatività malvagia e insospettata, come afferma La Boètie: “ogni individuo partecipa alla creazione del tiranno che lo tiene sotto il suo giogo, in una servitù volontaria. Nel proprio cammino ciascuno può perdersi e non desiderare il proprio bene” (Discorso sulla servitù volontaria).

Sigmund Freud e A. Einstein in “Perché la guerra” riassumono molto bene ciò che in ogni soggetto esiste come spinta alla conservazione personale e alla distruzione aggressiva dell’altro per difendersi: “L’essere vivente preserva per così dire la propria vita distruggendo quella altrui”. E ciò si mostra sia nelle grandi guerre sociali sia nelle piccole guerre giornaliere.

 

4) La quarta conseguenza riguarda il conflitto tra il tempo di lavoro e il tempo libero vissuto dal soggetto quotidianamente.

La vita quotidiana presenta una battaglia giornaliera che inizia alla mattina e si protrae per quasi tutto il giorno. Dalle conversazioni che ho ascoltato sia nei pazienti che nei gruppi terapeutici, è emerso questo battagliare giornaliero, ripetuto e continuo, nel quale il soggetto non può fare a meno di farsene carico e che corrisponde di fatto a un ordine del tipo “non devi farne a meno” sentito come un diktat del Super-Io sociale: questa battaglia di fatto corrisponde al tentativo del soggetto di resistere a questo ordine e questo resistere coincide con il trattenere, per tutto l’orario di lavoro, l’idea che in fondo “il tempo di lavoro è necessario e ineluttabile rispetto al tempo libero” del quale se ne può fare anche a meno: questa convinzione nasce dalla sensazione di sentirsi costretti a farne a meno tanto da convincersi che sia banale e futile dedicare a sé stessi del tempo libero o che addirittura sia meglio farne a meno.

Questa battaglia interna conduce il soggetto a una confusione stressogena tanto da arrivare a confondere il tempo di lavoro con il tempo libero perché in sostanza “il mio tempo libero diventa tempo di lavoro perché non lo sento completamente mio, lo sento come un tempo obbligato come quello del lavoro” affermò una paziente in un gruppo. Da sottolineare che dal nostro punto di vista il tempo di lavoro ci rivela il tempo impiegato dal soggetto a lavorare interiormente per non soccombere alle esigenze interne del Super-Io, ed è questo tempo che ha a che fare con lo stress.

È un conflitto tra il Kronos, il tempo cronologico della necessità ineluttabile, e il Kairos o il tempo delle occasioni desiderate che si presentano al soggetto singolo proprio nel tempo libero tanto che il soggetto spesso è costretto a rinunciarvi facendo “orecchi da mercante” per difendersi e non soccombere di fronte all’urgenza desiderata ma frustrata.

Un altro aspetto della battaglia quotidiana tra i due tempi in cui è impeganato il soggetto si rivela proprio da questo lapsus di un paziente durante una seduta. Il paziente voleva dire impegnato per dire del legame sentimentale che aveva instaurato con una collega con la quale in fin dei conti si era però “impelagato”: e impelagato è una condensazione tra impeganato e impegnato per testimoniare come impeganarsi indica l’esistenza di un oggetto a piccolo, cioè un altro simile (una collega) ma che sul piano immaginario dell’investimento libidico ci dice di uno spostamento significativo sul piano affettivo, cioè non è un simile qualunque che partecipa al tempo di lavoro come tutti gli altri, ma in quanto oggetto piccolo a partecipa di una relazione che fa sentire il soggetto all’interno di un piacevole conflitto tra un impegno che lo impelega per tutto ciò che riguarda il tempo libero con la sua famiglia e il tempo di lavoro che diventa più sopportabile perché “ora per fortuna che c’è lei”.

Dunque questa a in più indica il terreno accidentato dove il soggetto in campo analitico si imbatte negli incroci inevitabili che riguardano direttamente due ambiti del quotidiano tra loro in connessione: il lavoro e l’amore sostenuti dal conflitto in cui si dibatte il soggetto preso tra il tempo di lavoro (interno ed esterno) e il tempo libero (interno e esterno).

 

Il tempo quotidiano è dunque un tempo alienato”. L’alienazione nel tempo di lavoro, il sentirsi estraneo alla produzione dell’oggetto, qualunque esso sia e sentirsi oggetto qualsiasi nella abitudine ripetuta degli stessi gesti nel tempo quotidiano impiegato sul lavoro, significa abitare la stessa posizione immaginaria dell’altro come “mio” simile (Edipo orizzontale) con il quale instauro una relazione aggressiva, gelosa o invidiosa. La stessa condizione, quella di una sostanziale impotenza a comunicare, non passa attraverso la parola ma attraverso l’immaginario perché è fondata su aspettative, su proiezioni, identificazioni e anticipazioni che trasformano la comunicazione in qualcosa di incomunicabile.

L’oggetto piccolo a in più, l’oggetto d’amore, riguarda da un punto di vista analitico, la comparsa del fantasma sulla scena del tempo quotidiano all’interno del campo analitico, in quanto questa trasformazione in fantasma è rivelata in tutta la sua pregnanza solo all’interno dell’analisi che consente l’interruzione ossessiva della alienazione e la trasformazione nell’oggetto speciale del desiderio si apre alla soggettività della esperienza interiore.

La relazione amorosa può essere clandestina o alla luce del sole e il piacere ricavato determinerà dunque la soddisfazione del soggetto nel nominare e nel distribuire il suo tempo libero e il suo tempo di lavoro che sono implicati nella natura della relazione stessa. Avremo in questo caso, dunque, un tempo con due soggetti impegnati a fare del tempo libero l’oggetto a causa del desiderio (l’altro come oggetto d’amore) che li separa dal tempo di lavoro, un tempo di una luce diversa: “non vedo l’ora di andare a lavoro per vederla”- mi disse il paziente in una seduta.

Questa dimensione fantasmatica dell’amore rimanda al principio di realtà che coincide con il limite in cui il principio di piacere si muove per investire il piacere che ogni soggetto cerca di trarre dagli oggetti (d’amore) della realtà esterna, ingaggiando con essa ogni sorta di rapporto funzionale alla dialettica dell’inconscio e appunto tra questi rapporti funzionali vi è quello che ha a che fare con il tempo da impiegare e da trovare per trarre quella dose di piacere necessaria al soggetto per sopportare il tempo di lavoro.

In sostanza con la scena fantasmatica, in un sol colpo, si rivela al soggetto la connessione tra gli oggetti della realtà esterna, da cui il soggetto cerca di trarre il piacere a lui indispensabile per vivere e la dimensione soggettiva (fantasma) del principio di realtà dalla quale il soggetto vede la realtà esterna secondo dei criteri personali (gusti) che corrispondono però a tutto ciò che riguarda l’inconscio e dunque alla realtà interiore che definisce la storia unica del soggetto medesimo. In questo caso il fantasma riguarda l’oggetto d’amore (oggetto piccolo a) che si declina nella scena amorosa che diventa il principio di realtà del piacere che il soggetto può ricavare dalla stessa relazione amorosa che segue le modalità temporali esterne distribuite tra tempo di lavoro (ora c’è lei o lui ) e tempo libero (ci vediamo quando possiamo, dobbiamo fare salti mortali per ricavare un po’ di tempo per noi).

 

 

5) Quinta conseguenza: la vita quotidiana e i mass-media.

 

Nel campo di battaglia della vita quotidiana, il tempo di lavoro e il tempo libero sono in conflitto tra loro, così come nell’amore vi è una conflittualità sia interna che esterna al soggetto tra l’immaginario e il simbolico; tale conflittualità, si nota anche nella sfera del principio di piacere il quale cerca nella realtà quotidiana la sua soddisfazione totale ma deve fare i conti con la sfera della realtà che raccoglie l’urto del piacere soggettivo che non riesce a trovare facilmente il suo incastro, cioè il suo oggetto d’amore incarnato in un altro soggetto, dunque in altre parole il soggetto non riesce a trovare la sua anima gemella che si incastri a vita con l’altro. La conflittualità nell’amore e nel tempo, che mette a disagio il singolo soggetto, viene tamponata dall’ individuo moderno attraverso il potere dell’oggetto ovvero attraverso la sua potenza immaginaria e la sua potenza immaginaria gli viene conferita dall’Io narcisista il quale ha necessità di rispecchiarsi nell’oggetto. L’Io moderno è ben sostenuto dal potere dell’oggetto che coniuga l’immaginario con il reale, caratteristica di ogni prodotto del discorso del Capitalista insieme al suo paradosso: “Ben strana legge quella del capitalismo, che per estinguere la fiamma delle pulsioni vi getta sopra la paglia degli oggetti. Al cuore del capitalismo c’è l’incapacità a concepire un limite tipico dell’età infantile” (Gilles Dostale-Bernard Maris “Capitalismo e pulsione di morte” La lepre edizioni, Roma, 2009, pag. 43).

Dunque la conflittualità nell’amore con l’altro si risolve oggi facendo l’amore con l’oggetto, un amore che passa attraverso l’Io immaginario e va verso l’oggetto investito libidicamente che fa da specchio all’Io del soggetto, come ci ricorda Freud.

La conflittualità tra tempo di lavoro e tempo libero viene risolta dal soggetto contemporaneo con il potere conferito a quell’oggetto, che per le sue caratteristiche specifiche si eleva a valore di feticcio, ovvero lo smartphone, il quale attribuisce a ogni singolo individuo l’illusione che il tempo libero sia controllato da lui stesso attraverso un semplice pulsante che può mostrare a tutti, tutto ciò che il soggetto vuole comunicare.

Paragoniamo questo narcisismo con quello del bambino: il bambino, ciò di cui non può fare nella realtà, lo può rappresentare attraverso il potere del gioco, nel quale lui stesso vi trova un piacere di cui ha il diritto di costruirsi. A differenza del bambino, l’adulto nel gioco con l’oggetto feticcio vi trova un godimento, a cui è costretto a sottostare da parte del Super-Io sociale, che sostiene il suo narcisismo e che lo illude, però, di poter migliorare, con lo smartphone, (l’oggetto feticcio per eccellenza) ogni tipo di comunicazione e ogni forma di relazione. In realtà la feticizzazione dell’oggetto mediale svolge un ruolo, nel campo di battaglia del quotidiano, di sedazione attraverso la seduzione sul corpo del soggetto. L’oggetto in questo caso ha un valore reale cioè di effettiva e illusoria potenza immaginaria, mentre l’oggetto ludico del bambino ha un valore simbolico che sostituisce il valore reale dell’oggetto. Nell’adulto moderno il reale e l’immaginario coincidono mentre il simbolico viene cancellato, nel caso del bambino invece il simbolico ludico sostituisce il reale dell’oggetto mentre l’immaginario viene relativizzato.

Osservando ciò che accade nella vita quotidiana si vede una quantità impressionante di individui anonimi e indifferenziati ripiegati su sé stessi ad arrangiarsi con la tastiera di cui sono innamorati. L’amore in questo caso ha la funzione di ricomporre il dissidio tra il corpo, rappresentante simbolico del soggetto, e l’oggetto (a) ma questa ricomposizione è illusoria anche se tenace.

Allora ci possiamo chiedere dove si colloca il rapporto con l’oggetto nelle tre sfere amore, lavoro e salute che compongono l’insieme delle attività e delle funzioni nella vita quotidiana del soggetto. Si colloca, in base a come viene costruito il rapporto con l’oggetto, nella sfera della salute perché la salute implica direttamente il corpo che rappresenta, nel Discorso del Capitalista, quel significante generico padronale (S1) a cui il soggetto si riduce per produrre e consumare l’oggetto stesso che ama in modo feticistico (eccesso) per servire l’Altro del potere a cui si identifica per via seduttiva (seduzione del potere). Il corpo a causa anche di questo eccesso, si ammala di stress da un lato, ma dall’altro il corpo del soggetto si esalta narcisisticamente per servire il feticcio che gli dà una falsa illusione d’amore e gli trasmette una energia potenziale esaltante e frenetica.

Questa frenesia e questo amore per l’oggetto feticizzato, riguarda anche i mass-media o l’insieme degli oggetti che dovrebbero servire all’uomo per migliorare la comunicazione e la relazione umana; in realtà la feticizzazione dell’oggetto mediale svolge un ruolo, come ho già detto, nel campo di battaglia del quotidiano, di sedazione attraverso la seduzione da cui il corpo del soggetto è attirato: infatti, per esperienza posso dire che nessun paziente si è mai lamentato del suo rapporto eccessivo con il cellulare.

L’amore ha la funzione di ricomporre il dissidio tra il significante padrone S1 materno, rappresentante del soggetto sulla scena della vita e l’oggetto (a) e questa ricomposizione è illusoria ma tenace, avviene proprio per le caratteristiche del sembiante dell’oggetto feticcio, sembiante che nelle tre sfere articolate ricopre il vuoto centrale che appartiene al soggetto diviso. Ma un amore così costruito, su un eccesso e soprattutto sull’inganno permanente di un’illusione, se tenta di ricomporre la frattura intra-soggettiva tra S1 e l’oggetto a feticizzato, prolungamento di S1, ha delle conseguenze sul piano della comunicazione come quella di ridurre S1, con tutto ciò a cui rimanda sul versante dell’inconscio materno, a un insieme di segni che coincidono con tutto ciò che il corpo-macchina produce. Nel campo dei media questi segni costituiscono l’insieme dei gesti manuali, vocali e scopici utilizzati dall’individuo nella vita quotidiana per comunicare con l’altro, avvalendosi proprio delle capacità tecniche dell’oggetto feticcio smartphone, anche se in realtà ogni individuo poi non esce dalla propria immagine e dalla parola vuota che produce.

Questo insieme ripetuto di gesti che passa dal corpo e dalla parola vuota si inscrive nel godimento che fa parte del sintomo moderno legato al potere del feticcio perché non lascia di fatto spazio ovvero impedisce al soggetto di fare del proprio vuoto un oggetto d’amore senza feticcio, un vuoto dove iniziare a scrivere qualcosa di nuovo come per esempio un’invenzione quotidiana che passa attraverso una scrittura che da un lato, accompagna ogni atto del soggetto e ogni suo movimento conforme al suo proprio desiderio, dall’altro si muove verso il niente cioè verso una direzione senza un progetto e senza una meta da raggiungere e quindi una scrittura in “pura perdita” per dirla con Bataille.

 

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